CAMPANILE, Iacopo, detto Capanio
Poeta napoletano del sec. XVI, le cui vicende biografiche sono del tutto sconosciute. Un suo madrigale, "Hor che da vui mi parto", fu pubblicato come documento di poesia napoletana del Quattrocento dal Torraca. Che però l'attività poetica del C. fosse collocabile in quel secolo mise in dubbio il Percopo e negò in seguito il Croce, che data intorno al 1520 un'altra opera del C., il Tempio d'Amore.
È questo un poemetto laudativo in ottava rima in cui una minuta descrizione dello splendido tempio "del nostro Pharetrato Dio... novellamente edificato" è pretesto all'elogio delle trenta preziose colonne che lo sorreggono e che altro non sono che le trenta dame più belle e più in vista della Napoli di allora. All'illustrazione di esse ha provveduto esaurientemente il Croce che ci fornisce a sua volta una galleria di ritratti femminili ricca di interesse storico e letterario. Troviamo in essa: Isabella de Requesens, sposa del viceré di Napoli, Raimondo di Cardona, morta il 10 marzo 1522; Vittoria Colonna; Costanza d'Avalos moglie di Alfonso Piccolomini, cantata dal Tansillo e rimatrice essa stessa; Antonicca del Balzo; Dorotea Gonzaga, marchesa di Bitonto; Susanna Gonzaga; Costanza Pignatelli, contessa di Morcone; Caterina Acquaviva, contessa di Venafro; Sidonia Caracciolo, marchesa di Laino, la quale difese con molto eroismo il proprio feudo, nel 1528, contro l'assalto del capitano dei francesi Simone da Romano; Isabella Castriota, sposa di Guido Fieramosca, morta nell'anno 1545; Caterina Sanseverino e sua sorella Maria, contessa di Nola, cantata dal Tansillo; Giulia Carafa, contessa di Borrello; Isabella Pignatelli, contessa di Paleno: Isabella Spinelli, lodata dal Tansillo; Isabella Gualandi; Maria Diaz Garlon di cui il Sannazaro celebrò in un epigramma le nozze con Alfonso Sanseverino; Lucrezia Carafa; Porzia e Isabella Brancia, cantate anch'esse dal Sannazaro; Marzia e Cornelia Marramaldo, sorelle del famigerato Fabrizio; Ippolita Caldora; Adriana e Aurelia Sanseverino; la sciagurata sposa (1499) di Alfonso Castriota, Cassandra Marchese, amata dal Sannazaro al suo ritorno dall'esilio (1504), morta nel 1569; Violante di Sangro; Cassandra Brancaccio; Lucrezia Scaglione, moglie di Paolo Carafa, lodata da Vittoria Colonna in una poesia perduta ma di cui resta una parafrasi di Antonio Minturno (Epigrammata et Elegiae, Venezia 1578, c. 5), e da Laura Terracina; Giulia Grisone.
Il Tempio d'Amore, conservato nel ms. miscellaneo XIII. G. 42 della Nazionale di Napoli, ebbe anche un'edizione che, col titolo Opera Nuova nomata Vero Tempio de Amore, vide la luce l'11 giugno 1536 in Alife presso la stamperia domestica del reverendo Aloisio Acilio il quale, in una lettera premessa al poemetto, dedica "questa bell'opera" composta "con sì cerimonioso e nuovo stilo de dire dal nobile Capanio napoletano, per lungho tempo stata sepolta" a Cornelia Piccolomini, contessa di Alife. Nel manoscritto e nella stampa si trova inoltre una lettera del "Capanio suo fidelissimo" a messer Altobello d'Ischia ed una di questo alla duchessa di Francavilla Costanza d'Avalos, con cui le offre il poemetto "del suo dolce Messer Iacopo Campanile", rivelandoci così il vero nome del poeta. Il testo della rara edizione non deriva però dal manoscritto a noi noto di cui si servì il Croce; rappresenta anzi una redazione lievemente diversa: i nomi di alcune dame sono infatti diversi per ragioni che ci sfuggono, ma legate forse ai casi della vita delle interessate.
L'operetta del C. deve la sua notorietà anche ad un curioso episodio di plagio: nello stesso anno dell'edizione dell'Acilio fu pubblicato a Venezia per i tipi di Francesco Marcolini e a firma di Niccolò Franco un Tempiod'Amore dedicato ad Argentina Rangone, con il quale il giovane Franco, sostituite dame veneziane alle napoletane del C., intendeva farsi a buon mercato un nome di poeta ed accattare benevolenza nella città in cui era da poco arrivato; egli infatti, originario di Benevento, partì da Napoli nel giugno 1536 portando verisimilmente con sé il poemetto del C., che è opera interessante e singolare del primo Cinquecento napoletano.
Il fatto che l'autore senta il bisogno, nella lettera ad Altobello, di scusarsi del metro stesso (lo "stile de scriverlo in stanze") cui è stato indotto dall'autorità del mantovano Carlo Agnello e di "molti doctissimi scrittori che volentiero in la Lombardia usano questo stile", significa infatti che questo era ancora sentito a Napoli come una novità di importazione lombarda, in un testo che già per la finzione allegorica si avvicina, secondo il Dionisotti, al gusto di poeti settentrionali quali Antonio Fregoso e Galeotto del Carretto. Nondimeno la nuova moda introdotta dal C. trovò in ambiente napoletano terreno favorevole se il suo poemetto è il primo di una serie che annovera, tra gli altri, Lo specchio de le bellissime donne napoletane, di Iacomo Beldando (Napoli 1536), l'Amor prigioniero di Mario Di Leo (Napoli 1538, poi ripubblicato in La seconda parte delle stanze di diversi autori, a cura di Antonio Terminio, Venezia 1563, e ristampato dal Croce) e il Palagio d'Amore di Lodovico Paterno (pubblicato nelle sue Nuove fiamme, Venezia 1561).
Bibl.: F. Torraca, Rimatori napoletani del secolo decimoquinto, in Discussioni e ricerche letterarie, Livorno 1888, pp. 122, 177; E. Percopo, Dragonetto Bonifacio marchese d'Oria rimatore napolitano del sec. XVI, in Giorn. stor. d. lett. ital., X (1887), pp. 2, 21; G. Ceci-B. Croce, Lodi di dame napoletane del secolo decimosesto dall'Amor prigioniero di Mario Di Leo, Napoli 1894, pp. XXV-XXIX, 55-61 (l'introduzione è stata, con qualche modifica, ripubblicata in B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, I, Napoli 1942, pp. 257 s.); C. Simiani, La vita e le opere di Niccolò Franco, Torino-Roma 1894, pp. n.n. 1175-1781; S. Bongi, Due libri d'amore sconosciuti, in Arch. stor. ital., s. 5, XV (1895), pp. 83-85; C. Simiani, Un plagio di Niccolò Franco, in Rass. crit. d. lett. ital., V (1900), pp. 19-26; C. Dionisotti, Appunti sulle rime del Sannazaro, in Giorn. Stor. d. lett. ital., CXL (1963), p. 200 n.