Abstract
La l. n. 218/1995 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato dedica alla capacità delle persone fisiche una serie di disposizioni che, nel solco della tradizione manciniana, attribuiscono un ruolo di primaria importanza alla legge nazionale del soggetto. Anche sulla scia degli orientamenti di dottrina e giurisprudenza, tuttavia, il ruolo primario di tale criterio è stato eroso a favore della lex substantiae, per quanto riguarda le capacità speciali e la commorienza; così come la sua applicazione incontra dei limiti nel momento in cui si tratti di salvaguardare colui che contrae con un incapace.
Categoria dai contorni piuttosto indefiniti e caratterizzata da molteplici sfaccettature, la capacità può essere definita in via generalissima come l’attitudine soggettiva riconosciuta o limitata dal diritto sulla base di determinate qualità o condizioni personali (Capotorti, F., Lezioni di diritto internazionale privato. Parte speciale: la capacità, Bari, 1966, 5).
All’interno di tale categoria si distinguono la capacità giuridica e la capacità di agire, la prima da intendersi come idoneità a divenire titolare di situazioni giuridiche soggettive e dunque coincidente con la nozione di personalità; la seconda definibile come idoneità del soggetto a determinare il sorgere di propri diritti e obblighi mediante atti giuridici compiuti personalmente. Le due tipologie di capacità ora enunciate si articolano a loro volta in due aspetti differenti, potendosi individuare una capacità giuridica e una capacità di agire generali, e capacità giuridiche e di agire speciali. In tali ultime ipotesi, l’ordinamento richiede la presenza di condizioni addizionali o l’assenza di determinate condizioni impeditive affinché il soggetto possa godere di determinati diritti e assumere determinati obblighi o possa compiere determinati atti.
Dal punto di vista del diritto internazionale privato, la molteplicità delle questioni sussumibili nella categoria della capacità ha dato luogo sotto il vigore delle preleggi al codice civile a numerosi problemi interpretativi. Dedicando infatti le preleggi un’unica disposizione – l’art. 17 – alla capacità, si era posto il problema dell’esatta delimitazione dell’ambito di applicazione della norma, primo fra tutti quello dell’idoneità dell’art. 17 a regolare la capacità giuridica dell’individuo, e dunque a disciplinare anche il momento di inizio e di estinzione della personalità, e a includere la disciplina delle capacità speciali, secondo parte della dottrina attratte nell’ambito di applicazione delle norme di diritto internazionale privato relative agli istituti in relazione ai quali le condizioni speciali di capacità erano richieste.
L’articolo 17, peraltro, era ritenuto da dottrina e giurisprudenza (v. per tutti Luzzatto, R., Stati giuridici e diritti assoluti nel diritto internazionale privato, Milano, 1965, 146 s.; Picone, P., Ordinamento competente e diritto internazionale privato, Padova, 1986, 158 ss.) come idoneo a dare efficacia nel foro anche a sentenze e ad atti amministrativi pronunciati o riconosciuti dalle autorità dello Stato di cittadinanza del soggetto, secondo il cosiddetto meccanismo del richiamo internazionalprivatistico, oggi espressamente accolto negli artt. 65 e 66 l. 31.5.1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.
La necessità di chiarire le numerose questioni rimaste aperte sotto il vigore delle preleggi ha indotto il legislatore della riforma del diritto internazionale privato a procedere sulla via della specializzazione delle norme di conflitto, dedicando alla capacità e ai diritti delle persone fisiche un intero capo (II) della l. n. 218/1995. Capacità giuridica e capacità di agire sono dunque oggi oggetto di due differenti disposizioni – gli artt. 20 e 23 – all’interno delle quali il legislatore ha distinto la disciplina della capacità generale da quella delle capacità speciali. A commorienza, assenza, scomparsa e morte presunta sono inoltre dedicate due disposizioni (gli artt. 21 e 22) che, salvo che nel caso della commorienza, coprono anche il profilo giurisdizionale. Della capacità si occupano infine gli artt. 27 (capacità matrimoniale), 35, co. 2 (capacità del genitore di fare il riconoscimento di figlio naturale), 38, co. 2 (capacità dell’adottando maggiorenne) e 47 (capacità di testare) della legge.
Si tratta di disposizioni che in gran parte si collocano nel solco della tradizione del nostro sistema di diritto internazionale privato, dal momento che attribuiscono alla legge nazionale del soggetto un ruolo preminente (art. 20, prima frase; art. 22, co. 1; art. 23, co. 1; art. 27; art. 35, co. 2; art. 38, co. 2; art. 47). A tale criterio si affiancano tuttavia criteri di collegamento differenti, il cui utilizzo era stato peraltro in alcune ipotesi auspicato dalla dottrina o previsto in convenzioni internazionali. Così, gli artt. 20, seconda frase, e 23, co. 2, danno spazio, per la disciplina delle capacità speciali giuridiche e di agire, alla legge regolatrice del rapporto in relazione al quale le condizioni di capacità vengono prescritte (lex substantiae) e i co. 2, 3 e 4 dell’art. 23 attribuiscono rilievo alla lex loci actus in materia di tutela di colui che contrae con un incapace. Infine, quanto ai presupposti per l’adozione di un minore idonea ad attribuirgli lo status di figlio legittimo, tra i quali può essere inclusa la capacità degli adottanti, l’art. 38, seconda frase, richiama la legge italiana.
Va peraltro notato che non è compito semplice – e sul punto non vi è accordo in dottrina – segnare la linea di demarcazione tra capacità generale e capacità speciali e tra capacità giuridiche speciali e capacità di agire speciali. La l. n. 218/1995 non fornisce alcuna indicazione in proposito, e dunque spetterà all’interprete inquadrare le singole fattispecie. Per quanto riguarda la distinzione tra capacità speciali giuridiche e di agire, la dottrina ritiene che siamo in presenza della prima ipotesi quando la capacità si riferisce a diritti personalissimi e l’incapacità a compiere quel determinato atto non può essere rimossa mediante autorizzazioni; mentre si è in presenza di capacità di agire speciali quando l’incapacità può essere rimossa da un’autorizzazione (Capotorti, F., Lezioni di diritto internazionale privato, cit., 130). Quanto alla distinzione tra capacità (giuridica e di agire) generali e speciali (le prime sottoposte alla lex patriae e le seconde alla lex substantiae), una capacità è definita speciale quando sono richieste condizioni aggiuntive o l’assenza di condizioni ostative per il godimento di un diritto o il compimento di un atto.
Va infine fatto un breve cenno all’art. 16 disp. prel. c.c., che non è stato oggetto di espressa abrogazione da parte della l. n. 218/1995, a norma del quale «lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali». Nonostante la dottrina sia orientata nel senso dell’abrogazione implicita di tale disposizione in quanto la legge di riforma del diritto internazionale privato «regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore» (art. 15 disp. prel. c.c.), il Ministero degli affari esteri e la giurisprudenza (Cass., 30.10.2008, n. 26063, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, 661; Cass., 11.2.2010, n. 3098, ivi, 2010, 748) considerano la condizione di reciprocità ancora applicabile, se pur solo in relazione alle materie economico-commerciali (acquisti immobiliari e materia societaria) e fatto salvo il godimento dei diritti fondamentali – e dunque anche della capacità giuridica – da parte di tutti gli individui.
Mentre la sinteticità del dettato dell’art. 17 disp. prel. c.c. aveva sollevato dubbi in dottrina sulla possibilità di includere nella citata disposizione la disciplina della capacità giuridica e dunque anche dell’acquisizione della personalità da parte del soggetto, la scelta del legislatore della riforma di dedicare un’apposita norma – l’art. 20 – a detta capacità attrae nell’ambito di applicazione della lex personalis anche la determinazione del momento nel quale tale capacità viene acquisita dall’individuo (contra, Ubertazzi, B, La capacità delle persone fisiche nel diritto internazionale privato, cit., 151 s.; sulle posizioni della dottrina sotto il vigore delle preleggi al c.c., v. Badiali, G., Personalità e capacità nel diritto internazionale privato e processuale, in Scritti degli allievi in memoria di Giuseppe Barile, Padova, 1995, 3 ss.). Nel nostro ordinamento tale momento è individuato dall’art. 1 c.c. nella nascita. Altri ordinamenti richiedono invece il requisito aggiuntivo della sopravvivenza per un certo periodo di tempo, indicato specificamente (l’art. 30 del codice civile spagnolo richiede ad esempio che il neonato sopravviva per 24 ore) o con un’espressione più generica (si veda il codice civile cileno che, all’art. 74, richiede che il neonato sopravviva «un momento siquiera»); o il fatto che il soggetto nasca vivo e vitale. Si tratta di normative che, in quanto richiedono che il soggetto sopravviva per un lasso molto breve di tempo, non pongono problemi di compatibilità con i principi fondamentali del nostro ordinamento; al contrario, una normativa che richiedesse la sopravvivenza per un periodo di tempo esteso ai fini dell’attribuzione della personalità giuridica sarebbe passibile di non essere applicata in Italia per contrarietà all’ordine pubblico.
Dalla circostanza che la capacità giuridica viene acquisita dal cittadino italiano a partire dal momento della nascita discende la conseguenza – esplicitata dall’art. 1, co. 2, c.c. – che «i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita». L’attribuzione, da parte di disposizioni del codice civile quali gli artt. 462, co. 1, e 784, co. 1, di determinati diritti al nascituro non ne anticipa dunque l’acquisizione della capacità giuridica ad un momento anteriore. L’acquisto di tali diritti è infatti subordinato alla condizione che la nascita si verifichi (Villani, U., Capacità e diritti delle persone fisiche (diritto internazionale privato), in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, 173). Tale conclusione non sembra smentita dall’evoluzione della normativa e della giurisprudenza sul piano internazionale, sicché non sembra potersi ritenere che il riconoscimento di personalità giuridica al concepito derivi dall’adattamento a trattati internazionali quali la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (contra v. Ubertazzi B., La capacità delle persone fisiche nel diritto internazionale privato, cit., 131 ss.).
Dal punto di vista del diritto internazionale privato, dunque, la capacità giuridica necessaria ai fini dell’acquisizione dei diritti in questione sarà valutata, secondo quanto dispone l’art. 20, prima frase, l. n. 218/1995, sulla base della legge nazionale del soggetto, mentre sarà la legge regolatrice dell’istituto che viene in considerazione a stabilire quali diritti spettino al nascituro.
Quanto alla perdita della personalità/capacità giuridica, essa coincide con il momento della morte. Dal punto di vista del nostro ordinamento sarebbe dunque senza dubbio incompatibile con l’ordine pubblico una norma straniera che faccia discendere la perdita della personalità giuridica da un evento differente, quale la commissione di un reato.
Nell’ipotesi in cui più soggetti abbiano perso la vita nella medesima circostanza, può tuttavia sorgere il problema di determinare quale soggetto sia morto per primo. La questione è affrontata espressamente dall’art. 21 l. n. 218/1995, secondo il quale «quando occorra stabilire la sopravvivenza di una persona a un’altra e non consta quale di esse sia morta per prima, il momento della morte si accerta in base alla legge regolatrice del rapporto rispetto al quale l’accertamento rileva». Sotto il vigore delle preleggi, in assenza di una norma specifica dedicata alla commorienza, la dottrina era divisa tra coloro che propendevano per la sottoposizione di tale istituto alla lex fori, coloro che attraevano la commorienza nell’ambito di applicazione dell’art. 17 disp. prel. c.c. sottoponendone la disciplina alla legge nazionale di ciascuno dei soggetti coinvolti, e coloro che facevano riferimento alla lex causae, cioè alla legge regolatrice del rapporto in relazione al quale la commorienza doveva essere accertata. In particolare, l’applicazione della lex fori veniva invocata sia da coloro che ritenevano che la commorienza fosse un istituto di carattere processuale, sia da coloro secondo i quali l’attribuzione e l’estinzione della capacità giuridica erano questioni estranee all’ambito di applicazione dell’art. 17 disp. prel. c.c. L’opzione a favore della legge nazionale del soggetto rispondeva invece all’esigenza di ricondurre all’art. 17 disp. prel. c.c. tutte le questioni relative alla capacità, compresi il momento di attribuzione di estinzione della personalità dell’individuo. Quanto all’opinione di coloro che ritenevano che la commorienza fosse attratta sotto la sfera di applicazione della legge regolatrice del rapporto in relazione al quale essa doveva essere accertata, tale opinione si fondava sul forte legame tra l’istituto in questione e il rapporto in relazione al quale il problema della commorienza veniva sollevato, nonché sulle difficoltà pratiche alle quali l’applicazione della legge nazionale dei vari soggetti avrebbe dato luogo. In effetti, data la diversità di soluzioni adottate dai vari ordinamenti nazionali in ordine alla commorienza, il rischio che l’applicazione cumulativa delle leggi nazionali dei soggetti coinvolti portasse a risultati contraddittori era elevato.
Proprio per questo motivo, il legislatore della riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, all’art. 21, seguendo la medesima soluzione adottata per la disciplina delle capacità speciali, ha optato per la sottoposizione dell’istituto della commorienza alla legge regolatrice del rapporto rispetto al quale l’accertamento della commorienza rileva. Si tratta di una soluzione che, pur presentando inconvenienti minori rispetto alla soluzione della lex patriae, non è in grado di eliminare in radice il rischio di giungere a soluzioni contraddittorie. Basti pensare all’ipotesi nella quale la commorienza dei medesimi soggetti vada accertata in relazione a rapporti differenti (ad esempio in relazione a rapporti assicurativi e a rapporti successori) e le leggi regolatrici dei rapporti in questione disciplinino la commorienza in modo difforme. In tali ipotesi, si deve ritenere che intervenga la lex fori a titolo sussidiario (Mosconi, F.-Campiglio, C., Diritto internazionale privato e processuale, II, Statuto personale e diritti reali, III ed., Torino, 2011, 9).
La l. n. 218/1995 dedica a scomparsa, assenza e morte presunta una disposizione apposita, l’art. 22, che, come accennato, si occupa sia dei profili giurisdizionali sia dei profili attinenti il diritto applicabile nelle suddette materie. Tralasciando le questioni di carattere processuale, va messo in luce che la disposizione ora citata sottopone i tre istituti all’ultima legge nazionale del soggetto, confermando il ruolo centrale della lex patriae in materia di capacità. In effetti, scomparsa e assenza sono istituti che possono essere inclusi tra le limitazioni alla capacità di agire, limitazioni che, nel caso della scomparsa, presentano aspetti in comune con le misure di protezione degli incapaci in quanto implicano la nomina di un curatore della persona scomparsa, e nell’ipotesi dell’assenza sono piuttosto apparentate alla materia successoria. Quanto alla morte presunta, essa attiene all’ambito della capacità giuridica, dal momento che produce i medesimi effetti della morte del soggetto.
Nel sottoporre i tre istituti all’ultima legge nazionale della persona, il legislatore di diritto internazionale privato supera definitivamente la tendenza, portata avanti da una parte della dottrina sotto il vigore delle preleggi, a sottoporre i tre istituti in questione alla lex fori. Il superamento di quest’ultimo orientamento non comporta tuttavia la totale irrilevanza della lex fori nella materia. Quando scomparsa, assenza e morte presunta di uno straniero debbano essere richieste in Italia, i provvedimenti che potranno essere richiesti all’autorità e le procedure necessarie saranno infatti stabiliti dalle disposizioni del nostro ordinamento, sicché, in caso di divergenza della legge straniera applicabile rispetto a tali disposizioni, sarà necessario una sorta di adattamento della legge straniera applicabile alle prescrizioni dettate dal nostro legislatore.
L’art. 20, prima frase, l. n. 218/1995, sottopone la capacità giuridica delle persone fisiche alla loro legge nazionale, allineandosi in questo modo alla soluzione accolta dall’art. 17 disp. prel. c.c. A differenza di quest’ultima disposizione, della quale era discussa l’applicabilità anche alle persone giuridiche, l’art. 20 si riferisce esclusivamente alle persone fisiche, mentre alle «società ed altri enti» la l. n. 218/1995 dedica un’apposita disposizione, l’art. 25.
Il nostro ordinamento, in linea peraltro con tutti gli strumenti internazionali di tutela dei diritti fondamentali, conferisce la capacità giuridica ad ogni individuo dal momento della nascita, stabilendo che questa si può estinguere solo con la morte dello stesso. Saranno pertanto considerate contrarie all’ordine pubblico da un lato, come accennato, quelle normative che prevedono la perdita della capacità giuridica per motivi differenti dalla morte, dall’altro le disposizioni di quegli ordinamenti che non riconoscono capacità giuridica a determinati individui (come gli intoccabili nel diritto indù).
Il co. 2 dell’art. 20 richiama, per la disciplina delle capacità speciali, la legge regolatrice del rapporto in relazione al quale la capacità va accertata. In linea di principio si può parlare di capacità speciale ogniqualvolta la legge, affinché l’individuo possa divenire titolare di determinati diritti o doveri, richieda la presenza di qualità giuridiche aggiuntive o l’assenza di condizioni ostative. Si pensi alle ipotesi previste dal nostro ordinamento dall’art. 86 c.c., che impedisce a chi è già vincolato da un matrimonio di contrarre nuovo matrimonio, o all’art. 463 c.c., secondo il quale è privo della capacità a succedere colui che abbia volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta o il coniuge o un ascendente o un discendente di questa. Le ipotesi ora citate non contemplano la possibilità che l’incapacità sia rimossa da un’autorizzazione, e pertanto, secondo la dottrina dominante, si tratta di incapacità speciali giuridiche e non di agire.
Dal punto di vista del diritto internazionale privato, le incapacità giuridiche speciali sono regolate dalla legge applicabile al rapporto al quale si riferiscono (art. 20, seconda frase). Così, nella Relazione ministeriale alla legge di riforma n. 218/1995, si legge che la capacità di obbligarsi per fatto illecito è una capacità speciale regolata dalla legge applicabile alla responsabilità per fatto illecito, qualificazione oggi ribadita dal regolamento n. 864/2007 dell’11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali che, al considerando n. 12, sottolinea che «la legge applicabile dovrebbe disciplinare altresì la questione della capacità di rispondere per il fatto illecito».
Tuttavia, non si può non rilevare come la legge di riforma del diritto internazionale privato sottoponga in alcune ipotesi anche le capacità giuridiche speciali alla legge nazionale del soggetto, precisamente quando tali incapacità siano poste a tutela del soggetto stesso e presentino dunque un labile legame con il rapporto in relazione al quale la capacità va accertata. Si tratta delle ipotesi previste dagli artt. 27 («la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale del nubendo al momento del matrimonio»), 35, co. 2 («la capacità del genitore di fare il riconoscimento è regolata dalla sua legge nazionale»), 47 («la capacità di disporre per testamento, di modificarlo o di revocarlo è regolata dalla legge nazionale del disponente al momento del testamento, della modifica o della revoca»).
La medesima oscillazione della disciplina delle capacità giuridiche speciali tra legge regolatrice del rapporto al quale si riferiscono e legge nazionale del soggetto si riscontra nelle convenzioni internazionali che contemplano disposizioni in materia di capacità. Così, la Convenzione di Monaco del 1980 relativa al rilascio di un certificato di capacità matrimoniale stabilisce, all’art. 1, che il certificato è rilasciato dalle autorità dello Stato di cittadinanza del soggetto ed attesta il rispetto delle condizioni richieste da tale Stato per la celebrazione del matrimonio; e le Convenzioni di Ginevra del 1930 e 1931 relative ai conflitti di legge in materia di cambiali e vaglia cambiari e ai conflitti di legge in materia di assegni, stabiliscono entrambe, all’art. 2, par. 2, che la capacità della persona di obbligarsi attraverso cambiale o vaglia cambiario o assegno è regolata dalla legge nazionale della stessa. All’art. 8, par. 2, lett. a), della Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento, al contrario, si legge che la legge regolatrice del trust si applica alla capacità di esercitare l’ufficio di trustee; e l’art. 7, par. 2, della Convenzione dell’Aja del 1989 sulla legge applicabile alle successioni per causa di morte sottopone la capacità di succedere alla legge regolatrice della successione. Peraltro, la sottoposizione della capacità di succedere alla legge regolatrice della successione è oggi sancita anche dall’art. 23, par. 2, lett. c) del regolamento 650/2012 del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia successoria e alla creazione di un certificato successorio europeo, il quale include nell’ambito di applicazione della legge regolatrice della successione, qualificandola dunque come capacità speciale, anche la capacità di disporre per testamento (art. 26, par. 1, lett. a).
Con uno schema corrispondente a quello utilizzato dall’art. 20, l’art. 23 l. n. 218/1995 richiama per la disciplina della capacità generale di agire la legge nazionale del soggetto, mentre sottopone le capacità speciali di agire alla legge regolatrice dell’atto in relazione al quale sono prescritte condizioni speciali di capacità. Tale parallelismo rende meno problematica la distinzione tra capacità speciali giuridiche e di agire, dal momento che la loro legge regolatrice è la medesima.
Per quanto concerne la capacità generale di agire, la legge indicata dall’art. 23, co. 1, determina innanzitutto il momento nel quale la capacità di agire si acquista. Il primo problema che si può porre all’interprete è dunque quello del cosiddetto conflit mobile, cioè delle conseguenze di un eventuale mutamento della legge regolatrice della capacità di agire. Se infatti un soggetto, maggiore di età secondo la propria legge nazionale, cambia in seguito cittadinanza e viene considerato minore di età dalla legislazione dello Stato del quale è divenuto cittadino, ci si può chiedere se egli mantenga lo status di maggiorenne quale diritto acquisito o se, pur rimanendo validi tutti gli atti da lui compiuti da maggiorenne, debba, in base alla nuova legge di cittadinanza, essere considerato minore di età. Sotto il vigore delle preleggi, la prima soluzione era stata sostenuta da autorevole dottrina (Capotorti, F., Lezioni di diritto internazionale privato, cit., 85 s.), mentre è oggi prevalente l’opinione che al soggetto debba essere applicata la nuova legge nazionale e dunque che egli debba essere considerato minore di età. L’idea che la maggiore età sia un diritto acquisito è invece accolta dall’art. 35 della legge svizzera di diritto internazionale privato che, sottoponendo la capacità di agire alla legge dello Stato di domicilio del soggetto, sottolinea che «il cambio di domicilio non tange, acquisita che sia, la capacità di agire». L’intangibilità della capacità acquisita, è poi sancita, in materia successoria, anche dal regolamento 650/2012, secondo il quale (art. 26, par. 2) «se una persona ha la capacità di fare una disposizione a causa di morte secondo la legge applicabile a norma dell’articolo 24 o dell’articolo 25, una successiva modifica della legge applicabile lascia impregiudicata la sua capacità di modificare o revocare una tale disposizione».
Oltre alla determinazione del momento nel quale la capacità di agire si acquisisce, la legge indicata dall’art. 23, prima frase, determina le conseguenze dell’incapacità sugli atti compiuti e regola gli eventi che incidono sulla riduzione della capacità e sull’ampliamento della stessa, come l’emancipazione. Quest’ultima, dunque, anche quando derivi da matrimonio, non è sottoposta alla legge regolatrice del rapporto al quale si riferisce, ma alla legge nazionale del soggetto.
Anche nel caso della capacità di agire, poi, sono ravvisabili ipotesi nelle quali la legge straniera richiamata dalla norma di conflitto italiana produce effetti contrari all’ordine pubblico. Basti pensare alle disposizioni straniere che riconoscono alla donna capacità di agire solo a partire dal momento del matrimonio o a quelle norme – presenti nel diritto indù o negli ordinamenti di alcuni paesi islamici – che negano alla donna la capacità di testare o di ricevere per testamento.
Per quanto concerne le capacità speciali di agire, come accennato, si tratta di quelle ipotesi nelle quali l’incapacità derivante dalla mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per il compimento di un determinato atto può essere rimossa mediante un’autorizzazione. In tale categoria possono dunque essere incluse, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la fattispecie prevista dall’art. 250, co. 2, c.c., relativo al riconoscimento del figlio infrasedicenne, dagli artt. 165 e 166 c.c., relativi alla capacità di stipulare convenzioni matrimoniali (Villani, U., Capacità e diritti delle persone fisiche, cit., 187), l’ipotesi contemplata dall’art. 31 l. fall., che prevede che il curatore fallimentare possa stare in giudizio solo previa autorizzazione (Cass., 29.7.2005, n. 15946, in Riv. dir. int., 2006, 577, e in Riv. dir. int. priv. proc., 2006, 1097).
Quanto alla capacità processuale, essa costituisce un riflesso della capacità generale di agire, ma, trattandosi di capacità attinente il processo, rientra nella sfera del diritto pubblico, ed è dunque sottoposta alla legge del foro richiamata dall’art. 12 l. n. 218/1995 (in questo senso, per quanto riguarda la disciplina previgente, v. Morelli, G., Diritto processuale civile internazionale, Padova, 1954, 31). Va tuttavia notato che il codice di procedura civile italiano, all’art. 75, per la determinazione della capacità processuale richiama le norme che regolano la capacità del soggetto, sicché la legge richiamata dall’art. 23 l. n. 218/1995 rientra in gioco (Badiali, G., Personalità e capacità nel diritto internazionale privato e processuale, cit., 100).
La giurisprudenza (Cass., 28.4.1992, n. 5059, in Riv. dir. int. priv. proc., 1994, 90) ha ritenuto che ricadesse nella sfera di applicazione della lex fori anche la disciplina dell’incapacità naturale, cioè di quelle ipotesi nelle quali il soggetto, pur capace di agire, sia in concreto incapace di intendere e di volere. La soluzione tuttavia più coerente sembra essere quella dell’inclusione dell’incapacità naturale nella sfera di operatività della legge regolatrice del rapporto al quale tale incapacità si riferisce. Come le capacità speciali, infatti, tale incapacità, più che essere riferita a qualità del soggetto, ha una stretta connessione con gli atti da questo compiuti (Rossolillo, G., Qualche riflessione in tema di incapacità naturale, in Riv. dir. int. priv. proc., 1994, 67).
Tra le questioni ricadenti, sotto il vigore delle preleggi, nell’ambito di applicazione dell’art. 17 disp. prel. c.c. e oggi oggetto di un’apposita disciplina vi è l’istituto dell’interdizione. L’art. 43 l. n. 218/1995 è infatti dedicato alla protezione dei maggiori di età (v. Protezione degli adulti – dir. int. priv.), e si applica espressamente ai presupposti e agli effetti delle misure di protezione degli incapaci, sottoponendoli alla legge nazionale dell’incapace stesso. Per l’interdizione giudiziale, dunque, la legge di riforma del diritto internazionale privato richiama la medesima legge richiamata dall’art. 23, prima frase, per la disciplina della capacità di agire generale. Tale coincidenza, dovrebbe eliminare in radice i problemi di coordinamento tra le due disposizioni, strettamente legate tra loro, tanto che la giurisprudenza (Trib. Pordenone, 7.4.2002, in Riv. dir int. priv. proc., 2002, 1052) ha sostenuto la necessità di applicare entrambe le disposizioni al procedimento di interdizione. In realtà, un margine di incertezza permane per quanto concerne l’interazione tra l’art. 43 e i co. 2 e 3 dell’art. 23 che, come vedremo, in relazione alla tutela di chi contrae con un incapace, individuano ipotesi di deroga all’applicazione della legge nazionale del soggetto.
Quanto invece all’interdizione legale, cioè all’interdizione conseguente a condanna penale, e all’incapacità conseguente al fallimento, non trattandosi di misure di protezione dell’incapace, esse ricadranno nella sfera di applicazione dell’art. 23. Qualora, tuttavia, si tratti di riconoscere in Italia un provvedimento di tal genere, si potranno porre problemi di incompatibilità con l’ordine pubblico nelle ipotesi in cui il reato per il quale l’interdizione è stata dichiarata non sia previsto come tale nel nostro ordinamento o in cui l’interdizione abbia un intento persecutorio per motivi razziali o religiosi (Villani, U., Capacità e diritti delle persone fisiche, cit., 186).
In deroga a quanto disposto dal co. 1 dell’art. 23, i co. 2, 3 e 4 della medesima disposizione pongono alcune norme volte alla tutela di colui che contrae con un incapace.
La disposizione trova un precedente nell’articolo 17, co. 2, disp. prel. c.c., nel quale si leggeva che «uno straniero, se compie nella Repubblica un atto per il quale sia incapace secondo la sua legge nazionale, è considerato capace se per tale atto secondo la legge italiana sia capace il cittadino, salvo che si tratti di rapporti di famiglia, di successioni per causa di morte, di donazioni, ovvero di atti di disposizione di immobili situati all’estero». L’art. 23 l. n. 218/1995 enuncia un principio analogo, distinguendo l’ipotesi nella quale l’incapace concluda un contratto da quella in cui compia un atto unilaterale, ed elencando, al co. 4, le materie alle quali i co. 2 e 3 non sono applicabili.
Quanto all’ipotesi di conclusione di un contratto, secondo l’art. 23, co. 2, «in relazione a contratti tra persone che si trovano nello stesso Stato, la persona considerata capace dalla legge dello Stato in cui il contratto è concluso può invocare l’incapacità derivante dalla propria legge nazionale solo se l’altra parte contraente, al momento della conclusione del contratto, era a conoscenza di tale incapacità o l’ha ignorata per sua colpa». La disposizione, innanzitutto, facendo riferimento alla legge nazionale del soggetto, non include nella sua sfera di applicazione le capacità speciali di agire. Inoltre, contempla esclusivamente i contratti tra persone presenti nel medesimo Stato, escludendo dunque dal proprio ambito di applicazione i contratti a distanza, molto diffusi nel commercio internazionale. Va infine chiarito il suo rapporto con l’art. 43, relativo alle misure di protezione degli adulti e con il regolamento 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) che, all’art. 13, contiene una disposizione analoga. Per quanto concerne la prima questione, l’art. 23, co. 2, in quanto norma speciale in materia di capacità, è atto a prevalere sull’art. 43 l. n. 218/1995. Se dunque sono soddisfatte tutte le condizioni richieste dall’art. 23, co. 2, il contratto sarà valido anche se la legge nazionale dell’incapace richiede che questi sia munito di un’autorizzazione e l’autorizzazione non è stata rilasciata (Villani, U., Capacità e diritti delle persone fisiche, cit., 189). Quanto al regolamento Roma I, la disposizione dell’art. 13 è quasi totalmente corrispondente a quella dell’art. 23, co. 2, salvo che per il fatto che l’incapacità che il soggetto può invocare non deve necessariamente derivare dalla sua legge nazionale, bensì può discendere da qualsiasi legge differente da quella del luogo nel quale il contratto è stato concluso. Ne consegue che tale disposizione, a differenza dell’art. 23, è idonea a trovare applicazione anche nelle ipotesi di incapacità speciali. Trattandosi poi di una disposizione contenuta in un regolamento dell’Unione europea, essa prevale sull’art. 23, co. 2, in tutte le ipotesi nelle quali il regolamento si applica per forza propria, mentre cederà di fronte all’art. 23 quando il regolamento si applichi al di fuori del suo ambito di operatività originario in virtù del richiamo effettuatone dall’art. 57 l. n. 218/1995.
Quanto al co. 3, esso estende il medesimo principio enunciato dal co. 2 agli atti unilaterali produttivi di effetti giuridici, anche non recettizi, compiuti da un incapace. Data la differente natura degli atti in questione, la disposizione consente che l’incapacità venga invocata «soltanto se ciò non rechi pregiudizio a soggetti che senza loro colpa hanno fatto affidamento sulla capacità dell’autore dell’atto». Anche per quanto concerne gli atti unilaterali, può sorgere un problema di coordinamento con disposizioni analoghe di fonte internazionale. Le convenzioni di Ginevra del 1930 e del 1931 relative ai conflitti di legge in materia di cambiali e vaglia cambiari e ai conflitti di legge in materia di assegni, all’art. 2, par. 2, dispongono che la persona incapace secondo la sua legge nazionale è ritenuta validamente obbligata se la sottoscrizione è stata posta nel territorio di uno Stato in base alla cui legislazione la persona sarebbe stata capace. Trattandosi, come nel caso del regolamento Roma I, di Convenzioni richiamate dalla l. n. 218/1995 (art. 59) e il cui ambito di applicazione personale è stato esteso in virtù di tale richiamo, la disposizione ora citata delle due convenzioni prevarrà sull’art. 23, co. 3, quando le convenzioni si applichino per forza propria, mentre prevarrà l’art. 23, co. 3, qualora la sottoscrizione non sia avvenuta in uno Stato contraente (Mosconi, F.-Campiglio, C., Diritto internazionale privato e processuale, cit., 20).
Infine, per quanto concerne il co. 4 dell’articolo 23, in esso si elencano alcune materie (rapporti di famiglia e di successione per causa di morte, atti relativi a diritti reali su immobili situati in uno Stato diverso da quello in cui l’atto è compiuto) escluse dalla sfera di applicazione dei co. 2 e 3 del medesimo articolo. Si tratta di materie ugualmente escluse dall’ambito di applicazione del regolamento Roma I, fatta eccezione per i diritti reali su beni immobili, in relazione ai quali, dunque, l’art. 13 del regolamento troverà applicazione.
Convenzioni di Ginevra del 1930 e 1931 relative ai conflitti di legge in materia di cambiali e vaglia cambiari e ai conflitti di legge in materia di assegni; Convenzione di Monaco del 1980 relativa al rilascio di un certificato di capacità matrimoniale; Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento; Convenzione dell’Aja del 1989 sulla legge applicabile alle successioni per causa di morte; regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 luglio 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II); regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I); regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia successoria e alla creazione di un certificato successorio europeo; art. 17 disp. prel c.c.; art. 31 l. fall.; l. 31.5.1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.
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