CANCELLERIA
. Il palazzo detto della Cancelleria fu edificato dal cardinale Raffaele Riario nipote di Sisto IV. L'Aretino, in una lettera e nel Ragionamento de le Corti, asserisce che il Riario edificò il proprio palazzo con denari vinti al gioco da lui a Franceschetto Cibo, figlio d'Innocenzo VIII. L' Infessura inoltre ci narra che Franceschetto nel 1489, si dolse col papa per la perdita e che il Riario chiamato dal Pontefice, rispose di aver speso il denaro vinto "in ligneis et cementis et mercedibus fabrorum eo quod struebat eius palatium in platea Sancti Laurentii in Damaso". Da questo passo e da una lapide che fu letta dal Ciacconio al disopra di una finestra del primo piano della facciata, si deduce che nel 1489 la costruzione già da qualche tempo aveva avuto inizio. Nell'anno 1495 era stato portato a compimento il secondo ordine della facciata: ce lo testimonia l'iscrizione che si legge sulla cornice che si stende al disopra delle finestre del piano nobile: Raphael Riarius Savonensis Sancti Georgi Diaconus Cardinalis Sanctae Romanae Ecclesiae Camerarius templum divo Laurentio Martiri dicatum et aedis a fundamentis sua impensa fecit MCCCCLXXXXV Alexandro VI P. M. La costruzione, continuata negli anni successivi e sospesa nel 1499, allorché il Riario dovette abbandonare Roma per i suoi contrasti col duca Valentino, fu ripresa nel 1503. Nel 1511 tuttavia non era stata ancora portata a termine, ché sulle finestre del fianco che guarda sull'odierno corso Vittorio Emanuele si legge il nome di Riario seguito dal titolo di Eps Ostiens, vescovo di Ostia, alla quale dignità il cardinale fu elevato l'anno 1511. Ma è da ritenere che nel 1517 il palazzo fosse compiuto, poiché il cardinale Riario, che in quell'anno partecipò alla congiura ordita dal card. Petrucci per uccidere Leone X, scoperto come complice, dovette sborsare 50.000 ducati e firmare un'obbligazione per cui alla sua morte il palazzo sarebbe divenuto proprietà della Cancelleria apostolica.
Nessuna antica documentazione ci fa conoscere il nome dell'architetto del palazzo. Giorgio Vasari che visse a Roma e che lavorò nelle sue sale non molto tempo dopo il compimento, nella vita del Bramante parla brevemente della sua edificazione: "Trovossi Bramante con molti altri eccellenti architetti alla risoluzione di gran parte del palazzo di San Giorgio e della chiesa"...; della fabbrica "fu esecutore un Antonio da Montecavallo". La tradizione ha sempre attribuito il palazzo a Bramante; contro questa convinzione insorsero gli studiosi, perché Bramante sarebbe venuto per la prima volta a Roma nel 1499, allorché i lavori del palazzo progredivano già da più di dieci anni.
Che il palazzo sia frutto di due distinte epoche e di due architetti diversi si può notare facilmente a un'attenta osservazione. In un primo tempo s'è costruita la facciata, il lato che dà su via del Pellegrino e parte del tergo; in un secondo tempo il lato che dà su corso V. Emanuele, il cortile e il resto del tergo. L'edificatore della facciata e delle altre parti che abbiamo detto costruite in un primo tempo rifugge dai pronunciati aggetti; i cornicioni si profilano timidamente, lesene e paraste sono tenuissime, in tutto è un certo senso di stiacciato, di stirato, di rasato, col quale contrasta la ricchezza degli ornati fitti e precisi dei pilastrini che fiancheggiano le finestre e delle balaustre dei balconi d'angolo.
Il suo autore era un architetto abituato a comporre monumenti di piccola mole, e che s'è trovato quasi a disagio nel realizzare un palazzo tanto grande; egli ha quindi cercato di porre riparo, diciamo così, a questa sua manchevolezza allungando e stirando le cornici e le modanature con cui usava cinghiare le sue minuscole costruzioni. Ed egli è certo un lombardo, come appare dalle finestre del primo piano e dal modo con cui è sfruttato l'elemento cromatico del mattone. Fra i lombardi che in quel tempo erano a Roma, chi può con qualche probabilità aver costruito la parte più antica della Cancelleria è quell'Andrea Bregno da Osteno, che fu imprenditore di lavori, decoratore, e capo d'una vasta bottega donde uscivano i monumenti funebri e le edicole che sulla fine del secolo XV hanno popolato le chiese di Roma; edicole e monumenti nei quali prima che altrove appaiono gli elementi tipici (finestre, candelabri, cornici, capitelli) che, allungati, stirati e ampliati, rivediamo nella Cancelleria. Andrea Bregno, che abitava presso il Quirinale, era detto anche Andrea Montecavallo; il Vasari dice che esecutore della Cancelleria fu un Antonio Montecavallo. V'è dunque tra la conclusione cui si giunge attraverso l'esame stilistico e ciò che dice il Vasari la diversità d'un nome di battesimo; errore che in Vasari si ripete altre volte.
Nella parte del palazzo che abbiamo detto edificata in un secondo tempo, cioè intorno al 1511, quella deficienza, quella timidezza tipica della parte più antica non appaiono. Chi fu chiamato a continuare l'opera lasciata incompiuta dallo scultore architetto lombardo non lasciò la via segnata da quest'ultimo; gli elementi architettonici rimasero fondamentalmente gli stessi, ma vennero elaborati con intendimenti nuovi e in maniera veramente mirabile. Le linee chiare e semplici del fianco su corso V. Emanuele, dove il senso vivo della massa è esaltato nei due corpi sporgenti, si fanno pura armonia nel cortile, ch'è tra le più alte manifestazioni architettoniche del Rinascimento. Di pianta rettangolare, è diviso in tre ordini, i primi due ad arcate sostenute da colonne con capitelli dorici, il terzo formato da una parete di mattoni, divisa, come il lato esterno su corso V. Emanuele, in specchi rettangolari da paraste, sui cui capitelli grava il breve cornicione. Per questa parte dell'edificio la tradizione ha costantemente ripetuto il nome di Bramante. E a noi sembra che quanto disse il Vasari e quanto ha ripetuto per secoli la tradizione sia la verità, considerando che il palazzo della Cancelleria, come abbiamo già detto, fu ultimato dopo il 1511; e l'attribuzione è confermata dai raffronti col palazzo del cardinale di Corneto, ora Torlonia, in piazza Scossacavalli.
La soluzione architettonica segue, particolarmente nella parte alta, come nel fianco su corso V. Emanuele, quella del palazzo ducale d'Urbino, del palazzo Passionei, del palazzo ducale di Gubbio, ma è ben più perfetta, quanto in genere la produzione di Bramante rispetto a quella di Luciano Laurana o dei Lauraneschi. La mirabile risoluzione degli angoli ce lo dice chiaramente. E tutto il palazzo ci rappresenta uno dei più meritamente celebri esempî dell'architettura di transizione fra il Quattrocento e il Cinquecento in Roma.
Durante il sacco di Roma del 1527 il palazzo fu saccheggiato; in quel tempo vi dimorava il card. Giulio Colonna, vice cancelliele di S. R. Chiesa. Nell'anno 1546 Giorgio Vasari per ordine del card. Farnese decorò una delle grandi sale del primo piano con affreschi esaltanti i fatti della vita di Paolo III, e compì il lavoro in soli 100 giorni; onde quella sala fu detta appunto dei cento giorni. Francesco Salviati decorò la cappellina nell'interno del palazzo e Pierin del Vaga altre parti dell'edificio.
Dal sec. XVI il palazzo è sede degli uffici della cancelleria apostolica; e in esso è l'abitazione del cardinale vice cancelliere. Al tempo della Repubblica romana vi fu installato il tribunale. Nel 1848 v'ebbe la sua sede la Camera dei deputati dello stato pontificio, e il 15 novembre di quell'anno ai piedi dello scalone venne ucciso Pellegrino Rossi, ministro del governo pontificio. Nel 1849 fu sede della Camera dei deputati della seconda Repubblica romana. Nel 1870 rimase proprietà della Camera apostolica, che vi conservò gli uffici della cancelleria apostolica e di altre istituzioni di carattere religioso. Per il concordato fra il regno d'Italia e lo Stato pontificio conchiuso nel 1929, il palazzo gode i privilegi della extraterritorialità. In esso è incorporata la Basilica di S. Lorenzo in Damaso.
Bibl.: H. Geymüller, Die Architektur der Renaissance in Toscana, Monaco 1885-88; D. Gnoli, La Cancelleria ed altri palazzi di Roma attribuiti a Bramante, in Archivio storico dell'arte, 1892; id., La Cancelleria e la porta dei Borsari di Verona, in Archivio storico dell'arte, 1892; E. Lavagnino, Il palazzo della Cancelleria e la chiesa di S. Lorenzo in Damaso, Roma 1924; id., Andrea Brego e la sua bottega, in L'Arte, 1924.