CANAL, Giovanni Antonio, detto il Canaletto
Pittore e incisore. Nacque a Venezia nel 1697, vi morì nel 1768. Solo in questi ultimi anni si è venuta chiarendo la vita di questo caposcuola dei vedutisti veneziani del Settecento; ma non si può dire se ne sia compreso lo sviluppo e il significato. Il C. non si dedicò subito alla pittura prospettica, collaborando dapprima col padre, Bernardo, pittore di teatro, ma solo decisamente nel 1719 (quindi dopo lo svedese Jean Richter, che lavorava a Venezia nel 1717) allorché si adattò alla scuola del vedutista Luca Carlevaris. Fu certo il Carlevaris a persuaderlo di andare subito a Roma, e fu forse lui, più scienziato e matematico che pittore, a insegnargli l'uso di quella camera oscura di cui il C. si servì non poco. A Roma il C. poté conoscere G. A. Pannini, espertissimo nel fissare gli aspetti più caratteristici della città e nell'arricchirla di macchiette.
Era però nel C. un vero senso del colore, un gusto dell'arioso che, nelle opere tutte, ma specialmente nelle prime, diede alle sue vedute una superiorità pittorica, che va al disopra del programma. Le prime pitture a noi note, quelle, ad esempio, dipinte fra il 1725-1726 per il lucchese Stefano Conti, ora in Inghilterra, quelle per il duca di Richmond del 1728, lo fanno campione delle più belle conquiste. Sono di questo glorioso periodo tutte le tele maggiori della galleria del principe di Liechtenstein a Vienna, le grandi della galleria di Dresda, del museo di Grenoble e le due più tipiche della National Gallery di Londra: la Festa di S. Rocco e la Scuola della carità. Ivi la veduta documentale è animata dalla ricchezza del tono, e, ove occorre, dalla spigliata ricchezza dell'elemento umano delle macchiette. Nulla che richiami la fredda levigatezza della porcellana appare ancora nella sua arte fino alla gran veduta romana, con il Colosseo di Hampton Court, che reca la data 1743. Così dicasi del Fonteghetto della farina dei conti Giustiniani Recanati a Venezia e dei due grandi dipinti di casa Sormani a Milano.
Ma ecco affacciarsi i due viaggi in Inghilterra, di cui non è più possibile dubitare dopo le ricerche fondamentali di Hilda Finberg: il primo del 1746, il secondo del 1781.
Il C. dopo di allora s'irrigidisce, diviene più preciso, anzi meticoloso nella linea, liscio nel tocco, meccanico nelle figurine, ridotte a bioccoli sferici di pigmento, a virgolette intrecciate, non più larghe come nei primi dipinti e nei rari disegni per macchiette posseduti a Londra da sir Robert Witt.
Certo dall'Inghilterra il pittore tornò carico di ghinee ma diminuito d'arte, specialmente per influenza di quel degenere epigono del Vermeer, fortunatissimo a Londra, che era stato il fiammingo Jean van der Heyden. Che proprio il C. non sapesse più redimersi da questa visione cristallizzata, tipica delle tante pitture inglesi, prova in patria la Fantasia architettonica che il pittore stesso regalò all'Accademia, firmata e datata 1765.
Soprattutto da questo momento meno felice mosse il nipote Bernardo Bellotto, il quale rimane però il più geniale dei canaletteschi, e mossero tanto lo Scott, quanto i due Moretti, Giuseppe e Faustino, della Valcamonica, Francesco Tironi, Giovanni Migliara, giù giù sino all'accademico Vincenzo Chilone e al Moja.
Non resta che far cenno dell'attività bellissima del C. nel campo dell'incisione; cioè delle Vedute dedicate nel 1741 al console Smith: trentun pezzi di differenti dimensioni e senza numero, condotti, come disegni, all'acquaforte. Solo un'altra fantasia, rappresentante una borgata con nel mezzo un'alta chiesa a cupola, si può aggiungere alla serie; ed è dello stesso tempo e delle stesse dimensioni delle stampe maggiori. (V. tavv. CLVII-CLX).
Bibl.: I vecchi studî di R. Meyer, Die beiden C. Versuch einer Monographie d. radierten Werke beider Meister, Dresda 1878; di O. Uzanne, Les deux C., Parigi 1906 e di W. v. Seidlitz, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, V, Lipsia 1911, sono assolutamente superati. Cfr. G. Ferrari, I due..., Torino 1914; M. Stuebel, C., Berlino 1923; H. F. Finberg, C. in England, in Walpole Society, IX (1920-21), pp. 21-76; X (1921-22), pp. 75-78; H. Voss, in Rep. f. Kunstw., XLVII (1926), p. 8 segg.; G. Fiocco, La pittura veneziana del Seicento e Settecento, Monaco 1929, p. 61 segg. Per i disegni v.: D. v. Hadeln, Die Zeichnungen von A. C., genannt Canaletto, Vienna 1930. Vedi inoltre: G. Simonson, A. C. and his Painting in the Metr. Museum, in Art in America, II (1914), pp. 175-176; L. Cust, A "fête at Venice", attributed to A. C., in The Burl. Mag., XXV (1914), pp. 175-76; W. G. Constable, C. and Guardi, ibid., XXXIX (1921), pagine 298-304; T. Borenius, A Canaletto curiosity, ibid., XXXIX (1921), pagine 108-13; G. Simonson, A.C., ibid., XL (1922), pp. 36-41; W. G. Constable, Some unpublished C., ibid., XLII (1923), pp. 278-88; Th. Ashby e W. G. Constable, C. and Bellotto in Rome, ibid., XLVI (1925), pp. 207-14, 288-99; D. v. Hadeln, Some drawings by C., ibid., XLIX (1926), pp. 310-15; W. G. Constable, C. in England; some further works, ibid., L (1927), pp. 17-23; A. de Vesme, Le peintre-graveur italien, Milano 1906, p. 445 segg.