Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’Ottocento rappresenta in Europa una fase di transizione dall’agricoltura di semi-sussistenza a un’agricoltura moderna di mercato. Non bisogna però dimenticare che, nonostante i progressi che hanno permesso alla produzione agricola di tenere il passo con la crescita demografica, l’agricoltura europea si basa ancora largamente sul lavoro degli uomini e degli animali e che l’applicazione su vasta scala delle macchine a motore e dei ritrovati dell’industria chimica dovrà attendere il secolo successivo.
Agricoltura tradizionale e agricoltura moderna
Nel corso del XIX secolo l’agricoltura svolge un ruolo fondamentale nell’ambito dell’economia europea. Tra il 1800 e il 1900 in quasi tutti i Paesi europei – con l’eccezione di quelli mediterranei e dell’Europa orientale – la percentuale degli addetti al settore agricolo scende al di sotto del 50 percento e nel caso dell’Inghilterra, il paese all’avanguardia, persino al di sotto del 10 percento.
Una differenza essenziale rispetto al passato risiede inoltre nel carattere di semi-sussistenza dell’agricoltura tradizionale rispetto a quella moderna. Infatti, mentre l’azienda contadina tradizionale consumava al suo interno oltre la metà della produzione, l’agricoltore moderno assume sempre più l’aspetto di un imprenditore che produce per vendere sul mercato e quindi le sue scelte sono orientate in massima parte dal sistema dei prezzi e non dalle necessità immediate della sussistenza familiare.
Questo legame con il mercato riguarda anche l’approvvigionamento di fattori di produzione necessari all’azienda. Infatti l’azienda contadina tradizionale utilizza essenzialmente forza lavoro, strumenti e capitali prodotti all’interno dell’azienda stessa: la forza lavoro è fornita dalla famiglia, le sementi sono messe da parte al momento del raccolto, il concime proviene dagli animali allevati all’interno dell’azienda e anche gli attrezzi – piuttosto semplici – sono il più delle volte fabbricati e riparati dagli stessi contadini. L’agricoltore moderno, al contrario, si rivolge al mercato anche per provvedersi dei fattori di produzione, a cominciare dalla forza lavoro; l’agricoltura viene quindi coinvolta nel processo di specializzazione delle attività economiche e questo spiega il declino dei suoi addetti nelle statistiche.
Nei processi produttivi agricoli, inoltre, svolge un ruolo sempre più importante il capitale, sotto forma di macchinari, di fertilizzanti chimici, di erbicidi e pesticidi, tutti elementi che non possono essere prodotti all’interno dell’azienda. Quindi, l’agricoltura europea che accompagna l’estendersi del processo di industrializzazione nel corso dell’Ottocento diventa anch’essa, in un certo senso, un’attività industriale, sempre più inserita nella logica dell’economia capitalistica.
Nonostante questa tendenza di fondo, i tempi di tale modernizzazione sono molto diversificati a seconda delle varie aree europee: se in Inghilterra la proporzione di addetti all’agricoltura era sceso al di sotto del 50 percento prima della metà del Settecento, in Italia questa percentuale sarà raggiunta solo dopo la prima guerra mondiale e in Spagna verso il 1950.
La diminuzione relativa degli addetti all’agricoltura in tutta Europa non significa però una diminuzione in termini assoluti. La popolazione rurale totale europea tra il 1800 e il 1900 aumenta da circa 100 a 140 milioni di persone: anche se molti abitanti delle campagne europee si dedicano completamente o in parte ad attività diverse dall’agricoltura – commercio, artigianato o la cosiddetta protoindustria – non si può dire che le braccia vengano a mancare, anzi le campagne europee sono caratterizzate in questo periodo da una diffusa sottoccupazione.
La produttività
Durante l’Ottocento la superficie coltivata si amplia ulteriormente rispetto al secolo precedente, grazie a disboscamenti e bonifiche soprattutto in Scandinavia e in Europa orientale, raggiungendo un livello destinato in seguito a contrarsi – almeno in Europa occidentale – con l’espansione delle aree urbane e industriali.
La capacità dell’agricoltura europea di tenere il passo con la crescita demografica non dipende comunque dall’espansione dell’area coltivata, quanto piuttosto dagli aumenti di produttività della terra e del lavoro.
Anche se aumenti più spettacolari nella produttività dell’agricoltura europea si verificheranno solo nel corso del Novecento con l’applicazione estesa della tecnologia moderna, nel corso dell’Ottocento si hanno importanti progressi: tra l’inizio e la fine del secolo in Inghilterra la produzione per ettaro aumenta del 40 percento circa. Del resto senza questi guadagni di produttività, che hanno consentito a una quota sempre decrescente della popolazione attiva di assicurare la sussistenza a una quota crescente di popolazione non agricola, la stessa prosecuzione dell’industrializzazione sarebbe stata messa in forse.
Questi progressi derivano essenzialmente dall’applicazione, con gli opportuni adattamenti, delle tecniche e dei metodi già sviluppati nel corso del Settecento in Inghilterra e in Olanda ad aree sempre più vaste del continente europeo. Le invenzioni derivate dal progresso scientifico e tecnologico che riescono a trovare un’effettiva ed estesa applicazione durante l’Ottocento non sono in effetti molto numerose; gli aspetti più significativi sono un incremento dell’uso dei fertilizzanti che restituiscono al terreno le sostanze nutritive fondamentali – azoto, fosforo e potassio – e l’introduzione di macchinari che sostituiscono il lavoro umano aumentandone la produttività, ma anche la diffusione massiccia di nuove coltivazioni o di qualità migliori delle piante coltivate tradizionalmente.
Piante come il mais e la patata non sono certo una novità del XIX secolo, ma in questo periodo conoscono una notevole diffusione in molte aree d’Europa. La patata, in particolare, diviene un prodotto fondamentale per l’agricoltura della Scandinavia, della Germania e dell’Europa orientale in genere, oltre che dell’Irlanda; mentre il mais occupa la stessa posizione nell’alimentazione dei ceti subalterni in vaste zone dell’Europa meridionale e balcanica, e in particolare nella pianura padana.
Vengono compiuti progressi anche nella selezione delle sementi e degli animali da allevamento tradizionali, come dimostra l’introduzione di tralci di vite provenienti dall’America, a partire dal 1860, dopo la gravissima crisi della viticoltura europea dovuta alla fillossera, o l’introduzione di nuove qualità di grano.
La migliore integrazione fra agricoltura e allevamento di bestiame mette a disposizione una maggiore quantità di concime organico e il miglioramento dei trasporti marittimi consente agli agricoltori europei di importare fertilizzanti anche da oltreoceano, come avviene a partire dal 1830 circa con il guano del Perú o il salnitro del Cile.
Nella seconda metà del secolo vengono introdotti i primi concimi chimici. In certi casi i fertilizzanti chimici sono il sottoprodotto di alcune lavorazioni industriali, come ad esempio il fosfato Thomas, ricavato dal processo Gilchrist Thomas per la produzione di acciaio a partire da minerali contenenti fosforo, o il solfato di ammonio, ricavato da impianti per la produzione di gas. L’impiego su vasta scala di fertilizzanti e antiparassitari chimici sarà comunque una conquista del secolo successivo.
La meccanizzazione in agricoltura
Nel corso dell’Ottocento, anche la diffusione delle macchine procede a rilento, come del resto l’applicazione all’agricoltura della nuova fonte di energia costituita dalla macchina a vapore.
Alcuni macchinari erano già stati introdotti verso la fine del secolo precedente e durante l’Ottocento si diffondono soprattutto nell’Europa nord-occidentale. La seminatrice, che permette di piantare i semi in filari regolari sostituendo la semina a spaglio, era comparsa già nella prima metà del Settecento e il suo uso si diffonde intorno al 1850. Verso il 1780 era stata introdotta una trebbiatrice per separare il grano dalla pula e intorno al 1820 Patrick Bell propone una prima mietitrice meccanica, mentre verso la metà dell’Ottocento un passo successivo è costituito dalla mietitrebbiatrice; queste innovazioni tuttavia si fanno strada con lentezza.
Ancora più lenta è l’applicazione del vapore in operazioni come la trebbiatura e l’aratura. Se in Gran Bretagna verso la fine del secolo gran parte delle trebbiatrici vengono mosse da macchine a vapore, sul continente l’essenziale della forza motrice è ancora fornito da uomini e animali.
La lentezza della meccanizzazione dell’agricoltura europea è senz’altro dovuta all’abbondante disponibilità di manodopera a basso costo che disincentiva gli investimenti in questo settore.
Significativo a questo proposito è il caso dell’America settentrionale, dove la terra è relativamente abbondante e scarseggia invece la manodopera, situazione che incoraggia la tendenza a sostituire il lavoro umano con macchine. Non è un caso se nell’Ottocento – e anche nel secolo successivo – gli Stati Uniti e il Canada si pongono sempre all’avanguardia dei progressi nella meccanizzazione dell’agricoltura: proprio negli Stati Uniti viene introdotta e utilizzata su vasta scala la mietitrebbiatrice e, nell’ultimo decennio del secolo, viene prodotto il primo trattore. In gran parte dell’Europa continentale la sostituzione dell’energia animale con quella inanimata avverrà solo dopo il secondo conflitto mondiale.
Verso un mercato mondiale dei prodotti agricoli
L’agricoltura dell’Ottocento è sempre più un’attività inserita in un’economia mondiale capitalistica e quindi è soggetta all’andamento di mercati sempre più interdipendenti.
Un ruolo importantissimo in questo processo d’integrazione ha il miglioramento dei trasporti, e in particolare della ferrovia e della navigazione transoceanica, che determina una drastica diminuzione dei costi con conseguenze profondissime sia per il Vecchio che per il Nuovo Mondo; grazie ai progressi nella refrigerazione, nella seconda metà del secolo diventa infatti possibile importare dal Nuovo Mondo grano e altri prodotti come la carne.
L’impatto del grano americano sull’agricoltura europea è pesantissimo: tra il 1850 e il 1890 più del 20 percento della produzione cerealicola europea viene sostituita da importazioni; i redditi agricoli subiscono una forte e duratura contrazione in tutto il continente e se si tiene conto che circa il 60 percento della popolazione europea trae il proprio sostentamento dall’agricoltura, si possono facilmente immaginare le conseguenze per l’economia nel suo complesso. La crisi agraria, infatti, è in larga misura la responsabile della cosiddetta Grande Depressione dell’ultimo quarto del secolo. La stessa industria europea dipende sempre più da prodotti agricoli degli altri continenti che le forniscono materie prime essenziali come il cotone americano.
Le trasformazioni sociali e aziendali
Anche le trasformazioni sociali che investono le campagne europee nel corso dell’Ottocento si realizzano in modi e con ritmi molto diversi.
In alcune regioni europee, l’essenziale delle trasformazioni sociali che accompagnano il passaggio dall’agricoltura contadina tradizionale a quella moderna è già avvenuto nel corso del Settecento. È il caso dell’Inghilterra, dove le recinzioni (enclosures) hanno quasi interamente cancellato la piccola proprietà contadina, il sistema dei campi aperti (open fields), i vincoli collettivi all’uso della terra, e hanno espulso dalle campagne una parte significativa della popolazione. All’inizio dell’Ottocento, l’agricoltura inglese si presenta già come un’agricoltura capitalistica moderna, incentrata su aziende di ampie dimensioni, con importanti dotazioni di capitale e gestite da imprenditori che utilizzano manodopera salariata.
Ma non tutta l’Europa segue il modello inglese. Se nel 1851 il 37 percento delle aziende inglesi ha una superficie superiore ai 40 ettari, ancora alla fine del secolo solo il 2,4 percento delle aziende francesi rientra in questa categoria e la situazione non è molto diversa in Germania. In vaste regioni dell’Europa mediterranea, inoltre, prevalgono ancora forme di conduzioni decisamente arretrate, a bassa intensità di capitale e poco innovative, come la mezzadria o il latifondo.