CAMPO
. Campo di concentramento - Rappresenta una misura di restrizione collettiva della libertà personale che può adottarsi non soltanto nei confronti dei legittimi combattenti catturati dal nemico, ma anche verso i civili stranieri, purché si verifichino determinate condizioni previste dal diritto internazionale. In concreto, detta misura si può applicare nei confronti di abitanti di territori occupati di stato nemico o di sudditi di stato nemico residenti nel territorio dell'altro belligerante, purché la loro permanenza in libertà costituisca un effettivo pericolo per la sicurezza militare del belligerante medesimo; ovvero nei confronti di cittadini di un paese in guerra, rifugiatisi in uno stato neutrale, qualora non sia possibile assicurarne altrimenti l'asilo.
La prima applicazione su vasta scala dell'internamento di civili si ebbe nel secondo periodo della guerra anglo-boera (1900-02), quando lord Kitchener, per domare la guerriglia implacabilmente condotta dagli ultimi "lealisti" boeri, decise di trasferire in campi di concentramento le famiglie dei guerriglieri, così da togliere ai combattenti i mezzi materiali di un'ulteriore resistenza. La morte di molti bambini internati gettò sin da allora una fosca luce sull'uso dei campi di concentramento per civili.
Il sorgere degli stati totalitarî, negli anni tra le due guerre mondiali, ha trasformato e snaturato l'uso di questi campi che, soprattutto nella Germania nazista, son divenuti strumento di sopraffazione politica, impiegato contro i cittadini avversarî del regime dominante. Le persecuzioni razziali prima, e la guerra poi hanno esteso oltre ogni limite l'uso dei campi e la ferocia dei metodi adottati.
I campi di concentramento tedeschi. - Sorti immediatamente dopo la conquista del potere da parte di Hitler nel 1933, già nel 1934 ammontavano a non meno di dodici, tra cui quello, poi famosissimo, di Dachau. Fondati, giuridicamente, sul concetto della "custodia protettiva", allo scopo cioè di "proteggere dalla furia popolare" i detenuti in essi rinchiusi, i campi di concentramento servirono in realtà a spezzare col terrore l'opposizione social-democratica e comunista al nuovo regime.
Le punizioni durissime, le umiliazioni, le distinzioni in categorie diversamente trattate per impedire qualsiasi spirito di solidarietà tra i detenuti, fiaccavano la resistenza morale dei prigionieri, mentre il mistero pauroso in cui i campi erano avvolti valeva più di ogni altra misura ad impedire la ripresa di un'opposizione organizzata nel paese. Ogni categoria di prigionieri era distinta da un triangolo di vario colore applicato alle vesti: rosso i politici, nero i cosiddetti asociali o renitenti al lavoro, blu i fuorusciti o "emigranti", viola i "cultori della Bibbia"; giallo gli ebrei, rosa gli omosessuali e verde i delinquenti comuni. Questi ultimi ebbero un'importanza particolare, poichè le SS, cui era affidata la sorveglianza dei campi, demandarono ad essi molti dei compiti interni di disciplina, sorveglianza e amministrazione, dando loro un potere sugli altri detenuti di cui essi usarono spessissimo con indiscriminata ferocia. All'interno dei campi, con lievi varianti da luogo a luogo, esisteva tutta una gerarchia di tali funzionarî detenuti.
La guerra accrebbe il numero dei campi, che si estesero in tutta Europa, ma specialmente in oriente, insieme con la conquista nazista. Nel 1939 i più importanti campi erano i seguenti: Dachau, Sachsenhausen, Buchenwald, Mauthausen, Flossenburg, Ravensbruck, con un totale di 21.400 prigionieri; nel marzo 1942 gli stessi ospitavano 44.000 prigionieri, e non si contavano i morti già dall'inizio numerosissimi. Sono posteriori al 1940 i campi di Oświęcim (Auschwitz) con le dipendenze di Birkenau e Treblinka, Majdanek, Lublino, Gusen, Natzweiler, Gross-Rosen, Niederhagen, Stutthof, Neuengamme, Melk, Gunskirchen, Leitmeritz, Ebensee, Arbeitsdorf e numerosissimi altri. I campi "base" furono, in totale, non meno di una quarantina: la loro giurisdizione era assai vasta, coprendo a volte intere regioni, e da essi dipendevano, amministrativamente, varie sezioni distaccate per prigionieri addetti, veri forzati, a lavorazioni di guerra. Il solo campo di Buchenwald, alla fine del 1944, aveva 53 sezioni distaccate con oltre 100.000 detenuti occupati; tristemente celebre la sezione "Dora", divenuta poi campo autonomo col nome di Mittelbau, ove i prigionieri erano addetti alla costruzione dei V2, tra inumani maltrattamenti: pochi furono coloro che poterono uscirne vivi.
L'istituzione di queste sezioni fu una conseguenza della guerra: sorti come luoghi di punizione per politici, i campi erano divenuti a poco a poco, veri e proprî campi di sterminio e di eliminazione (Vernichtungslager) per i "nemici del popolo tedesco", specie polacchi ed ebrei. Ma, accentuandosi nel corso della guerra il bisogno di mano d'opera, non più fornita a sufficienza e volontariamente dai paesi alleati e occupati, i prigionieri dei campi furono impiegati come forzati nell'industria di guerra attraverso la DAW (Deutsche Ausrüstungs-Werke), che univa a questa utilizzazione intensiva dei detenuti la possibilità di lucrosi guadagni per le gerarchie SS, che letteralmente affittavano i prigionieri alle industrie bisognose di braccia. Accanto a questi, che in sostanza differivano dagli altri solo per il metodo di sterminio usato, restarono però sempre alcuni campi puramente di eliminazione: così quelli di Oświęcim, Belsen, Majdanek, ecc. In questi, tutti gli orrori di una progreditissima scienza della morte furono impiegati: dalle camere a gas ai forni crematorî e ad esperimenti pseudoscientifici: sterilizzazioni, innesti ossei, ricerche anatomiche.
Oggi, a distanza di tre anni dalla fine del conflitto, non è ancor dato di sapere con esattezza il numero degli infelici che passarono per i campi di concentramento e che vi morirono: certo alcuni milioni (secondo E. Kogon 7.125.000). Dalle poche, impressionanti statistiche presentate al processo di Norimberga e agli altri processi in cui furono giudicati i colpevoli di così efferati delitti, risulta tra l'altro che nei soli campi di Majdanek ed Oświęcim trovarono la morte 5 milioni e mezzo di esseri umani. Anche l'Italia ha dato a quei campi il suo doloroso contributo di sangue: 700.000 circa tra operai e soldati internati dopo l'8 settembre 1943 e 33.000 morti; 43.000 deportati politici, di cui 8.382 morti, più numerosissimi ebrei italiani.
Bibl.: Numerosissimi i diarî, spesso ben documentati, sulla vita nei campi tedeschi. Citiamo: G. Seger-Dessau, Oranienburg, Karlsbad 1934 e, di varî autori, Konzentrationslager, ivi 1934, prime rivelazioni sulle condizioni dei detenuti politici sotto i nazisti. Tra i volumi, numerosissimi, pubblicati dopo la fine della guerra e relativi al periodo bellico, si ricordano: B. Vasari, Mauthasen, bivacco della morte, Milano s.d.; L. Nissim e P. Lewinska, Donne contro il mostro, Torino 1946; D. Rousset, L'univers concentrationnaire (trad. ital. col titolo Dio è caporale, Milano 1947); D. Sington, Belsen Uncovered, Londra 1946; P. Levi, Se questo è un uomo, Torino 1947; E. Kogon, Der S.S. Staat, Monaco 1946; M. Pribilla, Das Schweigen des deutschen Volkes, in Stimmen der Zeit, XXXIX (1946), pp. 15-33; F. Friedman-T. Holiy, Oświęcim, Varsavia 1946. Notizie sui campi si trovano anche in A. Degli Occhi, Il processo di Norimberga, Milano 1947. I dati sui deportati italiani sono in La resistenza italiana, a cura del C. V. L., Milano 1947.
Campo di lavoro.
Si designa con questo nome un tipo di accampamento, con impianti più o meno stabili, ove vengono riuniti uomini e donne, privati della loro libertà personale e costretti al lavoro forzato. Il termine si riferisce più propriamente ad un fatto specifico della più recente storia, specialmente russa e tedesca. È assai difficile rendersi conto con esattezza dell'entità e dell'organizzazione di codesti campi, come delle condizioni di vita e di lavoro dei forzati, sia per il riserbo col quale i governi interessati hanno circondato tali luoghi di pena, sia perché le polemiche arroventate dalle passioni politiche intorno ad essi, ne rendono difficile un giudizio obiettivo.
In Russia il lavoro forzato per i condannati ed esiliati politici vigeva sotto il regime zarista. Dopo la rivoluzione, si volle usare del lavoro obbligatorio come mezzo di redenzione per i delinquenti, ma il programma teorico degenerò, in pratica, e ben presto i campi di lavoro diventarono luoghi di isolamento, di pena e di eliminazione per i condannati, gli oppositori politici, di cui il governo si serve per le opere di trasformazione economica da esso intraprese.
Secondo D. J. Dallin, i primi anni immediatamente seguenti la rivoluzione "durante i quali si giudicò in base ai decreti e alle istruzioni ufficiali, furono caratterizzati dalle più nobili e umane intenzioni", che erano di correggere, non di castigare. A norma delle istruzioni emanate nel 1918, "un prigioniero, mentre era obbligato a eseguire un lavoro manuale, riceveva un compenso regolato dalla scala salariale del sindacato operai, nella quale erano comprese le retribuzioni per lavoro straordinario. Le leggi promulgate per la protezione del lavoro femminile e dei giovani inferiori ai vent'anni e per la sorveglianza degli impianti industriali erano applicabili anche ai prigionieri. Era stabilito che i prigionieri dovessero applicarsi a un lavoro, secondo le proprie tendenze. Era vietato rivolgere la parola ai prigionieri dando loro del tu; ai prigionieri era permesso fumare; in determinate circostanze potevano fruire di licenze ed era loro permesso abitare in case private; infine si progettava di introdurre su vasta scala l'uso di regolare i rapporti sulla parola d'onore". Ma su tali norme presero sempre più il sopravvento sistemi polizieschi. Sempre secondo il Dallin, il primo vero campo di lavoro correzionale fu istituito nel 1923 nelle Isole Solovetski nel Mar Bianco ed ebbe limitate proporzioni. Esso fu posto alle dipendenze della GPU ed il sistema penitenziario adottato avrebbe costituito un ritorno al durissimo lavoro, inflitto per castigo, vigente nella Russia zarista. L'estendersi dell'istituto va collegato, prima, alle esigenze della rapida industrializzazione realizzata con i piani quinquennali e, poi, alle esigenze della produzione bellica. Si afferma che parecchi milioni di individui, negli ultimi tempi, sarebbero stati racchiusi nei campi di lavoro (delinquenti comuni, kulaki, condannati ed esiliati politici, deportati e prigionieri di guerra, ecc.). In questa massa lo stato avrebbe trovato il contingente di mano d'opera non qualificata e di bassissimo costo, necessario al suo colossale sforzo di industrializzazione. Ma, a differenza degli operai della grande industria del capitalismo privato, questi operai - se le molte testimonianze corrispondono a verità - non sarebbero liberi giuridicamente, e verrebbero reclutati - spesso in base a provvedimenti amministrativi - dagli stessi organi di polizia, che poi li affidano alle aziende di stato o all'amministrazione statale. Dal 1934 data la trasformazione della GPU nella NKVD, la quale provvide subito ad organizzare l'amministrazione centrale dei campi di lavoro correzionale e degli stabilimenti di lavoro, che aveva il compito di amministrare la mano d'opera accentrata nei campi di lavoro. Sembra che la NKVD sia investita del diritto "di decretare senza processo espulsioni, confino e detenzioni nei campi di lavoro correzionale, per un periodo non superiore ai cinque anni".
Anche in Germania, l'origine e la storia dei campi di lavoro si intrecciano e, spesso, si confondono con quelle dei campi di concentramento (v. sopra). Si confinarono, in determinate località, i nemici veri e presunti del regime e si obbligarono, in un primo tempo, i confinati a compiere i lavori occorrenti per l'adattamento e il miglioramento delle installazioni interne dei Lager stessi (costruzione dei dormitorî, delle stanze comuni, dei laboratorî, ecc.). Poi i reclusi vennero adibiti ad opere esterne (costruzione di strade e di edifici, scavo di canali, abbattimento e piantagione di boschi, ecc.). Con la guerra, accanto ai campi cosiddetti di sterminio, ai campi disciplinari, ai campi comuni, nei quali il lavoro veniva spesso usato a scopo di vera e propria tortura fisica, v'erano i campi riservati ai prigionieri di guerra o agli internati, costretti a lavorare nelle industrie belliche tedesche.
Lo sviluppo considerevole degli Arbeitslager in Germania, va considerato in rapporto alla deficienza dell'offerta di mano d'opera sul mercato del lavoro. Già prima dello scoppio delle ostilità, la Germania in relazione al suo programma bellico di riarmamento, non solo aveva eliminato la disoccupazione, ma anche manifestato una insufficienza di lavoratori. La guerra, sottraendo al lavoro gli uomini validi, portò in primo piano la questione della mano d'opera. Fu perciò introdotto il lavoro obbligatorio per i maschi da 16 a 65 anni, per le femmine da 17 a 45 (gennaio 1943). Ma ancor prima del 1943, i dirigenti nazionalsocialisti, dopo aver tentato, con scarso successo, di reclutare nei paesi occupati gli operai necessarî al fabbisogno, mediante la libera contrattazione, erano ricorsi all'arruolamento forzato, ad una vera e propria caccia agli uomini; deportati coattivamente in Germania e costretti a lavorare per il loro nemico, contrariamente ai principî del diritto delle genti.
Bibl.: J. D. Littlepage e Demaree Bess, Alla ricerca dell'oro sovietico, Milano 1946; D. J. Dallin, La vera Russia dei Sovieti, Milano 1947; V. Kravchenko, Ho scelto la libertà, Milano 1948 [Anonimo], L'altra faccia della luna, ivi 1948.
Campo sportivo.
Zona di terreno destinata allo svolgimento di un determinato sport. Una prima grande classificazione dei campi sportivi distingue quelli che sono impiegati principalmente per la pratica di esercizî fisico-atletici e quelli nei quali lo svolgimento di tali esercizî o gare è destinato a pubblico spettacolo; un tipo intermedio è quello dei campi contemporaneamente impiegati per i due scopi anzidetti, senza che alcuno di essi predomini nettamente sull'altro.
Si possono assegnare al primo gruppo i campi di allenamento delle società sportive; quelli di collegi, scuole e simili: le "aie sportive" (piccoli campi rionali destinati agli svaghi sportivi dei ragazzi); i campi destinati a quegli sport che per loro natura o per lo scarso interesse che destano nel pubblico non si prestano a manifestazioni spettacolistiche. Il secondo gruppo può invece comprendere gli stadî cittadini, i campi rionali e le varie piste per gare di corsa (velodromi, motovelodromi, ippodromi, ecc.) le quali, pur non potendosi a rigor di temini definire campi sportivi, hanno con questi molte caratteristiche ed esigenze comuni. Si possono considerare poi appartenenti al gruppo misto alcuni campi di grandi società sportive e quelli dei grandi complessi aziendali.
I suddetti criteri di destinazione di un campo sportivo influiscono sullo sviluppo relativo delle sue parti e sulla sua ubicazione nel complesso urbanistico che ne è servito. Tale ubicazione è anche determinata da fattori sociali, igienici, meteorologici, economici e di viabilità; infatti, tenendo conto dell'importanza che hanno per lo sviluppo fisico della popolazione la ginnastica e gli sport, è necessario distribuire i luoghi destinati all'estrinsecazione di tali attività in maniera che siano facilmente accessibili senza eccessivo dispendio di tempo e di energie e che anzi ne sia facilitato e incoraggiato l'uso sempre più frequente. Devono poi tutti i campi sportivi indistintamente essere situati là dove si presentano le migliori condizioni di clima e di igiene, cioè in luoghi riparati da forti venti, asciutti e liberi da esalazioni nocive alla respirazione e quindi lontani da strade di traffico intenso, officine, industrie chimiche, ecc.; a tal riguardo, le condizioni naturali del luogo possono essere efficacemente migliorate con la opportuna sistemazione di spazî alberati sufficientemente grandi. Dal punto di vista economico è evidente che un impianto sportivo - appartenga esso ad un ente privato o ad una pubblica amministrazione - richiedendo una superficie di terreno di notevoli dimensioni, non deve occupare aree che, altrimenti impiegate, potrebbero dare alti redditi suscettibili di essere, in tutto o in parte, più convenientemente spesi a vantaggio dello stesso sport. In relazione alla facilità di accesso di cui si è parlato più sopra, è necessario che nella scelta della ubicazione di un campo sportivo si tenga conto, commisuratamente all'importanza dello stesso, dello schema generale di viabilità cittadina, cosicché il campo risulti in agevole collegamento con una o più strade che lo allaccino rapidamente alla zona da esso servita, senza determinare, nei casi di massimo concorso di pubblico, pericolose congestioni di traffico.
Ogni campo sportivo deve essere orientato in modo che durante lo svolgimento del giuoco nessuno dei giocatori si trovi in condizioni di svantaggio per effetto dell'incidenza dei raggi solari. È evidente pertanto che l'orientamento di un campo dipende dalla sua posizione geografica e dall'ora in cui esso viene prevalentemente usato.
I campi per il giuoco del calcio, per il rugby, che vengono usati nel pomeriggio, hanno l'asse longitudinale orientato da Nord a Sud con una lieve inclinazione verso Ovest, che in Italia ha un valore medio di 11°. I campi da tennis (giuoco che si pratica tanto al mattino quanto al pomeriggio) devono avere l'asse maggiore orientato da NE. a SO. se usati al mattino e da NO. a SE. se usati nel pomeriggio; per questa ragione ogni complesso di una certa importanza ha più campi orientati nelle due direzioni principali indicate. I campi di golf si adattano al terreno a disposizione e non possiedono di conseguenza alcun asse di simmetria che deve seguire un dato orientamento; in essi tuttavia si tiene conto dell'incidenza dei raggi solari nel determinare i percorsi del giuoco. I campi per gli sport della neve, pur non richiedendo un particolare orientamento dei percorsi, devono essere in zone riparate. I campi di tiro a segno e di tiro a volo hanno la linea di tiro orientata a Nord.
Per la maggior parte degli sport (calcio, polo, rugby, tennis, pallacanestro, base-ball, hockey, ed altri) il campo ha forma rettangolare e superficie piana orizzontale; per altri, come l'atletica leggera ed il tiro a volo, esso ha forma ben determinata, ma diversa dal rettangolo, e particolari sistemazioni altimetriche; per altri ancora, come il golf, lo sci, ecc., non esiste una forma tipîca di campo, adattandosi questo al terreno di cui sfrutta le caratteristiche altimetriche e planimetriche e la vegetazione.
Le dimensioni dei campi destinati ad alcuni sport sono stabilite dai regolamenti del giuoco, che nella maggior parte dei casi sono stati unificati e riconosciuti dagli enti sportivi nazionali ed internazionali. Alcuni campi sportivi invece si adattano per le loro dimensioni, oltre che per la forma, al terreno prescelto (cfr. le voci dedicate nell'Enciclopedia ai principali sport: calcio, tennis, ecc.).
Le opere d'arte che un campo sportivo generalmente richiede (recinzione, sistemazione della superficie, drenaggio ed eventuali opere di consolidamento) hanno la funzione di isolarlo dal pubblico e di modificare le caratteristiche naturali del terreno adattandolo alle esigenze dello sport. La separazione tra il campo e l'esterno è di solito realizzata per mezzo di muri o cancellate; quella tra il pubblico ed i giocatori, che serve ad impedire l'invasione del campo da parte del pubblico, si può realizzare, per non portare pregiudizio alla visione dello spettacolo sportivo, per mezzo di rete metallica e di fossato. La seconda soluzione, che raggiunge più perfettamente lo scopo, è senz'altro da preferirsi.
Il manto superficiale di un campo da giuoco è costituito da uno strato di terra con speciali vegetazioni erbose o da uno strato compresso di materie inerti, che possiedono idonee caratteristiche fisiche nei riguardi della consistenza, elasticità e porosità. Tale grado varia a seconda del giuoco al quale il campo è destinato. In Italia si usa di preferenza il campo a manto erboso per il calcio, ma per il tennis, la pallacanestro e la palla a volo si preferiscono quelli dell'altro tipo; il polo si giuoca esclusivamente su campi erbosi.
La superficie della maggior parte dei campi (calcio, rugby, tennis, ecc.) è normalmente considerata orizzontale; in effetti essa ha una leggera pendenza (2‰) verso l'esterno, necessaria a consentire un rapido smaltimento superficiale delle acque piovane.
Poiché il grado di umidità di un terreno di giuoco deve essere contenuto entro determinati limiti, si costruisce immediatamente sotto il manto superficiale un'opera di drenaggio, che ha la funzione di assorbire la eccedenza di acqua del manto stesso; quando invece il manto risulti troppo asciutto, si provvede ad inumidirlo o per mezzo di innaffiamento o inondando il sottostante strato di drenaggio. Inoltre sulla superficie di un campo occorre indicare i limiti, le regolamentari suddivisioni e i punti caratteristici; tali segni si eseguono per mezzo di latte di calce o vernice o altri materiali, che, senza alterare le qualità della superficie, li rendano ben visibili e di sufficiente durata.
Ogni campo sportivo ha bisogno, per lo svolgimento del giuoco al quale è destinato, di speciali attrezzature che possono essere fisse o mobili e che hanno forma e dimensioni stabilite dai regolamenti (porte, reti, cesti, ostacoli, ecc.). Talvolta si usa adibire lo stesso campo, cambiandone le attrezzature, a due o più giuochi; ciò è tuttavia da considerarsi una soluzione di ripiego.
Oltre che delle opere d'arte e delle attrezzature necessarie allo svolgimento del giuoco, un campo sportivo abbisogna di un certo numero di impianti accessorî destinati ai servizî di custodia, direzione e manutenzione, alle necessità degli atleti ed eventualmente ai servizî per gli spettatori.
I locali destinati ai servizî di custodia, direzione e manutenzione, non presentano in nessun caso particolari caratteristiche e sono proporzionati alla mole ed all'importanza del campo che essi servono.
Gli impianti accessorî per gli atleti sono costituiti da spogliatoi, pronto soccorso, lavanderia, posto di soggiorno e di ristoro, eventuale foresteria.
Gli spogliatoi sono di due tipi: per singoli e per squadre. I primi sono riservati agli arbitri, ai guardalinee, ai commissarî di campo ed agli atleti isolati; essi sono costituiti da una piccola stanza in diretta comunicazione con proprî servizî igienici. I secondi sono riservati agli atleti raggruppati in squadre e hanno una capacità massima di venti persone; essi constano di un ambiente della superficie di almeno 35 metri quadrati, dal quale, attraverso un disimpegno, si accede ai gabinetti e lavandini, ad un locale per il massaggio nonché ad un locale contenente un vascone per il bagno collettivo ad immersione in acqua salata.
Gli spogliatoi, sia singoli sia collettivi, comunicano con l'esterno non direttamente, ma attraverso vestiboli ai quali si accede da un corridoio di collegamento; il vestibolo ed il corridoio devono essere riscaldati in modo da evitare sbalzi violenti tra la temperatura esterna e quella dello spogliatoio e dei suoi accessorî. L'aereazione, l'illuminazione, gli apparecchi igienico-sanitarî, i materiali di rivestimento e l'arredamento devono rispondere alle più rigorose esigenze dell'igiene.
Nei campi che, oltre all'esercizio di un dato sport servono anche all'esibizione di questo come pubblico spettacolo, è necessario provvedere alla sistemazione degli spettatori. La forma e le dimensioni delle opere a ciò destinate sono determinate dal numero di spettatori prestabilito, dal modo di disporli (in piedi o seduti), dalle esigenze di visibilità, dal tipo di giuoco che costituisce spettacolo, dalla conformazione naturale del terreno e da criterî di traffico e di sicurezza. Anche gl'impianti per il pubblico comprendono locali per il pronto soccorso, per latrine, per ristoro e per i servizî di biglietteria, controllo, ordine pubblico, stampa e radio. I campi di maggiore importanza dispongono anche di zone esterne destinate al posteggio dei mezzi di trasporto pubblici e privati.
Di solito gli spettatori si dispongono in gradinate di posti a sedere o in piedi (v. stadio, XXXII, p. 438). Lo sviluppo delle gradinate è adeguato alla capienza richiesta ed al particolare spettacolo sportivo: in un campo da tennis, per esempio, le gradinate si dispongono soltanto parallelamente ai lati maggiori, in quanto tale disposizione dà una migliore visione dello svolgimento del giuoco; inoltre sugli altri due lati il campo deve essere chiuso da schermi verticali alti almeno tre metri che si costruiscono per facilitare ai giuocatori la visibilità della palla in volo. Anche nei campi di pallacanestro gli spettatori si dispongono soltanto lungo i lati maggiori. Nei campi di calcio, rugby, ecc., invece, per ottenere una maggiore capienza di pubblico (richiesta dalla grande popolarità del giuoco) si usa sviluppare le gradinate lungo tutto il perimetro, pur essendo migliore la visibilità dai posti situati lungo i lati maggiori; per questa ragione, quando il numero dei posti richiesto non è molto grande, si aboliscono senz'altro i posti di curva e, se possibile, si dispongono tutti gli spettatori su una sola gradinata costruita in corrispondenza del lato occidentale del campo, affinché il sole, durante lo svolgimento della partita, si trovi alle loro spalle.
Grande cura deve essere attribuita allo studio della circolazione del pubblico, tenendo conto della sua velocità di afflusso ed in particolare di quella di deflusso; anche i più grandi stadî (100.000 posti) devono potersi vuotare senza inconvenienti in non più di venti minuti. Il criterio di circolazione adottato nei campi sportivi di più recente costruzione consiste nell'imporre un senso unico al movimento del pubblico nelle gradinate, dall'alto verso il basso: dalle entrate ampie, facilmente controllabili ed in agevole comunicazione con i punti di arrivo dall'esterno, si accede al coronamento superiore delle gradinate, da dove il riempimento delle stesse avviene in maniera completa e razionale, con la graduale occupazione dei posti, a cominciare dai più ambiti - cioè da quelli delle file basse più vicine al campo - alle più lontane dallo stesso e prossime al coronamento; in tal modo gli spettatori in arrivo prendono posto senza passare attraverso i settori già occupati. I vomitorî di uscita si dispongono invece lungo il perimetro interno delle gradinate, ossia in basso, a brevi intervalli, e conducono direttamente all'esterno per mezzo di percorsi per quanto possibile brevi e semplici, lungo i quali trovano posto gli impianti igienici riservati al pubblico.
Le biglietterie, divise per categorie di posti e in numero sufficiente ad un rapido smaltimento dei biglietti, non devono essere situate sulle linee di accesso del pubblico, ma nelle immediate vicinanze di queste.
Negli ultimi tempi si è manifestata la tendenza a ridurre il numero di categorie nelle quali venivano finora suddivisi i posti del pubblico. In impianti di piccola mole è stata senz'altro abolita ogni distinzione.
In tutti quei campi che accolgono un pubblico di spettatori si provvede ad isolare i locali riservati agli atleti e le comunicazioni tra detti locali e il campo di giuoco, dalle zone destinate al pubblico.
Complessi di campi. - Come già accennato, in ogni agglomerato urbano i luoghi destinati allo sport devono essere convenientemente distribuiti, in modo da rendere economica ed agevole a tutti la partecipazione diretta alle attività sportive. Nello stesso tempo tuttavia, in ogni quartiere, in ogni rione ed in ogni grande complesso aziendale conviene, per evidenti ragioni pratiche ed economiche, raggruppare i varî impianti sportivi in un'unica zona, così da unificarne i servizi e soddisfare più convenientemente le ricordate esigenze di carattere igienico-urbanistico. In tali raggruppamenti si sogliono riunire gli impianti di quegli sport che assicurano una maggiore partecipazione degli abitanti della zona e che variano in dipendenza delle abitudini del paese, delle condizioni climatiche e del prevalente ceto sociale dell'unità urbana servita.
Per la distribuzione delle aree sportive si tenga presente che ciascuna di queste non deve distare più di 600÷1200 metri (in ragione inversa della densità della popolazione) dall'abitazione più lontana della zona alla quale appartiene. La superficie da riservare alle aree sportive è compresa fra 3,50 e 4,50 mq. per abitante.
È inoltre opportuno distribuire in ogni quartiere una o più aie sportive. Nelle città americane la distanza massima di tali aie dalle abitazioni è in media dell'ordine di m. 700, mentre la superficie minima ad esse destinata è di 5 mq. per abitante.