Vedi Canada dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Canada è il secondo paese più esteso al mondo dopo la Russia e il suo confine condiviso e non consecutivo con gli Usa è il più lungo al mondo (8891 km). I due paesi sono legati da solide relazioni bilaterali, soprattutto in ambito economico. L’Accordo di libero scambio del Nord America (Nafta), siglato da Canada e Usa nel 1988 ed esteso al Messico nel 1994, ha rappresentato un efficace strumento economico e commerciale per l’approfondimento della cooperazione tra gli stati membri. Benché gli Usa siano il principale partner commerciale del Canada – con un interscambio commerciale che raggiunge l’80% del totale canadese –, sin dai primi anni Settanta Ottawa ha avviato una strategia di diversificazione degli interlocutori commerciali, tentando così di ridurre la sua dipendenza dall’economia statunitense. Ha identificato come principali partner prima l’Unione Europea (EU) e poi la Cina. Ottawa e Bruxelles hanno firmato il 18 ottobre 2013 il Comprehensive Economic and Trade Agreement (Ceta), un importante accordo economico-commerciale, che ha come obiettivo il miglioramento dell’integrazione economica e l’agevolazione dei flussi di investimento tra le due aree.
Dalle potenze economiche asiatiche, Ottawa mira invece a ottenere nuovi investimenti sul paese e la costruzione di condotti per esportare materie prime energetiche in Asia. La crescita dell’interscambio commerciale con la Cina rende oggi Pechino il secondo partner commerciale del Canada. I due paesi sono andati intensificando il dialogo anche in ambiti differenti rispetto a quello economico e commerciale: dagli scambi culturali alle politiche sanitarie per potenziare la ricerca medica, ai programmi per promuovere lo sviluppo democratico e la salvaguardia dei diritti umani. Nell’area del Pacifico, il Canada va inoltre sviluppando i rapporti con i paesi membri dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), di cui è membro fondatore.
Nel giugno 2010, il Canada ha ospitato i due summit mondiali tra i paesi del G8 e del G20 a Muskoka e a Toronto. In tale occasione Ottawa ha auspicato una cooperazione economica internazionale solida e fondata sui valori della sostenibilità e dell’equilibrio. Inoltre il Canada ha insistito sulla necessità di coinvolgere nel dialogo internazionale in materia economico-commerciale i paesi non membri del G20, nonché di perseguire politiche comuni in materia di salute, ambiente, pace e sicurezza.
Sul piano politico, il Canada ha tradizionalmente posizioni di apertura al multilateralismo e di coinvolgimento attivo nelle organizzazioni internazionali. Il paese riveste un ruolo rilevante nello scacchiere internazionale anche grazie alla presenza di contingenti nazionali in missioni di peacekeeping sia in ambito Nato, sia sotto l’insegna delle Nazioni Unite. Al noto impegno canadese nella missione Isaf in Afghanistan, si aggiungono infatti anche le operazioni intraprese in Bosnia-Erzegovina, Sierra Leone e Haiti.
Da alcuni anni il paese sta inoltre accrescendo le sue ambizioni nei confronti dell’Artico, la regione polare contesa dai paesi che la circondano per via delle importanti risorse custodite nel suo sottosuolo. Alla politica di riarmo intrapresa per far eventualmente fronte alle diverse rivendicazioni territoriali (soprattutto da parte di Russia e Danimarca), Ottawa ha affiancato una missione per mappare il fondale marino artico, nella prospettiva di presentare alle Nazioni Unite la propria candidatura per ottenere la sovranità sul Polo nord.
Il Canada ha ottenuto la piena indipendenza nel 1931, a seguito dello Statuto di Westminster, con cui si stabiliva il pieno passaggio dei poteri alle autorità canadesi che, fino a quel momento, dipendevano dal Regno Unito, soprattutto negli affari internazionali. Pur essendo de facto un sistema parlamentare, quella canadese è formalmente una monarchia costituzionale con un sistema federale che comprende dieci province e tre territori.
La Corona britannica è rappresentata da un governatore generale (attualmente Sir David Johnston), nominato dal monarca per cinque anni su raccomandazione del primo ministro. A quest’ultimo compete la gestione del potere esecutivo sulla base della nomina da parte della Camera dei comuni, la quale conferisce al governo la fiducia.
In Canada vige un sistema bicamerale imperfetto, con una camera bassa elettiva, la Camera dei comuni, e una camera alta, il Senato. La Camera, eletta a suffragio universale per un mandato di cinque anni, ha 308 membri, mentre il Senato è composto da 105 membri. Sono nominati dal governatore generale su proposta del primo ministro in base a un criterio di rappresentatività geografica e restano in carica fino ai 75 anni d’età. Accanto alle istituzioni federali, ogni provincia ha una propria camera legislativa, con competenze in varie aree quali la sanità, la pubblica istruzione, l’agricoltura – in un bilanciamento tra istituzioni centrali e locali che vede le prime, al contrario di quanto accade in altri sistemi federali, molto più rilevanti delle seconde.
Storicamente, non è mai accaduto che la Camera dei comuni restasse in carica per i cinque anni previsti dalla Costituzione: il governatore generale, solitamente su richiesta del primo ministro, ha sempre sciolto il parlamento entro al massimo quattro anni dalle elezioni.
La causa è stata, in parte, un bipartitismo imperfetto che affiancava ai due partiti politici maggiori (Partito conservatore e Partito liberale) formazioni minoritarie, che talvolta risultavano determinanti nel sostegno parlamentare alla maggioranza. È accaduto anche nelle elezioni parlamentari del 2008, a seguito delle quali il Blocco del Quebec e il Nuovo partito democratico avevano ottenuto abbastanza seggi da impedire che i due partiti di maggioranza potessero raggiungere i 155 necessari per la maggioranza assoluta. Il governo che si era formato, capeggiato dal conservatore Stephen Harper, era dunque un esecutivo di minoranza. Le elezioni anticipate nel maggio 2011, seguite alla sfiducia parlamentare nei confronti del premier, sembrano, però, aver invertito la tendenza: hanno assegnato ai conservatori la maggioranza assoluta dei seggi (165 su 308 nella Camera dei comuni) e rafforzato la posizione del primo ministro. Inoltre, per la prima volta, il maggior partito di opposizione è divenuto il Nuovo partito democratico, a scapito del Partito liberale, mentre il Blocco del Quebec è passato da 47 a soli 4 seggi.
La densità abitativa canadese, con 3,9 abitanti per chilometro quadrato, è tra le più basse al mondo. La maggior parte della popolazione vive nelle aree metropolitane delle principali città del paese, poste ai confini con gli Usa. Toronto conta circa 2.600.000 abitanti, Montreal 1.650.000, Calgary 1.100.000, Ottawa, la capitale, circa 900.000.
La speranza di vita alla nascita è aumentata e, grazie soprattutto ai flussi di immigrazione, anche le nascite e la popolazione sono cresciute con uno dei ritmi più alti tra i paesi del G8. Inglese e francese sono le due lingue ufficiali: circa il 58,8% della popolazione è anglofona, il 21,6% è francofona, mentre il 19,6% parla altri idiomi.
La seconda voce di spesa pubblica canadese, dopo quella sanitaria, è quella riservata all’istruzione (pari al 5,4% del pil), che è ad accesso libero e gratuito per tutti, compresi i rifugiati e gli immigrati, sia a livello primario sia secondario.
Il sistema universitario canadese è tra i migliori al mondo. Secondo l’indice della Qs World University, basato sui parametri peer review, rapporto docenti/studenti, tasso di internazionalizzazione e numero delle citazioni nelle pubblicazioni scientifiche, la McGill University di Montreal e la University of Toronto sono tra le prime 20 migliori università al mondo.
La spesa pubblica per la sanità è molto alta e supera il 7% del pil. Una riforma del 1984 (il Canada Health Act) stabilisce che il sistema sanitario debba poggiarsi su cinque pilastri: universalità, globalità, accessibilità, validità all’estero e pubblica amministrazione. In altre parole, la spesa sanitaria è finanziata per il 70% dallo stato (per una quota che raggiunge i 148 miliardi di dollari) e la copertura medica è universale e gratuita. Si stima che lo stato abbia speso 6000 dollari per cittadino nel 2013; ciononostante due terzi dei canadesi opta per un’assicurazione privata che garantisca anche le prestazioni mediche non coperte dal sistema sanitario statale.
Il Canada è tra i primi paesi al mondo per indice di democrazia. Il livello di corruzione percepita è tra i più bassi al mondo e i diritti politici e civili sono pienamente rispettati: il Canada è all’11° posto della classifica mondiale di Transparency International sulla corruzione percepita, la miglior prestazione all’interno del G8.
Il sistema dei media è pluralistico, competitivo e libero da pressioni governative, benché esista un oligopolio dell’informazione. La Quebecor, con sede a Montreal, controlla il più importante network televisivo in lingua francese e la Sun Media Publishing possiede più di cento tra quotidiani e riviste distribuiti su tutto il territorio. La Can West-Global, invece, controlla la maggioranza dei quotidiani distribuiti nelle città canadesi più popolose e la Global Television Network. Bell Canada, infine, la più grande compagnia telefonica del paese, amministra la Ctv Television, il satellite-tv Bell ExpressVu e il quotidiano nazionale The Globe and Mail.
Il 24% dei posti in parlamento sono occupati da donne, che sono ben rappresentate anche nelle più importanti categorie lavorative. A seguito di due anni di acceso dibattito interno, nel 2004 la Corte suprema ha sancito la legalità del matrimonio tra persone dello stesso sesso, garantito da una legge nazionale approvata nel febbraio successivo.
Il Canada è uno dei paesi più sviluppati al mondo, con l’economia più libera tra i membri del G8 e un pil che raggiunge quasi i 1800 miliardi di dollari. Il paese ha subito nel 2009 la sua prima recessione economica (-2,7%) dal 1991, come effetto della crisi globale, ma dal 2010 ha dimostrato una solida tendenza al recupero, con una crescita intorno al 1,5-2% annuo, che si prevede possa durare anche nei prossimi anni. Il settore dei servizi impiega circa i tre quarti della forza lavoro e rappresenta due terzi del pil totale.
Il Canada si differenzia dalle grandi economie del resto del pianeta nell’essere un esportatore netto di energia, pur figurando tra i primi paesi al mondo per consumi. Ciò è dovuto alle ingenti risorse naturali e di idrocarburi.
Il Canada è anche il secondo produttore al mondo di uranio (16% delle riserve totali), dietro il Kazakistan. Il paese vanta, inoltre, importanti giacimenti di diamanti, tanto che la produzione diamantifera di Ottawa rappresenta quasi il 10% di tutta l’industria mondiale delle gemme preziose.
Il Canada è anche un importante produttore di grano (il sesto al mondo), esportato per la maggior parte negli Stati Uniti. Il settore della pesca, tradizionalmente molto sviluppato, negli ultimi anni ha subito un progressivo declino poiché sono state superate le naturali capacità riproduttive della fauna ittica. Washington è il partner commerciale più importante di Ottawa: assorbe il 76% delle esportazioni canadesi e fornisce più del 50% delle importazioni.
Il commercio bilaterale si è intensificato notevolmente con la costituzione del Nafta. Sempre in ambito di commercio bilaterale potrebbe assumere una notevole rilevanza anche il Ceta. Grazie a un interscambio che ha superato, dal 2009, i 50 miliardi di dollari, la Cina è divenuta il secondo partner commerciale del Canada. Ciò ha generato un deficit di bilancia, da parte canadese, di oltre 40 miliardi di dollari.
Vista la grande estensione della superficie canadese, le infrastrutture rivestono un ruolo fondamentale: il paese vanta un sistema di trasporto ferroviario che, con i suoi 52.002 chilometri, è per lunghezza il terzo di tutti i paesi dell’Oecd, dietro solamente a Stati Uniti e Germania.
Come già accennato, il Canada è un esportatore netto di energia, quasi esclusivamente verso gli Usa, di cui è il primo fornitore mondiale di petrolio (circa 1,1 milioni di barili al giorno).
Sul proprio territorio il Canada ha le terze riserve stimate di petrolio al mondo (175,2 miliardi di barili), dietro soltanto al Venezuela e all’Arabia Saudita. Allo stesso tempo, Ottawa è il terzo produttore mondiale di gas naturale, con circa 170 miliardi di metri cubi all’anno (Gmc/a), dopo Russia e Usa. Il problema è che si tratta di petrolio derivante da sabbie bituminose, la cui estrazione è, allo stesso tempo, costosa e inquinante. Inoltre, la concentrazione dei giacimenti nell’ovest del paese fa sì che per il Canada sia più conveniente esportare il petrolio direttamente negli Usa occidentali piuttosto che internamente, verso la propria area orientale. Anche per questo, il Canada importa ingenti quantità di petrolio – circa 2 milioni di barili al giorno – per lo più dall’Algeria, principale partner commerciale in Africa, oltre che da Regno Unito, Nigeria, Norvegia e Arabia Saudita. Il consumo interno di gas naturale è invece di circa 85 Gmc/a, il che permette al Canada di avere un surplus da esportare (circa 60 Gmc/aa). Oltre alle risorse di idrocarburi, Ottawa ha altre due fonti principali di produzione di energia elettrica: l’energia idroelettrica e il nucleare.
Il Canada è anche il terzo produttore mondiale di energia idroelettrica dietro Cina e Brasile. Gli impianti di generazione di energia nucleare, che pesano per il 9,6% della produzione totale di energia elettrica, sono invece concentrati soprattutto in Ontario, nella parte orientale del paese.
Il Canada, tra i primi dieci paesi al mondo per emissioni di CO2, ha ratificato nel 2002 il Protocollo di Kyoto, ma successivamente è stato il primo paese a ritirarsi dall’accordo, nel dicembre 2011. Alla base di questa decisione risiedeva la preoccupazione del governo che i pesanti vincoli ambientali avrebbero potuto compromettere l’andamento dell’economia, a fronte di una congiuntura economica particolarmente difficile. La scelta di abbandonare il Protocollo di Kyoto è stata anche influenzata dalla volontà di sfruttare i giacimenti petroliferi non convenzionali.
Le forze armate canadesi sono composte da 66.000 militari in servizio attivo e l’esercito del Canada è tecnologicamente avanzato, anche grazie agli scambi con gli Usa. Nel 2008 il governo canadese ha approvato il nuovo programma ventennale per l’ammodernamento delle forze armate e la ridefinizione del concetto strategico (denominato ‘Canada First’), individuando le priorità che possano rendere le forze militari più adeguate ad affrontare le nuove sfide per la sicurezza del paese. In particolar modo, la sfida maggiore con cui il Canada ritiene di doversi confrontare nei prossimi anni è costituita dalla competizione per l’accesso alle rotte – principalmente quella del Passaggio a nord-ovest – e per lo sfruttamento delle risorse naturali della regione dell’Artico. Anche in questa direzione stanno andando gli investimenti del governo canadese nell’ammodernamento delle forze armate e, in questa prospettiva, il Canada coopera con il governo statunitense, anche in ambito Norad.
Lo sforzo maggiore dell’esercito canadese è stato comunque profuso negli ultimi anni in Afghanistan, dove ben 158 soldati hanno perso la vita; il Canada, tra i primi contributori della missione Isaf della Nato, rappresenta il terzo paese, dopo Usa e Regno Unito, per tributo di sangue versato sul campo. Le operazioni canadesi in Afghanistan si sono formalmente concluse il 12 marzo 2014, data dopo la quale gli ultimi 93 soldati che erano rimasti sul territorio hanno fatto ritorno a Ottawa.
Sempre sotto le insegne Nato, nel 2011 il Canada è stato anche direttamente coinvolto nelle operazioni Unified Protector in Libia, a cui ha partecipato con forze marittime. Inoltre, il comando operativo di tutte le attività è stato affidato a un generale canadese, Charles Bouchard. La partecipazione a operazioni di peacekeeping è tradizione molto radicata nel Canada. L’allora ministro degli esteri Lester Pearson fu, per esempio, il promotore della prima missione di pace, nel 1957, legata alla crisi di Suez, con la creazione della Forza di emergenza delle Nazioni Unite (Unef). Attualmente, le truppe canadesi sono impegnate su diversi fronti: Egitto, Haiti, Sierra Leone, Kosovo. Ottawa è anche molto attiva nella diplomazia per la sicurezza: la convenzione internazionale per la messa al bando delle mine anti-uomo fu firmata, nel 1997, proprio nella capitale canadese, da cui prese la denominazione informale di Trattato di Ottawa.
Tra Usa e Canada esiste una stretta relazione sia a livello globale sia a livello regionale. Dal primo punto di vista, i due paesi hanno ruoli di primo piano e collaborano in seno a organizzazioni e conferenze internazionali quali la Nato, il G8, il G20 e l’Apec. Un’eccezione di rilievo all’intesa bilaterale è stata l’operazione Iraqi Freedom, lanciata dalla Casa Bianca nel marzo 2003, in assenza di un mandato delle Nazioni Unite. Nell’occasione, il governo canadese ha deciso di non inviare il proprio esercito in Iraq e ha di contro intensificato la propria presenza in Afghanistan, liberando così truppe statunitensi per l’intervento in Iraq. Il Canada, inoltre, ha contribuito attivamente alla ricostruzione economica del paese. È tuttavia a livello regionale, e soprattutto sul piano economico, che i due paesi nordamericani hanno sviluppato più profondamente la loro cooperazione. Ogni giorno circa 300.000 persone e un volume di beni commerciali pari a circa 1,6 miliardi di dollari attraversano il confine tra i due stati. In ambito energetico, invece, il rapporto tra le due economie è in fase di transizione. Il Canada ha tradizionalmente esportato grandi quantità di petrolio e gas naturale negli Stati Uniti, ma la domanda statunitense di risorse energetiche è diminuita a seguito dei ritrovamenti di gas e petrolio di scisto nel proprio sottosuolo. La diminuzione del bisogno si intreccia inoltre con l’espressa opposizione degli Usa a comprare il petrolio ricavato dalle sabbie bituminose canadesi dovuta alle preoccupazioni ambientali generate dalle tecniche di estrazione usate. Costante resta invece la cooperazione alla sicurezza per la difesa del territorio: un esempio è fornito dal Comando nordamericano di difesa aerospaziale (Norad) che, istituito nel 1958, è tutt’ora tra i più efficienti strumenti di collaborazione bilaterale. A seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, Ottawa e Washington hanno inoltre costituito, in chiave antiterroristica, le Squadre di controllo integrato dei confini (Ibets) che hanno il compito di garantire l’integrità e la sicurezza dei confini condivisi e dei porti. Patti bilaterali sono stati siglati anche per la salvaguardia dell’ambiente. Canada e Usa condividono la regione dei Grandi Laghi, in cui sorgono città molto popolose e dove il controllo dei livelli d’inquinamento dipende dal reciproco impegno.
Il Quebec è la provincia più grande del Canada per estensione territoriale e la seconda per popolazione, dopo l’Ontario. Accoglie il 24% di tutti gli abitanti della Confederazione canadese ed è stata una colonia francese per circa due secoli, fino al 1763, anno in cui venne conquistata e colonizzata dall’Impero britannico. Ancora oggi il Quebec rappresenta un caso a parte all’interno del Canada, poiché è la sola provincia in cui l’unica lingua ufficialmente riconosciuta è il francese. La cultura francofona è ancora molto radicata e, per questo motivo, è in corso un dibattito interno sulla natura stessa della provincia. Nel 1980, un referendum popolare indetto per promuovere la separazione dal Canada è stato rigettato con una maggioranza del 59,6% dei voti; nel 1995 è stato riproposto e ha registrato il medesimo risultato ma con una maggioranza ancora più esigua: 50,6% contro 49,4%. Nel 2000 ha acquisito forza di legge il Clarity Act, che, secondo quanto stabilito dalla Camera dei comuni, sancisce un nuovo principio: il governo federale negozierà una secessione del Quebec solo se la domanda posta nel referendum sarà chiara e se si registrerà una maggioranza dei ‘sì’ superiore al 50% più uno dei voti. Nel 2006, tuttavia, la Camera dei comuni ha approvato una mozione simbolica che riconosce gli abitanti del Quebec come una ‘nazione all’interno del Canada’. Intanto la vittoria dei separatisti del Parti Québécois (Pq), ottenuta nelle elezioni locali del 2012, ha alimentato nuovamente le tendenze secessioniste.
Dopo quattro anni di trattative serrate, il primo ministro canadese Stephen Harper e il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso hanno siglato il 18 ottobre 2013 il Comprehensive Economic and Trade Agreement (Ceta), un accordo di libero scambio che potrebbe portare a un’intesa ancora più ambiziosa tra Bruxelles e Washington per il Transatlantic Trade and Investment Partnership.
La proposta è stata presentata da entrambi gli attori come un’incredibile opportunità di consolidamento dei rapporti economici e politici tra le due sponde dell’Atlantico. L’accordo rappresenta la più importante intesa di commercio bilaterale dai tempi del Nafta, nonché il primo trattato fra un’organizzazione europea e un’economia del G8.
Il trattato internazionale prevede l’eliminazione del 99% delle barriere tariffarie, un’armonizzazione degli standard tecnici che permetterà ai produttori auto europei esportazioni più facili, ma anche l’apertura del mercato degli appalti pubblici e dei servizi finanziari, nonché delle telecomunicazioni, dell’energia, dei trasporti, della chimica e del settore farmaceutico. La chiave di volta, però, è rappresentata dall’agroalimentare, con minori limitazioni sull’esportazione di latticini europei e sull’import delle carni canadesi.
Proprio questi punti sono stati alla base del rallentamento delle trattative in questi anni. L’intesa prevede, inoltre, misure concernenti appalti, investimenti e questioni relative alla proprietà intellettuale.
Un accordo di libero scambio avrebbe benefici economici tangibili sulle economie di entrambi i firmatari: secondo uno studio della Commissione europea, il Ceta produrrebbe un aumento annuale dello 0,08% del pil europeo e dello 0,77% di quello americano, con un aumento del 23% dei flussi commerciali, pari a 26 miliardi di dollari.
La particolarità delle riserve petrolifere del Canada sta nel fatto che, a differenza dei tradizionali giacimenti petroliferi, sono conservate nelle sabbie bituminose (tight oil). Si tratta di un tipo di petrolio molto più difficile da estrarre e da raffinare: le sabbie bituminose sono una miscela di argilla, acqua, sabbia, fango e bitume. Si tratta dunque di un petrolio allo stato solido o semi-solido. La lavorazione del bitume per ottenere petrolio è molto più costosa, non solo in termini economici, ma anche ambientali per gli alti valori di anidride carbonica sprigionati dalla lavorazione di questi fossili non convenzionali. Si calcola che per ottenere un barile di petrolio si producano circa 125 kg di CO2, a fronte di 29 kg di CO2 rilasciati dalla produzione di petrolio ‘convenzionale’. Il Canada, in risposta alle accuse internazionali di aumentare le emissioni di gas serra, ha creato un centro di stoccaggio della CO2 a Estevan costato complessivamente 1,4 miliardi di dollari, entrato in funzione nei primi mesi del 2014. Obiettivo del governo è ridurre le emissioni nocive del 20% entro il 2020.
L’Artico è una regione geografica che si estende per 30 milioni di km2 e conta circa quattro milioni di abitanti. Non è un continente (come lo è invece l’Antartide) poiché gran parte del territorio coincide con il Mar glaciale artico e le terre estreme di Canada, Danimarca (compresa la Groenlandia e le isole FærØer), Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Usa (attraverso l’Alaska).
Negli ultimi anni l’importanza geopolitica della regione artica è cresciuta per due fattori: le risorse naturali e le rotte navali. Si stima che l’area racchiuda il 25% delle risorse mondiali di idrocarburi non ancora esplorate e si ipotizza che, qualora il riscaldamento climatico continuasse agli attuali ritmi, l’Artico fornirà due vie di comunicazione strategiche, attualmente utilizzabili solo per poche settimane nella stagione estiva: il Passaggio a nord-ovest, attraverso l’arcipelago artico canadese, e il Passaggio a nord-est, lungo le coste della Siberia. La posta in gioco ha spinto in particolare Canada, Danimarca, Norvegia, Russia e Usa ad avanzare richieste di sovranità su territori internazionali – senza che, tuttavia, queste siano sfociate in aperte tensioni.
Il Canada ha optato per una politica di riarmo che gli ha consentito di pattugliare con maggiore efficienza il territorio artico; ha anche avviato un piano di controllo dello spazio aereo, il Norad, assieme agli Usa, nonostante questi siano potenzialmente un diretto concorrente per il controllo della regione. I principali contenziosi canadesi riguardano il tratto del Passaggio a nord-ovest nel Mare di Beaufort con gli Usa, e lo Stretto di Nares, tra la Groenlandia e l’isola canadese di Ellesmere, con la Danimarca.
La Russia, però, rimane il più temibile concorrente del Canada: le coste russe lambiscono buona parte della regione contesa, sotto la quale corre la piattaforma continentale che prende origine proprio dalle coste russe. Ed è questo che alimenta le rivendicazioni di Mosca. Non a caso, il presidente Vladimir Putin ha annunciato nel settembre 2013 la riapertura, dopo 20 anni, di una base russa sulla maggiore delle Isole della Nuova Siberia, un arcipelago a nord della Jakutia, per proteggere gli interessi russi sulle aree artiche rivendicate. Nel complesso, gli obiettivi principali del Canada sono l’esercizio della sovranità sui propri territori in base ai titoli storici e al diritto internazionale, la cooperazione con gli altri paesi del Consiglio Artico, soprattutto per quanto attiene la ricerca scientifica, e il controllo del Passaggio a nord-ovest.
Le sempre più forti rivendicazioni territoriali dei paesi della regione hanno conferito un ruolo rilevante al Consiglio Artico, il forum internazionale istituito a Nuuk, in Groenlandia, con la Dichiarazione di Ottawa del 1996, e che annovera tra i suoi obiettivi la promozione e la cooperazione in materia ambientale, energetica e di sviluppo sostenibile. Dal maggio 2013, l’Italia, al pari di Cina, India, Giappone, Corea del Sud e Singapore, ha ottenuto lo status di membro osservatore permanente dell’organizzazione.