Vedi CANDELABRO dell'anno: 1959 - 1994
CANDELABRO (v. vol. Il, p. 304)
Nell'ultimo ventennio accanto a numerose ricerche sulle lucerne antiche sono comparsi anche alcuni studi sui c.; tuttavia ancora oggi manca un lavoro complessivo sulla tipologia, la cronologia e l'iconografia dei c. antichi, quale aveva annunciato Messerschmidt nel 1933.
Con la denominazione di c. s'intendono oggi, nella letteratura archeologica, tutti gli oggetti in grado di sorreggere fiaccole, candele o lampade. Sin dall'epoca minoico-micenea in Grecia, Asia Minore, Cipro e Palestina venivano adoperate di solito lampade a olio ma non manca qualche esempio di candeliere (Creta). Nel frattempo si è potuta documentare la presenza di lucerne anche nelle cosiddette «età buie», in cui per l'insufficiente produzione di olio le fiaccole diventano i principali mezzi di illuminazione. Invece in Etruria fino alla fine del V sec. a.C. sembra che si siano usate esclusivamente candele. A parte i semplici reggitorce esistevano c. a muro, sospesi e da tavolo, prodotti in legno, terracotta, marmo, ferro, bronzo o metalli pregiati. Spesso i diversi materiali venivano combinati assieme, ricavandosene oggetti particolarmente preziosi e decorati anche con pietre dure. Negli utensili modesti frequentemente solo ciò che regge la candela o la lucerna è di metallo, mentre il fusto è di legno ritorto 0 intagliato. Le basi dei c. marmorei romani erano talvolta decorate con crustae in metallo, che tuttavia non si sono conservate, mentre è dubbio se anche i loro fusti, in massima parte perduti, fossero di bronzo o metallo nobile.
È stato attestato anche un gruppo di c. a muro, di fattura greca, accanto a quelli sospesi noti da tempo, che si erano diffusi dapprima nell'Asia Anteriore e dal VII-VI sec. a.C. in tutta l'area mediterranea. I loro precursori sono lucerne a muro della tarda Età del Bronzo (XIV sec.), originarie di Cipro e della Palestina, dalla forma che ricorda semplici mestoli. Questi utensili compaiono solo nel tardo VI sec. a.C. in Grecia, dove vengono sviluppati per i due secoli seguenti. Su un semplice listello a muro, la cui estremità superiore poteva essere decorata a figure, vengono fissate due aste, a cui sono inchiodate tre piccole coppe per reggere le lampade a olio. Comunque dall'epoca ellenistica tali c. compaiono solo assai raramente ed esclusivamente in zone periferiche: al loro posto si preferivano ovunque quelli tradizionali, che dall'età arcaica al tardo-antico rimasero le fonti di illuminazione preferite in assoluto. Se si prescinde da bassi supporti a forma di piccoli tripodi, da c. lavorati ad albero o figurati (lychnouchoi), si tratta di c. convenzionali, i cui fusti alti e sottili poggiano perlopiù su tre zampe zoomorfe. Al contrario di quelli a muro e sospesi, questi, in quanto oggetti d'uso quotidiano, erano sempre trasportabili; inoltre i loro steli, spesso alti fino a 2 m, potevano svolgere funzioni diverse, e in parte anche più d'una contemporaneamente: servivano come c. e incensieri, ma anche come canestri da frutta, fruttiere o piccole cornucopie. Molti altri oggetti d'uso quotidiano potevano esservi appesi mediante piccoli ganci, fissati lungo lo stelo. Evidentemente erano altrettanto variabili le funzioni che potevano rivestire questi monumentali c. stanti, appartenenti all'arredamento di lusso della sfarzosa architettura romana. Secondo alcune rappresentazioni pittoriche e altri esemplari conservati, essi venivano adoperati come supporti per fruttiere, pigne, rilievi e dipinti. Nella pittura muraria e nelle decorazioni a stucco romano-campane si incontrano dall'età augustea c. che fungono da sostegni di templi e frontoni; comunque Vitruvio nella sua critica dei varí sistemi decorativi (VII 5, 3-4) ha giudicato severamente questo modo d'impiego ibrido degli utensili, perché perdeva di vista l'oggetto reale.
I c. stanti tramandati dall'Antico Testamento come oggetti di culto (Exod., 25, 31 ss.; 37, 17 ss.), non hanno riscontro nel materiale archeologico della Palestina. I primi attestati nell'area mediterranea furono prodotti a Cipro e da lì esportati in Palestina, nell'Asia Minore sud-occidentale, in Grecia, Italia e perfino in Spagna. Ispirate da modelli forse urartei, le alzate di bronzo dei sostegni consistono in un beccuccio cavo e diverse corone di foglie ricadenti su cui poggia un disco piatto. Al di sopra vi sono tre grandi foglie le cui punte, arrotolate a formare una voluta, s'intrecciano fra loro grazie a un anello; a coronamento si è dovuto supporre un piatto più grande o una coppa profonda. Al VI e V sec. a.C. risalgono i primi c. ciprioti, i cui alti steli si ergono su zampe di animali elegantemente arcuate. A volte una piccola figura, perlopiù femminile, posta su un capitello, orna l'estremità superiore, e porta la lampada a olio sopra la testa come una cariatide. Stando alle conoscenze attuali, da questo tipo di c. ciprioti dovrebbe derivare la produzione di quelli bronzei della Grecia, della Ionia, della Magna Grecia e dell'Etruria, avviata alla fine del VI secolo. Per la diffusione non bisogna presupporre necessariamente l'attività di toreuti itineranti: saranno stati piuttosto i numerosi oggetti esportati da Cipro a fornire gli impulsi decisivi.
I c. greci, scarsamente conservati o pubblicati, sono generalmente di forma molto semplice. Nella maggior parte dei casi poggiano sulle basi tradizionali composte da tre zampe zoomorfe; talvolta queste sono sostituite da una bassa base o da una piastra d'appoggio piatta; inoltre sui fusti si possono trovare degli elementi intermedi a forma di piattino o campanello o piccoli anelli, in funzione di prese per il trasporto. Solo a partire dal periodo ellenistico sono noti alcuni c. bronzei, riccamente decorati, di qualità migliore, come si sono trovati nella nave di Mahdia, colma di tesori artistici; in questi esemplari i piedi zoomorfi furono articolati più nettamente e arricchiti con decorazioni di tipo vegetale o con motivi ornamentali. Gli steli, alti quasi quanto un uomo, sono variamente scanalati e il loro alzato ha la forma di capitelli vegetali riccamente lavorati, mentre solo in rari casi si sono mantenuti anche motivi figurativi sugli alzati dei c. greci. Ci sono giunte le statuette di un atleta, di un satiro e un filosofo, che probabilmente saranno state poste su piccoli capitelli ionici.
Nella Magna Grecia e in Etruria, a fianco di prodotti modesti, quali fino al II sec. a.C. sembrano essere caratteristici dell'attività artistica nella madrepatria, erano in uso anche molti c. in metallo, ornati riccamente, indice di un lusso che permeava profondamente la vita privata degli Etruschi e delle popolazioni greche dell'Italia meridionale, contro le quali ad Atene polemizzò in maniera veemente p.es. Demostene (Or., 3, 29; 23, 208). Come piedi d'appoggio dei c. etruschi di bronzo non compaiono solo zampe di animali, ma anche gambe umane o figure intere. Sul lato posteriore delle zampe si dipartono spesso delle foglie, e gli angoli così creati possono essere riempiti con elementi decorativi di tipo ornamentale o vegetale, attestati nella medesima posizione già nei c. tardo-arcaici della Ionia orientale. Nell'età arcaica e classica gli steli vengono articolati da motivi piatti o concavi, dal IV sec. a.C. anche scanalati verticalmente o attorti e decorati con figure umane o animali. Solitamente il c. etrusco era coronato da una statuetta, illuminata dalle candele disposte a cerchio. Sembra che soltanto dal IV sec. siano state messe sui fusti coppe più ampie, adatte a contenere una lampada a olio.
Quantunque manchi finora una ricerca sistematica sulla tipologia e l'iconografia del c. italico, sono ancora validi i risultati di E. Pernice, secondo il quale i tipi dei più tardi c. romani d'uso comune derivano principalmente da questi modelli etruschi, anche se accanto a essi devono essere riconosciuti piuttosto chiaramente influssi greco-ellenistici, come mostra il confronto con gli eccellenti esemplari della nave di Mahdia. Vale la pena di menzionare una particolarità tecnica di questi utensili romani, cioè che ormai sono spesso regolabili in altezza. Oltre a questi c. tradizionali di bronzo, in età romana vennero impiegati molti altri tipi. Frequentemente sono stati disposti piccoli tronchi in bronzo come portalampade, che assieme a statuette, di soggetto perlopiù dionisiaco, ornavano alzate da tavolo in metallo. La tradizione di questi c. risale certamente a modelli ellenistici, come il noto c. da Efeso con Ercole e il Centauro (ora a Vienna). D'altronde alla tradizione tardo ellenistica sono legati i c. con base piramidale triangolare, ben testimoniati da dipinti e numerosi esemplari in marmo. Essi si ispirano a un tipo di incensiere etrusco di epoca arcaica, ma dal 420 a.C. circa più diffuso in Grecia, e utilizzato, al più tardi dall'età augustea, fra l'altro come candeliere. La produzione principale dei c. marmorei, attestata come genere autonomo dal II sec. a.C., decade nella seconda metà del I sec. a.C., quando a Roma si diffuse l'uso del marmo. Dapprima questi monumentali, sfarzosi c. romani, con funzione soprattutto ornamentale, vennero commissionati ad ateliers greci, perlopiù ateniesi, mentre dal 50 a.C. circa vennero scolpiti in gran parte nelle botteghe urbane di Roma; ne sono tramandati diversi tipi, molte varianti e pezzi unici. I piedistalli decorati a figure umane poggiano in genere su esseri zoomorfi fra i quali si sviluppano motivi decorativi di vario tipo. Anche i fusti hanno forme differenziate e sono quasi sempre decorati con elementi vegetali. I c. romani di marmo proseguono essenzialmente forme greco-ellenistiche, in cui si potevano sempre combinare in maniera eclettica motivi e moduli stilistici precedenti, arcaici o classici.
I c. monumentali in marmo e metallo appartengono alla classe dei costosi arredi di rappresentanza dell'architettura romana sacrale, sepolcrale e profana. Nella maggior parte dei casi essi erano posti a coppie, o in numero maggiore, in templi, santuari e sepolcri; nelle ville servivano ad accrescere efficacemente auctoritas, maiestas e dignitas dell'ambiente. Un valore di distinzione analogo avevano anche i c. trasportabili, quando erano portati nelle processioni solenni: per il trionfo di Cesare lychnouchoi accesi erano sistemati sulla groppa di quaranta elefanti (Suet., Iul., 37,2). In vari generi di monumenti si incontrano pure come simboli isolati, per indicare molto genericamente i pensieri rivolti alla pietas, p.es. nelle immagini su monete di età imperiale, nelle statue con corazza, sulle lastre Campana e nei monumenti funerari. Nel settore privato i c. da tempo si annoveravano tra i principali oggetti di arredo della casa. Alcune fonti citano c. con figure, particolarmente sfarzosi, che venivano presentati agli ospiti durante simposi straordinari (Horn., Od., VII, 100 ss.; Ath., IV, 130 a). Presso le corti nelle metropoli ellenistiche sorsero anche i primi c. automatici, in grado di illuminare a lungo tramite un raffinato meccanismo regolabile (Her., Pneum., I, 34; II, 22-24).
Bibl.: C. ciprioti e protogreci: U. Jantzen, R. Tolle, Athen, in S. Laser, Hausrat (Archaeologia Homérica, Il Ρ), Gottinga 1968, p. 94 ss., tav. ρ, ν d; U. Jantzen, Ägyptische und orientalische Bronzen aus dem Heraion von Samos (Samos, VIII), Bonn 1972, p. 43 ss., tavv. xxxix-xlii; M. Almagro, in Miscelánea arqueológica, I. XXV aniversario de los cursos, internacionales de prehistoria y arqueología en Ampurias (1947-1971), Barcellona 1974, p. 41 ss.; Β. Rutkowski, Griechische Kandelaber, in Jdl, XCIV, 1979, pp. 198-200, fig. 29. - C. greci: W. Fuchs, Der Schiffsfund von Mahdia, Tubinga 1963, p. 27 s., n. 29, tav. XXXVII; P. C. Bol, Die Herakles-Kentauren-Gruppe in Wien, in AntPl, X, 1970, p. 81 ss., tav. lix ss.; F. Maier, Fleischhaken oder Fackel?, in HefteABern, I, 1975, p. 21 ss., tav. v; H. Hoffmann, in Kunst der Antike, 1977, p. 77 s., n. 50 con fig. (c. della Ionia orientale, 550-500 a.C.); S. Karusu, Ein Kandelaber-Kapitell aus Orchomenos, in Boreas, I, 1978, p. 9 ss., tav. ι ss.; B. Rutkowski, art. cit., pp. 174-222, con figg.; id., Ein neuer griechischer Kandelabertypus, in AA, 1983, p. 201 s., fig. 1 s; H. von Hesberg, Mechanische Kunstwerke und ihre Bedeutung für die höfische Kunst des frühen Hellenismus, in MarbWPr, 1987, p. 55, fig. 8, p. 69, note 167- 169. - C. etruschi: F. Messerschmidt, Etruskische Kandelaber, in AA, 1933, pp. 327-336, figg· 1-3; G. Giglioli, L'arte etrusca , Milano 1935, p. 307 ss., tav. ccx ss.; T. Dohm, Zwei etruskische Kandelaber, in RM, LXVI, 1959, p. 45 ss., tav. xix ss.; A. Testa, Considerazioni sull'uso del candelabro in Etruria nel V e IV sec., in MEFRA, XCV, 1983, p. 599 ss.; id., Candelabri e thymiateria. Museo Gregoriano Etrusco, Roma 1989. - C. romani: H. Roux, L. Barré, Herculanum und Pompeji, VI, 3, Amburgo 1841, tavv. I-XXXVIII; R. Gargiulo, Recueil des monuments les plus intéressants du Musée National, II, Napoli 1870, tavv. XXXII-XXXVII; H. U. Cain, Römische Marmorkandelaber, Magonza 1985, passim. - Lychnouchoi a figure umane: A. Rumpf, Der Idolino, in La Critica d'Arte, IV, I, 1939, p. 17 ss., tavvIX-XV; T. Dohm, Neues zu den Lychnouchoi, in T. Dohm (ed.), Festschrift A. Rumpf, Krefeld 1952, p. 59 ss., tavv. XII-XV; H. Lauter, Ein bacchischer Kopf, in RM, LXXV, 1968, p. 83 ss., tavv. XVI-XVIII; R. Wünsche, Der Jüngling vom Magdalensberg, in Festschrift L. Dusseer, Monaco-Berlino 1972, p. 45 ss., figg. 1-15; P. Zanker, Klassizistische Statuen, Magonza 1974, pp. 31, 34 ss., 37 ss., 77, 87 ss.; H. von Hesberg, art. cit., p. 68 s.