TICINO, Cantone (A. T., 20-21)
Il Canton Ticino è uno dei cantoni della Confederazione svizzera, e si estende nel versante meridionale delle Alpi Centrali assumendo, nel suo insieme, la forma di un triangolo isoscele, che penetra nelle Prealpi Lombarde ed ha la sua base adagiata nelle Alpi Lepontine, raggiungendo una superficie di kmq. 2813. In ordine di grandezza è quinto fra i cantoni svizzeri, dopo quelli dei Grigioni, di Berna, Vallese e di Vaud. Costituisce la parte di gran lunga più importante della cosiddetta Svizzera italiana, e differisce notevolmente dal resto della Svizzera, sia per la sua situazione, sul versante meridionale delle Alpi, sia per la lingua e i costumi degli abitanti. Trae il nome dal fiume, il Ticino, che l'attraversa, dalle sue sorgenti, nel San Gottardo, fino al Lago Maggiore, il quale, nella sua parte più settentrionale, rientra anch'esso nel Canton Ticino. La linea di confine si estende per 351 km. e si svolge assai irregolarmente, sì che il Cantone non risulta esattamente corrispondente al bacino idrografico superiore del Ticino.
A S., infatti, la capricciosa linea di frontiera, tra il Lario e il Verbano, viene a escludere una parte a oriente e una a occidente del bacino del Ceresio (Val Solda, Valle di Rezzo, Val Cavargna, il Piano di Porlezza, Osteno, il territorio del comune di Campione, la testata di Val Mara, la Valle del Brivio e parte di quella della Tresa), mentre penetra in piccoli tratti di valli appartenenti al bacino del lago di Como (la Val di Muggio, e una piccola parte della valle del Gaggiolo). E cosi pure, a occidente, non appartengono al Canton Ticino l'alta valle del Melezza, l'alta valle dell'Onsernone e la testata di Val di Campo, rientranti nel territorio italiano, mentre a oriente la Valle Mesolcina e la Val Calanca pure tributarie del Ticino, sono incluse nel Canton dei Grigioni. Verso N., infine, il Canton Ticino penetra per qualche chilometro nel bacino superiore della Reuss, oltre lo spartiacque alpino. Tuttavia tali esclusioni e inclusioni non rendono inesatta l'affermazione che il Cantone corrisponda, nel suo complesso, al bacino superiore del Ticino, e si estenda perciò nel versante meridionale delle Alpi; fatti che ci spiegano non solo il nome, ma l'aspetto fisico, climatico ed etnografico caratteristici di questo territorio.
L'esame complessivo del Canton Ticino ci permette di distinguere in esso due sezioni, le quali, essendo separate dalla barriera del Monte Ceneri, si usano chiamare rispettivamente il Sopraceneri e il Sottoceneri. Sono caratteristiche del Sopraceneri le alte, aspre e taglienti creste montuose, i ghiacciai, le nevi perenni, le desolate pietraie (ganne), i laghetti di circo, i torrenti rumorosi e precipitanti in mille cascate, le valli profonde, tutte, insomma, quelle che sono le caratteristiche del paesaggio alpino. Le rocce che predominano in questa sezione sono gli gneiss, i graniti, gli scisti cristallini, in genere tutte rocce assai dure e resistenti, alle quali si devono le forme ardite dei massicci montuosi, quali il gruppo del Monte Leone col Pizzo Rotondo (3197 m.), il gruppo dell'Adula (3406 m.) e il gruppo della Maggia, col Basodino (3276 m.). Questi alti massicci dominano profonde e lunghe valli, fra le quali più importanti: la Valle Leventina o valle del Ticino, la valle del Blenio (affluente del Ticino), la Val Maggia, le Centovalli e la valle dell'Onsernone, le quali tutte sboccano nel Lago Maggiore; la Valle Verzasca, che sbocca nel piano del Ticino, poco sotto Bellinzona. Caratteristica principale dei monti è la straordinaria inclinazione dei loro versanti; le pareti montuose scendono bruscamente fino al fondo delle vallate, che sono in generale lunghe e strette con corti valloni laterali che alle volte confluiscono nella valle principale con un certo dislivello, così che il fiume che le percorre forma pittoresche cascate; vi mancano le conoidi di deiezione così fertili e favorevoli all'insediamento umano. Ma alcune vallate, come la valle principale a S. di Biasca e la Val Maggia a sud di Bignasco, sono state allargate dai fiumi che le percorrono e presentano in questo loro tratto terminale fino al Lago Maggiore pianure alluvionali. Il clima si presenta, perciò, aspro per effetto della stessa altitudine, sebbene sempre in più favorevoli condizioni che nel versante nord delle Alpi, risentendosi, qui, l'influenza dei più tiepidi venti del Mediterraneo.
Nel Sottoceneri i rilievi sono più morbidi, le valli sono ampie e dolcemente declinanti, spesso aperte, e, poiché questa regione si raccoglie intorno al Ceresio, il clima partecipa di quelle che sono le caratteristiche della regione dei laghi lombardi, ossia: mitezza, costanza e relativa abbondanza di umidità. Tra i solchi vallivi del Sottoceneri, i più importanti sono: la valle del Cassarate, detta nel suo tratto superiore Val di Colla, che si apre nel bacino di Lugano; la valle del Vedeggio, che risale al Monte Ceneri; la valle del Magliasina, detta Malcantone, e la valle del Tresa, largo solco lungo il quale le acque del Lago di Lugano si scaricano in quelle del Verbano. I rilievi del Sottoceneri appartengono in gran parte alle Prealpi Ticinesi, in cui i calcari costituiscono la roccia predominante, e alla quale si devono le linee generali della morfologia. Le vette principali sono il Camoghé (2226 m.), il Tamaro (1966 m.), il San Salvatore (915 m.), il San Giorgio (1100 m.) e il Generoso (1695 m.). Mancano del tutto i ghiacciai e le nevi perenni.
Il Canton Ticino offre una grande varietà di climi; dalle alte vallate dove il clima è rude e aspro, si discende alle rive dei laghi dove gl'inverni sono dolci, le estati calde, le primavere precoci. I distretti di Lugano, Locarno e Mendrisio hanno una temperatura molto mite, e talvolta nell'inverno in pianuia non cade affatto la neve, mentre nella valle Leventina, neI Blenio Superiore nella valle Lavizzara gl'inverni sono assai rigidi e durano quattro o cinque mesi. La stazione del Gottardo dà come temperatura media del gennaio −4°,5, del luglio 9°,9, mentre a Bellinzona la media del gennaio è 1°,6, quella del luglio 22°,3, a Lugano rispettivamente 1°,3 e 21°,5 e a Locarno 2°,0 e 21°,9.
Le precipitazioni nel Canton Ticino sono dappertutto considerevoli, e cadono sotto forma di acquazzoni brevi e violentissimi; il minimo delle piogge si ha nell'inverno, il massimo nell'autunno e nella primavera. I mesi più piovosi sono il settembre e l'ottobre, l'aprile e il maggio. A Locarno le precipitazioni ascendono in media a 1940 mm. annui, a Lugano a 1790; il massimo delle piogge si ha nell'ottobre con 235 mm. a Locarno e 214 a Lugano.
La configurazione speciale delle catene montuose del cantone determina la direzione delle correnti atmosferiche; molto frequente è un vento da N. a S. che ha origine dal Gottardo; nell'inverno e al principio della primavera è frequente il föhn, che provoca talora il subitaneo sciogliersi delle nevi. Sui laghi si ha il caratteristico alternarsi di brezze (breva sul L. di Lugano; inverna nel Locarnese).
La vegetazione del Canton Ticino è quella tipica di tutto il versante meridionale alpino, ed è in dipendenza diretta dell'altitudine. Così se, in basso, prosperano la vite, gli alberi da frutta e, sui laghi, anche i limoni, gli aranci e i cedri, risalendo i fianchi dei monti e i solchi delle valli alpine, si passa dai castagni, ai faggi, alle conifere e alla vegetazione dell'alta montagna, con rododendri, ginepri, ecc., fino ai più elevati pascoli. Assai vasti, più di quanto non siano adesso, erano i boschi nella prima metà del sec. XIX; la sconsiderata distruzione fece scomparire su ampie zone il provvido manto protettore, e si vedono ora le nude rocce spesso minacciose per i continui e vasti franamenti. In questi ultimi decennî una provvida politica forestale favorisce il rimboschimento.
Nel Canton Ticino, secondo il censimento del 1930, vive una popolazione di 159.223 ab., per cui la densità risulta di 57 ab. per kmq. Nel Sottoceneri, in cui si raccoglie quasi la metà della popolazione, si superano i 170 ab. per kmq., mentre nel Sopraceneri la densità si aggira sui 30. Dei 261 comuni, soltanto 2 contano più di 10.000 ab., 2 più di 5000, 3 più di 3000, una ventina superano i 1000. La popolazione era di 138.638 nel 1900; è salita a 156.166 nel 1910, per poi ridiscendere a 152.256 nel 1920. Il piccolo aumento dell'ultimo decennio è dovuto soltanto a immigrazione da altri cantoni o dall'estero e questi si dirigono naturalmente nelle regioni più prospere. Notevoli sono le migrazioni interne. La popolazione tende a portarsi dalle valli più settentrionali nelle regioni più basse, dove sono i maggiori centri, i quali, mentre le valli e le campagne vanno spopolandosi, vedono aumentare il numero dei loro abitanti. La scarsità d'incremento nel numero degli abitanti, che colpisce specialmente le valli più povere, non si deve tanto allo scarso eccesso delle nascite sulle morti, quanto alla forte emigrazione, divenuta notevole, specie nella seconda metà del secolo XIX, effetto dell'aumentata popolazione in rapporto alle non abbondanti risorse economiche del paese.
I Ticinesi sono etnicamente italiani, e la loro lingua materna è l'italiano (145.347 ab. cioè più del 91% nel 1930); dal popolo si parlano varî dialetti che rientrano nel gruppo lombardo, con evidente influenza di elementi ladini. Il resto della popolazione è costituito da genti parlanti il tedesco (11.622 nel 1930). Dal punto di vista religioso prevalgono i cattolici (115.422, cioè il 72% circa). Alla lingua italiana i Ticinesi sono fortemente devoti, considerandola come un patrimonio di valore inestimabile, tanto che G. Motta poteva affermare: "Se spuntasse giorno nel quale i Ticinesi non amassero e non coltivassero più la loro lingua, quel giorno sarebbe esiziale ai Ticinesi non solo, ma a tutti i popoli uniti nel fascio federale". Secondo le statistiche del 1920, appare che 30.000 persone sono impiegate nell'agricoltura, 25.475 nelle industrie, nei mestieri e nelle arti, 12.000 nel commercio e nei trasporti.
Le condizioni economiche del Canton Ticino sono nel complesso buone; le varie attività: agricola, industriale e commerciale sono organizzate secondo metodi moderni e razionali. Poco più di due terzi dell'intera superficie del Cantone sono di territorio produttivo: il resto è costituito di terreno roccioso, spoglio di vegetazione, e di acque. Il territorio agricolo è di circa kmq. 1362, quello forestale di kmq. 728. Lo specchietto seguente indica la ripartizione percentuale del suolo.
L'agricoltura predomina naturalmente nelle regioni basse e pianeggianti, mentre nelle vallate e sui pendii dei monti l'allevamento del bestiame rappresenta la maggiore risorsa. La coltura più importante è quella della vite; quella dei cereali, che una volta era largamente praticata, è in decadenza, perché sostituita da quella a prati, che dà un rendimento maggiore. Diffusa è anche la patata, che si adatta a tutti i terreni; e nei terreni più grassi del Ticino meridionale prosperano bene gli ortaggi. L'allevamento del bestiame, strettamente unito alla praticultura e al pascolo, rappresenta un'importantissima ricchezza; secondo il censimento del 1923, il Canton Ticino possiede: 1351 cavalli, 231 muli, 416 asini, 35.815 bovini, 14.348 suini, 13.208 pecore, 56.000 capre. Nel Sopraceneri si hanno i più razionali e ricchi allevamenti, in rapporto alle condizioni dell'ambiente montuoso, nel quale grande è l'estensione dei pascoli, che si spingono fino all'altezza di 2700 m. I formaggi, prodotti nelle Alpi Ticinesi, possono competere coi migliori tipi che si fabbricano in Svizzera. Conosciuto anche all'estero è il formaggio di Piora; rinomati anche il "formaggio della paglia" della Valle Maggia, e i cosiddetti "robioli" della Valle di Muggio. Il valore annuo totale della produzione dei latticinî supera il milione di franchi. La ricchezza di laghi e di corsi d'acqua ha favorito la piscicoltura, per la quale esistono più di 20 stabilimenti.
Le industrie, contrastate per lunghi anni, specie dalla difficoltà delle comunicazioni e dalla mancanza delle materie prime, si sono andate dall'inizio del sec. XX, rapidamente sviluppando, e alle più antiche tradizionali industrie agricole si sono aggiunte numerose altre, che nelle forze idriche hanno trovato la necessaria energia motrice. Fra le più importanti sono da considerarsi: le industrie dei mobili e delle carrozzerie per veicoli; le industrie dei laterizî, del granito e del marmo forniti dalle numerose cave (Cresciano, Osogna, Lodrino, Biasca, Pollegio, Arzo, Besazio, ecc.); le industrie elettrochimiche, che hanno la loro più grande espressione nelle officine del Gottardo; l'industria della seta, ora però in decadenza; l'orologeria; le industrie meccaniche e infine l'industria alberghiera, la quale, specialmente per il Luganese rappresenta una delle più importanti fonti di guadagno, sebbene fortemente scossa dagli effetti della guerra mondiale.
Per quel che riguarda il commercio, il Ticino è rappresentato soprattutto dal movimento commerciale di transito, che fino dai più antichi tempi si poté esercitare attraverso ai numerosi valichi alpini, molti dei quali già noti e frequentati al tempo dei Romani, quali il San Bernardino e il Lucomagno. Nei tempi moderni, ossia dal principio del sec. XVIII, assumeva invece importanza prevalente il passo del San Gottardo, perché, essendo considerato come la via più breve fra la valle del Po e quella del Reno, fu dotato di una buona strada e alla sua sommità costruito un ospizio (1830). Le comunicazioni stradali entro il cantone furono sempre neglette; solo dopo il 1803 il governo pensò seriamente al problema delle vie maestre, che cominciarono lentamente a risalire le valli alpine portando nuova vita e nuova ricchezza. I nuovi bisogni del traffico internazionale, nella seconda metà del sec. XIX (1882) dovevano imporre la costruzione di una via più rapida e sicura per il trasporto delle merci e delle persone, che andava divenendo intensissimo fra l'Italia e la Germania. Con l'inaugurazione della ferrovia del Gottardo si notò in tutto il cantone un rapido sviluppo delle imprese per i trasporti. Si costruirono nel Mendrisiotto la ferrovia del Generoso, varie tramvie, e la ferrovia per Stabio; a Lugano le funicolari del San Salvatore, del Monte Bré, la ferrovia elettrica per Ponte Tresa e la tramvia per Tasserete e per Dino; a Bellinzona la ferrovia per Mesocco, e infine a Locarno la bella tramvia internazionale per Domodossola.
Il Canton Ticino politicamente e amministrativamente è una repubblica, formante un cantone della confederazione svizzera; comprende 260 comuni, 38 circoli, 8 distretti. L'autorità legislativa del cantone è il Gran Consiglio, composto di 65 membri; il potere esecutivo è esercitato dal Consiglio di stato o governo, che conta 5 membri. Governo e Gran Consiglio sono nominati dal popolo. La capitale è Bellinzona, che per la sua posizione centrale bene si presta a questa funzione. I distretti sono: due nel Sottoceneri: Mendrisio e Lugano; sei nel Sopraceneri: Locarno, Vallemaggia, Bellinzona, Riviera, Blenio, Leventina.
Come si è già detto, prevalgono nel Canton Ticino i piccoli villaggi, ma questi hanno aspetto diverso che nel resto della Svizzera: invece di case di legno disseminate prevalgono le case di pietra aggruppate per lo più intorno alla chiesa. I centri più importanti oltre a Bellinzona (10.700 ab.), sono: Lugano (23.000 ab.), Locarno (12.000) e Mendrisio (4000).
Bibl.: Fra le opere d'indole generale: Boll. storico della Svizzera italiana, Bellinzona; Archivio storico della Svizzera italiana, Milano 1926 segg.; Periodico della provincia e antica diocesi di Como, Como 1878 segg.; C. Cantù, Storia della città e della diocesi di Como; Franscini, La Svizzera italiana, voll. 2, Lugano 1837-39; Lavizzari, Escursioni nel Canton Ticino, ivi 1863 (rist., ivi 1927-28); Dictionnaire historique et biographique de la Suisse, Neuchâtel 1929 segg. Per la geografia e le impressioni di viaggio: E. Brusoni, Da Milano a Lucerna. Guida itinerario-descrittiva della ferrovia del Gottardo, dei Tre Laghi, del Lago dei Quattro Cantoni, del Canton Ticino, ecc., Bellinzona 1901; Venner, Der Tessin. Mit einer Einführung von G. Motta, Basilea 1921; Schmid, Spaziergänge im Tessin, Frauenfeld 1909; Platzhoff le Jeune, La Suisse italienne, Losanna 1912. Per il movimento della popolazione: A. Marazzi, Rapporto al Ministero degli affari esteri, 3 gennaio 1892, in Emigrazione e Colonie, Rapp. ecc., Roma 1893; id., Il Canton Ticino e la colonia italiana, in Boll. del Ministero affari esteri, giugno 1900. Riguardo ai problemi economici e politici: La questione ticinese. A cura dell'Associazione "Giovani ticinesi", Fiume 1923; Problemi ticinesi. Fascicolo speciale di Wissen und Leben, gennaio 1925; Sommaruga, Problemi economici e finanziari ticinesi, Lugano 1926.
Storia.
Il territorio dell'odierno Canton Ticino, acquista una sua particolare fisionomia solo a partire dal sec. XVI, da quando, cioè, Bellinzona e Locarno, nel Sopraceneri, Lugano e Mendrisio nel Sottoceneri - e anche queste particolari denominazioni di Sopra e Sottoceneri sono assai recenti - vennero avulse dal complesso del ducato di Milano. Nell'antichità più remota una vera civiltà si sviluppa nel piano dove più tardi sorse Bellinzona: le necropoli di Gudo, Giubiasco, Montecarasso, ecc., dall'età del bronzo all'ultima del ferro dimostrano che ci si trova in presenza di una popolazione dedita al commercio e all'agricoltura: le armi, infatti, vi sono oltremodo scarse. La civiltà di queste popolazioni non è molto simile a quella dei paesi attorno a Como, ma poco differente da quella di Golasecca: il territorio sottocenerino, cioè del bacino del Lago di Lugano, è, invece, un prolungamento di quello comasco, anche archeologico: ivi, però, i ritrovamenti preromani sono scarsi e saltuarî (qualche lapide in dialetto nord-etrusco, qualche tomba). Le vallate sopra Bellinzona e quelle sopra Locarno (Blenio, Leventina, Mesolcina, Vallemaggia e forse Centovalli) si trovano in tempi storici abitati dai Leponzî, derivati probabilmente, come i finitimi Reti, dalla stessa popolazione del piano risospinta verso le montagne dal flusso di nuove correnti migratorie. Intorno al 22 a. C. una parte di questi territorî fu conquistata dai Romani, e pare sia stata tutta la zona pedemontana, vale a dire il Sottoceneri (Lugano) e parte del Sopraceneri (Bellinzona e Locarno): la zona luganese fu presto profondamente romanizzata, e nel 49 d. C. ebbe, con Como, la cittadinanza romana. Le guerre alpine di Augusto permisero all'impero romano di allacciare direttamente la provincia elvetica con la pianura padana, poiché, come ricorda il trofeo della Turbia, anche i Leponzî furono assoggettati: due grandi strade di comunicazione partirono allora da Bellinzona: quella attraverso il Lucomagno (Blenio) e quella del Mons Avium (S. Bernardino). Forse una terza via passò attraverso il Gottardo e la Val d'Orsera, ma non fu certo di grande comunicazione.
Amministrativamente, il Sottoceneri fu aggregato alla pertica di Como e alla tribù Ufentina, ma la suddivisione territoriale ci è pressoché ignota: abbiamo solo una fugace notizia del pagus Subinatis, con centro forse a Riva S. Vitale, ma maggiori precisazioni non si possono dare, per la scarsezza, anzi la mancanza d'iscrizioni onorarie. Così non è possibile dire se il Sopraceneri fosse unito alla pertica del municipio di Milano o di Como o, per i paesi fra Brissago e Locarno, di Novara.
Il periodo di dominazione romana, fu per le terre ticinesi, un ininterrotto periodo di pace e di prosperità: solo nel secondo quarto del sec. IV si ebbe nei Campi Canini il concentramento delle truppe di Costanzo II per la spedizione contro gli Alamanni (334) seguita a più di un secolo da uno scontro vittorioso per i Romani nella stessa località e contro gli stessi nemici (456). Anche l'età gotica fu contrassegnata da tranquillità. Ma una sensibile modificazione si ebbe durante la dominazione bizantina e quella longobarda. Cedute le due provincie retiche ai Franchi dai re goti per ottenerne la neutralità, il territorio settentrionale d'Italia rimase scoperto di difese, e a queste provvide Narsete conducendo un sistema di fortificazioni che trovavano i loro punti di resistenza e di maggior difesa in determinate località allo sbocco delle valli (v. alpi). Questa difesa, tuttavia, non servì contro i barbari provenienti dal settentrione, ma contro quelli che s'erano impadroniti della pianura lombarda: i Longobardi. È logico pensare che la strenua difesa dell'Isola Comacina durata per vent'anni, abbia rallentato l'avanzata dei Longobardi verso Bellinzona, che, ad ogni modo, ci appare in loro potere nel 590, quando il comandante di una colonna franca, Olone, morì sotto le sue mura. Scarsissime sono le notizie del periodo longobardo: Lugano appare la prima volta nei documenti nel 724, ma i documenti campionesi del sec. VIII ci mostrano la zona del Ceresio popolata da romani, liberi possessori.
Qualche lume potrebbe derivare dallo studio delle circoscrizioni pievane, ma anche qui gl'indizî sono incerti: l'unica notizia sicura è che tutta la zona, comprese Locarno e Brissago, fece parte del ducato di Milano, mentre alcuni enti ecclesiastici, tra la fine del sec. VIII e il IX, vi ebbero possessi (così S. Ambrogio di Milano a Campione e a Balerna, S. Sisto di Piacenza a Locarno, ecc.).
Né la dominazione carolingia apportò sensibili modificazioni, se non la divisione del territorio dell'antico ducato milanese in comitati: al Seprio, fu attribuito tutto il Sottoceneri, a quello di Stazzona (Ancera) il Sopraceneri con Locarno e la riva destra del Lago Maggiore: solo per un breve periodo di tempo Locarno, corte regia, fu staccata dal complesso del Canton Ticino per la donazione ad Angelberga.
Solamente le lotte dei re d'Italia (888-960) vi ebbero un riflesso, con lo stanziamento di colonie saracene al tempo delle lotte fra Ugo di Provenza e Berengario II, donde presero origine le numerose Case o Torri dei Pagani o dei Saraceni che troviamo in tutte le valli ticinesi: pare che in seguito a questi avvenimenti la Mesolcina sia stata staccata dal complesso territoriale e attribuita al vescovo di Coira (verso il 950?), mentre quasi contemporaneamente il vescovo Attone di Vercelli donava ai canonici di Milano le tre valli (Blenio, Leventina e Riviera), così che Bellinzona veniva ad essere quasi privata del suo originario retroterra: su tale donazione, però, vi sono molti e forti dubbî.
Comunque, la posizione di questi territorî che dominavano le vie di grande comunicazione con la Germania centrale, e verso le quali si appuntavano i desiderî e le mire delle due più importanti città vicine, Como e Milano, non favorì la formazione di feudi locali, anche per il fatto che i vescovi, esponenti delle necessità economiche della città, si preoccuparono immediatamente, alla fine del secolo, di accaparrarsi le grandi strade: Como estendendo la sua immediata supremazia sulla zona del Ceresio e puntando su Locarno e Bellinzona, cioè su tutta l'odierna piana di Magadino, Milano ponendo piede nelle Valli di Alenio e Leventina; entrambi governando le zone sottoposte per mezzo dei proprî avogadri, visdomini e capitanei de plebe.
La feudalità è, quindi, di milites, di valvassori, priva di ampie possibilità d'azione: forse da questi valvassori vescovili hanno origine le famiglie nobili note sotto la denominazione di capitani di Locarno, di nazionalità longobarda ancora nel sec. XIII (i De Gnosca, gli Orello, i Rastelli, i Magorra, i La Roca, i Muralto e i Duni) e riuniti in consorteria. Si noti che questi "nobili", esercitano il districtus in nome del vescovo di Como, e rimangono quasi sempre fedeli al comune comasco, salvo gli Orelli che diverranno, nel sec. XIII, avogadri della Chiesa milanese nelle tre pievi.
Sotto questa organizzazione feudale, si sviluppano, però, anche qui le autonomie comunali, nei centri maggiori, mentre l'organizzazione da puramente economico-amministrativa, si trasforma in politica, così che agl'inizî del sec. XII, nella sanguinosa guerra decennale fra Como e Milano (1117-27) i paesi del Lago di Lugano parteggiano per l'uno o per l'altro dei contendenti. Causata dalla rivolta dei Comaschi contro il vescovo Landolfo di Carcano, milanese, per cinque anni la lotta si combatte intorno al Ceresio, oltre che su altri fronti (Lago di Como, Varese, Saronno, ecc.). La sconfitta comasca dà origine per un quarantennio a una supremazia indiscussa dei Milanesi, onde noi vediamo a più riprese fra il 1120 e il 1150 i vicini di Mendrisio portar le loro querele di fronte ai consoli di giustizia di Milano; ma la venuta di Federico Barbarossa, rialzando le sorti della ghibellina Como, riporta ancora in primo piano le antiche questioni comasco-milanesi e soprattutto quella dei valichi alpini. Il fatto più saliente è l'assedio del castello di Serravalle, in Val di Blenio, difeso dai valligiani in nome dell'arcivescovo e del comune di Milano. Per quattro giorni, nel maggio 1176, i Bleniesi si difesero, impedendo il rapido congiungimento dell'esercito che veniva di Germania con quello già in campo fra Bellinzona e Como, dando tempo ai Milanesi di uscire e marciare su Como; tale manovra obbligò l'imperatore a scendere immediatamente nella pianura, dove fu sconfitto a Legnano. Come conseguenza, le valli di Blenio e Leventina, rette per breve tempo da avogadri imperiali, tornarono al capitolo metropolitano milanese: e vi fu la pace fra Como e Milano del 1196. Milano acquistò Lavena, la Val Marchirolo col bacino meridionale del Ceresio e la Tresa, Como la Val Capriasca: Locarno, invece, per quanto confermata dai pontefici al convento di Disentis, passò sotto l'effettiva signoria di Como (1185). Non sappiamo, invece, quale sia stata la sorte di Bellinzona: il giuramento di Torre del 1182 vagamente indicherebbe che anche la zona bellinzonese fosse caduta sotto la supremazia milanese. Ma certamente il Bellinzonese tornò a gravitare verso Como dopo la concordia del 1196. La lotta per il predominio dei valichi alpini si riaccese nel sec. XIII, con la seconda Lega Lombarda, contro Federico II, acuita anche dalla riapertura al traffico del valico del Gottardo. Da ciò la necessità per Federico II di tenere saldamente occupata Bellinzona, chiave ormai di tre grandi vie; e Como ne segue le parti. Ma nel 1242 mentre i Milanesi assaltano e occupano Mendrisio, Simone da Orello ed Enrico di Sacco assediano e conquistano Bellinzona, dopo aver sconfitto i Comaschi venuti per liberare la città: Locarno doveva già formare una specie di signoria degli Orello (ad ogni modo nel 1240 non era più comasca), e con la caduta di Bellinzona, tutto il Sopraceneri tornava a seguire le sorti di Milano. La soggezione a Milano è, però, mediata, poiché il territorio è piuttosto nelle mani di Simone da Orello. Dopo il 1277 (battaglia di Desio) e il predominio visconteo in Milano, da Como i Rusconi, pur essi ghibellini, estendono il loro dominio su Lugano e Locarno, per opera di Simone da Orello, in urto coi Visconti, a danno di questi ultimi.
Se la fine del sec. XIII vede pacificate le valli prealpine, divise fra Como e Milano, nella Leventina fra il 1290 e il 1300 si sviluppa una preoccupante rivolta, dovuta indubbiamente al sovrapporsi della diretta signoria di Matteo Visconti ai diritti della Chiesa milanese: la rivolta guidata dall'avogadro vescovile Alberto Cerro di Airolo venne appoggiata non solo dagli Steniesi, ma anche dagli Urani. La vittoria viscontea fu rapida, ma effimera, ché nel 1294 la valle si riscattava in libertà con una forma curiosa, prendendo, cioè, in locazione dai canonici di Milano la propria signoria; nel senso che i rettori venivano eletti dalla comunità e forse confermati dai signori: nel qual senso va interpretata anche la cosiddetta "carta di libertà di Biasca" (1292). La breve parentesi dei Vitani a Como e dei Torriani a Milano non ha sensibili contraccolpi, e del pari pacificamente avviene la restaurazione ghibellina nel 1311.
Ma di fronte alle signorie lombarde altri pretendenti alla supremazia sui valichi alpini si affacciano: i cantoni confederati. Una prima spedizione al di qua delle Alpi nella Leventina e nell'Ossola (1330-1331) fu pacificamente composta dal signore di Como, Franchino Rusca, mediante concessioni piuttosto vaghe ai confederati, ma che diverranno la base delle future pretese: la Leventina, a ogni modo, appare compiutamente svincolata da Milano, mentre la Val di Blenio, anch'essa, pare, svincolata da Milano, si lega con Como con un trattato di alleanza nel 1333. In questa alleanza si deve vedere una delle cause della guerra fra il Rusca e Azzone Visconti, terminata col temporaneo passaggio di Locarno ai signori di Milano (1335-37), e con la cessione di Como a Milano, mantenendo i Rusca Bellinzona, Mendrisio, Locarno e Vallemaggia, signoria che ben presto venne a scomparire, come autonoma, mantenendosi invece come feudo derivato dai signori di Milano: infatti fra il 1340 e il '42 tutto il Sopraceneri e parte del Sottoceneri (Mendrisio) si volse contro i Visconti, e a fianco dei Rusca troviamo i Capitanei di Locarno (Orelli, Muralto, ecc.) e i Torriani di Mendrisio. Ma gli assedî di Bellinzona e di Locarno diedero in mano ai Visconti tutta la regione, mentre parte dei nobili si ritraeva in esilio nelle valli Lavizzara e Verzasca o passarono le Alpi: per altro dopo che i Visconti ottennero il vicariato imperiale (1355) e di poi il ducato (1396) queste famiglie fecero ritorno nelle loro sedi, cercando, anzi, di ottenere privilegi e favori dai nuovi signori.
L'organizzazione data ai dominî viscontei non mutava di molto la vecchia fisionomia: Como manteneva certi diritti di natura finanziaria e giudiziaria, mentre amministrativamente si venivano creando distretti che non avevano una precisa determinazione territoriale, perché continuavano a sussistere diritti feudali (di laici o di enti ecclesiastici) e comunità autonome (oltre alle Valli di Blenio e Leventina, la Capriasca, Balerna, Agno, Riva S. Vitale, Biasca, Brissago, ecc.) che formano particolari enti territoriali direttamente dipendenti dal signore e dalla camera milanese: ogni borgo fu retto da un podestà e da proprî statuti, che dovevano, però, esser confermati dalla camera viscontea; più tardi (fra il 1403 e il 1430) altre comunità si eressero ad autonomia, cioè Vallemaggia e Verrasca con distacco da Locarno, Lavizzara con separazione da Vallemaggia, e Gambarogno distaccatosi pur esso da Locarno.
La morte di Gian Galeazzo Visconti (1402) porta lo scompiglio in tutto il ducato. Ma il pericolo venne principalmente dagli Svizzeri, che miravano a uno sbocco meridionale: per un ventennio, infatti, quasi tutti i paesi del Sopraceneri cadono in potere dei confederati o si alleano a singoli cantoni. Prima è la Leventina, che nel 1403 stipula un accordo con Uri e Obwalden, impegnandosi a versar loro le imposte dianzi pagate al duca di Milano: indubbiamente quest'alleanza mirava a creare impacci al conte Alberto di Sacco, signore di Mesolcina, che l'anno avanti s'era impadronito di Bellinzona, Riviera e Val di Blenio, mirando così a crearsi un forte stato montano, dipendente direttamente dall'impero. La tensione fra i confederati e i Sacco avrebbe potuto portare ad atti di guerra, se questi ultimi, vistisi impotenti a difendere i nuovi acquisti, sia pur dopo parecchi anni (nel 1419) non avessero venduto ad Uri e Obwalden la città e il distretto di Bellinzona, ritenendo la Val di Blenio. Ciò era dovuto anche ai vasti acquisti degli stessi confederati verso le zone a occidente della Valle del Ticino, nelle valli Verzasca e Maggia (1418) - che per sette anni erano state sotto la signoria dei Savoia (1411-18) -, e nella Val d'Ossola, nonché la caduta dei Rusca a Locarno, sostituiti dai Fanchignoni (1412-22): solo il vigoroso atteggiamento di Filippo Maria Visconti - che dal 1412 andava ricostruendo lo stato milanese e aveva rioccupato l'Ousernone, le Centovalli e Brissago - poté arginare l'avanzata svizzera. E ciò avvenne in seguito alla battaglia campale di Arbedo, presso Bellinzona (30 giugno 1422), vinta dal Carmagnola, che sterminò le truppe elvetiche, e riportò i confini allo spartiacque. Una discesa dei confederati nel 1425 non riuscì: la pace del 1426, stipulata a Bellinzona, ristabiliva il dominio ducale sul Ticino, consentendo per dieci anni esenzioni doganali ai confederati; l'anno prima anche la Val di Blenio, ritolta ai Sacco, tornava al duca: solo la Leventina rimaneva in mano al Cantone di Uri, con parità di diritti, come pegno per pagamenti. Nel 1440 gli Urani tentano una calata su Bellinzona, ma senza successo. Il restante del territorio rimane in piena tranquillità. Ma la morte di Filippo Maria Visconti (1447) getta di nuovo lo scompiglio. Gli Urani scendono a lor volta, ora in qualità di alleati di Milano contro Francesco Sforza, ma sono sconfitti a Castiglione d'Olona, onde poco dopo lo Sforza può recuperare Bellinzona e Biasca. Il primo periodo sforzesco, se è di tranquillità ai confini, è caratterizzato da lotte faziose nel luganese, ove si alternarono nel feudo Rusca e Sanseverino, a seconda del prevalere presso i duchi dei guelfi o dei ghibellini. Ne approfittano i confederati, specialmente gli Urani, per minacciare continuamente il ducato a causa della Leventina e degli stipendi arretrati, tal che il duca si risolvette a cederla definitivamente nel 1477: alcune questioni riguardanti gli alpeggi fanno scoppiare una guerra nell'autunno 1478: leventinesi e confederati assediano Bellinzona, ma un forte esercito ducale li costringe a battere in rapida ritirata, che non è fermata neppure dal successo ottenuto dai Leventinesi a Giornico: la pace di Lucerna (1480) sanzionò tuttavia una vittoria confederata, ché la Leventina venne riconosciuta urana, e la situazione in Val di Blenio e Riviera si rese tanto precaria, da determinare Ludovico il Moro, nella sua incerta politica, a cedere agli Svizzeri questi territorî, che del resto s'eran già molto accostati ai confederati (1495): ma nello sfacelo del ducato milanese gli Svizzeri dovevano avere maggior preda. Nel settembre 1499 tutto il territorio comasco-ticinese è occupato dai Francesi ma la loro presenza non è gradita ai Bellinzonesi, che cacciano la guarnigione (1500), e per qualche tempo, aiutati dai ghibellini luganesi, si reggono indipendenti, finché il 14 aprile 1500 spontaneamente si dettero agli Svizzeri, stretti com'erano dal blocco francese. La pace di Arona del 1503 sanziona lo stato di fatto. Poco di poi, però, i confederati scendono ad occupare quasi tutta la Lombardia e Milano (1512) e pur dopo la grave sconfitta di Marignano riescono a mantenere i nuovi acquisti, sia per la difesa opposta da Bellinzona ai Francesi, sia per le gravi condizioni europee in cui Francesco I viene a trovarsi: Lugano e Locarno, i cui castelli cadono soltanto ai primi del 1513: la Lega perpetua del 1516 fra confederati e Francia confermava agli Svizzeri tutto il territorio dell'attuale Canton Ticino, salvo i distretti di Mendrisio e Balerna, che spontaneamente si diedero ai confederati nel 1522: dopo tali avvenimenti, quasi tutti i castelli vennero diroccati, mentre il territorio nuovamente acquistato veniva organizzato su nuove basi.
Vennero cioè costituiti cinque baliaggi, retti da un Vogt o landamano, a Mendrisio, Lugano, Locarno, Vallemaggia e Bellinzona, i primi tre dipendenti dai 12 cantoni, l'ultimo dai tre cantoni gottardisti. Uri, Untomaldo e Svitto: ogni anno la dieta dei cantoni sovrani inviava una commissione di "sindicatori", che dovevano verificare l'operato dei Vogt, ma molto di sovente le comunità ticinesi dovevano ricorrere direttamente alla dieta, in difesa dei proprî diritti: la legislazione rimase autonoma ma naturalmente sottoposta a revisione dei dominatori, mentre la giu stizia (la cosiddetta media e alta giurisdizione) fu sottratta ai giudici locali. I Landvogt, come poi si dissero, venivano nominati a turno dai singoli cantoni, e il broglio e la corruzione furono argomenti quasi naturali per giungere a tale carica, che permetteva di rifarsi ampiamente nei baliaggi vendendo le cariche inferiori e cavando denaro in qualunque modo.
Questo periodo della sovranità svizzera è il più triste per il Ticino: non solo non vennero costruite nuove strade, ma neppure furono migliorate quelle già esistenti; la giustizia era praticata a seconda delle disponibilità finanziarie dei litiganti e dei rei, l'ignoranza somma: solo viva rimase la cultura per opera del clero milanese, che, sulle orme di S. Carlo Borromeo, poteva vantare due centri di studio, ad Ascona col Collegio Papio (1580) e a Pollegio col seminario fondatovi dal santo milanese, come antemurali della Controriforma. Contro il malgoverno parecchie volte si levarono in armi i Ticinesi, e si hanno così parziali rivolte nei baliaggi di Vallemaggia (1577), Leventina (1646), Lugano e Blenio (1749), ma la più grave sollevazione fu quella leventinese del 1775, soffocata violentemente nel sangue. Le vittorie del Bonaparte in Italia e i movimenti guidati da Ochs e Laharpe portarono anche alla proclamazione della libertà svizzera per i baliaggi ticinesi, che dovevano venire equiparati in ogni diritto ai cantoni ex-sovrani, non, però, uniti alla Cisalpina. Un tentativo in questo senso venne stroncato a Lugano, nel 1798, ma decise, con la presenza in città del generale Chevalier, i rappresentanti dei cantoni a ritornare oltralpe. La rivoluzione, ad ogni modo, si effettua pacificamente nel febbraio-marzo di quest'anno, ovunque capitanata da rappresentanti delle antiche famiglie patrizie. L'opposizione alla politica francese dei cantoni reazionarî, portò all'occupazione francese di tutta la Svizzera: e il Ticino venne a formare due prefetture. Le vittorie austro-russe fomentano una sollevazione dei contadini, specie nel Luganese, ma senza poter mutare la costituzione, tanto rapido è il loro passaggio: nel settembre 1799 traversava tutto il Ticino, fino al Gottardo, il generale Suvarov, diretto a fronteggiare il pericolo francese da settentrione: pochi mesi dopo, Marengo determinava l'abbandono di tutta la Lombardia e la Svizzera ritornò sotto il predominio francese. Nel 1802 il Ticino viene creato cantone sovrano aggregato alla confederazione elvetica, e la costituzione generale del nuovo cantone e della confederazione fu sancita con l'"Atto di mediazione" di Napoleone l'anno seguente: il territorio venne diviso in sei distretti, e a capo dello stato fu un landamano coadiuvato da un Piccolo Consiglio. Però nel novembre 1810 tutto il Canton Ticino venne occupato da truppe del Regno Italico (generale Fontanelli) sotto pretesto di sopprimere il contrabbando e l'asilo ai disertori, e l'occupazione rimase fino alla caduta del Regno Italico. Ma la nuova costituzione, antidemocratica, destò un grave malcontento, che scoppiò nella cosiddetta rivoluzione di Giuliasco (1814-15): la consulta provvisoria fu dispersa dal commissario Hirzel, inviato dalla dieta, il territorio occupato militarmente dai confederati, uno dei capi ticinesi, Angelo Stoppani, fu assassinato in carcere, e la costituzione aristocratica, malgrado la tenace difesa del Gran Consiglio, fu imposta: a capo dello stato fu posto un landamano. In tutto ciò non pare essere stata assente l'Austria che del nuovo governo si servì per combattere il liberalismo, che, importato nel Ticino dagli esuli italiani, ben presto contò fedeli e audaci fautori, come Stefano Franscini. Il quindicennio 1815-30, che è dominato dalla figura di G. B. Quadri dei Vigotti, vede il Ticino prosperare economicamente (si costruiscono l'intera rete stradale e le grandi vie di comunicazione: S. Bernardino 1818-23; Lucomagno 1820; Gottardo 1817-29), ma politicamente asservito all'Austria, malgrado l'opposizione dei migliori. Le idee liberali riportano vittoria nella rivoluzione parlamentare costituzionale del 1830, quando il governo dei landamani è rovesciato, e la costituzione riformata in senso democratico: la capitale è posta alternativamente nei tre centri più importanti (Lugano, Locarno, Bellinzona) e l'atteggiamento diviene spiccatamente avverso all'Austria. Si comprende, quindi, quale potesse essere l'atteggiamento del Canton Ticino nella guerra del Sonderbund (1846), che per altro ebbe qui riflessi politici, più che militari. Anzi il Canton Ticino è una delle roccheforti del liberalismo esule italiano, con le due tipografie rivoluzionarie di Capolago e di Lugano: nel 1848 una colonna (Arcioni) di volontarî ticinesi combatte in Lombardia. L'atteggiamento nettamente antiaustriaco del governo ticinese, che si opponeva a qualunque sfratto dei rifugiati italiani, e in un certo senso incoraggiava l'attività incendiaria delle tipografie Ruggia e Repetti, messa in luce dal processo Dottesio (1851) spinsero il Radetzky ad agire energicamente, proclamando un blocco doganale contro il Canton Ticino (1852-55), mentre a Vienna si studiava il modo, se non di smembrare lo stato confinante, almeno di rettificare il confine con l'incorporazione di Mendrisio, Balerna e Malcantone: la soluzione diplomatica venne fatta fallire dall'opposizione del governo ticinese, che, col 1859, si trovò sui confini uno stato amico, quale il regno di Sardegna, poi d'Italia. Il periodo che segue è, si può dire, polarizzato intorno alla questione ferroviaria del Gottardo, in concorso coi valichi dello Spluga, dello Stelvio e del Lucomagno: gli studî si susseguono per quasi un decennio (1863-71) in seguito all'apertura delle ferrovie del Brennero e del Cenisio, e finalmente in dieci anni (1872-82) il traforo fu compiuto, con sacrificio finanziario non indifferente per il cantone.
Bibl.: Moltissime notizie sul Canton Ticino si ritrovano nelle storie generali di Como, Lombardia, Svizzera, per cui si rimanda alle rispettive voci. Qui si segnalano le opere uscite più recentemente (la bibliografia precedente è riassunta nell'opera E. Pometta, Come il Ticino venne in potere degli Svizzeri, Bellinzona 1915-17, in tre volumi): E. Bontà, La Leventina nel Quattrocento, Bellinzona 1929; G. P. Bognetti, Sull'origine dei comuni rurali, Pavia 1927; L. Brentani, Codice diplomatico ticinese, I e II, Lugano 1927 e 1929; L. Caddeo, La tipografia elvetica in Capolago, Milano 1931; N. E. Greppi, La Vicinia di Caslano, ivi 1929; E. Maspoli, La pieve di Agno, 1926; E. Motta e S. Ricci, Il Luganese nell'epoca romana e preromana, Bellinzona s. a. (1930); C. Manaresi, Regesti di documento di Cannobio, Milano 1928; A. Nicola, Note sulla geografia economica della Svizzera italiana, ivi 1934; F. Pedrotta, Alfredo Pioda, Bellinzona 1936; E. Pometta, Breve storia di un popolo limitaneo, Milano 1934; id., La guerra di Giornico e le sue conseguenze, Bellinzona 1928; id., Il Canton Ticino e l'Austria negli anni 1848-49, Milano 1931; id., Il Canton Ticino e l'Austria negli anni 1854-55, Lugano 1927; G. Rovelli, La castellanza di Sonvico, Massagno 1927; P. Schäfer, Val Sottoceneri in Mittelalter, Aarau 1931; F. Stätelin, Die Schweiz in römischer Zeit, Basilea 1931; D. Severin, La reggenza di Bona di Savoia, l'Alto Ticino e gli Svizzeri, Milano 1933; S. Severin, Politica sabauda e dedizione delle valli ticinesi Maggia e Verrasca, ivi 1935; A. Solmi, Formazione territoriale della Svizzera italiana, ivi 1927; E. Talamona, G. B. Quadri, Lugano 1928.
Le fonti legislative si trovano per la massima parte riunite nei dodici volumi di A. Heusler, Die Rechtsquellen des Kanton Tessin, Basilea 1892-1910; altre in K. Meyer, Blenio und Leventina von Barbarossa bis Heinrich VII., Lucerna 1911; N. Greppi, La legislazione luganese del sec. XVII, Milano 1927. Altre opere riguardanti il Canton Ticino si ritrovano nella Biblioteca storica della Svizzera italiana, ivi 1926 segg., edita dalla Società Palatina.
Due riviste si occupano principamente della regione: Bollettino storico della Svizzera italiana, Bellinzona 1877 e segg.; Archivio storico della Svizzera italiana, Milano 1926 e segg. A liberi intervalli esce: Briciole di storia bellinzonese, Bellinzona 1924-33. Larghi riferimenti hanno le due riviste comasche: Atti della Società archeolog. per la provincia e antica diocesi di Como, e Periodico della Soc. stor. di Como e antica diocesi, entrambi editi a Como dal 1880.
Arte.
La tradizione artistica ticinese data essenzialmente dai maestri comacini. Tuttavia, essendo paese povero, non possiede gran numero di opere d'arte: quasi sempre l'attività dei suoi figli, e sempre quella dei maggiori, si esplicò fuori del paese. Questa costante e mirabile attività equivale, particolarmente durante il Medioevo, a diffusione di arte lombarda nel restante d'Italia; in Europa e nel mondo, a diffusione di arte italiana. Perché s'intende facilmente - considerando la posizione geografica e la storia politica del paese - che le vicende dell'arte nel Ticino corrispondono, o meglio fanno tutt'uno con le vicende dell'arte lombarda e italiana.
Nel Medioevo, quando i costruttori comacini portano per tutto l'architettura lombarda, numerosissimi sono i "magistri de muro", i lapicidi e gli architetti che traggono origine dal Ticino; quasi sempre anonimi, attendono a operare riuniti in maestranze che si nominano dai paesi nativi: per lo più villaggi sul Lago di Lugano, Carona, Bissone, Arogno, Campione, ecc. Restano nomi di artefici più salienti: si può citare quello di maestro Adamo da Arogno (morto nel 1218), che nel 1212 cominciò a costruire il duomo di Trento: edificio continuato poi, come spesso avveniva, dai suoi figli e abiatici; o quelli di due scultori, Guido Bigarelli pure da Arogno - ma noto nella storia dell'arte come da Como - e Giroldo da Lugano, che in quello stesso secolo furono attivi in Toscana. Nel secolo successivo le due grandi fabbriche lombarde del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia assorbirono buona parte dell'emigrazione degli artigiani ticinesi.
Nel Ticino uno dei più antichi monumenti medievali è il battistero ottagonale di Riva San Vitale, che vale anzi come uno dei primissimi edifici del genere in Lombardia. Dell'architettura romanica, che qui si protrae molto innanzi senza grandi variazioni, esistono, specie nelle valli, parecchi edifici di una rustica e virile semplicità non priva di pregio. Risalgono al sec. XII molte chiese: quella di S. Pietro a Biasca, quella di S. Biagio a Ravecchia, recentemente restaurata, l'oratorio di S. Vigilio a Rovio, la collegiata di S. Vittore a Muralto, dove è particolarmente interessante la cripta a tre navatelle, con basi e capitelli figurati; e altre ancora. L'esempio più compiuto di questo romanico rustico è la chiesa di S. Nicolao a Giornico: nobile edificio nel quale lesene, archeggiature pensili e portali con rozze figurazioni animano la forte muratura a conci stratificati. Una di tali chiesette alpestri, quella di Negrentino sopra Prugiasco, conserva un prezioso frammento di affresco - Cristo fra gli Apostoli - di carattere schiettamente bizantino: da collegare forse alle pitture di Galliano (1007), anteriori di almeno un secolo. Pitture trecentesche di molto pregio si trovano a Brione Verzasca, dove un frescante vicino ai giotteschi riminesi lasciò un ciclo della vita di Cristo del quale restano cinque scomparti; e a S. Biagio di Ravecchia, dove nella lunetta e nel gigantesco S. Cristoforo della facciata evidenti influssi senesi si sovrappongono ai modi della pittura lombarda della fine del secolo. Del 1400 sono gli affreschi di S. Maria in Selva a Locarno: pitture di manierata gentilezza che P. Toesca ha felicemente accostate alle miniature del Tacuinum sanitatis di Vienna, e che forse risentono anche di influssi francesi; della metà circa del secolo, le storie dell'Antico Testamento nel coro della chiesa del collegio di Ascona. Su questi e simili esempî si forma una scuola di rustici pittori - degni di particolare menzione Cristoforo e Nicolao da Seregno, detti da Lugano - operosissimi nel Ticino e anche oltre il San Gottardo e il Lucomagno nella seconda metà del Quattrocento: non privi di senso decorativo, essi prolungano arcaismi goticheggianti fino alle soglie del Cinquecento.
Verso la fine del Quattrocento cominciano a formarsi nell'emigrazione ticinese le grandi famiglie di artisti: i Solari di Carona, attivissimi in Lombardia e a Venezia col nome di Lombardi; i Rodari da Maroggia, operosi in Valtellina e a Como, attorno alla fabbrica di quel duomo; i Gagini da Bissone (e con quelli il Tamagnino loro congiunto), che, come gli Aprile da Carona, furono scultori oltremodo fecondi a Genova, donde spedirono lavori in Francia e in Spagna: e il ramo trapiantato con Antonello e i suoi figli in Sicilia vi tenne per lunghi anni il primato della scultura; i Pedoni da Lugano, decoratori squisiti, che lavorarono a Cremona e a Brescia attorno a S. Maria dei Miracoli. Comincia, o s'intensifica in quel periodo l'emigrazione verso l'Europa centrale e orientale: nel 1491 Pietro Antonio figlio di Guiniforte Solari lasciò il suo nome sulla torre maggiore del Cremlino a Mosca; l'architetto luganese G. M. Nosseni portò, nel sec. XVI, il Rinascimento italiano in Sassonia; G. B. Quadri luganese fu attivo in Prussia e Polonia; A. Abbondio il Giovine di Ascona esercitò la sua arte di medaglista alla corte di Boemia.
Nel Ticino il Rinascimento lasciò le tracce migliori nelle città. Bell'esempio di architettura militare i tre castelli di Bellinzona, costruiti in massima parte nella seconda metà del Quattrocento dai duchi di Milano; in quella stessa epoca il castello di Locarno, di origine ben più remota, fu ampliato e abbellito con gusto elevato dai Rusca: come attesta il poco che è sopravvanzato allo smantellamento fattone dagli Svizzeri nei primi del Cinquecento. A Tomaso Rodari da Maroggia pare siano da attribuire i primi lavori della collegiata di Bellinzona, nel secondo decennio del secolo XVI; e allo stesso Rodari s'è voluto assegnare (ma senza valido fondamento; la questione è tuttora insoluta) il più bel monumento di architettura del Rinascimento nel Ticino, la facciata cioè della cattedrale di S. Lorenzo a Lugano, che porta la data del 1517. Forse la facciata - a due ordini, con coronamento orizzontale - è da considerarsi incompiuta; in ogni modo le finissime decorazioni dei portali, i rilievi e i medaglioni sono da mettere fra le più belle prove della scultura rinascimentale: che nel Ticino si è per lo più limitata a ufficio decorativo. A Pellegrino Tibaldi è attribuito il disegno della chiesa di S. Croce a Riva San Vitale, costruita solo verso la fine del secolo e già toccata dal gusto barocco; allo stesso Pellegrini, certo con minor verosimiglianza, si vuol attribuire anche il collegio pontificio di Ascona, cominciato nel 1584: semplice edificio col chiostro a due ordini di logge. Elemento, questo delle logge, allora già vivo nell'architettura rustica del Ticino, alla quale ancora oggi conferisce, specie nel Sottoceneri, uno schietto sapore di eleganza paesana.
La pittura del Rinascimento è legata ai nomi di quella lombarda: Ferrari, Bramantino, Luini. Prossimo a Gaudenzio Ferrari è il pittore che in S. Maria delle Grazie a Bellinzona affrescò la parete trasversale con la Crocifissione e 15 scene della vita di Cristo: opera che piace soprattutto per il bell'effetto decorativo; al periodo giovanile del Ferrari stesso il Suida vuole assegnare un affresco con i Funerali della Vergine, in una cappella di quella chiesa, dove esistono altre interessanti pitture dell'epoca. Del Bramantino si conserva, a Locarno, una tavola con la Fuga in Egitto: dalla quale deriva una scena simile affrescata nella cappella Camuzio, in S. Maria degli Angeli a Lugano: cappella che è notevole esempio di decorazione pittorica dei primi del Cinquecento. Agli affreschi della cappella Camuzio è da riferire forse una tavola con la Vergine fra due Santi, conservata in S. Biagio di Ravecchia, datata del 1521 e firmata da Domenicus de Pet... dictus Sursnicus de Lacu Lugani: pittore intorno al quale manca qualsiasi altra notizia: come altrimenti ignoto è Io. Antonius Delegaia de Ascona, che nel 1519 così firmò un polittico a 6 scomparti nella chiesa del collegio di Ascona. Il Luini lasciò a Lugano, in S. Maria degli Angeli, le notissime opere: e qualche parentela con la sua arte può forse avere l'ignoto pittore che dipinse, nell'oratorio della Madonna di Campagna a Maggia - ed è quello il migliore dei segni lasciati dal Rinascimento nelle valli del Ticino - sette scene della vita della Madonna, con una semplicità piena di nobile grazia. Anche più direttamente richiama le sorti della pittura lombarda la grande replica del Cenacolo di Leonardo nella parrocchiale di Ponte Capriasca: opera che pare dipendere in parte dai cartoni di Weimar e intorno alla quale si son fatti, senza concludere, moltissimi nomi.
La tradizione artistica ticinese tocca a Roma, tra il Cinque e il Seicento, il suo massimo splendore, con una serie non interrotta di grandi architetti: Giovanni e Domenico Fontana, il Maderno, il Borromini, Carlo Fontana; con scultori come S. Maderno e Antonio Raggi, con Martino Ferabosco di Capolago, architetto e stuccatore, che nel 1620 pubblicò una raccolta di tavole sull'Architettura della Basilica di S. Pietro, con pittori come Giovanni Serodine di Ascona, allievo del Caravaggio, e Pier Francesco Mola uscito da una famiglia di architetti di Coldrerio operosi a Roma. Nel sec. XVII sono attivi a Venezia gli architetti B. Longhena e Giuseppe Sardi da Morcote; a Genova e Torino, i Carloni e i Bagutti: Giovanni Bagutti è autore della parte centrale della facciata del Valentino a Torino, alla decorazione del quale contribuirono numerosi ticinesi stuccatori e pittori, fra i quali Alessandro Casella da Carona e Isidoro Bianchi da Campione. In quell'epoca era pure operoso a Torino Michelangelo Garovo da Bissone, autore tra altro del palazzo Asinari. Il Settecento intensifica l'emigrazione dei Ticinesi verso il nord: da notare, oltre un folto stuolo di stuccatori, il ceramista F.A. Bustelli di Locarno, operoso a Neudeck e a Nymphenburg; e l'imponente afflusso in Russia, in quello e nel secolo seguente: da Domenico Trezzini di Astano che sui primi del Settecento ideò la nuova città di Pietroburgo, ai Gilardi di Montagnola, Giambattista e suo figlio Domenico, che un secolo dopo attesero a ricostruire Mosca distrutta dall'incendio napoleonico; dall'architetto Luigi Rusca di Agno che vi fu chiamato da Caterina II, a Gaspare Fossati, che vi fu chiamato dal Rusca stesso: il Fossati (appartenente a una dinastia di artisti originarî di Morcote e operosi soprattutto a Venezia) passò poi a Costantinopoli, dove attese, dal 1845 al 1850, a importanti restauri in S. Sofia, intorno al qual monumento pubblicò una raccolta di tavole a Londra, nel 1852. Il periodo neoclassico fu particolarmente fecondo per il Ticino, che produsse tutta una schiera di insigni architetti: il Cantoni e Giocondo Albertolli che, come quello, usciva da una famiglia di artisti; Luigi Canonica e Pietro Nobile che fu attivo specie a Trieste e a Vienna. Degni di ricordo l'architetto luganese Pietro Bianchi che costruì a Napoli, per Ferdinando IV, la chiesa di S. Francesco di Paola; e Giuseppe Frizzi di Minusio, morto giovanissimo nel 1831, che lasciò varie opere di edilizia a Torino. A Torino pure fu operoso Vincenzo Vela scultore, che insegnò in quell'accademia: posto nel quale egli succedette, nel 1856, all'ultimo dei Gagini di Genova. In quel periodo si acquistò buon nome Antonio Ciseri pittore, di Ronco sopra Ascona.
Nel Ticino le opere d'arte posteriori al Rinascimento sono numerose assai, specie nel Sottoceneri: anche se non di pregio singolare. Chiese ricche di marmi di stucchi di pitture, palazzi signorili, ville e case borghesi: notevoli la casa che nel 1620 Giovan Battista Serodine, fratello del pittore, ornò di stucchi ad Ascona; i palazzi settecenteschi dei conti Riva a Lugano; la casa che in quella città si costruì l'architetto Albertolli. Un artigianato intelligente produsse notevoli stucchi decorativi e bei ferri battuti; e si possono nominare alcuni pittori settecenteschi degni di attenzione: Giuseppe Petrini di Carona, i fratelli Torricelli luganesi, gli Orelli di Locarno, dei quali Giuseppe Antonio ebbe qualche contatto col Tiepolo. Molti i pittori del sec. XIX; maggiore valore si trova nei paesaggi di Filippo Franzoni locarnese, formatosi in Lombardia, dove pure si educò Edoardo Berta di Giubiasco, che lasciò già maturo l'esercizio della pittura per consacrarsi tutto alla conservazione, al ripristino e all'illustrazione dei monumenti d'arte del Ticino. (V. tavv. CVII e CVIII; e v. anche svizzera. Per la letteratura nel Canton Ticino, vedi svizzera, XXXII, p. 113).
Bibl.: Per gli artisti ticinesi: A. Bertolotti, Artisti svizzeri in Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Bellinzona 1886; G. Merzario, I maestri comacini, Milano 1893; C. Brun, Schweizerisches Künstlerlexikon, Frauenfeld 1905-17; F. Chiesa, L'opera dei nostri artisti fuori del Ticino, Lugano 1928; Guidi, Diz. degli artisti ticinesi, Roma 1932; Simona, Artisti della Svizzera italiana in Torino e Piemonte, Zurigo 1933; Aonati, Storia di artisti ticinesi, Bellinzona 1936; e la pubbl. L'opera del genio italiano all'estero, nella quale sono inclusi gli artisti del Ticino.
Per l'arte nel Ticino: Rahn, I dipinti del Rinascimento nella Svizzera italiana, in Boll. stor. della Svizzera italiana, 1892; id., I monumenti artistici del Medioevo nel Canton Ticino, Bellinzona 1894; P. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Milano 1912; F. Chiesa, Monumenti storici e opere d'arte esistenti nel Canton Ticino, Lugano 1928; e le monografie pubblicate a cura della Commissione cantonale sui Monumenti storici ed artistici del Canton Ticino, serie 1a (13 fasc.), Milano 1912-32; serie 2a, Bellinzona 1934 segg.