CAMPANA (benché alcuni ne abbiano dubitato, resta verosimile che il nome le venga dalla Campania; fr. cloche; sp. campana; ted. Glocke; ingl. bell)
Strumento di metallo (bronzo) in forma di tazza rovesciata, che risuona quando le sue pareti siano percosse esternamente, da un martello, o, nell'interno, da un batacchio. Normalmente la campana, munita di un batacchio interno, viene appesa a un sostegno, sul quale oscilla quando è smossa dalla sua posizione di riposo. Il suo moto si comunica al batacchio che viene a urtare le pareti interne di essa suscitandone le vibrazioni. Talvolta però il batacchio a martello è mosso da mezzi meccanici e percuote le pareti esterne, com'è facile osservare in certi orologi pubblici antichi (per es. a Venezia). Infine possono esserci campane di diversa grandezza, poste una vicina all'altra, suonate da una o più persone con martelli (v. carillon). La campana sviluppa i cosiddetti battimenti (v.) e rende suoni poco determinati e regolari. (V. tavv. CXIII e CXIV).
La campana nella storia e nell'arte. - Sin dalla più remota antichità si è fatto uso di piccoli strumenti metallici a risonanza, della forma dei nostri campanelli: si mettevano al collo delle pecore, si adoperavano come utensili di culto e amuleto, e servivano a dare il segnale di convocazioni, riunioni, ecc. Se ne trovano anche come ornamento muliebre. Diffusissimi com'erano, non tardarono ad essere adoperati nei monasteri e nelle chiese; ce ne restano copiosissime testimonianze, tanto in Oriente quanto in Occidente. Ma si trattava sempre di strumenti, che, pur disparatissimi di forma, conservavano modeste dimensioni. È incerto quando cominciassero ad assumere le proporzioni odierne; sembra, ad ogni modo, prima del sec. VI dopo Cristo.
In Occidente l'uso ne divenne rituale alla metà del sec. IX, mentre nell'Oriente si fece generale soltanto dopo l'occupazione latina nel sec. XIII. Accanto alle campane delle chiese presto collocate nei campanili (v.) si ebbero anche quelle civiche: servirono per chiamare alle armi o per dare l'avviso di un pericolo; poi nel sec. XII furono collocate in torri del palazzo comunale o su una delle torri della chiesa (così specialmente in Belgio e in Francia) per adunare a consiglio. Del sec. XIII è la Martinella fiorentina che veniva portata sul carroccio quando uscivano le milizie.
Le prime campane erano in lamina di ferro battuto, a profilo quasi verticale appena svasato in basso, e a sezione quasi quadrangolare (campana del 613 nel museo civico di Colonia; campana del monastero di S. Gallo, che si dice risalga al tempo di S. Colombano); poi nel sec. VII o VIII si presero a fondere in bronzo, di una lega in cui il rame entrava di solito per quattro parti e lo stagno per una (come ancora consiglia Teofilo); l'aggiunta di argento cui si riferiscono alcune tradizioni non è certa; più probabile quella di una certa quantità di piombo, sicura quella di un po' di antimonio, abituale presso i fonditori italiani di campane del sec. XIV allo scopo di rendere più forte il suono. Nel sec. XVII in Svizzera, in Austria e in Germania si fecero anche campane di ferro fuso; quest'uso fu però presto abbandonato, né più frequenti furono nel sec. XIX le campane in acciaio. Fra le più antiche campane in bronzo sono quella scavata a Canino presso a Viterbo, ornata di due croci in rilievo e di una iscrizione (sec. VII ?); e quella del museo di Cordova del sec. IX.
Esercitarono la fusione delle campane, nonché monaci, anche fonditori laici fin dal sec. IX; andavano di luogo in luogo trasportando le loro officine, secondo un costume che durò fino al sec. XVIII (ma già nel sec. XVI vi furono fonderie stabili) praticando anche dal '400 in poi la fusione delle bocche da fuoco. Naturalmente una professione così esercitata si trasmetteva di padre in figlio: è nota la famiglia francese dei De Croisilles, fonditori di campane dei secoli XIII-XIV: molte altre famiglie tedesche ed olandesi furono attive fino al sec. XVIII. In Italia la fusione di campane fu praticata comunemente nel Medioevo; e il ripetersi nel sec. XIII di nomi di fonditori pisani attivi a Roma, a Lucca, a Firenze (Bartolomeo, Loteringio di Bartolomeo, Guidoccio, Guidotto e Andrea Pisano di Guidotto, Bonoguida e Rico Fiorentini, Andreotto e Giovanni), dimostra anche da noi quella tradizione familiare e nomade. Al sec. XIV risalgono molte delle campane delle cattedrali italiane (per es. Lucca, S. Martino) e dei palazzi pubblici (Firenze, Palazzo Vecchio); da allora sono frequenti anche i nomi di fonditori fiorentini e di altre regioni: né disdegnarono tale attività artisti famosi, come Michelozzo. Col sec. XII fu più comune l'uso di apporre iscrizioni alle campane, poi abituali: le più antiche erano modellate, ma già nel sec. XIII venivano comunemente impresse a stampo, in rilievo, con caratteri mobili. Contenevano per lo più i nomi dei fonditori, la data, nomi di donatori e di santi, o erano relative alla destinazione delle campane. Fra le più comuni è quella derivata dall'epitafio di Sant'Agata: Mentem sanctam spontaneam, honorem Deo et patriae liberationem; o anche l'altra di invito all'ufficio divino: Vox mea, vox vitae, voco vos ad sacra, venite. Alle iscrizioni si aggiunsero presto ornamenti e impronte figurate (monete o medaglie, sigilli di dignitarî ecclesiastici, stemmi, immagini di santi) che a volte formano squisite decorazioni, come nella grande campana del museo di S. Marco a Firenze, con fregio di putti.
In Italia la città che ha maggior numero di campane e le più grandi è Roma (sono del 1289 le campane di S. Pietro); vengono poi la basilica di Loreto, Parma, il duomo di Milano. La nazione più ricca di campane è o era la Russia, e assai ricca ne è anche l'Inghilterra; delle antiche francesi le più andarono perdute nella Rivoluzione; la Svizzera conta le sue più famose campane nei monasteri di S. Gallo; la Germania è particolarmente ricca di campane medievali; la Spagna ne annovera un buon numero di antiche in ferro battuto. La più pesante è quella di Mosca detta zar Kolokol (zar campana) di Michele Monterine (1734, q. 1981); in Italia quella di S. Ambrogio nel duomo di Milano (150 q.), quella maggiore di S. Pietro (1786, q. 140), quella del Campidoglio (1803, q. 87), quella del Palazzo Vecchio (85 q.).
Alcuni popoli asiatici conobbero assai presto l'uso delle campane. Le campane sono tra i bronzi più antichi della Cina, e se ne hanno di quelle datate del sec. VIII a. C. La campana (chung) era senza batacchio, si suonava con un bastone di legno dall'esterno; sostituì forse pietre sonore che servivano ad analogo uso. Anche oggi nei templi buddhisti e taoisti, in Cina, in Corea e in Giappone, vasi di bronzo sonori (t'ung-pen) posati su di una stoffa soffice, percossi sull'orlo, si fanno risuonare quando si fanno offerte o si consultano le sorti. Agli angoli dei tetti sono spesso appesi piccoli campanelli col batacchio a forma di foglia (fung-to), che suonano agitati dal vento. Tutte le città cinesì hanno la torre della campana, la quale suona le cinque veglie della notte. Nei conventi buddhisti le campane al mattino e alla sera chiamano i monaci a raccolta, motivo questo che ha spesso ispirato i poeti cinesi.
L'uso delle campane per il servizio del culto pubblico, divenuto generale nel sec. IX, non deriva da una prescrizione di diritto scritto, ma dalla consuetudine secolare. Per essa le campane sono la necessaria dotazione di una chiesa pubblica e debbono essere fornite da chi ha l'onere di provvedere ai bisogni della chiesa stessa. Le campane sono consacrate o benedette, secondo il rituale, e destinate a scopi ecclesiastici (Codex iuris canonici, can. 1169), quali la segnalazione ai fedeli e al clero dei diversi uffici divini, o di particolari solennità religiose, e, per estensione, anche l'allarme in caso di pubbliche calamità. L'uso delle campane è generalmente regolato dall'autorità ecclesiastica.
Normalmente il diritto di proprietà su di una chiesa pubblica coincide con quello delle campane destinate al suo servizio; ma non è escluso che esse possano appartenere a una persona fisica o giuridica, diversa dal soggetto proprietario della chiesa. Mentre, secondo il diritto della Chiesa le res sacrae (e tali sono considerate le campane) sono sempre sottratte a usi profani o improprî, il divieto non permane in via assoluta per le campane. L'eccezione si spiega considerando che le comunità locali dei fedeli, specialmente le parrocchie rurali, sono state per molti secoli il solo aggregato che, anche socialmente, avesse una consistenza giuridica. Strumento di tutte le manifestazioni esterne della communitas fidelium è stata quindi la sua chiesa. Ma se le campane possono essere adoperate per scopi civili, questi non debbono mai contrastare alle ragioni etiche e alle finalita per le quali la chiesa è istituita; così le campane non potrebbero essere adoperate per segnalare l'esecuzione capitale di un delinquente (effusio sanguinis). Viceversa è normale il loro uso in occasione di pubbliche solennità civili, o per convocare particolari assemblee, come, ad es., il consiglio comunale. È anzi ammesso che, esclusivamente per questi e per somiglianti scopi, una campana apposita possa essere collocata nella torre della chiesa appartenente a un ente ecclesiastico pubblico.
La promiscuità, quanto al fine per cui le campane possono essere usate, ha dato luogo al formarsi di uno speciale diritto emanante dalla potestà civile. Le legislazioni dei singoli stati hanno generalmente mantenuto fermo il principio di non dettare norme in contrasto con la disciplina della Chiesa o che comunque offendano i sentimenti religiosi dei cittadini. In Italia, l'art. 457 cod. pen. punisce l'abuso del suono delle campane, che è considerato tale allorché turbi la quiete pubblica o privata. Inoltre l'art. 109 del regolamento 12 febbraio 1911, n. 297, per l'applicazione della legge comunale e provinciale, attribuisce ai comuni il diritto di emanare norme contro l'abuso medesimo, tenendo conto della consuetudine e delle esigenze del culto. La facoltà d'intervento, riconosciuta dalla legge civile circa l'uso delle campane, non comporta il diritto d'imporre il pagamento di alcuna tassa o corrispettivo. Il furto delle campane costituisce un reato qualificato, e, in determinate circostanze, lo costituiscono anche il danneggiamento e la loro distruzione (articoli 142, 403 cod. pen.).
La Chiesa, considerando le campane come res sacrae, le assoggetta al regime giuridico che a queste è particolare (è da rilevarsi che il Codex iuris canonici considera la qualità di res sacra come una particolare destinazione che esclude un uso improprio della cosa, e non già come elemento produttivo di extracommerciabilità). In Italia l'istituto della res sacra è ignoto al diritto comune. Nel caso specifico quindi le campane debbono essere ritenute immobili per destinazione, a norma dell'art. 414 cod. civ., salvo il caso che un terzo, nel collocarle in una torre campanaria, se ne sia riservata la proprietà. Esse potranno essere perciò suscettibili di esecuzione forzata, nei limiti in cui questa è applicabile, secondo il diritto italiano, agli edifici destinati al pubblico culto.
La campana nell'orchestra. - Data la sonorità poco precisa delle campane, la loro proporzione ordinariamente notevole, e il loro ragguardevole peso si spiega perché siano entrate tardi nella pratica musicale e nelle orchestre e non tanto come elemento essenziale, quanto come strumento di eccezione per produrre taluni effetti di colore o suggeriti nelle opere da speciali situazioni della scena. Tale fatto si riscontra infatti in qualche composizione del sec. XVIII; diventa più frequente nel secolo seguente. Ma poiché, oltre le difficoltà summentovate, l'intensità sonora delle campane in locale chiuso, quali sono le sale da concerto e i teatri, riusciva eccessiva e assordante, vennero in uso in loro vece dei tubi di acciaio detti campane tubolari. Queste hanno il vantaggio di essere più maneggevoli, di avere un suono meglio determinato pur conservando il caratteristico timbro, di possedere una sonorità molto più moderata. Si fabbricano altresì campane in forma di calotta. Sia le une sia le altre si fanno risuonare per mezzo di martelli di legno.
Per la fusione delle campane v. fonderia.
Bibl.: Per la campana nell'antichità v. E. Espérandieu, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, V, pp. 341-44; in generale v. H. Leclercq, in Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie, III, colonne 1954-1977; H. Otte, Glockenkunde, 2ª ed., Lipsia 1884; V. Gay, Glossaire archéologique du moyen-âge et de la Renaissance, I, Parigi 1887 (s. v. Cloche); R. de Fleury, La messe, VI, Firenze 1888, p. 161 segg.; F. X. Kraus, Geschichte der christlichen Kunst, II, i, Friburgo 1890, p. 489 seg.; K. Walter, Glockenkunde, Ratisbona-Roma 1913; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I: Il Medioevo, Torino 1927, p. 1109; sulle campane nel diritto, v., oltre i principali manuali di diritto ecclesiastico, Giustiniani, Le campane nel diritto italiano, in Rivista di diritto ecclesiastico, I (1891), p. 260 segg. e la bibl. ivi citata; Bertolotti, Il parroco italiano, 2ª ed., Torino 1899, p. 370 segg.; sulla campana come strumento musicale, v. P. Griesbacher, Glockenmusik, Ratisbona 1927.