cane
Il vocabolo ricorre sovente in poesia, una sola volta in prosa, in Cv I VI 6. Per lo più è in similitudini o come termine di confronto, e sovente in un contesto che ne mette in rilievo la ferocia, l'avidità, la furia, la rissosità. Così in If VI 28, per la voracità di Cerbero: Qual è quel cane ch'abbaiando agogna / ... cotai si fecer quelle facce lorde / de lo demonio Cerbero; in XXIII 18 per la malvagità dei diavoli: ei ne verranno dietro più crudeli / che 'l cane a quella lievre ch'elli acceffa; in XXX 20 per la disumana espressione di dolore di Ecuba, che forsennata latrò sì come cane (con sicura reminiscenza ovidiana, Met. IV 569; meno certa da Seneca Agam. 708). Cfr. ancora If XXXIII 78, dove dei denti, con cui Ugolino rode il teschio dell'arcivescovo Ruggieri, è detto che furo a l'osso, come d'un can, forti. In Pd IV 6 è in uno degli esempi coi quali D. vuol spiegare il suo particolare stato d'animo paralizzato dal dubbio: sì si starebbe un cane intra due dame, cioè " allo stesso modo starebbe fermo un c. in mezzo a due daini ", essendo ugualmente spinto ad azzannare l'uno e l'altro. Vedi inoltre Rime CVI 81, Fiore LVIII 8, CIII 14 e CVII 14.
Al plurale è riferito in paragone ai golosi: Urlar li fa la pioggia come cani, If VI 19; in VIII 42, direttamente per gl'iracondi, Via costà con li altri cani! (parole con le quali Virgilio allontana Filippo Argenti che aveva tentato di salire sulla barca; hanno fatto pensare ai commentatori che vi sia un'eco oraziana: Epist. I II 26 " vixisset canis immundus vel amica luto sus ", con efficace collegamento con porci in brago del v. 50); gl'iracondi sono così definiti, perché come c. " s'azzuffano e si mordono " (Porena); infatti anche in Fiore CCXIII 14 ciascun si levò suso, e sì s'afferra, / a quella zuffa, come fosser cani. In If XVII 49 i gesti degli usurai, che cercano di ripararsi in qualche modo dalla pioggia di fuoco, ricordano le mosse dei c., che di state... son morsi o da pulci o da mosche o da tafani; mentre in XXI 68 i diavoli s'avventano su Virgilio Con quel furore e con quella tempesta / ch'escono i cani a dosso al poverello (cfr. Barbi, in " Studi d. " XIII [1928] 62-63. Vedi il femminile CAGNA; inoltre CAGNAZZO aggettivo e il diavolo CAGNAZZO; e anche l'accrescitivo CAGNONE. Per l'incidenza tra la simbologia e la presentazione della profezia sotto l'aspetto di c., vedi infine VELTRO). Ancora un paragone in Pg XIV 50 quant'ella più 'ngrossa, / tanto più trova di can farsi lupi / la maladetta e sventurata fossa, dove can riprende i Botoli del v. 46, gli Aretini che l'Arno trova... venendo giuso.