CAMPANO da Novara
Il luogo e il periodo degli studi di C., i primi passi della sua carriera ecclesiastica, l'intero periodo insomma che va dalla nascita a Novara al suo incontro fra le personalità più in vista del mondo curiale della seconda metà del sec. XIII, rimangono ancor oggi completamente all'oscuro.
L'origine novarese di C. è attestata da numerosi documenti contemporanei e da alcuni manoscrittì contenenti sue opere. Egli stesso così si designava nella lettera inviata all'archiatra di Niccolò IV, Simone da Genova (L. Thorndike, Acatalogue of incipits, London 1963, p. 1862). Meno facile riesce inserire C. in un contesto familiare più preciso. Grazie ad alcuni documenti ritrovati di recente, si può però confermare l'ipotesi dello storico novarese L. A. Cotta (Museo novarese, p. 87), per il quale C. sarebbe stato imparentato con la famiglia novarese dei Panibada: nel suo testamento, infatti, il grande matematico destinava a un certo Francinus Panibada, suo consanguineo, un lascito di cinquanta libbre imperiali. Il cognome Panibada sembra del resto essere legato al nome "Campanus": nel terzo decennio del sec. XIV troviamo a Novara un notaio Campanus de Panimbadis (G. B. Morandi, Le carte del Museo civico di Novara, Pinerolo 1913, p. 93 n. LX; M. Bori, Le carte del capitolo di Gozzano, Pinerolo 1916, p. 53 n. XXXVI). Un altro Campanus Panibadus, già deceduto nel 1347, figura nelle Consignationes beneficiorum ecclesie diocesis Novariensis di quell'anno (a cura di L. Cassani-G. Mellerio-M. Tosi, Torino 1937, I, p. 19; II, p. 502).Sulla famiglia abbiamo alcune altre notizie. In una lettera del card. Gerardo Bianchi da Parma, relativa al canonicato di Reims di proprietà di C., viene attestato che era nato da un matrimonio legittimo (Bibl. Apost. Vat., Borgh. lat. 266, f. 102v; passo non pubblicato da F. Bock, Osservazioni sulle lettere "executorie", p. 204). Sempre nel suo testamento, C. lasciava alla famiglia di suo fratello Guglielmo, ormai deceduto, "omnia bona sua mobilia et immobilia que habet Novarie vel diocesi sua". A certo "Ardizonus dictus Flamentus", nipote di C., Urbano IV conferiva il 26 febbr. 1264 un canonicato nella chiesa di S. Giulio "in Insula" di Novara (Guiraud, n. 1356). Numerosi eruditi - il primo sembra sia stato J. Schöner (Equatorii astronomici... canones, Nuremberge 1522, p. 2; cfr. Benjamin-Toomer, Theorica planetarum, p. 4) - lo hanno chiamato "Iohannes Campanus" e questo nome non figura però nelle fonti contemporanee o nei manoscritti delle sue opere. Un "Iohannes Campanus", non meglio identificabile, era stato, secondo il cronista vicentino Ferreto de' Ferreti (Opere, a cura di C. Cipolla, I, Roma 1920, pp. 161 ss.), uno dei più intimi "familiares" di Bonifacio VIII. Si può supporre che una falsa lettura di questa o altra notizia cronistica sia all'origine della strana attribuzione. Lo storiografo novarese G. B. Finazzi (Notizie biografiche, p. 30) lo chiamò Campano Pietro, senza addurre prove a sostegno della sua affermazione. Notiamo infine che le varie esitazioni qui ricordate sono forse da collegarsi con i dubbi sorti nel Cinque e Seicento intorno all'epoca in cui C. era vissuto (si veda P.-C.-F. Daunou, in Histoire littèraire de la France, XXI, pp. 248 s.). Per la data di nascita di C. si può risalire fino alla prima decade del sec. XIII, se il 1232, data iniziale delle tavole astronomiche attribuite a C. e citate dallo Zinner (Verzeichnis der astronom. Handschriften, nn.10866, 10868 n.; Sternkunde, p. 369), è quella della composizione (per il problema cfr. Benjamin-Toomer, Theorica planetarum, pp. 35). Alla prima decade del Duecento ci riportano altre tavole di C. relative agli anni 1248-1249, menzionate anch'esse dallo Zinner (Sternkunde, p. 369). Morto alla fine del secolo (1296), C. avrebbe superato gli ottant'ami. La sua lunga permanenza alla corte papale non è in contraddizione con quanto si è detto, poiché le prime fonti pontificie che lo riguardano si riferiscono a un personaggio che già da tempo aveva acquisito una grande notorietà nel campo scientifico e la cui maturità intellettuale era oramai incontestata.I documenti di carattere biografico su C. a noi noti sono connessi con la sua lunga vita curiale. Dal 1263, anno in cui figura per la prima volta in un documento datato (Guiraud, n. 2541), a pochi anni dalla sua morte, C. segue l'itinerario della corte pontificia, le cui principali tappe attestate sono Orvieto e, soprattutto, Viterbo, città da lui prescelta come ultima dimora. L'iter curiale di C., protrattosi per oltre un trentennio (1263-1296), è tra i più lineari. In Curia lo incontriamo dapprima come cappellano del cardinale genovese Ottobono Fieschi (Guiraud, nn. 1356 e 2541: lettere di Urbano IV relative al 1263 e al 1264), ma già nel 1264 C. venne assunto nella cappella di Urbano IV (Guiraud, nn. 1692, 2121). I pontefici successivi, da Niccolò III (Baethgen, Quellen und Untersuchungen, p. 195), Martino IV (Bock, Osservazioni sulle lettere "executorie", pp. 203 s. e il Reg. Vat. 42, f. 120v), Niccolò IV (Bock, pp. 195 s.) e Bonifacio VIII (Digard, n. 1648) gli confermarono questo suo più importante (e praticamente unico) attributo curiale. C. non partecipò, secondo le fonti a nostra disposizione, alle molteplici attività politico-giudiziarie che potevano venir conferite ad un cappellano papale: dal 1264 all'anno della sua morte la sua appartenenza al mondo curiale rimane strettamente legata alla cappella pontificia. Una sola eccezione deve essere registrata: Martino IV destinava il 1ºmarzo 1285 al cardinale legato in Sicilia Gerardo Bianchi la somma di mille fiorini d'oro che gli erano stati richiesti "per relatione in dilectorum filiorum magistrorum Campani capellani nostri et Francisci nepotis tui canonici Parmensis, nuntiorum tuorum..." (Archivio Segr. Vat., Reg. Vat. 42, f. 120v). La notizia è troppo laconica per poter essere sufficientemente analizzata. Se diamo affidamento alle qualifiche attribuitegli nel rotulus familiae diNiccolò III edito dal Baethgen (Quellen und Untersuchungen, p. 195: "phisicus et capellanus papae"), a C. si debbono attribuire vaste conoscenze in materia di medicina; non per questo può essere pertanto annoverato tra gli archiatri pontifici dell'epoca.
Le numerose prebende ecclesiastiche messe a sua disposizione dai pontefici della seconda metà del sec. XIII, ed in modo particolare da Urbano IV (1261-1264), suo grande protettore, attestano, se fosse ancora necessario, la varietà e l'intensità delle sue relazioni curiali. Senzacorrere il rischio di inopportune estrapolazioni, possiamo ritenere che queste generose elargizioni pontificie, ripetutamente confermategli, abbiano permesso al matematico novarese di dedicarsi con tutta libertà alle sue varie e ben note attività scientifiche. In Francia, grazie all'efficace mediazione del card. Ottobono Fieschi, al cui servizio lo troviamo negli anni 1263 e 1264 in qualità di cappellano (cfr. Paravicini Bagliani, Cardinali di Curia, pp. 369 s.), C. ottenne prebende nelle chiese di Seaujean (Gard; cfr. Guiraud, nn. 1692, 2121, 2541) e di Sainte-Nourrice (Marne; Guiraud, n. 1692); a Reims (Bock, Osservazioni sulle lettere "executorie", pp. 195 s. e 205 s.) e a Parigi (Digard, n. 1648) fu eletto fra i canonici della cattedrale. Anche in Spagna, a Toledo, C. era diventato titolare di un canonicato, conferitogli da Urbano IV il 16 apr. 1264 (Guiraud, n. 1692); sempre in quella diocesi, a Guadalaiara, C. possedeva le prebende connesse con la carica di arcidiacono (Bock, Osservazioni sulle lettere "executorie", p. 203). Un beneficio inglese nella diocesi di Lincoln, a Felmersham, sembra sia da collegarsi di nuovo alla mediazione del card. Ottobono Fieschi, il quale negli anni 1265-1268 aveva intrapreso un'importante legazione in quel regno (Calendar of Patent Rolls, 1266-1272, London 1910, p. 419 e Calendar of Patent Rolls, 1292-1301, London 1895, p. 235). Ricordiamo infine che nella sua diocesi natale (Novara), C. aveva ricevuto un solo beneficio ecclesiastico (a Domodossola: Guiraud, n. 1692).
Il termine post quem per la data di morte di C. viene fornito dal suo testamento, redatto a Viterbo il 9 sett. 1296. Il 17 settembre dello stesso anno, cioè solo otto giorni dopo, C. viene chiamato "quondam" in una lettera di Bonifacio VIII, relativa, appunto, alla "reservatio" dei suoi numerosi benefici ecclesiastici (Digard, n. 1648). C. aveva ottenuto la "facultas testandi" già nel 1278 da Niccolò III.
L'opera che ha procurato a C. la maggior fama è l'edizione degli Elementi di Euclide, composta tra il 1255 e il 1259. Sebbene allora circolassero varie traduzioni latine dell'opera euclidea, la versione di C. si impose come quella su cui comunemente venne studiato, nel basso Medioevo, questo testo fondamentale di geometria, ed è la traduzione adottata nell'editio princeps (Venetiis, Erhardus Ratdolt, 1482) e in almeno tredici delle prime edizioni; inoltre la sua popolarità è dimostrata dal gran numero di manoscritti superstiti. Si è detto spesso che C. fece una "traduzione" di Euclide, ma in realtà egli, non conoscendo né l'arabo né il greco, non avrebbe potuto tradurre gli Elementi. C. prese una o più versioni latine già esistenti (tra cui, certamente, una delle versioni attribuite a Adelardo di Bath, che era stata fatta dall'arabo agli inizi del XII secolo) e rifuse le dimostrazioni, ove necessario, esponendole in una forma più accessibile. Inoltre aggiunse dimostrazioni alternative e teoremi supplementari, non sempre di sua invenzione bensì ricavandoli a volte dal commento agli Elementi di an-Naīrīzi (Anarizio nel latino medievale). Altra fonte furono le opere di Giordano de Nemore (probabilmente degli inizi del secolo XIII), in particolare l'Aritmetica. Alcune dimostrazioni nella versione di C. recano il titolo di commentum Campani (che nella terminologia dell'epoca stava ad indicare non "commento", ma "dimostrazione"); resta, però, da stabilire quante delle dimostrazioni così indicate siano effettivamente suoi contributi originali.
L'edizione di Euclide è la più antica delle opere databili di C., e l'unica di pura matematica. Le altre riguardano più o meno direttamente l'astronomia. Di queste la più famosa e autorevole è la Theorica planetarum (edita a cura di F. S. Benjamin e G. J. Toomer, Madison Wisc. 1971), dedicata a Urbano IV e perciò composta tra il 1261 e il 1264. Fine principale del lavoro è quello di descrivere la costruzione di uno strumento - detto più tardi equatorium - per individuare la posizione del Sole, della Luna e dei cinque pianeti, in ogni momento, mediante un modello meccanico bidimensionale del sistema tolemaico. È questa la prima volta che appare l'equatorium nell'Occidente latino. Tuttavia erano stati scritti su di esso alcuni trattati nella Spagna araba alla fine del secolo XI; e sebbene tali trattati non fossero stati diffusi in versioni fino agli anni 1276-1277 (quando vennero tradotti in castigliano per ordine di Alfonso X di Castiglia e León), si deve pensare che C. derivasse l'idea dell'equatorium da una versione latina (peraltro ancora sconosciuta) di un'opera araba, piuttosto che egli giungesse in modo indipendente a quella invenzione. Per descrivere lo strumento, C. doveva elencare le relative misure delle parti del modello tolemaico (epiciclo, eccentrica, ecc.) per ogni corpo celeste. Egli prese questi parametri dall'Almagesto di Tolomeo, opera che gli era familiare (probabilmente nella versione latina, fatta dall'arabo, di Gerardo di Cremona). Ma la Theorica non si limita a questo: essa fornisce una descrizione dettagliata dei moti e delle velocità delle varie parti del modello, ed espone la struttura dell'universo come un insieme, secondo un sistema in cui il modello di ogni pianeta è compreso in una "sfera" (in effetti lo spazio contenuto tra due sfere concentriche), che è la più piccola possibile nel modello tolemaico ed è contigua alla "sfera" del pianeta che si trova immediatamente sopra. In questo sistema (sviluppato da Tolomeo nelle sue Ipotesi planetarie, ma conosciuto da C. attraverso la traduzione latina di un lavoro dell'astronomo al-Farğānī del IX secolo), data la distanza assoluta del corpo celeste più basso (la Luna) e le dimensioni del modello tolemaico, si possono calcolare le distanze assolute e le dimensioni di tutti i corpi celesti. C. le elenca sia in raggi terrestri sia in "miglia" (ove un miglio equivale a 4.000 cubiti). Spiega inoltre la struttura e l'uso delle tavole planetarie convenzionali del suo tempo, prendendo a modello le "tavole di Toledo", una compilazione tratta dai lavori di al-Khuwārizmī, di al-Battāni e di az-Zarqāi, tradotte in latino nel secolo XII. Pertanto la Theorica costituisce una dettagliata esposizione tecnica dei principali aspetti dell'astronomia tolemaica sia teorici sia pratici. Fu la prima esposizione del genere ad apparire in latino (se si esclude la traduzione dello stesso Almagesto, che però era oscura e difficile) ed ebbe un meritato successo, testimoniato dalle numerose copie manoscritte esistenti. Anche l'equatorium fu molto conosciuto nel tardo Medioevo, anche se coloro che proseguirono gli studi di C. in questo settore introdussero subito miglioramenti radicali a questo strumento ancora rozzo.
La Theorica era diretta ai professionisti. In seguito (dopo il 1268) C. scrisse un'opera divulgativa su un argomento simile, il Tractatus de Sphera (pubblicato, in appendice alla Sphera mundi del Sacrobosco, a Venezia nel 1518 contemporaneamente dal Giunta e dagli eredi dello Scoto, e successivamente altre due volte nel sec. XVI). Modellato sui precedenti lavori di Giovanni di Sacrobosco e di Roberto Grossatesta, è una descrizione dell'universo in termini tolemaici, ma con pochi dettagli tecnici e numerici. In precedenza (prima del 1261) C. aveva compilato un quadro di tavole astronomiche rimasto inedito. È un adattamento delle "tavole di Toledo" dal calendario arabo dall'egira al calendario giuliano, all'era dell'incarnazione e al meridiano di Novara. L'adattamento è condotto con cura e dimostra la capacità di C. a comprendere i principî del computo delle tavole, ma non contiene contributi originali. Più consistente dei precedenti è il Computus (datato 1268, pubblicato insieme al Tractatus de Sphera nelle due edizioni citate). Il computus era una forma tradizionale di letteratura scientifica del Medioevo, il cui scopo originale era stato quello di spiegare il modo di calcolare la data di Pasqua, ma che poi gradualmente si era esteso per includere un'esposizione generale della natura del tempo e del calcolo di questo. Il trattato di C. include i più recenti contributi sia della teoria astronomica sia di quella del calendario; le sue fonti principali sono rispettivamente Tolomeo e Roberto Grossatesta. È un ottimo trattato completo della materia; nei manoscritti è accompagnato da un calendario ecclesiastico e da tavole di calendario. Lo stesso C. compilò poi una versione ridotta del trattato. Possediamo anche una lettera da lui scritta al domenicano Ranieri da Todi in risposta a una questione che costui gli aveva prospettato circa una difficoltà nel Computus. C. scrisse inoltre un breve lavoro (rimasto inedito) sul quadrante. Era questo uno strumento usato comunemente dagli astronomi nel Medioevo, il cui scopo principale era quello di misurare l'altezza del Sole, ma che poteva anche essere usato per misurare la distanza angolare tra due oggetti che potevano essere visti. Il trattato di C., analogo al lavoro composto nello stesso periodo da Roberto Anglico, spiega come risolvere i vari problemi della misurazione, sia dei corpi celesti sia di quelli terrestri, mediante il quadrante. È un lavoro pratico di non grande originalità. Diverso è invece un breve studio sull'astrolabio, attribuito a C., che a differenza dei contemporanei studi sullo strumento, strettamente pratici, è un lavoro di geometria pura che propone alcuni teoremi relativi all'astrolabio come esempio di proiezione stereografica.
A C. sono anche attribuiti tre commenti su opere di geometria: sulla Spherica di Menelao, sulla Spherica di Teodosio e sul Planispherium di Giordano de Nemore. Sono tutti inediti e l'attribuzione a C. è dubbia; similmente, può essere errata l'attribuzione a C. di varie opere astrologiche. Tuttavia, al pari di tutti gli astronomi del suo tempo, C. conosceva bene le dottrine astrologiche (come appare nel Computus e nel De Sphera)e la testimonianza, in parte dubbia, di Simone de Phares, attribuisce a C. una considerevole fama di astrologo. Molti altri lavori di matematica e di astronomia, attribuiti a volte a C. nei manoscritti, sono spuri o sono estratti da sue opere più ampie.
L'affermazione risalente al 1267 del suo contemporaneo Ruggero Bacone (Opus tertium, in Opera quaedam hactenus inedita, a cura di J. S. Brewer, I, London 1859, p. 35), secondo cui C. era uno dei quattro migliori matematici del tempo, era indubbiamente giustificata. C. era pienamente al corrente dei più recenti sviluppi della scienza occidentale (specialmente delle dottrine aristoteliche e tolemaiche, che avevano raggiunto l'Europa occidentale attraverso le traduzioni compiute negli ultimi 150 anni dall'arabo) e aveva il dono di una chiara esposizione. Il suo contributo originale è scarso o nullo, ma i suoi trattati, impersonando la "nuova scienza", rapidamente raggiunsero e mantennero una notevole diffusione. Anche se furono presto superati (la Theorica prima degli Elementi di Euclide, il che spiega perché è rimasta inedita fino al 1971), essi occupano un posto importante nella letteratura del Quadrivio del tardo Medioevo.
G. J. Toomer
Fonti e Bibl.: In generale, su C. si veda G. J. Toomer, Campanus of Novara, in Dictionary of Scientific Biography, III, New York 1971, pp. 23-29. Per una completa inform. sulle ediz. e sui mss. dei trattati e per le notizie su quelli di dubbia paternità o spuri, si veda Campanus of Novara and Medieval Planetary Theory. Theorica planetarum, a cura di F. S. Benjamin jr.-G. J. Toomer, Madison-London 1971, pp. 12-24 (a pp. 128-134 si veda la lettera dedicatoria ad Urbano IV, di grande interesse per la ricostruzione delle correnti filosofiche della Curia romana di quel tempo, che era già stata pubblicata da H. Grauert, Magister Heinrich der Poet in Würzburg und die römische Kurie, in Abhandlungen d. Bayer. Akad. d. Wissen., phil.-hist. Klasse, XXVII [1912], pp. 465-468). Per il pensiero matematico di C. cfr. tra l'altro M. Cantor, Vorlesungen über Geschichte der Mathematik, II, Leipzig 1913, pp. 100-106; A. C. Crombie, Histoire des sciences de Saint-Augustin à Galilée, I, Paris 1959, pp. 81, 219; J. E. Murdoch, The mediaeval Euclid: Salient aspects of the translation of the Elements by Adelard of Bath and Campanus of Novara, in Revue de synthèse, LXXXIX (1968), pp. 67-94. Per le opere di carattere astronomico cfr. E. Zinner, Die Geschichte der Sternkunde von den ersten Anfängen bis zur Gegenwart, Berlin 1931, pp. 332, 338 ss., corredato dal Verzeichnis der astronomischen Handschriften des deutschen Kulturgebietes, München 1925 (litografato). Fra le tante notizie biografiche sparse nei numerosi cataloghi di scrittori medievali o in opere analoghe, risultano ancor oggi utili quelle di P.-C.-F. Daunou, Campanus de Novare, in Histoire littéraire de la France, XXI, Paris 1835, pp. 248-254; L. A. Cotta, Museo novarese, Milano 1701, pp. 87-89; G. B. Finazzi, Notizie biografiche raccolte ad illustrazione della Bibliografia novarese pubblicata nell'anno 1886, Novara 1890, p. 30. Sulla carriera curiale di C., cfr. A. Paravicini Bagliani, Cardinali di Curia e familiae cardinalizie dal 1227 al 1254, Padova 1972, pp. 369 s. Per le lettere papali riguardanti il matematico novarese, cfr. Les registres d'Urbain IV, a cura di J. Guiraud, Paris 1899-1958, nn. 1125, 1356, 1692, 2121, 2541, e in Arch. Segr. Vat., Reg. Vat. 42, f. 120v (registro di Martino IV); Les registres de Boniface VIII, a cura di G. Digard-M. Faucon-A. Thomas-R. Fawtier, Paris 1884-1935, n. 1648. Il rotulus della "familia" di Niccolò III è stato pubblicato da F. Baethgen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte der päpstlichen Hof- und Finanzverwaltung unter Bonifaz VIII., in Quellen und Forsch. aus ital. Archiven u. Bibl., XX (1928-1929), pp. 195-206. Le lettere procuratorie riguardanti le prebende di Reims, contenute nel ms. Borgh. lat. 266, ff. 94-105v, sono state pubblicate parzialmente da F. Bock, Osservazioni sulle lettere "executorie" papali della seconda metà del secolo XIII, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VIII (1954), pp. 195 s. e 203 s. Il testamento di C., che era stato edito molto parzialmente da A. Bonanni, Ilsantuario della Madonna Liberatrice in Viterbo. Memorie storiche e documenti in gran parte inediti, Viterbo 1901, pp. 77 s. n. 1, è stato successivamente ripubblicato integralmente, insieme con numerosi altri documenti, da A. Paravicini Bagliani, Un matematico nella corte papale del secolo XIII: C. da N. († 1296), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXVII (1973), pp. 98-129.
A. Paravicini Bagliani-G. J. Toomer