cancelleria della Repubblica fiorentina
Con il termine onnicomprensivo di cancelleria della Repubblica fiorentina si suole definire in genere (a partire dagli studi di Demetrio Marzi agli inizi del Novecento) un complesso apparato di professionisti della scrittura, del diritto e dell’eloquenza che accompagnò il consolidamento delle autorità centrali nel sistema politico fiorentino. Pur senza comporsi in una struttura unitaria e gerarchizzata per buona parte del 15° sec., questa varietà di figure nel palazzo dei Priori, l’odierno Palazzo Vecchio, aveva un ruolo di supporto all’attività politica e di governo, in quanto presiedeva ai flussi della documentazione pubblica di Firenze.
Le origini dell’apparato della cancelleria rimontano al 13° sec., allorché la memoria documentaria si impose come mezzo di prova nelle azioni giuridiche e utile strumento di governo. Nelle città italiane del Centro-Nord furono i notai i protagonisti di una ‘esplosione documentaria’ verificatasi particolarmente a partire dalla metà del Duecento, con l’affermazione dei ‘regimi di popolo’. I notai, diventati allora titolari della fides publica, vale a dire la capacità di attribuire piena credibilità e forza testimoniale alle scritture, furono a vario titolo chiamati al servizio dei differenti corpi sociali e delle strutture organizzative delle città. A Firenze, nel policentrico ordinamento comunale, frammentato era l’universo dei notai addetti alle scritturazioni ed era consuetudine che la maggior parte di essi, così come gli uffici ai quali essi erano addetti, assumesse l’incarico per un tempo determinato. In particolare, per appena un bimestre durava in carica il notaio del priorato, attestato dal 1285 (Gualtieri 2009, p. 205) e incaricato delle scritture dell’ufficio collegiale (composto di sei, poi otto, priori e un gonfaloniere di giustizia) che fra il 1282 e il 1293 si impose come espressione esclusiva del mondo delle Arti, ma che in seguito avrebbe rappresentato settori più ampi della cittadinanza interessati a un consolidamento dello spazio politico e alla sua estensione territoriale e, sul finire del Trecento, si sarebbe trasformato in una vera e propria signoria cittadina, titolare di una dinamica e spregiudicata gubernatio. Dalla fine del Duecento, tuttavia, alcuni tipi di scritture che riguardavano attività essenziali per la collettività cittadina furono affidate a notai appositamente assunti al servizio del comune con incarichi di lunga durata (un anno, rinnovato in alcuni casi a vita), che divennero così un punto di riferimento stabile e obbligato della vita politica e organizzativa cittadina.
Il notaio delle Riformagioni, citato nelle Provvisioni canonizzate del 1289 (Tanzini 2006) e disciplinato negli Statuti del podestà del 1325 (l. I, r. 9: Marzi 1910, pp. 545-47) era incaricato della redazione in pubblica forma di tutti quegli atti che, sottoposti all’esame dei consigli opportuni, costituivano il cuore del funzionamento della città, giacché attraverso la reformatio consiliare (voto di riforma) intervenivano a modificare il patrimonio delle consuetudini normative comunali. Egli aveva infatti il compito di stendere in pubblica forma le deliberazioni consiliari che costituivano il corpus consolidato della legislazione fiorentina, le cosiddette Provvisioni. Il primo titolare di tale incarico di cui si abbia notizia e si conservino gli atti fu Buonsignore di Guezzo da Modena (in carica dal 1280 fino al 1314). Tra i vari aspetti qualificanti l’apparato della cancelleria delle Riformagioni all’interno del sistema politico fiorentino non secondaria era l’attività di conservazione delle scritture. Con il tempo, e soprattutto dopo l’incendio della Camera del comune, seguìto alla cacciata del duca di Atene nel 1343, l’archivio delle Riformagioni si impose come il più autorevole e completo deposito dei titoli che legittimavano la costruzione della identità statuale fiorentina e come tale oggetto del più stringente controllo e condizionamento da parte del potere politico.
Un diverso notaio era invece titolare a Firenze della scrittura delle litterae, gli atti della corrispondenza con i potentati esterni e, successivamente, con soggetti interni al dominio fiorentino: il dettatore del comune, incarico da affidarsi a un notaio esperto anche nell’eloquenza (l’ars dictaminis). Citato nelle Provvisioni canonizzate del 1289, esso già negli Statuti del podestà del 1325 (l. I r. 9: Marzi 1910, p. 544) fu denominato anche cancelliere, titolo attribuito all’ufficiale deputato alle scritture delle autorità sovrane (imperatore, papa). Chello Baldovini è il primo notaio il cui incarico di dettatore risulti documentato (dall’11 dic. 1296), anche se la tradizione cittadina, espressa soprattutto dalla Cronica di Giovanni Villani (VIII 10), attribuisce a Brunetto Latini gli esordi di tale figura istituzionale. Il ‘cancelliere delle lettere’ divenne una presenza stabile nel palazzo dei Priori, dove risiedette almeno dalla metà del Trecento; a partire dalla guerra degli Otto santi (1375-78), con Coluccio Salutati, mutò il suo profilo, da tecnico notarile a funzionario, sull’esempio delle cancellerie signorili. Direttamente investito nelle sue funzioni dal priorato (fin dal 1325), il cancelliere giunse a qualificarsi come il tramite riconosciuto delle relazioni tra la città e le realtà esterne, tra l’autorità di vertice e le altre zone dello spazio politico fiorentino.
Dal tempo del cancellierato di Salutati una vistosa concentrazione di poteri si venne attuando nella figura del cancelliere. A spese del notaio delle Riformagioni, dal 1375 il cancelliere estese il controllo sulle scritture relative alle estrazioni agli uffici pubblici, le Tratte, oltre che sulle registrazioni delle Consulte e Pratiche, i verbali delle convocazioni segrete promosse dal priorato per affrontare le questioni di maggiore rilevanza politica, curati già dal 1348. Ma fu in particolare all’indomani del tumulto dei Ciompi, nel contesto del parlamento del 1° settembre 1378 in cui fu proclamata la totale e piena autorità del popolo fiorentino (Fubini 1987, p. 143), che la figura del cancelliere vide ribaltata la propria posizione di subalternità rispetto al notaio delle Riformagioni. Entrambi furono tenuti a prestare giuramento di fedeltà al priorato e dalla metà del Quattrocento sarebbero stati designati con il nuovo titulus di ‘ufficiali di Palazzo’, qualifica che accentuava la dipendenza del loro ruolo dal potere politico, stemperandone la ‘terzietà’ e aprendo l’accesso anche ai non notai, dal 1410 per la cancelleria delle Lettere, dal 1444 per le Riformagioni (Klein 2012).
Fra Tre e Quattrocento fu proprio la cancelleria delle Lettere a imporsi come il cuore pulsante nella elaborazione della nuova immagine di Firenze centrata sulla difesa della libertas delle sue forme ‘repubblicane’, ma in realtà proiettata a sostegno di un deciso imperialismo territoriale a spese delle altre città toscane (Arezzo, Pisa, Pistoia). Con l’ingresso di personalità di eccellenza, quali appunto Salutati e successivamente Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini e altri, gli strumenti della comunicazione pubblica furono riformulati. Mentre il linguaggio si arricchiva delle suggestioni introdotte dalla rilettura umanistica dei classici, le stesse tecniche di scrittura furono reinventate ispirandosi a un modello elevato, la scrittura libraria carolina risalente agli albori dell’impero carolingio. I carteggi pubblici fiorentini furono così adeguati al ruolo di «potenza grossa» (Fubini 2009b, p. 17) che Firenze riuscì ad aggiudicarsi sullo scacchiere italiano, e si imposero non solo come un modello per l’esercizio della diplomazia, ma anche come fonte di ispirazione per la riflessione politica e culturale in generale.
Dopo l’avvento al potere di Cosimo il Vecchio (1434), uno dei primi interventi medicei sulla cancelleria delle Lettere, allora retta da Leonardo Bruni, fu (12 dicembre 1435) lo scorporamento dell’ufficio delle Tratte, un settore nevralgico, da affidare a notai di sicura affidabilità per un regime che intendeva sottoporre a un vaglio strettissimo le procedure di abilitazione e accesso alle cariche pubbliche. Questa misura anticipò l’istituzione, nel 1437, di un secondo cancelliere. Nel 1457, alla vigilia della riforma istituzionale che introdusse un nuovo istituto di regime, il Consiglio dei cento, come secondo cancelliere fu nominato Antonio di Mariano Muzi che, attivo in cancelleria già dal 1436, vi rimase fino al 1494. Ufficialmente il secondo cancelliere era titolare delle lettere spedite a ufficiali e giusdicenti entro il distretto fiorentino, ma fin dalle sue prime prove il Muzi mostrò di impegnarsi sulla strada che lo portò a essere, a fianco dei titolari ufficiali della cancelleria, il vero detentore delle responsabilità decisionali e il punto di riferimento per le strategie di diretto condizionamento mediceo delle funzioni dell’esecutivo (Klein 1990).
In età laurenziana il regime fu in grado di inserire elementi di grande spessore culturale, selezionati tra i matricolati allo Studium, a sostegno di riforme ritenute dal Magnifico essenziali per la fondazione di una sua signoria personale, quali la creazione nel 1480 del Consiglio dei settanta, che negli intendimenti medicei avrebbe dovuto essere un senato vitalizio offerto in contropartita agli ottimati fiorentini. Tra i nuovi entrati vi furono infatti Cristoforo Landino, ma anche Filippo Redditi, Alessandro Braccesi o Francesco Gaddi. Con la riforma del 1483, a queste figure professionali fu attribuita la qualifica di segretari: essi erano funzionari di tipo nuovo, professionalità operative ufficialmente alle dipendenze del primo cancelliere, Bartolomeo Scala, ma in realtà duttili strumenti medicei utilizzabili in missioni diplomatiche straordinarie, selezionati sulla base della fedeltà personale verso quella che si avviava a diventare una casa regnante. I segretari costituirono un gruppo professionale ristretto, ma omogeneo, tenuto insieme da un tessuto di legami personali che trovavano un punto di riferimento comune nella famiglia Medici, della quale furono il principale strumento di dominio sulle istituzioni fiorentine. Tra i segretari, i due responsabili della seconda cancelleria, Antonio di Mariano Muzi, e dell’ufficio delle Tratte, Simone Grazzini (già notaio di casa Medici), erano considerati in particolare intercambiabili ed entrambi assegnati alla conservazione dei ‘secreta’, le serie documentarie prodotte dalla cancelleria delle Lettere: scritture formalmente sprovviste di pieno valore giuridico, ma considerate essenziali per il mantenimento dello Stato e per la trasmissione del sapere politico, che per tutta la durata della Repubblica fiorentina furono depositate a parte rispetto all’archivio delle Riformagioni.
Il tumulto antimediceo dell’8 novembre 1494 e l’avvento della Repubblica savonaroliana non provocarono, sulle prime, sensibili innovazioni nella cancelleria fiorentina: per quanto attiene al personale, furono sostituite unicamente alcune delle figure più compromesse con il regime precedente, quali l’ufficiale delle Riformagioni, Giovanni Guidi, e il segretario delle Tratte, Simone Grazzini; il primo cancelliere Bartolomeo Scala, invece, dopo una prima cassazione, fu reintegrato nel suo ruolo e per il nevralgico ruolo di secondo cancelliere, a seguito della morte di Muzi, fu scelto addirittura il filomediceo Francesco Gaddi. Da segnalare, tuttavia, l’affidamento al Consiglio maggiore della nomina dei cancellieri (prescritto dal febbraio 1498 anche per i coadiutori), il venir meno della qualifica notarile per tutti gli incarichi e l’istituzione della figura di un coadiutore ‘a vita’ per il notaio dei priori (Arrighi 1997). Quest’ultima fu una misura ad personam pensata per promuovere il filosavonaroliano Giuliano di Domenico da Ripa, ma costituì anche una prima manifestazione del mutamento istituzionale che portò, nel 1502, alla creazione del gonfalonierato perpetuo.
La chiusura dell’esperienza savonaroliana comportò invece una vera epurazione dei funzionari addetti alla cancelleria fiorentina. Gli avvicendamenti erano già iniziati il 13 febbraio allorché fu nominato alla prima cancelleria Marcello Virgilio Adriani al posto di Bartolomeo Scala, morto il 28 dicembre precedente; il 20 febbraio fu sostituito il notaio delle Riformagioni (subentrò Francesco d’Arezzo) e il 19 maggio fu eletto alle Tratte ser Antonio di Nastagio Vespucci (fratello maggiore di Amerigo). Il 19 giugno del 1498 M. fu inserito ufficialmente a Palazzo: nominato segretario, fu posto a capo della seconda cancelleria (Marzi 1910, pp. 281-89). Il momento era quello immediatamente successivo alla esecuzione della condanna sul rogo di Savonarola (23 maggio) e il brusco avvicendamento del personale fu probabilmente un effetto della frammentazione del quadro politico.
Se ancora non risulta chiarito quali forze sostennero l’ingresso in cancelleria di M., la sua nomina presentava alcune anomalie (Marzi 1910, p. 289): in primo luogo la giovane età del segretario, 29 anni, in rapporto alle responsabilità che gli furono attribuite di secondo cancelliere e, addirittura (dal 14 luglio), di cancelliere dei Dieci di Libertà e pace (o di Balìa), ufficio straordinario deputato alla gestione delle operazioni di guerra. La formazione culturale, almeno sotto il profilo formale non giuridica ed esterna rispetto ai circoli umanistici, e in particolare allo Studium, risultava altrettanto eterodossa. Come mostrano le sue lettere autografe, la scrittura personalissima di M. ostentava affinità con la mercantesca piuttosto che con la minuscola notarile o con la littera umanistica.
A differenza del primo cancelliere, che godeva di grande visibilità pubblica, spiccato profilo culturale e consistenti relazioni con il mondo degli optimates, e che a lungo tentò di conservarsi spazio nella direzione della diplomazia ufficiale fiorentina (cfr. ASF, Signori e Collegi, Deliberazioni speciale autorità, 40, in cui sono registrate di sua mano tutte le ambascerie ufficiali dal 1498 al 1512), il secondo cancelliere aveva un ruolo più coperto, operativo e marcatamente politico. Marcello Virgilio Adriani (→) era personalità di spicco negli ambienti intellettuali fiorentini: matricolato allo Studium fin dal 1480, vi tenne successivamente la docenza di importanti corsi (Godman 1998, pp. 239 e segg.) e dal 31 agosto 1507 fu incaricato della censura sulla stampa (ASF, Signori e Collegi, Deliberazioni ordinaria autorità, 109, c. 80v); nella cancelleria egli era ufficialmente il referente per la corrispondenza con gli oratori inviati all’estero, ma non riuscì che per breve tempo a conservare il controllo della verbalizzazione delle Consulte e Pratiche (nei registri la sua mano di scrittura infatti si dirada a partire dal 1499: cfr. ASF, Consulte e Pratiche, 65, c. 41).
In una situazione generale delle più delicate, in cui il dominio territoriale di Firenze era stato compromesso dalla ribellione di Pisa (1495), M. invece fu posto a supervisionare la tenuta dello Stato dalle minacce di disintegrazione latenti. Come secondo cancelliere, il segretario corrispondeva con i giusdicenti e i commissari inviati a capo delle terre sotto-poste, e come cancelliere dei Dieci interveniva sulla direzione della guerra, anche se a M. risultano attribuite le missive interne al dominio e non la corrispondenza con gli oratori inviati all’estero. Fin dagli inizi, lo spazio di manovra che egli riuscì ad aggiudicarsi fu decisamente extra ordinem: dalle serie della corrispondenza intrattenuta risulta che, a differenza dei precedenti cancellieri, M. procedeva a trascrivere sui copiari la gran parte delle lettere direttamente di propria mano, tenendo sotto controllo tutta la comunicazione con il dominio (cfr. ASF, Signori, Missive II cancelleria, 21-26, 28, 34, 38, 41; Dieci di Balìa, Missive interne, 50, 67- 87, 89-92; censite da Tommasini 1883-1911). Con una prassi inusitata, ma che dopo di lui sarebbe stata seguita correntemente in cancelleria, alcune lettere risultano addirittura personalmente inviate a o ricevute da M. in qualità di secretarius senza altra specificazione (cfr. ASF, Carte Strozziane, I serie, 137, cc. 197: missiva del 12 giugno 1506 a Giovanni Ridolfi commissario al campo a Pisa, e 207; o Otto di Pratica, legazioni e commissarie, 3, lettera inserita tra le cc. 62 e 63 responsiva a M. datata 15 sett. 1508). Un dinamico ruolo operativo è attestato soprattutto dalle sue missioni all’estero, in qualità di emissario diretto dei Signori o dei Dieci di Balìa: tra le più significative sono notoriamente quelle presso il re di Francia (tra il luglio 1500 e il genn. 1501), presso Cesare Borgia (nel 1502 e nel 1503), presso l’imperatore Massimiliano (dal 17 dic. 1507 al 16 giugno 1508) e di nuovo in Francia (dal 24 giugno al 19 ott. 1510 e dal 7 sett. all’11 nov. 1511). La sua qualifica non era di oratore (l’ambasciatore vero e proprio titolare di più ampio spazio di azione diplomatica e di regola appartenente al ceto ottimatizio), ma di mandatario. In questo specifico ruolo M. era chiamato a rispettare fedelmente l’istruzione ricevuta, secondo un vincolo stretto, racchiuso appunto nel mandato. Ma il suo compito era soprattutto quello di relazionare in qualità di osservatore, una funzione che egli riuscì a esprimere con una acutezza, lucidità di pensiero e originalità sino ad allora sconosciute: basti pensare alla nota lettera (ai Dieci) inviata già nel 21 novembre 1500 (BNCF, Carte Machiavelli I, 17 = LCSG, 1° t., pp. 519-26).
Un ulteriore margine di manovra si aprì a M. con l’avvento al potere di Piero Soderini (nov. 1502): tra le molte accuse mosse in seguito al gonfaloniere perpetuo circa i comportamenti pubblici che trasformarono la sua carica in un ruolo non più di primus inter pares ma quasi di principe, ci fu proprio l’uso personale e spregiudicato della cancelleria e dei segretari (Fubini 2009). Il 7 settembre 1512, quando al termine dell’esperienza soderiniana si progettò di riportare la carica di gonfaloniere da vitalizia ad annuale, i consigli fiorentini intesero anche porre rimedio all’abuso sino allora perpetrato nella cancelleria:
E acciò che si lievi ogni occasione di scandalo, si provveda che detto Gonfaloniere non possa in alcun modo, né per lettere, né per mandati, né in alcuno modo e sotto alcuno quesito colore [quesito colore: ‘modo pretestuoso’, ‘ragione simulata’] tenere pratica a’ casi di stato con alcuno principe o signoria e loro mandato sanza saputa e volontà di dua terzi almeno degli altri Signori […]. Né possa aprire lettera alcuna a lui in proprietà, o ad alcuno altro magistrato della città di Firenze sanza la presenzia e intendimento almeno di dua de’ Signori. E contenendo dette lettere casi di stato, sieno tenuti detti dua de’ Signori farne intendere el contenuto a tutti gli altri Signori infra uno dì almeno (ASF, Provvisioni Protocolli, 65, cc. 388v-89r).
Sotto l’autorità di Soderini la statura del segretario si accrebbe, assumendo i connotati del fiduciario del principe, del consigliere politico, in definitiva quella di uomo di governo. Tanto più la sua posizione acquistò peso e responsabilità quanto più la posizione del gonfaloniere perpetuo mostrava segni di vulnerabilità, diffondendosi tra gli ottimati l’opposizione alla sua supremazia. La missione di M. nel 1507 presso l’imperatore in Tirolo fu promossa dallo stesso Soderini: ufficialmente egli fu inviato ad affiancare l’ambasciatore Francesco Vettori per trattare «a bocca» (vale a dire direttamente) circa una possibile alleanza antifrancese; in realtà lo scopo era quello di ottenere in cambio da Massimiliano d’Asburgo l’investitura del gonfaloniere perpetuo a vicario imperiale. E per Soderini M. fu consigliere politico, per esempio, nel delicato momento della riforma del sistema militare fiorentino quando fu chiamato a sostenere e a dare forma al progetto di costituzione di un esercito di leva. Egli addirittura, invadendo il campo proprio del notaio delle Riformagioni, stese il testo (oltre che il discorso illustrativo) della proposta di legge che nel 1506 istituì il nuovo magistrato dei Nove di ordinanza e milizia. Nella persona di M. si concentrò allora anche la direzione della cancelleria dei Nove e, con questa, la responsabilità dell’organizzazione della leva e dell’esercito fiorentino.
Numerosi sono i nomi di coloro che facevano parte della cancelleria delle Lettere al tempo di M.; solo alcuni di questi figurano nelle registrazioni dei pagamenti dalla cassa del Monte delle graticole, incaricata della corresponsione del loro stipendio (cfr. ASF, Monte comune delle graticole, 1402, c. 32, anno 1506). Molti risultano invece nominati e remunerati con provvedimenti straor dinari che sanavano posizioni di servizio maturate già da tempo: ser Antonio di Giovanni della Valle, ser Ottaviano di Bartolomeo da Ripa, ser Luca di Fabiano Fecini, Filippo di Andrea Redditi, ser Iacopo di Ruffino, ser Raffaello Fedini, ser Agostino Vespucci, Biagio Buonaccorsi, addetti tanto alla cancelleria dei Signori che a quella dei Dieci, con una distribuzione negli incarichi individuabile soprattutto attraverso un esame delle mani di scrittura nei registri. Altri nomi ancora possono esser tratti dai protocolli di notai della cancelleria in cui sono citati, per esempio, anche ser Giovanni di Biagio di Salvatore da Poppi e ser Francesco di Tommaso da San Gimignano, assegnati alla cancelleria dei Nove di ordinanza e milizia (ASF, Notarile Antecosimiano, 4196, protocollo di Luca Fabiani detto anche dei Cappuccioni, sul quale cfr. Arrighi 2005).
Tra i tanti, va segnalato il lungo servizio di Antonio della Valle attivo già in periodo laurenziano, dagli anni Ottanta del Quattrocento, e rimasto fino alla morte, nel novembre 1511 (Marzi 1910, p. 295). Pur non riuscendo a ottenere la direzione della seconda cancelleria alla morte di Muzi nel 1494, egli aveva il ruolo di secretarius e fu investito di importanti incarichi, come la stesura delle lettere inviate fuori del dominio (ASF, Signori, I Cancelleria, Minutari, 1820), la registrazione delle condotte e degli stanziamenti tanto dei Dieci (dal 1496; ASF, Dieci di Balìa, Deliberazioni condotte e stanziamenti, 31) che dei Signori (dal 1499; ASF, Signori e collegi deliberazioni condotte e stanziamenti, 17, sottoscrizione a c. 123). Egli curò inoltre la verbalizzazione delle Consulte e Pratiche dal luglio 1499 al 5 agosto 1505 (ASF, Consulte e Pratiche, 65-67), allorché tale compito fu affidato prevalentemente a Biagio Buonaccorsi (ASF, Consulte e Pratiche, 68 e 69) fino all’agosto 1512.
Come è noto, vicini a M. furono, soprattutto, i coadiutori Biagio Buonaccorsi (documentato in cancelleria dal luglio 1499: cfr. ASF, Signori e collegi deliberazioni condotte e stanziamenti 17, c. 9v) e Agostino Vespucci: assistenti in palazzo e informatori di quanto avveniva in cancelleria quando egli era fuori in missione. Talmente affini, quasi «complici» secondo la definizione di alcuni studiosi (Godman 1998, p. 240), da condividerne le sorti quando egli fu allontanato dalla cancelleria al ritorno dei Medici, il 7 novembre 1512 (p. 235). Biagio Buonaccorsi è stato oggetto di ampi studi, meno noto invece è sinora rimasto lo sfuggente Agostino Vespucci.
Vespucci fu presente in cancelleria dal 1° dicembre 1494 (cfr. ASF, Dieci di Balìa, Deliberazioni condotte e stanziamenti, 34, c. 198v), ma solo dal 1498 ebbe importanti incarichi: nel 1499 fu inviato a Milano come cancelliere dell’ambasciatore Francesco Pepi a cui subentrò dal 13 settembre fino al 12 novembre (cfr. ASF, Signori e Collegi, Deliberazioni condotte e stanziamenti, 17, c. 93v; Signori, Responsive, 12 e 13, passim; Signori e Collegi, Deliberazioni speciale autorità, 40, c. 6). Come Buonaccorsi, egli fu autore di una vivace corrispondenza personale e professionale con M. cui si rivolgeva come a un «maestro», qualificandosi come suo «servitore» (20 sett. 1500, Lettere, p. 26) e «tuus tuissimus» (20-29 ott. 1500, p. 30), seppure con alcune riserve («tuus si suus», 8 giugno 1509, p. 188). A differenza di quanto sin qui conosciuto, recenti ricerche (Klein 2013, pp. 265-76) indicano che il coadiutore di M. si chiamava Agostino di Matteo di Giovanni Nettucci ed era originario di Terricciola, e non di Terranova come usualmente è stata indicata la sua provenienza (sulla base di indicazioni di Marzi). Di estrazione distrettuale dunque, addirittura proveniente dal contado della ribelle città di Pisa, Agostino Nettucci era notaio e abitava a Firenze nel popolo di S. Simone del quartiere di S. Croce, gonfalone Bue (ASF, Decima repubblicana, 12, c. 105, anno 1509). Il cognome Vespucci, secondo quanto rinvenuto recentemente da chi scrive in un manoscritto laurenziano (BMLF, ms. Strozzi, 54, c. 71), gli derivò da una affiliazione (presumibilmente nel 1493) al potente lignaggio che aveva la sua roccaforte nel quartiere di S. Maria Novella. Tale affiliazione era una pratica diffusa tra le grandi casate fiorentine, intesa a ricompensare la dedizione e i servigi di alcuni fideles ai quali veniva consentito l’uso del cognomen familiare da trasmettere ereditariamente ai discendenti. A seguito del servizio prestato come istitutore del giovane Giovanni, figlio di Guidantonio, famoso giurista, membro di spicco del reggimento laurenziano e incaricato di delicate missioni diplomatiche come quella presso il re di Francia nel 1478, Nettucci ottenne il privilegio di fregiarsi del cognome Vespucci di cui si avvalse, alternativamente rispetto al proprio, per tutta la durata del suo impiego pubblico in cancelleria.
Dai codici dispersi della sua biblioteca si rileva che attese allo Studium fiorentino tra il 1491 e il 1494, fu allievo del Poliziano, lettore di Cicerone, Aristotele, Ovidio, Temistio, Emanuele Crisolora, conoscitore della lingua greca oltre che del latino. In particolare la recente scoperta di un incunabolo conservato nella Biblioteca universitaria di Heidelberg (Probst 2008), annotato dalla sua mano fino all’anno 1530, offre una testimonianza inedita sulla cancelleria fiorentina e sugli ambienti politici e intellettuali che vi gravitavano attorno. Si tratta dell’edizione a stampa del 1477 delle Epistulae ad familiares di Cicerone, che fu usata dal notaio come manuale allorché attendeva allo Studium fiorentino e successivamente come lettura di riferimento esemplare. Il volume nel suo insieme (testo e postille manoscritte inserite a commento delle lettere ciceroniane) compone una sorta di zibaldone spirituale e testimoniale delle vicende del cancelliere.
Tra le postille che vi si trovano, famosa è quella relativa al dipinto della Gioconda di Leonardo da Vinci, in cui si afferma che esso era il ritratto di Monna Lisa Gherardini. La stessa nota, secondo recenti studi (Giontella, Fubini 2012, p. 241), indica anche che l’affresco della Battaglia di Anghiari era stato già avviato nel 1503 su commissione diretta del gonfaloniere perpetuo. Alcune altre postille invece apportano nuova luce sull’attività svolta da M. per conto di Piero Soderini. Una, scritta nello stesso 1503, sulla quale non è stata sinora posta sufficiente attenzione, accenna che già a quell’epoca M. attendeva alla stesura di una historia di Firenze:
1503. Ut vero Florentini dicere dal ’94 in qua possunt. Ut Nicolaus domini Bernardi de Malclavellis historiam horum temporum scribens, suo ordine, recensebit vere et eleganter, qui multis interfuit et valet iudicio.
Come davvero i Fiorentini possono dire dal ’94 in qua. Come Niccolò di Bernardo Machiavelli scrivendo la storia di quei tempi con suo ordine narrerà in modo veritiero e elegante; egli che a molte di tali vicende fu presente e vale quanto a giudizio,
con riferimento al passo ciceroniano Nichil est enim aptius ad delectationem lectoris quam temporum varietates fortunaeque vicissitudines. Quae etsi nobis optabiles in experiendo non fuerunt, in legendo tamen erunt iucundae («Niente diletta il lettore quanto le variazioni causate dai tempi e dalla fortuna. Queste, anche se non furono positive nella esperienza diretta, saranno tuttavia piacevoli a leggersi», Epistulae, libro V, c. 50v).
Già al tempo della riforma del 1483, tra gli incarichi attribuiti ai segretari della cancelleria era stata prevista la stesura di storie fiorentine che, affidata a Cristoforo Landino, era rimasta tuttavia senza seguito, interrotta dalla precoce scomparsa del Magnifico, assieme alle altre misure istituzionali laurenziane. La postilla farebbe pensare a una ripresa di quel progetto al tempo del gonfalonierato perpetuo. Il lavoro di M. per la scrittura di una nuova storia di Firenze era contemporaneo all’impresa, promossa da Soderini, del dipinto leonardesco della Battaglia di Anghiari, ed era presumibilmente, come quella, inteso a narrare le gesta del popolo fiorentino a conferma dell’autorità del gonfaloniere. A tale impegno Vespucci avrebbe nuovamente accennato, sia pure in maniera coperta, nell’epistola diretta a imprecisati «Florentinis» apposta come dedica al primo Decennale (ipotesi già sostenuta in Ridolfi 1954, 1978, p. 415):
Sarà ancora questo suo compendio non per pagamento, ma per arra di quello debole; il che più largamente e con maggiore sudore tuttavia si batte nella sua fabbrica. E benché lui assegni questo a Voi e quello a’ posteri [...] nondimeno li sarà grato che ‘uno e l’altro Vi piaccia.
E la raccolta di materiali documentari della cancelleria effettuati dallo stesso Vespucci, le postille e sottolineature rintracciabili in alcuni copiari dei Dieci di Balìa e degli Otto di pratica del periodo laurenziano (Arrighi, Klein 1992, p. 94), oltre ai vari estratti di lettere che si conservano tra le Carte Machiavelli (I 72), erano probabilmente pensati in funzione del lavoro storiografico di Machiavelli.
Del coadiutore Vespucci M. quindi si sarebbe avvalso non solo come fedele esecutore, ma anche come interlocutore intellettuale e fonte non secondaria di ispirazione per le sue riflessioni e narrazioni sulla politica e sul destino di Firenze. Con M. Vespucci appare aver condiviso lo spirito di ricerca, la spregiudicata osservazione della realtà, l’entusiasmo per un progetto di rinnovamento della vita politica fiorentina centrato sulla figura di Soderini, progetto al quale partecipò con risorse culturali di grande spessore (testimoniate dalle sue considerevoli letture).
Al ritorno dei Medici, anche Vespucci dovette sopportare la progressiva esclusione dalla vita politica. Se non fu subito espulso dalla cancelleria, egli pur-tuttavia, dopo la nomina del mediceo Niccolò Michelozzi a secondo segretario, fu inviato in Spagna (il 30 ag. 1513 era in partenza da Genova) al seguito del-l’ambasciatore Giovanni Corsi. Le numerose lettere indirizzate direttamente a Michelozzi lamentavano quello che egli sentiva come un esilio, chiedevano ripetutamente che gli fosse consentito di tornare in patria. L’8 febbraio 1516 (BNCF, Ginori Conti, 29, 107) ottenne finalmente la licenza, ma appena un anno dopo, il 2 gennaio 1517 fu rimosso dalla cancelleria (ASF, Otto di Pratica, Deliberazioni, 6, c. 57v). Non diversamente da M., Vespucci cercò la strada di un possibile ravvicinamento ai Medici. Ed è in questa prospettiva che egli dedicò nel 1520 al cardinale Giulio, futuro Clemente VII, un manoscritto con la descrizione De situ Hispaniae (BAV, ms. Ottob. Lat. 2104), senza successo peraltro. Le postille inserite sul codice di Heidelberg recano tracce della sua disillusione nei punti in cui rimarcano il triste parallelismo tra Firenze e la Roma ciceroniana. A c. 73r delle Epistulae ad familiares (libro VII) in corrispondenza del passo addo etiam cum ea urbe careas: in qua nihil sit quod videre possis sine dolore («Aggiungo, anche, circa il fatto che senti la mancanza di questa città, che in essa non c’è niente che tu possa vedere senza dolore»), egli annotò Nunc sic Florentie: 1522 («Ora così è a Firenze: 1522»).
Bibliografia: ASF, Archivi della Repubblica fiorentina; BMLF, ms. Strozzi 54; BNCF, ms. Magl. VI 175; Carte Machiavelli; Carte Ginori Conti; BAV, ms. Ottob. Lat. 2104; M.T. Cicerone, Epistulae ad familiares, Bologna 1477 (http://digi.ub.uni-heidel berg.de/ diglit/cicero1477/0001,15 maggio 2013); Statuta populi et comunis Florentiae publica auctoritate collecta castigata et praeposita anno salutis MCCCCXV, 3 voll., Friburgi [Firenze] 1778; Le Consulte della Repubblica Fiorentina dall’anno MCCLXXX al MCCXCVIII,a cura di A. Gherardi, 2 voll., Firenze 1896-1898; Statuti della Repubblica fiorentina, a cura di R. Caggese, Firenze 1910-1921 (nuova ed. a cura di G. Pinto, F. Salvestrini, A. Zorzi, 2 voll., Firenze 1999); Consigli della Repubblica Fiorentina, a cura di B. Barbadoro, 2 voll., Bologna 1921-1930 (rist. anast. Bologna 1970-1971); Le Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina nel Quattrocento, 1° vol., Cancellierato di Coluccio Salutati (1401), a cura di E. Conti, Pisa 1981; Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina: 1505-1512, a cura di D. Fachard, Genève 1988; Le Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina nel Quattrocento: 1404, a cura di R. Ninci, Roma 1991; Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina: 1498-1505, a cura di D. Fachard, 2 voll., prefazione di G. Sasso, Genève 1993; Provvisioni concernenti l’ordinamento della Repubblica fiorentina 1494-1512, 1° vol., 2 dicembre 1494-14 febbraio 1497, a cura di G. Cadoni, Roma 1994; I Consigli della Repubblica fiorentina. Libri fabarum XVII (1338-1340), a cura di F. Klein con prefazione di R. Fubini, Campobasso 1995; Le Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina nel Quattrocento: 1405-1406, a cura di L. De Angelis, R. Ninci, P. Pirillo, Roma 1996; I Consigli della Repubblica fiorentina. Libri fabarum XIII e XIV (1326-1331), a cura di L. De Angelis, con prefazione di J.M. Najemy, Roma 2000; Provvisioni concernenti l’ordinamento della Repubblica fiorentina 1494-1512, 2° vol., 12 maggio 1497-29 dicembre 1502, a cura di G. Cadoni, G. Di Sciullo, Roma 2000; Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina: 1495-1497, a cura di D. Fachard, prefazione di G. Cadoni, Genève 2002; L. Tanzini, Il più antico ordinamento della Camera del Comune di Firenze: le Provvisioni Canonizzate del 1289, «Annali della storia di Firenze», 2006, 1, pp. 139-79 (http://eprints.unifi.it/archive/00000855/ 01/06_SdF_1_ 2006_Tanzini_documenti.pdf, 15 maggio 2013).
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