CANCELLERIA DELL'IMPERO
Durante il lungo regno di Federico II, si possono distinguere nella struttura della sua cancelleria e nella forma dei relativi documenti almeno tre ampie fasi, che a loro volta sono soggette ad alcune variazioni: I) il periodo in cui Federico è "rex Siciliae, ducatus Apuliae et principatus Capuae" (1198-1212); II) il soggiorno in Germania dall'autunno del 1212 all'estate del 1220; III) gli anni compresi fra l'autunno del 1220 e la morte sopravvenuta nel 1250, che quindi coincidono in sostanza con il periodo imperiale.
I. Quando Federico, all'età di appena quattro anni, dopo la morte della madre (28 novembre 1198) le subentrò nel governo, alle dipendenze del sovrano bambino lavorò fin dall'inizio una cancelleria pienamente funzionante, con a capo il cancelliere Gualtiero di Palearia (v.), il quale, presiedendo il collegio dei familiari, deteneva un ruolo direttivo nel Regno. La cancelleria era animata da elementi che erano stati attivi sotto Costanza e proseguirono nel loro lavoro senza soluzione di continuità. Qualcuno di loro aveva già servito nella cancelleria reale addirittura sotto re Guglielmo II o re Tancredi. Dei notai di Costanza ‒ in prevalenza provenienti dal continente ‒ nei primi mesi dopo il cambio di governo, troviamo "Mattaeus de Salerno", "Philippus de Salerno", "Mattaeus de Panormo", "Leo de Matera", Tommaso da Gaeta (v.) ‒ coinvolto evidentemente in missioni diplomatiche al servizio di Costanza, ma non nel lavoro della cancelleria, come in precedenza, sotto re Tancredi ‒ e due, o forse addirittura tre, anonimi, come "Isaias", che comunque è nuovamente documentabile solo nell'agosto del 1207. Furono queste forze a garantire la sopravvivenza delle usanze saldamente radicate nella cancelleria reale normanna, e in quest'ambito, in alcuni dettagli, ci si attenne palesemente alla tradizione dei documenti regi siciliani perfino più letteralmente di Costanza, la cui cancelleria in un primo tempo era stata esposta a svariate influenze da parte dell'ambiente tedesco. Di conseguenza, sotto Federico, il cancelliere, responsabile e capo della cancelleria, fu di nuovo menzionato nella formula "per manus" della datazione, che durante il regno della madre era stata soppressa, come pure fu ripristinato il nome dello scrivente nella "corroboratio". Costanza era tornata solo negli ultimi mesi del suo governo a queste modalità procedurali tradizionali. Costituiva un fattore d'importanza capitale in che mani si trovasse il sovrano bambino, in nome del quale ‒ nell'autentico o presunto interesse del Regno ‒ furono emessi i documenti fino al dicembre 1208, allorché Federico fu dichiarato maggiorenne. Concentrando l'attenzione sulla persona del cancelliere, una delle forze politiche decisive di questo periodo politico per molti aspetti ancora imperscrutabile, è possibile individuare quattro fasi nella vita della cancelleria: un primo periodo che si conclude con la partenza di Gualtiero di Palearia per il continente, alla svolta fra il 1200 e il 1201 o subito dopo, in seguito agli accordi con Marcovaldo di Annweiler (v.), al quale era stata ceduta la reggenza dell'isola (novembre 1200); la produzione di documenti nell'era di Marcovaldo di Annweiler e di Guglielmo Capparone (v.); il ritorno del cancelliere Gualtiero di Palearia a Palermo, nel novembre 1206, fino alla sua caduta nel febbraio 1210; il periodo compreso fra questa data e il mese di marzo del 1212, quando Federico ‒ rispondendo all'appello di un gruppo di principi tedeschi oppositori di Ottone IV ‒ "in imperatorem Romanorum electus" abbandonò il Regno e l'Italia sul finire dell'estate per dirigersi verso la Germania.
Dopo gli accordi con Marcovaldo di Annweiler, il lavoro della cancelleria procedette ancora per alcuni mesi ‒ seppur in forma ridotta ‒ senza deviare dalle antiche consuetudini ed è ancora attestabile una serie di funzionari del periodo precedente. Il quadro verosimilmente cambiò quando si ruppe l'intesa fra i due: Marcovaldo, dopo essersi impadronito di Palermo, il 1o novembre 1201 catturò con la forza il giovane re affidato alla protezione di Gentile di Manoppello, fratello di Gualtiero di Palearia. Nei mesi seguenti, fino alla morte di Marcovaldo (settembre 1202) e, in particolare, nel periodo del regime di Guglielmo Capparone, la produzione di documenti crollò fino a raggiungere i livelli minimi in assoluto. Non è chiaro chi abbia diretto la 'cancelleria' di Capparone; in uno scritto di Innocenzo III (1204) si parla una volta di un "protonotarius L." di cui peraltro non conosciamo il nome per esteso. La menzione dei notai fu nuovamente soppressa; solo pochi degli anonimi furono attivi più di una volta e non ritroviamo più nessuno degli elementi che avevano lavorato in precedenza. Si palesano mutamenti decisivi, per esempio nel computo differente degli anni secondo il calendario dell'Incarnazione, cioè nello stile pisano, e subentrano modifiche anche nella tecnica di fissaggio del sigillo pendente, che non è più assicurato per mezzo di quattro fori a losanga, disposti alla stregua di un quadrato posto sullo spigolo, ma tramite due fori. Nell'attività della cancelleria, in questa fase poco regolamentata, il sopravvenire del dominio dei capitani tedeschi, che poggiava su basi fragili, si manifestò soprattutto nella produzione ridotta di documenti. Pur tenendo nella debita considerazione la casualità di quanto si è tramandato, salta comunque all'occhio che per l'anno 1200, ad esempio, si possono contare ancora venti documenti, mentre per gli anni compresi fra il 1202 e il 1205 si arriva complessivamente a soli quattordici. In questo contesto è opportuno inoltre notare che alcuni di questi diplomi ‒ per esempio l'unico pezzo risalente al 1203 ‒ furono palesemente redatti per impulso di Gualtiero di Palearia che ne diede disposizione dal continente. Si è parlato, con qualche esagerazione, dell'esistenza di una "cancelleria secondaria" di Gualtiero (Schaller, 1957); in ogni caso, è un dato di fatto che alcuni documenti mostrano quegli usi tradizionali che ci sono noti dal tempo in cui Gualtiero decideva delle sorti di Palermo. Il cancelliere aveva evidentemente con sé il tipario a sigillo che gli consentiva di emettere documenti in nome del sovrano. Due documenti del febbraio 1202, i cui sigilli esistono ancora, recano invece l'impronta di un secondo tipario leggermente più grande ma di qualità inferiore, che Marcovaldo di Annweiler doveva essersi fatto realizzare ‒ in mancanza del tipario originale ‒ e di cui probabilmente si servì anche Guglielmo Capparone. Al periodo del suo regime non è comunque riconducibile nessuna singola impronta di sigillo.
Il ritorno al potere del cancelliere, nel novembre 1206, riportò una maggior uniformità nelle usanze tradizionali. Fu ripristinato come esclusivo sistema di datazione quello nello stile della Natività e furono di nuovo menzionati il cancelliere e il notaio. Gualtiero fu ora affiancato da un numero più consistente di notai ‒ in parte ereditati anche dall'epoca precedente, ma soprattutto forze nuove ‒ che dovettero fronteggiare una mole di lavoro decisamente accresciuta, soprattutto dopo il raggiungimento della maggiore età di Federico: "Robinus" di Policastro, "Pantaleo" di Matera, "Iacobus" di Capua, "Benedictus", "Bonushomo" di Gaeta e "Iohannes de Neritono". Ma l'evento decisivo fu la ricomparsa, pochi mesi dopo, di "Andreas" e di "Aldoinus", incontrati per la prima volta già nel 1201. Entrambi i personaggi ‒ il primo ascese poi alla carica di logoteta e in questa veste, nel dicembre 1212, era attestato in Germania, il secondo ottenne addirittura la dignità vescovile di Cefalù nel 1217 ‒ in seguito non solo smaltirono il massimo carico dell'attività, ma contribuirono in maniera determinante al consolidamento e all'omogeneità del lavoro della cancelleria, esercitando evidentemente in questo contesto una notevole influenza sui colleghi. Quando il cancelliere cadde in disgrazia nel febbraio del 1210 ‒ probabilmente gli fu imputato di aver dilapidato i beni della Corona nel periodo della reggenza e forse pesarono anche i suoi legami di parentela con la nobiltà del continente vicina a Ottone IV, che rappresentava una minaccia per il Regno ‒, il suo nome scomparve dalla riga della datazione, ma quest'evento non determinò una cesura nel lavoro della cancelleria. Ciò dimostra, da un lato, che il cancelliere non era coinvolto nel lavoro quotidiano della cancelleria e, dall'altro, che l'attività interna dell'ufficio ‒ non da ultimo grazie alle forze che svolgevano funzioni predominanti ‒ era pienamente consolidata. L'aspetto esteriore di un privilegio solenne, di un privilegio semplice e di un mandato erano ormai chiaramente definiti, come pure la normativa della loro formulazione.
Nel corso del 1210 alcuni notai, forse in connessione con la caduta del cancelliere, erano stati eliminati; in seguito, accanto ad "Aldoinus" e "Bonushomo" di Gaeta, che già conosciamo, figura nel Regno "Nicolaus de Petralia", che si aggiunse al gruppo nel luglio del 1210. "Aldoinus" nel 1212 si trattenne in Sicilia, mentre "Bonushomo" nella sua città natale di Gaeta si separò dal sovrano diretto al Nord. Durante i soggiorni a Roma in aprile sono menzionati nei documenti "Petrus" di Salerno e "Iohannes de Sancto Archangelo", poi "Philippus" di Matera in maggio a Genova, mentre "Iohannes" di Sulmona, attestato dal marzo 1212, seguì il re fino in Germania. Nei settantuno pezzi che si sono conservati in originale ‒ che fanno parte di un gruppo complessivo di cento- settantuno diplomi risalenti al periodo di regno siciliano di Federico II ‒ si possono individuare in totale sedici notai, che secondo l'uso della tradizione normanna sono menzionati per nome. In sedici originali non è citato o identificabile nessuno scrivente. Fra loro si annoverano quattro anonimi, che appaiono attivi più di una volta. Di norma, per il periodo che si conclude nel 1212 ‒ ed è questa la differenza essenziale rispetto alle usanze settentrionali della cancelleria ‒ si può partire dalla constatazione che dictator e mundator erano la stessa persona, cioè il "notarius et fidelis noster" citato nella "corroboratio". Solo in casi eccezionali, in cui il nome dello scrivente non coincide con la calligrafia, è fondato supporre che il personaggio nominato fosse responsabile esclusivamente della compilazione del testo.
Aspetto e articolazione del documento solenne seguivano una tipologia che si era configurata e consolidata nella tarda età normanna. L'"invocatio" verbale ‒ di regola introdotta da un chrismon cruciforme ‒ è presente approssimativamente soltanto in una metà dei documenti. È chiaro che in certi casi avrebbe dovuto essere riportata successivamente, ma ciò non avvenne. Quando è presente, è riconoscibile dalla disposizione spaziale, in quanto ‒ come accade anche con l'iniziale del nome del sovrano ‒ era spesso inserita in un secondo tempo all'interno di uno spazio lasciato in precedenza libero, un lavoro eseguito talvolta da una seconda mano, da un 'artista della scrittura', che palesemente era in grado di destreggiarsi meglio con la scrittura calligrafica. Di regola l'"invocatio" era eseguita ‒ in conformità con la tradizione siciliana ‒ in scrittura di apparato e distintiva di tipo ornamentale caratterizzata dall'uso di maiuscole decorate (fetten Majuskeln e Hohlmajuskeln). La scrittura allungata, che è corrente nei documenti settentrionali, e fu adottata talvolta nella cancelleria di Costanza sulla scorta del modello tedesco, non compare quasi mai. L'analisi delle preferenze dimostrate dai singoli notai mostra comunque ‒ sempre all'interno di una gamma di possibilità piuttosto ristretta ‒ alcune modifiche, sia nell'aspetto esteriore che nell'impaginazione, nell'arco del periodo che si conclude nell'estate del 1212. Prescindendo dall'assenza assai frequente dell'"invocatio" nel primo periodo, è la configurazione molto differenziata dell'iniziale del sovrano ‒ più spesso in lettera onciale che capitale, con un semplice tratto, ma anche in grassetto, corredata tuttavia abbastanza di rado da elementi ornamentali ‒ a introdurre l'elemento essenziale di distinzione. Sull'esempio delle iniziali T e C, moderatamente ingrandite nei documenti di Tancredi e di Costanza, anche le dimensioni dell'iniziale F nella maggior parte dei casi sono poco enfatizzate; spesso, addirittura, la lettera occupa una sola riga. Di norma il nome del sovrano, come accadeva per Tancredi e Costanza, è eseguito in scrittura del testo. Questa prassi si discosta nettamente dalla configurazione mostrata dai documenti a partire dal 1207, molto ridondanti e ormai omogenei, che coincide con il periodo successivo al ritorno al potere del cancelliere Gualtiero di Palearia nel tardo autunno del 1206. Furono i notai "Andreas" e "Aldoinus" a imporre le grandi forme della F in capitale ‒ che si estendevano su quattro-sette righe del testo sconfinando anche verso l'alto ‒ dotandole di una considerevole ornamentazione. Il nome proseguiva poi nella scrittura ornamentale dell'"invocatio". Questo tipo di impostazione caratterizza tutti i notai ascrivibili al periodo tardo, anche se in qualche caso, per mancanza di tempo, i contorni di un'enorme F non venivano riempiti interamente con la decorazione corrispondente. Non meno unitaria si presenta la struttura interna tradizionale dei documenti regi siciliani, dalla consueta formula del "salvator" nell'"invocatio", all'"arenga" ‒ la "publicatio" compare soltanto nelle scritture semplici ‒, a un passaggio narrativo molto stereotipo dall'"arenga" alla "dispositio", alla "corroboratio", introdotta con la proposizione "Ad huius rei memoriam et inviolabile firmamentum" o simili, che si conclude con l'indicazione della data formulata con "anno, mense et indictione subscriptis", fino alla datazione con la semplice segnalazione del mese ‒ senza menzionare il giorno ‒ e alla caratteristica indicazione dell'indizione al genitivo. L'espressione "felix urbs", epiteto della capitale Palermo, cioè del luogo di emissione dei documenti menzionato più spesso in questo periodo ‒ trattandosi della residenza del giovane sovrano ‒ si richiama all'antica tradizione normanna.
II. Negli anni che corrispondono al soggiorno di Federico a nord delle Alpi (dal settembre del 1212 all'agosto del 1220), ci confrontiamo con uno scenario completamente diverso, che a dispetto di tutta la varietà e le incongruenze che si possono constatare si riallaccia soprattutto alla tradizione salico-sveva. Questo periodo si apre con una fase di transizione relativamente breve. Già nell'ultimo documento rilasciato ancora in territorio italiano (Die Urkunden Friedrichs II., 2002, p. 170) ‒ uno strumento notarile per i cremonesi ‒, in una riga supplementare destinata alla datazione è menzionato per la prima volta con la formula "per manus" Bertoldo di Neuffen, vicedominus di Trento, nominato di recente protonotaro. Egli era andato incontro al re a Verona e potrebbe aver diretto i lavori in queste settimane durante la fase dello spostamento. I primi diplomi rilasciati su suolo tedesco, "in nobili civitate Basilea", sono tre documenti risalenti al 26 settembre 1212, destinati al re di Boemia e al margravio di Moravia (Regesta Imperii, V, 1-3, pp. 671-673), e lasciano trasparire la difficoltà di conciliare i documenti regi siciliani con gli elementi 'tedeschi'. È assai opinabile poter riconoscere nello scrittore dei documenti, sigillati ancora con la Bolla d'oro siciliana ‒ si cita un "Heinricus de Parisius notarius et fidelis noster", in cui Zinsmaier (1982) ha voluto identificare un membro del convento alsaziano di Pairis ‒, il notaio della cancelleria, in quanto è documentato in quest'unico giorno. La scrittura calligrafica in capitali incavate ‒ comunque l'"invocatio" trinitaria, che in due dei tre documenti si conclude con "amen" ‒ e la grande iniziale capitale del sovrano riccamente decorata aprono il documento. Nella "corroboratio" ‒ introdotta in due casi (Regesta Imperii, V, 1-3, pp. 671 e 673) dalla locuzione prepositiva, in uno dalla frase iniziante con "ut" ‒ si menziona il notaio scrivente. La datazione è bipartita: infatti alla prima parte ‒ che nel tipico stile 'svevo' è introdotta da "acta sunt hec", ma menziona solo il mese e dà l'indizione al caso genitivo ‒ segue una seconda che inizia con "dat.", in cui si segnala il giorno preciso e si nomina, con la formula "per manus", il viceprothonotarius Ulrico, mentre il protonotaro Bertoldo compare solo fra i testimoni. Una serie di testimoni ‒ estranei ai documenti regi siciliani ‒ è inserita, in un caso prima della datazione (ibid., p. 671), negli altri fra le due zone della datazione (ibid., pp. 672 e 673). In queste settimane l'"intitulatio" presenta, come in precedenza, il titolo regio siciliano nella sua integralità, ora preceduto tuttavia ‒ a differenza dell'uso consueto, prima che il sovrano facesse il suo ingresso in territorio tedesco ‒ dal titolo di imperatore eletto: "Fridericus divina favente clementia Romanorum imperator electus (et semper augustus), rex Sicilie, ducatus Apulie et principatus Capue", mentre la precedente formula "in imperatorem electus" non si trova che un'unica volta (ibid., p. 675). Già prima della rinnovata elezione a re dei Romani, il 5 dicembre a Francoforte, e della successiva incoronazione a Magonza, il 9 dicembre 1212, si trova per la prima volta quella formulazione dell'"intitulatio" ‒ in cui sono associati il titolo regio siciliano e quello romano ‒ che doveva restare valida fino all'incoronazione imperiale (1220): "Fridericus (Fredericus) (secundus) […] Romanorum rex (et) semper augustus et rex Sicilie", e precisamente si trova in due mandati a destinatari nel Regno di Sicilia datati 21 novembre e 3 dicembre 1212 (ibid., pp. 679 e 680).
Già nel dicembre del 1212 ‒ è significativo che si tratti di un documento rilasciato a Spira (ibid., p. 683) ‒ s'incontra per la prima volta in veste di ricognitore Corrado di Scharfenberg (v. Corrado di Scharfenberg, vescovo di Spira e Metz, legato imperiale), come "imperialis aule cancellarius" in rappresentanza dell'arcivescovo di Magonza Sigfrido, "Germanie archicancellarius", in un documento in cui compare inoltre, in una formula "per manus", il protonotaro Bertoldo di Neuffen che de facto aveva atteso al lavoro. Corrado di Scharfenberg, asceso frattanto al rango di vescovo di Metz e Spira, era stato protonotaro di Filippo di Svevia e in seguito cancelliere di Ottone IV; tuttavia aveva abbandonato quest'ultimo già nella primavera del 1212 per unirsi al partito schierato con Federico. Questo documento è palesemente il primo di Federico dal quale emerge la tradizionale struttura della cancelleria secondo le consuetudini tedesche: arcicancelliere, cancelliere e protonotaro, nonché notai, che restano anonimi. Insieme al cancelliere si misero al servizio del nuovo sovrano tre elementi della cancelleria di Ottone IV, che già avevano servito sotto Filippo di Svevia, e uno che era stato attivo addirittura sotto Enrico VI. Quindi Federico, in un arco di tempo brevissimo, si era procurato in un sol colpo il nucleo di una cancelleria che era pratica delle usanze invalse nei documenti regi svevi. Dopo l'elezione del protonotaro Bertoldo alla cattedra vescovile di Bressanone nel 1217, gli subentrò nella carica a corte in qualità di protonotaro Enrico (di Tanne), prevosto della cattedrale e di S. Stefano a Costanza.
La varietà dell'aspetto esteriore dei documenti risalenti a questo periodo ‒ su cui si è già richiamata l'attenzione ‒, come pure della loro struttura linguistica, è riconducibile in sostanza a tre circostanze che interagiscono reciprocamente: la quota elevata di scritture estranee alla cancelleria; il rapporto con l'eredità dei documenti regi tedeschi; l'incontro fra la tradizione tedesca e quella siciliana. Dei documenti prodotti in questi otto anni ‒ poiché superano le cinquecento unità, si tratta comunque in cifre assolute di una quantità rilevante ‒ allo stato attuale delle nostre conoscenze (Zinsmaier, 1982), oltre la metà è da ritenere un prodotto redatto fuori della cancelleria, che siano scritture dei destinatari o redazioni eseguite da scriventi occasionali. Prendendo in esame i pezzi ancora esistenti in originale, si tratta quasi di due terzi. Sono valori eccezionalmente alti, che oltrepassano quelli accertabili per tutti i sovrani del XII e XIII sec. e ‒ malgrado siano attivi contemporaneamente quattro o cinque elementi ‒ gettano una luce sull'attività non univoca della cancelleria in quest'epoca. Il diploma imperiale solenne, la cui tradizione affondava le sue radici nell'età franca, e che sul piano quantitativo aveva conosciuto un graduale regresso a partire dall'ultima fase di regno di Federico Barbarossa, molto spesso non mostra più l'antica articolazione tradizionale nella sua struttura. Ciò significa che sia nel testo, sia nella sua composizione grafica è possibile constatare un'ampia gamma di possibilità. Si osserva, per esempio, una crescente assenza della riga della "recognitio", e inoltre ‒ quando è presente il monogramma ‒ l'occasionale mancanza della riga col signum o la loro esecuzione in maiuscoletto o in scrittura del testo. Il monogramma è inserito in punti diversi dell'escatocollo, talvolta addirittura nel corpo del testo. Tutto l'escatocollo ‒ che non di rado è posto immediatamente a ridosso del corpo del testo ‒ in molti casi è scritto senza interruzioni: la successione delle parti con formule varia, e talvolta la riga di ricognizione è inserita nella datazione bipartita secondo l'uso staufico. Il blocco dei testimoni può scivolare occasionalmente dalla fine del testo centrale all'interno dell'escatocollo. Più ancora di questi elementi, è l'incremento molto rilevante di documenti che rappresentano forme ridimensionate del diploma solenne ad essere responsabile di questa spiccata varietà. I documenti presentano le variazioni più disparate tra la forma solenne e la stesura 'piccola' in un unico blocco di testo, senza che si sia sviluppata una tipologia vincolante. Di norma, in questi casi, mancano sia il chrismon che l'"invocatio" verbale; l'escatocollo è quasi sempre ridotto a una datazione abbreviata. Scritture più elevate presentano di regola la prima riga interamente in lettere allungate, mentre in forme più semplici solo il nome del sovrano, talvolta insieme a "secundus", è eseguito in scrittura ornamentale.
Sebbene nel 1212 alcuni elementi meridionali avessero accompagnato il sovrano in Germania, i notai tedeschi in un primo tempo esercitarono un'influenza determinante. A partire dalla metà del 1215, in particolare dal mese di maggio del 1216, quando la regina Costanza fu convocata da Federico in Germania insieme al piccolo Enrico, si può riscontrare nei documenti una crescita tangibile delle forze meridionali. È difficile quantificare quest'aumento e ‒ a prescindere dalle redazioni della stessa mano ‒ caratterizzare personalità individuali, come pure identificarle con nomi conosciuti di notai, anche in quanto i 'meridionali', seguendo le usanze locali, in Germania rinunciavano alla menzione del proprio nome; inoltre, non è possibile distinguerli sulla base di criteri di dettato, a differenza delle forze tedesche. In sostanza, sono loro i responsabili dell'accresciuta frequenza nel rilascio di documenti che prelude al ritorno del sovrano in Italia. Al 1219 si possono far risalire oltre cento disposizioni, nel 1220 ‒ per l'intero arco dell'anno ‒ si arriva quasi a duecento. Prendendo in considerazione la totalità del regno di Federico II ‒ come si desume dal materiale che si è conservato ‒, si tratta di vertici assoluti e di gran lunga superiori al resto della produzione, a eccezione naturalmente della situazione particolare del frammento di registro risalente al 1239-1240.
Fino a questo momento gli studiosi, per l'epoca compresa fra il 1212 e il 1220, hanno contato ‒ includendo anche "Heinricus de Parisius" ‒ tredici figure che svolgevano la funzione di notai della cancelleria (Zinsmaier, 1982), di cui otto tedeschi; nel gruppo spicca un notaio che ha all'attivo la redazione di circa quaranta documenti, identificato come Ulrico di Bollingen ‒ un uomo della 'prima ora' ‒ già al servizio come scrittore dall'ottobre del 1212. Un personaggio che emerge solo dal maggio del 1219 può essere definito unicamente come un 'probabile' tedesco. Tre erano italiani del Meridione, per quanto la ripetuta comparsa della loro mano consente di delinearne la fisionomia; uno di loro ‒ identificato sulla base di una menzione più tarda come "Iohannes de Lauro" ‒ si aggiunse solo nell'aprile del 1220, poche settimane prima di abbandonare il suolo tedesco. Un altro è stato definito specificamente come italiano settentrionale, il terzo genericamente come italiano. Se fino all'estate del 1212 l'ottantacinque per cento dei documenti era stato emanato per destinatari del Regno di Sicilia, ora la quota dei riceventi nel Regnum Theutonicum ammontava a quasi due terzi delle redazioni. Nondimeno oltre un quarto dei documenti ‒ risalenti soprattutto agli ultimi anni che precedettero il ritorno in Italia ‒ era sempre destinato al Meridione, al Regno di Sicilia e al Regnum Italiae. Sono state avanzate inizialmente alcune congetture in merito all'esistenza di cancellerie particolari o di sezioni interne alla cancelleria per la Germania, ovvero per l'Impero, e per il Regno di Sicilia, ma è stata ben presto riconosciuta la loro infondatezza. Nondimeno è possibile riconoscere un campo d'azione preferenziale dell'uno o dell'altro notaio: l'elemento definito come 'italiano del Nord', per esempio, lavorava quasi esclusivamente per destinatari del Regno d'Italia.
Il concorso fra notai dell'Impero, soprattutto tedeschi, ed elementi del Regno di Sicilia ‒ e questi ultimi sono un numero maggiore dei tre scrivani che, sulla base di alcuni diplomi di loro mano, sono ascrivibili probabilmente alle 'forze della cancelleria' ‒ si traduce, in una minoranza non irrilevante di documenti, in un quadro variegato, e di per sé totalmente asistematico, di contaminazioni reciproche. Sono ripresi con intensità diversa elementi tipici dell'aspetto esteriore dei documenti regi siciliano-normanni, come per esempio la grande iniziale decorata (Hohlinitiale) in capitale F e la differente scrittura calligrafica, ma anche caratteristici criteri linguistici, come la formula "del salvatore" nell'"invocatio", la configurazione della "corroboratio", la datazione abbreviata, il caso dell'indizione e la semplice menzione del mese senza indicazione del giorno. In certe circostanze si spazia dalla riproduzione integrale dei documenti siciliani fino all'accoglimento di alcuni elementi. I casi più interessanti ‒ e in sé differenziati ‒ sono quelli in cui si percepisce lo sforzo di approdare a una sintesi fra il diploma imperiale tradizionale e il documento regio siciliano. Erano principalmente le forze del contingente meridionale a confrontarsi ‒ con diversa efficacia ‒ con le caratteristiche della produzione documentaria tedesca. In linea di principio, l'obiettivo finale consisteva nel dare forma compiuta ai documenti di un "rex Romanorum". Nella prassi, ciò equivaleva spesso a collegare alcuni elementi caratteristici dell'introduzione dei documenti regi siciliani con l'escatocollo tedesco. Questo tipo di documento era rivolto sia a destinatari dell'Impero, soprattutto del Regnum Italiae, sia anche ‒ con una chiara preferenza ‒ a beneficiari del Regno di Sicilia. Per quanto concerne le forze tedesche ‒ incluse le stesure esterne alla cancelleria ‒ non sono state affatto soggette, o lo sono state solo moderatamente, a influenze meridionali. Nondimeno il periodo compreso fra il 1212 e il 1220 ‒ dopo un preludio durante il regno di Enrico VI che non ebbe particolari ripercussioni ‒ coincise con il primo intenso confronto fra usanze settentrionali e meridionali della cancelleria. In una prospettiva di lungo termine, la sua importanza consiste nel fatto che le forze meridionali entrarono in contatto con la tradizionale produzione di documenti imperiali, un evento che avrebbe avuto un notevole impatto sullo sviluppo del diploma federiciano in età imperiale.
III. I mesi successivi al ritorno di Federico II in Italia culminarono nell'incoronazione imperiale il 22 novembre 1220; in quest'occasione il nuovo imperatore consolidò la separazione giuridica fra Impero e Regno di Sicilia, mentre il papa si rassegnò all'unione di fatto sotto la persona di Federico. Se pure l'impiego di sigilli diversi rappresentò il segno tangibile di questa divisione, tuttavia fu attiva un'unica cancelleria ‒ nella quale furono predominanti in questo terzo periodo le forze meridionali ‒ per l'intero ambito geografico della sovranità di Federico II. Una parte dei notai ‒ fra cui Ulrico di Bollingen ‒ accompagnò il sovrano in Italia e rimase attestata ancora per un certo periodo. Un evento importante fu l'ingresso di sedici addetti nella cancelleria nel 1220 e nel 1221. Il ritorno in Italia, come pure le esigenze imposte dalle Assise di Capua (v.), determinarono un considerevole aumento della mole del lavoro. Tre funzionari ‒ "Iohannes" di Sulmona, "Petrus" di Salerno e "Mattheus" di Salerno ‒ erano già stati al servizio della cancelleria reale prima del periodo tedesco. "Iohannes de Lauro", che negli anni successivi sarà una delle forze di maggior spicco, aveva già lavorato per Federico negli ultimi tempi trascorsi in Germania. I nuovi soggetti provenivano senza eccezione dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Campania. Guido di Caravate, uno dei notai più importanti del primo periodo imperiale di Federico, era il solo originario dell'Italia settentrionale. Malgrado si percepisca già l'avvio di un processo di consolidamento della cancelleria, per circa due anni si avvertono ancora le conseguenze del lavoro non sistematico svolto in Germania, finché grazie alla mano di notai italiani estremamente competenti, soprattutto del Regnum Siciliae, saranno sviluppate (1222-1223) quelle forme di documento che nella presentazione esteriore e nella stilizzazione corrispondono ai requisiti di rappresentatività imperiale: una volta raggiunto un carattere di elevata uniformità, sono state applicate durante l'intero periodo di regno di Federico II.
Il diploma solenne nell'impostazione generale ricalcò dapprima l'aspetto dell'antico documento imperiale e fu usato per i destinatari dell'Impero, ossia del Regnum Theutonicum, del Regno d'Italia e del Regno di Arles. L'imperatore non poteva evidentemente rinunciare a questa forma, che corrispondeva anche alle aspettative dei destinatari. Si distingueva per l'impaginazione fortemente unitaria, le lettere allungate eseguite con rigore nel protocollo e nella riga con il signum, il chrismon di Eberardo, l'"invocatio" trinitaria, il monogramma, la serie di testimoni posizionata alla fine del testo e la datazione bipartita sveva. La struttura del documento si differenzia in linea di massima dall'antico documento regio siciliano, nonostante venga modellata dai rappresentanti meridionali della cancelleria. Questo apporto si esprime soprattutto in un accresciuto impiego di elementi ornamentali in associazione con forme in grassetto, per il chrismon, l'inizio dell'"invocatio", l'iniziale imperiale, ma anche per le iniziali all'interno del testo. Particolare attenzione era dedicata al nome dell'imperatore nella prima riga, composto in un alfabeto misto, spesso anche decorato, di lettere capitali e onciali (maiuscola gotica) in grassetto: in mezzo alla scrittura allungata lineare riceveva un risalto particolare. Il nome del sovrano rappresenta il perno intorno al quale si organizza il documento. Le lettere che seguono la F sono disposte sempre più spesso ‒ completamente o in parte ‒ a galleria su due file, talvolta addirittura con tre o quattro lettere una sull'altra. Dopo l'adozione del titolo di re di Gerusalemme nel novembre del 1225, l'"intitulatio" recitava: "Fredericus [Fridericus] secundus […] Romanorum imperator semper augustus, Ierusalem et Sicilie rex". Dall'antico formulario siciliano vengono mutuate la caratteristica introduzione della "corroboratio", l'indicazione dell'indizione al genitivo, la menzione del mese senza specifica del giorno. Alla fine del documento ‒ dopo la seconda parte della datazione introdotta da "dat." ‒ l'indicazione della data riassuntiva ("anno, mense et indictione prescriptis") si richiama alle usanze siciliane. Di norma non è data alcuna premessa per la riga di ricognizione. Nel complesso il documento finale che abbiamo di fronte coniuga, nella sua solennità, tradizione, modernità e monumentalità. L'adozione della Bolla d'oro ci è nota, solo per l'età imperiale, in ben centotrentacinque casi.
Un altro modello di documento ‒ che rappresenta la forma più alta per i destinatari del Regno di Sicilia, ma che occasionalmente era usato anche come seconda tipologia, meno sontuosa, per i beneficiari dell'Impero ‒ si situa nel solco del tradizionale documento regio siciliano. L'iniziale del sovrano in capitale o onciale, provvista di una ricca ornamentazione, è spesso posizionata prima del testo e si estende quasi sempre su più righe. Le altre lettere assomigliano a quelle del diploma solenne, ma è piuttosto raro che siano di-sposte a galleria. Poiché manca l'"invocatio", l'iniziale decorata introduce il documento, che normalmente si compone in modo peculiare di due piccoli blocchi, dove il primo si conclude con "anno, mense et indictione subscriptis". La formula devozionale adottata è "dei gratia", che sostituisce la consueta "divina favente clementia" del privilegio solenne.
Le scritture semplici ‒ per lo più strutturate in un blocco ‒ presentano un aspetto più variegato. La scrittura spazia dal corsivo poco elaborato al corsivo regolare cancelleresco, fino alla minuscola gotica documentaria che corrisponde a quella delle altre tipologie di documento. Queste scritture sono accomunate dall'abbreviazione del nome del sovrano, "Fr.", che può essere eseguita sia nella scrittura del testo, sia in maiuscola sontuosamente decorata ed estendersi su più righe. La datazione, che in molti casi è disposta alla fine su una riga particolare, compare abbreviata in modi diversi.
Malgrado la fitta produzione della cancelleria, tante volte oggetto di ammirazione soprattutto per il suo elevato livello linguistico ‒ bisogna pensare non soltanto a mandati e privilegi, ma anche, in particolare, ai manifesti e alle lettere, che si sono conservati in gran copia ‒, le nostre conoscenze sulla sua struttura gerarchica, ovvero sulla sua direzione, sono scarse. Il cancelliere ("imperialis aule cancellarius") in carica nel periodo tedesco del regno di Federico II, Corrado di Scharfenberg, si trattenne presso il re di Germania, il figlio dell'imperatore Enrico (VII), senza essere intervenuto nel lavoro concreto della sua cancelleria. Dopo la sua morte (1224), il vescovo Sigfrido di Ratisbona è attestato in questa funzione solo dal 1230. La riga di ricognizione, in cui avrebbe potuto essere menzionato il cancelliere imperiale, non rientrava nel formulario del documento imperiale federiciano, e anche a nord delle Alpi era in forte regresso. Se al di fuori del Regno di Sicilia, quindi de iure nel raggio d'azione dell'"imperialis aule cancellarius", è stata sporadicamente eseguita la forma 'integrale' del diploma antico, allora, accanto alla riga con il signum, è inserita talvolta anche una riga di ricognizione con il nome del cancelliere, quando è presente, come accade per esempio, in alcuni rari casi, con Sigfrido di Ratisbona. Questo dato di fatto non cambiò neppure quando l'imperatore si trattenne nuovamente piuttosto a lungo in Germania, nel periodo compreso fra il 1235 e il 1237. Sarebbe opportuno chiarire se si trattava soprattutto di stesure straniere che, essendo vincolate alla tradizione antica, nominavano il cancelliere. Tutto questo, de facto, non aveva nulla a che fare con il luogo in cui erano registrati i documenti ‒ e con la sua direzione ‒, che doveva fungere anche da cancelleria dell'imperatore ed era affidato interamente a forze meridionali. Se si prende in considerazione il Regno di Sicilia, Gualtiero di Palearia, caduto in disgrazia nel 1210, compare nel 1214 come datario di un documento della regina Costanza d'Aragona e del piccolo Enrico, ma nel 1221 perse definitivamente la sua carica di cancelliere siciliano che fino a quel momento aveva rivestito nominalmente. In seguito questo ruolo non fu più assegnato; solo sotto Corrado IV incontriamo di nuovo un cancelliere nella persona di "Gualterius de Ocra". Si possono avanzare solo delle ipotesi sui motivi per cui questa carica non fu più occupata. Fu forse, per analogia, l'abolizione della carica del cancelliere papale nel 1216 a suggerire la decisione (P. Rabikauskas, Diplomatica pontificia, Roma 1972, p. 56). O forse la causa risiedeva nel fatto che la cancelleria si collocava fra le due sfere di sovranità di Federico separate sul piano giuridico; o, detto in altri termini, comprendeva tutti e due gli ambiti, ed essendo competente per entrambi non si conciliava più con nessuna delle funzioni tradizionali; questa situazione potrebbe esprimere le premesse di una ristrutturazione radicale del lavoro della cancelleria in direzione di una riforma dello stato in senso burocratico. Comunque sia, è interessante notare che ignoriamo chi avesse voce in capitolo all'interno della cancelleria. Un altro indizio decisivo è che l'antica menzione tradizionale del datario nei documenti siciliano-normanni ricompare di nuovo solo nel 1247. Per il periodo che si apre nel 1243 la prospettiva si chiarisce quando Pier della Vigna ‒ che dal 1221 faceva parte della cancelleria come notaio, ma era stato coinvolto solo nell'esecuzione di pezzi particolarmente impegnativi sul piano linguistico e stilistico, soprattutto lettere e manifesti, poi era stato gran giudice di corte dal 1225 e competente dal 1239 per gli appelli in ultima istanza ‒ assunse palesemente la direzione della cancelleria, insieme con Taddeo da Sessa, come "imperialis aule protonotarius et regni Siciliae logotheta". Possediamo qualche notizia frammentaria su personaggi di spicco della cancelleria, senza però che a loro sia connessa la direzione di quest'ufficio. Per esempio, nel 1220 compare come protonotaro il camerarius Riccardo, che fino al 1227 circa deve aver svolto un ruolo determinante per le strette relazioni con la Curia papale (Schaller, 1957); nel 1222-1224 emerge l'abate Giovanni di Casamari, che deteneva la custodia del sigillo. La menzione dell'arcivescovo Simone di Tiro, nel gennaio 1226, come cancelliere del Regno di Gerusalemme potrebbe esprimere semplicemente un titolo onorifico (Kölzer, 1984).
Il numero complessivo delle menzioni di notai è ragguardevole: Schaller (1957) ha elencato oltre ottanta nomi solo per il periodo che copre il soggiorno del sovrano a sud delle Alpi. Poiché l'indicazione dei notai nella "corroboratio" si fa sempre più rara, solo in pochi casi è possibile l'identificazione dell'una o dell'altra mano associandola a questo o a quel nome. Negli anni Venti si notano come forze dominanti ‒ grazie al confronto delle mani che sono abbastanza riconoscibili ‒ "Iohannes de Lauro", "Iacobus" di Catania e Guido di Caravate. Personaggi spesso attivi nel periodo più tardo sono Guglielmo di Tocco, che incontriamo per la prima volta negli ultimi giorni del soggiorno in Germania, negli anni compresi fra il 1235 e il 1237, e "Nicolaus de Rocca" (dal 1245). Gli intervalli di tempo, spesso lunghi, che dividono il comparire delle stesse mani ‒ vuoti che non possono essere colmati sulla base di analisi del dettato ‒ suffragano l'ipotesi che numerosi notai, che godevano di un notevole credito per il loro status, fossero impiegati anche in altre significative funzioni dell'amministrazione: per esempio nelle finanze e nella giustizia, o nel servizio diplomatico. Questa circostanza spiega anche il numero elevato di nomi che emergono dalle fonti. Nel periodo tardo sono intervenuti occasionalmente anche notai cittadini, probabilmente con funzioni ausiliarie.
Le fonti sono poco eloquenti a proposito della situazione personale dei singoli notai. Sappiamo, per esempio, che "Iohannes de Lauro" nel 1231 ottenne un feudo imperiale nella contea di Caserta e che l'amministrazione imperiale gli concesse in affitto un fondo nel porto di Messina. Pier della Vigna e Taddeo da Sessa, secondo quanto è tramandato dal Quaternus de excadenciis et revocatis Capitanatae, avevano proprietà terriere e case a Foggia, la residenza prediletta di Federico nell'ultimo periodo di regno, e come loro anche altri notai, quindi personaggi che gravitavano intorno alla corte imperiale ‒ Pier della Vigna, tra l'altro, possedeva anche case a Capua. Al più tardi dal 1240, i notai cominciarono a ricevere una retribuzione regolare mensile, come apprendiamo dai mandati contenuti nel frammento del registro napoletano: con questo provvedimento s'intendeva porre un freno alla corruzione. Mentre in epoca normanna i notai provenivano dalle file dei laici, sotto Federico II anche i chierici svolsero un ruolo molto significativo. Gran parte dei notai apparteneva probabilmente alla borghesia benestante e colta delle città del Meridione italiano, soprattutto della Campania. La formazione giuridica e retorica di base richiesta dall'ufficio era impartita dalle numerose scuole giuridiche locali (Schaller, 1958), il necessario perfezionamento era assicurato in seguito dalla cerchia dei colleghi della cancelleria.
La diplomatica ha tratto vantaggio da tutte le indicazioni che consentono di farsi un'idea dell'andamento degli affari della cancelleria, sebbene, in generale, siamo ancora costretti a trarre le nostre conclusioni, con un certo sforzo, dai prodotti finiti, ovvero dai documenti rilasciati. Tuttavia, almeno per il periodo tardo del regno di Federico II, le nostre conoscenze sono buone. Ci vengono in aiuto, infatti, due fonti preziose ‒ seppure riguardanti solo ambiti specifici e non l'attività della cancelleria nel suo complesso ‒, la cui esistenza dimostra di per sé che il lavoro concreto della cancelleria nel periodo imperiale di Federico si pone al di fuori della tradizione imperiale sveva, e ha piuttosto il suo fondamento nell'ambito siciliano-normanno, sul quale è stato strutturato. La prima fonte è il frammento del registro napoletano che abbraccia il periodo compreso fra l'ottobre del 1239 e il maggio del 1240: essendo andato distrutto nelle devastazioni della guerra nel 1943, possiamo prenderne visione soltanto in fotografia. La seconda è l'ordinamento della cancelleria del gennaio 1244. Il frammento, che per questo lasso di tempo relativamente breve contiene circa mille registrazioni di mandati e scritture destinati all'amministrazione interna e finanziaria del Regno di Sicilia, ma nessun privilegio né documenti per l'Impero, consente nondimeno di gettare uno sguardo su un'attività regolamentata, in cui un gruppo di relatori, soprattutto membri o dirigenti di uffici della corte ‒ fra cui spiccano Pier della Vigna, Taddeo da Sessa e "Riccardus de Traiecto", ma anche in misura meno consistente funzionari di provincia siciliani ‒ su di-sposizione imperiale aveva dovuto rimettere ai notai l'incarico di produrre documenti, anche se in una serie di casi è accertabile un loro coinvolgimento per questioni particolari. Gli scrittori maggiormente impiegati ‒ all'occorrenza dovevano essere eseguite da dieci a dodici scritture al giorno ‒ erano "Petrus" da Capua e "Gualterius de Cusentia". Possiamo fare solo delle congetture sui periodi in cui è stato applicato questo modo di procedere ed è stata rilasciata una simile mole di documenti. È lecito ipotizzare che un'attività regolamentata si sia sviluppata gradualmente a partire dalla metà degli anni Venti. Come si può dedurre dagli Excerpta Massiliensia, estratti angioini dei registri di Federico II per gli anni compresi fra il 1231 e il 1248, bisogna prendere in considerazione almeno un altro registro, un "quaternus generalis", relativo ad affari privati, che quindi conteneva anche privilegi. L'ordinamento della cancelleria del gennaio 1244 riguarda i provvedimenti relativi all'arrivo di lettere e petizioni ‒ accolte da Guglielmo di Tocco o da "Iohannes de Idronto" ‒ fino al rilascio dei documenti. Le scritture che dovevano essere sottoposte all'imperatore erano separate da quelle su cui potevano deliberare personalmente i giudici di gran corte, Pier della Vigna e Taddeo da Sessa. Erano inviate ai due giudici dal cappellano Filippo ("de Sesso"); una volta presa la decisione e trasmesso l'ordine di redigere il documento, i notai erano tenuti a rilasciarlo nell'arco di due giorni. Le scritture erano poi sottoposte ancora una volta ai giudici di gran corte, prima di inoltrarle perché vi fosse apposto il sigillo. Per gli affari privati era prevista una lettura pubblica ‒ paragonabile all'audientia papale ‒ per consentire che fossero sollevate eventuali obiezioni. Infine i documenti prodotti dovevano essere siglati dal cappellano Filippo con la parafa, che in effetti troviamo su quasi tutti gli originali risalenti agli anni 1244-1246. Filippo aveva il compito di fare giurare ai destinatari dei documenti che non avevano esercitato nessuna forma di corruzione e di riscuotere la tassa per il sigillo.
La cancelleria di Federico II si è sviluppata fino a diventare uno "scrittorio ben organizzato" (Heupel, 1940), non nel senso moderno di un ufficio, ma comunque di un organo efficiente nella cornice dell'amministrazione generale (Schaller, 1957). Essendo inserita nella rete dei diversi uffici di corte e regionali, ha potuto essere funzionale alla progressiva burocratizzazione dello stato federiciano: un indizio eloquente di questo processo è il crescente e tangibile regresso dei privilegi a favore dei mandati e di analoghe forme mandatarie nell'ambito dei documenti rilasciati. Nell'aspetto esteriore e anche nella formulazione linguistica il documento di Federico II può aver eguagliato il documento papale, addirittura superandolo in certi casi. Tuttavia, malgrado i molti progressi ottenuti nell'uniformazione sistematica dell'iter burocratico e nella coerenza dei testi e delle tipologie di documento, la cancelleria dell'imperatore, seppure ben strutturata, non ha senz'altro raggiunto i vertici della cancelleria papale.
Fonti e Bibl.: per i documenti v. Historia diplomatica Friderici secundi. Préface et introduction, Parisiis 1859; Acta Imperii inedita; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum inde ab a. MCXCVIII usque ad a. MCCLXXII (1198-1272), a cura di L. Weiland, in M.G.H., Leges, Legum sectio IV, II, 1896 (rist. Hannover 1963); Die Urkunden Friedrichs II. 1198-1212, in ibid., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, XIV, 1, a cura di W. Koch, con la collaborazione di K. Höflinger-J. Spiegel, 2002. Per il frammento del registro del 1239-1240 v. Il Registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Vendittelli, Roma 2002. Sull'ordinamento della cancelleria cf. Acta Imperii inedita, I, pp. 733-739; E. Winkelmann, Sicilische und päpstliche Kanzleiordnungen und Kanzleigebräuche des 13. Jahrhunderts, Innsbruck 1880, pp. 1-10; Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […], a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901; V, 4, Nachträge und Ergänzungen, a cura di P. Zinsmaier, Köln-Wien 1983. Per un'introduzione storica alla cancelleria federiciana v. Die Urkunden Friedrichs II. 1198-1212, in M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, XIV, 1, a cura di W. Koch, con la collaborazione di K. Höflinger-J. Spiegel, 2002, pp. XIX-LIII; un'utile panorama riassuntivo anche in Th. Kölzer, Die sizilische Kanzlei von Kaiserin Konstanze bis König Manfred (1195-1266), "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 40, 1984, pp. 532-561. Per una bibliografia più specifica cf.: F. Philippi, Zur Geschichte der Reichskanzlei unter den letzten Staufern Friedrich II., Heinrich (VII.) und Konrad IV., Münster 1885; G. Ladner, Formularbehelfe in der Kanzlei Kaiser Friedrichs II. und die "Briefe des Petrus de Vinea", "Mitteilungen des Österreichischen Instituts für Geschichtsforschung", 12, 1933, pp. 92-198; W.E. Heupel, Der sizilische Großhof unter Kaiser Friedrich II., Leipzig 1940; P. Zinsmaier, Untersuchungen zu den Urkunden König Friedrichs II. 1212-1220, "Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins", 97, 1949, pp. 369-466; H.M. Schaller, Die staufische Hofkapelle im Königreich Sizilien, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 11, 1954-1955, pp. 462-505 (ripubblicato in Id., Stauferzeit. Ausgewählte Aufsätze, Hannover 1993, pp. 479-523); Id., Die Kanzlei Kaiser Friedrichs II. Ihr Personal und ihr Sprachstil, "Archiv für Diplomatik", 3, 1957, pp. 207-286; 4, 1958, pp. 264-327; P. Zinsmaier, Die Reichskanzlei unter Friedrich II., in Probleme um Friedrich II., a cura di J. Fleckenstein, Sigmaringen 1974, pp. 135-166; H.M. Schaller, Kanzlei und Hofkapelle Kaiser Friedrichs II., "Annali dell'Istituto Storico Italo-Germanico in Trento", 2, 1976, pp. 75-116; Ch. 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Traduzione di Maria Paola Arena