CAMPIONESI
Architetti e scultori lombardi, così denominati dalla storiografia ottocentesca (Malvezzi, 1882; Merzario, 1893) per il loro comune luogo di origine, Campione (od. Campione d'Italia), che figura spesso abbinato nelle epigrafi o nei documenti ai singoli artisti. I C., che non costituirono una maestranza ufficialmente riconosciuta, furono comunque dotati di una propria fisionomia artistica, pur confluendo in una più vasta corrente lombarda che accomunava artisti provenienti da località diverse, situabili tra i laghi di Como e di Lugano.La storiografia moderna, basandosi sulle fonti epigrafiche e documentarie che testimoniano i C. attivi dalla fine del sec. 12° a tutto il 14° nell'Italia settentrionale, e più precisamente a Modena, Bergamo, Monza e Milano, ha attribuito a questi maestri - in modo più o meno convincente - una serie di opere distribuite su una più vasta area geografica. È quindi quello dei C. un concetto critico moderno, utilizzato da Francovich (1952) per motivare le tangenze provenzali che costituiscono una delle componenti della scultura centrosettentrionale tra il 12° e il 14° secolo. Questi artisti non formarono una maestranza autonoma, ordinata secondo un proprio statuto, né tanto meno legata da un percorso stilistico unitario; solo in alcuni casi essi vanno inseriti in un fenomeno artistico assai vasto, comprensivo di personalità e correnti legate da un comune sostrato culturale; pertanto ci si deve limitare a rintracciare, alla luce dei nuovi orientamenti critici, le opere dove risultino attivi maestri di provenienza campionese.L'individuazione dei C. di Modena si basa su di un documento del 1244 (Modena, Arch. Capitolare, II.11, cc. 215r-216v), noto già a Tiraboschi (1795), nel quale Enrico da Campione rinnova un contratto a suo tempo stipulato dall'avo Anselmo con il massaro Alberto (1190-1208). Questo atto tende a legare alla fabbrica del duomo una manodopera specializzata, assicurando a quest'ultima una serie di garanzie dal punto di vista economico: il cantiere è caratterizzato come schola, Enrico e gli zii Alberto e Iacobo sono considerati magistri e i loro successori discipuli. I C. si configurano quindi "come un gruppo autorevole, molto ben organizzato e cosciente di sé, capace di assicurarsi collaborazioni qualificate, nonché di perpetuarsi attraverso procedure che ne garantissero la continuità nel tempo" (Grandi, 1984, p. 545).Su questa base documentaria, Anselmo è stato supposto operante ai rilievi del pontile, dapprima dalla critica ottocentesca e successivamente da Francovich (1952), che situava cronologicamente l'opera tra il 1160 e il 1175, sottolineandone gli accenti lombardi, stemperati dalla cultura provenzale sulla quale i C. si sarebbero formati. Lo studioso riconosceva inoltre come attivi alle sculture cinque artisti, poi ridotti a tre da Salvini (1966), che escludeva però Anselmo, per uno scarto cronologico troppo forte che si sarebbe venuto a creare nei confronti di Enrico. Salvini riferiva quindi il pontile a un predecessore di Anselmo, situando l'attività di quest'ultimo all'inizio del Duecento e focalizzandola sull'ambone. Grandi (1984) pone invece il pontile intorno agli anni ottanta del sec. 12°, a ridosso cioè della consacrazione del duomo (1184), e riferisce l'ambone a un maestro da lui definito 'del pulpito', riesaminando l'origine della fase campionese di Modena alla luce di quel 1169 proposto da Montorsi (1976), sulla base di una nuova lettura dell'epigrafe sulla Ghirlandina, come data di compimento del quinto piano della torre. Lo studioso analizza quindi le consonanze tra la maestranza della Ghirlandina e la scuola di Piacenza, evidenziando la funzione di Niccolò, là dove l'impronta narrativa prende il sopravvento, e relegando a un ruolo più marginale, riguardante l'iconografia e l'ordinamento sintattico, la cultura provenzale. Ricostruisce inoltre - attraverso i capitelli di S. Vitale di Carpineti (oggi divisi tra Modena, Mus. Civ. di Storia e Arte Medioevale e Moderna; Reggio Emilia, Curia vescovile; Villaberza, S. Ambrogio; Firenze, Mus. Bardini) - la personalità artistica dello scultore campionese da lui denominato Maestro dei Giudici, con il quale si apre la dinastia di Modena, e ridimensiona il problema della dipendenza dei C. dal cantiere di Arles, nell'ottica di una collaborazione e di un ruolo attivo dello stesso nella fascia inferiore della facciata del Saint-Trophime. Accanto al più anziano Maestro dei Giudici si collocherebbe il Maestro della Passione del pontile, che caratterizza realisticamente le scene e al tempo stesso continua nelle disposizioni iconografiche sulla scia provenzale, riferendosi soprattutto agli Apostoli di Arles; lo stesso può dirsi per il Maestro del duomo di Coira - che esegue in modo vigoroso le statue-colonna provenienti da un pulpito o da un pontile (1178 ca.; oggi all'ingresso della cripta) -, per l'autore dell'arca sotto l'altare del duomo di Parma (fine sec. 12°) o ancora per il più accademico scultore degli Apostoli provenienti dall'antico duomo di Milano (1185-1187; probabilmente parte di una recinzione presbiteriale, oggi murati nella parete sottostante la seconda campata della navata sinistra) e, infine, per l'autore degli Apostoli e del bassorilievo con Storie di s. Lorenzo nel duomo di Basilea (1200 ca.; Francovich, 1952, pp. 69-96). Grandi (1984) continua però a chiamare questa cultura 'campionese', pur avendo notato le tangenze tra i capitelli della stanza dei Torresani - all'interno della torre della Ghirlandina - e quelli di Parma (Gall. Naz., inv. nrr. 1814-1816) e sottolineato come i C. a Modena non siano documentati prima del 1190.Seguendo questa traccia, Gandolfo (1992) ha ribadito come non si possa parlare di C. prima del 1190-1200 e stabilito come la maestranza della Ghirlandina, ormai enucleata e scissa dalla scuola campionese, debba essere riqualificata come premessa della bottega antelamica. Per questa maestranza viene quindi ridimensionato o, meglio, negato il ruolo della cultura provenzale a favore di quella piacentino-emiliana, mentre nella Deposizione (1178) di Benedetto Antelami e nei contemporanei capitelli di S. Vitale di Carpineti entrambe le culture sono presenti e costituiscono i presupposti del successivo pontile di Modena, dove forse è attivo lo stesso maestro di S. Vitale, ormai maturo, ma dove - per la presenza consolidata alle spalle della bottega antelamica - è documentabile un cambiamento stilistico in atto (risolto correttamente nel pontile e in modo assai più rigido negli Apostoli del duomo di Milano).Con il massaro Bozzalino (1208-1225) la fase campionese del duomo di Modena trova finalmente conferma nel pulpito, dove alla cultura provenzale e piacentina si sovrappone l'influsso della bronzistica centroeuropea. In questo momento vanno collocati anche la recinzione del coro, l'altare e la conseguente alterazione volumetrica del presbiterio e del transetto, volta a contrapporre uno spazio trasversale all'asse longitudinale delle navate (Salvini, 1966, pp. 162-163), in uno spirito ancora decisamente tardoromanico, ma al tempo stesso con tecniche costruttive aggiornate, che dimostrano come i C. - in questo caso architetti - fossero a conoscenza delle nuove tendenze e in grado soprattutto di organizzare in modo diverso il lavoro con l'uso di elementi e di materiali prefabbricati (Peroni, 1984).In concomitanza con le nuove esigenze urbanistiche venutesi a creare lungo il fianco meridionale del duomo modenese con l'edificazione dei palazzi Vecchio, Nuovo e di Giustizia e con l'allargamento della cerchia di mura, venne eretta dai C. (Dondi, 1896, p. 181) la porta di Piazza (o Regia), di tipo lombardo sia per il materiale impiegato (calcare rosso) sia per la struttura, che rimanda decisamente al portale del duomo di Trento del 1212 e relega la cultura provenzale a brevi citazioni nelle decorazioni (Salvini, 1966). È questa la fase riconducibile stilisticamente alle contemporanee imprese compiute da altri artisti di formazione lombarda come i da Arogno a Trento ed è in questa campagna di lavori che deve essere inserito anche il grande rosone della facciata modenese, collocabile tra la ruota di S. Zeno di Verona (1200-1210) e quella della Fortuna del duomo di Trento (1250). Nel 1322 si concluse il cantiere campionese di Modena con un altro Enrico da Campione, che portò a compimento la Ghirlandina e firmò il pulpito, allo stato attuale però illeggibile stilisticamente per le numerose sostituzioni di pezzi (Dondi, 1896).La Lombardia dell'inizio del sec. 13° è caratterizzata da una situazione artistica particolare, in quanto operavano in cantieri esterni alla regione non solo i discendenti di Enrico, ma anche numerosi maestri legati ai C. della fine del sec. 12° da una comune cultura: per es. Guido Bigarelli (v. Bigarelli), attivo in Toscana alla metà del sec. 13°, o Adamo da Arogno (v.), dal 1212 attivo al duomo di Trento con i suoi successori, tra i quali compaiono anche maestri campionesi.Un'arte ormai accademica mostrano Egidio da Campione, che eseguì la citata ruota della Fortuna nel duomo di Trento, e ancora gli autori di opere in cui si rileva, come retaggio del passato, la caratteristica cornice con le aureole dei santi, come i numerosi sarcofagi dell'inizio del sec. 14° (Baroni, 1955) e il fonte battesimale nel battistero di Varese, riferito peraltro da Jullian (1945) alla fine del 12° secolo.È solo con l'arca di Ottone Visconti (m. nel 1295), nel duomo di Milano, che anche in Lombardia comincia a prefigurarsi nettamente un ramo dei C. e si può iniziare a delineare il profilo di singole personalità artistiche: infatti quest'opera è stata vista (Baroni, 1955) come un momento di transizione tra il c.d. Virgilio in cattedra (Mantova, Gall. e Mus. di Palazzo Ducale; inizio sec. 13°) o il S. Zen che ride (Verona, S. Zeno Maggiore), per il quale comunque si discute sulla datazione e sull'attribuzione ad ambito campionese (Arslan, 1943; de' Maffei, 1958), da una parte, e l'arca del vescovo Berardo Maggi (m. nel 1308) nel duomo vecchio di Brescia dall'altra. Nel sarcofago di Milano la novità è data dal defunto disteso su di uno spiovente e incorniciato dalle pieghe del lenzuolo, secondo uno schema derivato ancora una volta da prototipi d'Oltralpe e poi ripreso appunto nella tomba di Berardo Maggi; qui, però, quello che nell'arca Visconti è di maniera diventa più sciolto, anche grazie all'inserimento, come elemento innovativo, del fascione che narra in modo cronachistico la pace del 1298 tra guelfi e ghibellini, per intercessione del vescovo.Altro gruppo di opere è quello focalizzato sul sepolcro di Guglielmo Longhi (m. nel 1319), dapprima collocato in S. Francesco poi ricomposto nel 1839 in S. Maria Maggiore a Bergamo, per il quale è stato fatto, seppure in modo non convincente, il nome di Ugo da Campione (Meyer, 1893, p. 55) nel tentativo di delineare la personalità di questo maestro, documentato solamente dall'iscrizione in S. Maria Maggiore a Bergamo che lo certifica padre di Giovanni, autore della statua di S. Alessandro. Intorno al sepolcro Longhi sono state aggregate molte opere, tra le quali l'arca di Guglielmo di Castelbarco a Verona, presso la chiesa di S. Anastasia, la Madonna dell'Ist. delle Orsoline presso il monastero di S. Michele sul Dosso a Milano e quella dell'altare maggiore nel duomo di Como, a loro volta riconducibili alle statue della loggia degli Osii a Milano (1316-1330); per alcune di queste opere è credibile il riferimento alla bottega del maestro dell'arca Longhi - anche in questo caso è stato fatto il nome di Ugo - mentre altre sono contraddistinte da un certo gusto gotico oltremontano.A Bergamo, comunque, l'attività dei C. è documentata attraverso l'opera di Giovanni, che firmava nel 1340 il battistero e nel 1351 l'arcata inferiore del portale di Tramontana a S. Maria Maggiore, nella cui loggia, soprastante il protiro e attribuita ad Andriolo de' Bianchi, è collocata la statua equestre di S. Alessandro che, sul mensolone che la sorregge, reca l'epigrafe: "Magister Johanes filius magistri Ugi de Compleono fecit hoc opus MCCCLIII". Lo stesso Giovanni risulta poi dai documenti attivo nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso a Bellano, insieme ad altri artisti definiti con lui "magistri de muro et de lignamine", e nel 1360-1367 ancora a S. Maria Maggiore come capomastro per il restauro della chiesa e per la realizzazione del portale meridionale e di quello minore del lato settentrionale, quest'ultimo in collaborazione con il figlio Niccolino (Baroni, 1955, p. 784). Si tratta di un maestro sicuramente in rapporto con l'opera lombarda del toscano Giovanni di Balduccio, ma al tempo stesso - soprattutto nel portale meridionale di Bergamo (1364) - inserito perfettamente nel contesto lombardo duecentesco per la "nitida trascrizione lineare in superficie" e per lo "schema strutturale" (Romanini, 1964, p. 294). Si dimostra infatti soprattutto geniale nella sua attività di architetto esplicatasi in special modo nel battistero, edificato all'interno della navatella sud della basilica di S. Maria Maggiore, ma ricostruito nell'Ottocento al di fuori di essa, sul modello originale che prevedeva una struttura ottagona cinta da un loggiato, caratteristico dell'architettura lombarda, ma decorato in questo caso, all'interno delle nicchie angolari, con le figure delle Virtù, eseguite in collaborazione con aiuti. Sul battistero restano comunque numerosi problemi ancora aperti, che riguardano per es. la conformazione originaria interna dell'edificio e la collocazione dei sei pannelli scolpiti con scene della Vita di Cristo, che forse costituivano la vasca battesimale o erano collocati come ornamento parietale, alternati alle figure simboliche, posizionate nella ricostruzione ottocentesca sopra il cornicione, opera di un diverso maestro che conosceva bene gli avori gotici (de' Maffei, 1958).Nel 1353 Giovanni eseguiva la citata statua equestre di S. Alessandro, i cui precedenti sono rintracciabili nell'Oldrado da Tresseno del palazzo della Ragione a Milano (1233) e nel S. Martino e il povero nel municipio di Treviglio, ma che rivela soprattutto una diretta discendenza dalla statua di Cangrande a Verona (1330 ca.), il cui movimento però è stato reso da Giovanni in modo estremamente rigido.Sulla scia di Giovanni si pone anche il figlio Matteo (m. nel 1396), architetto e scultore attivo al duomo di Monza, dove eseguì la facciata - che denuncia una forte cultura toscana e al tempo stesso cadenze nordiche (Romanini, 1964) -, il battistero, ora perduto, e il pergamo - attualmente utilizzato come cantoria e nel quale doveva essere collocata originariamente anche la lastra con l'incoronazione di un re forse riferibile però ad altra mano - decorato con statue inserite entro nicchie a conchiglia secondo uno schema architettonico-decorativo già sperimentato nel protiro meridionale di S. Maria Maggiore a Bergamo e riproposto nella tomba di s. Agata nel duomo di Verona, eseguita da un maestro campionese nel 1353. Nel 1390 Matteo veniva richiesto dalla fabbrica del duomo di Milano per la direzione dei lavori (Annali, I, 1877, p. 36) e, anche se l'incarico non venne mai assunto dall'architetto, più o meno da questo momento figurano numerosi C. attivi al cantiere, tra i quali Bonino da Campione, che nel 1388 e nel 1389 venne consultato dai fabbricieri del duomo, Marco, Giacomo e Zeno, che nel 1388 dibattevano sul differente spessore dei muri perimetrali ai lati dell'absidiola aquilonare (Annali, I, 1877, p. 19). Giacomo in particolare si distinse all'interno del gruppo perché - oltre ad aver firmato il rilievo sopra la porta della sacrestia aquilonare, dove compare come figlio di Zambonino, e ad aver partecipato nel 1390 al concorso per il disegno dei finestroni absidali (Annali, I, 1877, pp. 31-32) - dal 1392 fino al 1398, anno della sua morte, figura con Giovannino de' Grassi come ingegnere generale della fabbrica (Annali, 1877, pp. 19, 50, 202) e ancora, insieme allo stesso e a Marco da Carona, viene chiamato più volte a consulto alla fabbrica della certosa di Pavia, dove forse è possibile identificarlo con il principale collaboratore di Bernardo da Venezia dal 1396 fino alla morte (Romanini, 1964).
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