Abstract
Viene esaminata dapprima la norma di cui all'art. 1 c.c., uno dei pilastri su cui si basa il diritto dei nostri tempi, dedicata alla capacità giuridica spettante ad ogni soggetto dell'ordinamento; in seguito si analizza la capacità di agire introdotta dall'art. 2 c.c. e le sue limitazioni.
Il legislatore ha voluto affermare che tutti i soggetti di diritto, per il solo fatto della nascita, sono titolari di diritti, obblighi e altre situazioni giuridiche soggettive, in ossequio ai principi di libertà ed uguaglianza sanciti dalla Costituzione. Questa capacità si perde con la morte della persona fisica e con l'estinzione della persona giuridica. Diversa dalla capacità giuridica è la capacità di agire, ovvero l'idoneità del soggetto a porre in essere un'attività giuridicamente rilevante – consistente nell'acquisto o nell'esercizio di diritti ovvero nell'assunzione di obblighi – mediante una manifestazione della volontà che l'ordinamento considera a priori cosciente e consapevole. L'esercizio della capacità di agire si acquista al compimento del 18° anno di età, misura unica e valida per tutte le persone fisiche. (su queste nozioni rinviamo a Breccia, U., Diritto privato - Parte prima, Torino, 2003, 77 ss.).
I protagonisti della scena giuridica del libro I del Codice Civile sono le persone fisiche e le persone giuridiche. La prima espressione indica gli esseri umani, la seconda una varietà di centri di interesse diversi dall'uomo singolo: enti pubblici, associazioni, società – insomma, collettività e organizzazioni in genere (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, Padova, 2004, 83). L'uomo, persona fisica, è dalla nascita in grado di divenire titolare di diritti ed obblighi, e, compiuto il diciottesimo anno di età, salvo eccezioni, è in grado di compiere validamente atti giuridici che producano effetti per l'agente (Roppo, V., Diritto privato. Linee essenziali, Torino, 2012, 96 ss.).
Anche la persona giuridica, in quanto soggetto, è dotata di capacità giuridica. Come appare intuitivo, questa capacità da un lato è più limitata di quella delle persone fisiche, non potendo la persona giuridica compiere tutte quelle azioni che presuppongono l’attributo della fisicità; come ad esempio sposarsi, riconoscere figli etc.; dall’altro lato, è più ampia, potendo la persona giuridica compiere quelle azioni che prescindono dalla fisicità, ad esempio procedere a scissione o fusione, mettersi in liquidazione e così via. Al di fuori di queste ovvie ipotesi, però, c'è coincidenza tra capacità giuridica delle persone fisiche e giuridiche (cd. capacità generale e illimitata).
Le persone giuridiche hanno piena capacità di agire, tuttavia esse non sono idonee, per loro natura, a formare ed esprimere una loro volontà, se non attraverso persone fisiche, gli amministratori, che si configurano quali organi della persona giuridica, portatori della volontà dell'ente (Loffredo, F., Le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica. Manuale e applicazioni pratiche delle lezioni Guido Capozzi, III ed., Milano, 65 ss.)
La funzione di una regola come quella dell'art. 1 può sembrare, oggi, scontata e di scarso valore pratico dato che siamo abituati a pensare che qualsiasi uomo abbia dei diritti, ma non sempre è stato così. Fin dai tempi antichi gli uomini, potendo essere comprati e venduti come schiavi, erano considerati cose e, come tali, privi di diritti. In passato, anche l'ergastolo era considerato come una morte civile e il condannato perdeva cioè ogni diritto (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit. 85). L'espressione «capacità giuridica» è propria della letteratura giuridica di fine ’600, all'origine, essa riassumeva le tre posizioni fondamentali che la persona poteva rivestire nel mondo del diritto: cittadinanza, libertà, famiglia (status civitatis, libertatis, familiae). In seguito alle grandi rivoluzioni e all'affermazione del principio di eguaglianza davanti alla legge, l'idea che tutti siano capaci di diritto fin dalla nascita e senza distinzioni assume valore di principio fondamentale (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit., 84). La stessa capacità giuridica diviene così una prerogativa costituzionale dell'individuo (art. 22 Cost.) (Ambrogio, S., Compendio di diritto privato, Piacenza, 2012, 38 ss.).
Come accennato nel paragrafo precedente la capacità giuridica è espressione del principio di libertà ed eguaglianza, tanto che l'art. 22 Cost. stabilisce che nessuno possa essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome. Ciò non toglie che in certi casi la stessa venga limitata a soggettività giuridiche circoscritte (incapacità giuridica speciale); nel nostro ordinamento, unico esempio di incapacità giuridica speciale, può essere considerata quella dello straniero, il quale, come dispone l'art. 16 disp. prel., «è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità», cioè in tanto in quanto l'ordinamento dello Stato cui il soggetto appartiene riconosca eguale posizione ai cittadini italiani. Si tratta di una limitazione che non si pone formalmente in contrasto con l'art. 3 Cost. che riferisce espressamente ai cittadini l'operatività del principio di uguaglianza. I diritti inviolabili dell'uomo non sono poi certo in discussione (art. 2 Cost.). L'opinione consolidata riferisce l'art. 16 disp. prel. ai diritti civili in senso restrittivo, ossia ai diritti politici in senso stretto (Breccia, U., Diritto privato - Parte prima, cit., 80). Peraltro, l'ambito di applicazione della norma si è notevolmente ridotto, dato che il legislatore, in conseguenza dei fortissimi flussi migratori degli ultimi anni e della catastrofica condizione umana dei profughi ha riconosciuto senz'altro i diritti civili a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato. La condizione di reciprocità dovrebbe valere ormai per i soli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit., 85 s.). L'incapacità giuridica relativa si ha quando la capacità è limitata o esclusa con riferimento solo a singoli soggetti o in presenza di particolari condizioni. Si parla anche di incompatibilità e si adducono come esempi le norme che prevedono gli impedimenti al matrimonio (art. 87-88 c.c.), all'adozione (art. 293,295 c.c.) alla nomina del tutore (art. 350 n.2 e 3). (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, Padova, 2004, 85 ss.).
La capacità giuridica, come già detto, si acquista con la nascita, ovvero con la separazione del feto dalla madre. La prova della nascita viene fatta coincidere tradizionalmente con la prova dell'autonoma respirazione, non importando se il soggetto sia vitale (capacità di condurre una vita autonoma). Il codice civile però non considera irrilevante la condizione del nascituro, infatti l'art. 1 c.c. parla di diritti che la legge riconosce a favore del concepito. Si tratta di diritti che hanno un carattere essenzialmente patrimoniale (ovvero la capacità di succedere per successione legittima per testamento e di ricevere una donazione; per testamento può ricevere anche il non-concepito, purché figlio di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore; un criterio parallelo vale per la donazione). La legge subordina l'acquisto dei suddetti diritti all'evento della nascita, in caso di mancata nascita si considera come mai avvenuto (Breccia, U., Diritto privato - Parte prima, cit., 72 s).
Nell'ambito non patrimoniale, si discute molto se ci siano diritti personali del nascituro concepito. A parte la disciplina sull'interruzione di gravidanza (l. 22.5.1978, n. 194), che afferma in apertura il principio di tutela della vita umana «dal suo inizio» (art. 1), si discute circa il diritto al risarcimento del danno per lesione dell'integrità fisica subita durante la gravidanza (ad es. in un incidente) o all’atto stesso della procreazione (trasmissione di malattia ereditaria, o malformazioni dovute a procreazione da parte di soggetti che avevano assunto farmaci o droga: cd. danno da wrongful life). Più recenti sono i problemi legati ai limiti di ammissibilità delle terapie prenatali, riguardo le quali è concorde l'opinione che il feto debba essere trattato come un paziente, rappresentato naturalmente dai genitori; inoltre riguardo le tecniche di formazione di embrioni in vitro, sia a fini di fecondazione artificiale, sia a fini di ricerca, in ambito europeo, si è avvertita dovunque l'esigenza di una specifica disciplina legislativa che in In Italia è culminata con la l. 19.2.2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) contenente diverse misure di protezione dell'embrione. La legge, all’art. 1, configura dei veri diritti dell’embrione, tutelati nel loro insieme, accennando ad una soggettività dell'embrione (con l'espressione «soggetti coinvolti» nella procreazione assistita): naturalmente questa soggettività sussiste in relazione a particolari diritti riconosciuti all'embrione (e poi al feto, secondo il principio già presente nella legge sull'interruzione di gravidanza) non invece come capacità giuridica ex art. 1 c.c. Anzitutto è in assoluto vietata la sperimentazione sull'embrione umano ed è consentita la ricerca clinica e sperimentale solo per finalità di diagnosi e terapie che siano dirette a vantaggio dell'embrione stesso (art. 13); si vietano, poi, la formazione di embrioni ad ogni fine diverso da quello della procreazione assistita ed ogni forma di selezione a fini eugenetici, di alterazione del patrimonio genetico, di clonazione o di produzione di ibridi e chimere combinando DNA umano e non umano. È anche vietata la crioconservazione e successiva soppressione di embrioni umani (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit., 86).
Con la morte si estingue il soggetto giuridico venendo meno un centro unitario di imputazione di diritti ed obblighi e, più in generale, di situazioni giuridiche soggettive (Breccia, U., Diritto privato - Parte prima, cit., 74). Per quanto riguarda la fine della vita umana, il nostro legislatore aveva, in passato, evitato di enunciare una definizione di morte, affidando tale compito al sapere del medico. Questa disciplina risultava però inadeguata rispetto ai problemi nascenti dalle tecniche di rianimazione e di sopravvivenza assistita, e dalle pratiche di prelievo d'organi di cadavere a fini di trapianto.
La materia è ora disciplinata dalla l. 29.12.1993, n. 578 (Norme per l'accertamento e la certificazione della morte) che ha enunciato una definizione unitaria di morte, valida in tutti i casi, secondo la quale la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo (cosiddetta morte cerebrale). Alla definizione unitaria di morte si contrappone peraltro un duplice metodo di accertamento. Il metodo tradizionale si affida ancora all'accertamento empirico e con la cautela di un periodo di osservazione di 24 ore. Il metodo di accertamento precoce è disciplinato in due modi rigidi: la morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono cessate e quando l'elettrocardiogramma è piatto per almeno 20 minuti; nel caso di soggetti affetti da lesioni encefaliche e sottoposti a rianimazione, la cessazione irreversibile delle funzioni dell'encefalo si accerta rilevando, per un periodo di osservazione non inferiore a sei ore, una serie di condizioni (stato di incoscienza, assenza di riflessi del tronco cerebrale e di respiro spontaneo, silenzio elettrico cerebrale) la cui simultanea presenza determina il momento della morte.
La morte, però, non sempre può essere materialmente constatata: da un lato, nei casi di scomparsa della persona, è prevista la possibilità di accertamenti presuntivi della morte, o di una dichiarazione di morte presunta; dall’altro, nei casi di impossibilità a determinarne esattamente il momento, (ad esempio se in una stessa occasione, un incidente, un naufragio, un terremoto, ecc. siano morte più persone), si applica la regola della commorienza (art. 4): tutte le persone si considerano decedute nello stesso momento (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit., 91 ss.).
L'art. 2 introduce la nozione di capacità di agire, ovvero l'attitudine a compiere atti giuridici. Essa si acquista, per la generalità degli atti, al compimento del diciottesimo anno di età (maggiore età). L'atto compiuto da una persona che manca di capacità d'agire (p. es. un minorenne, o un interdetto) non è completamente nullo ma solo annullabile (art. 1425 c.c.) e, finché non è annullato, produce i suoi effetti. Un atto giuridico può essere compiuto validamente da un incapace d'agire se questi agisce in nome altrui, in forza di una procura rilasciata da un soggetto capace (art. 1389) (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit., 91). L'art. 2 offre una doppia garanzia: essa protegge l'incapace, escludendolo dallo svolgimento dell'attività giuridicamente rilevante dei privati e produttiva di effetti che, non adeguatamente conosciuti e voluti, potrebbero rivelarsi a lui pregiudizievoli; garantisce anche la protezione degli altri soggetti dell'ordinamento che sono in grado di poter sapere prima, con chi possono validamente intrattenere relazioni giuridicamente rilevanti.
L'intero sistema di norme che regola la condizione giuridica delle persone fisiche e l'idoneità a compiere una valida attività giuridicamente rilevante è fondato sulla rigida distinzione tra soggetti legalmente capaci e soggetti legalmente incapaci di agire. Il sistema offre garanzie di certezza, consentendo di conoscere a priori la condizione dei soggetti; ciò richiede però un alto grado di semplificazione distinguendo i soggetti capaci da quelli incapaci con l'adozione di criteri indifferenziati e aprioristici (età, provvedimenti del giudice) che escludono tendenzialmente una valutazione concreta.
Sono legalmente incapaci di agire i minori d'età e i maggiorenni che hanno un'abituale infermità di mente di gravità tale da rendere la persona incapace di provvedere ai propri interessi (art. 414 c.c.). Tale situazione è accertata dal giudice con un esame dell'interdicendo (senza obbligo di perizia psichiatrica) ed è sancita da una sentenza (cd. interdizione giudiziale). La perdita della capacità a seguito dell'interdizione è assoluta: l'interdetto è incapace di compiere validamente qualsiasi atto patrimoniale, anche di piccola entità: non può fare testamento; non può contrarre matrimonio; non può riconoscere un figlio naturale. Tuttavia, il giudice può stabilire che l'interdetto conservi la capacità con riguardo a taluni atti di ordinaria amministrazione. Inoltre, la donna interdetta può richiedere personalmente l'interruzione di gravidanza a norma dell'art. 13 l. n. 194/1978 (dovrà essere sentito, in tal caso, il parere del tutore) (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit., 91).
Il rappresentante legale agisce in nome e per conto (nell'interesse) dell'incapace, ovvero l'atto compiuto dal rappresentante produce effetti nella sfera giuridica dell'incapace. Solo gli atti compiuti dal rappresentante legale in nome e per conto dell'incapace (con l'osservanza delle formalità previste dalla legge) acquistano piena e definitiva validità. Gli atti che l'incapace compie direttamente sono annullabili, ovvero, sono provvisoriamente efficaci, ma possono essere annullati (con conseguente eliminazione degli effetti che hanno prodotto) su iniziativa dell'incapace (una volta acquistata o riacquistata la capacità di agire) o del suo legale rappresentante (Breccia, U., Diritto privato - Parte prima, cit., 85).
Il potere di rappresentanza del tutore non si estende, invece, agli atti personalissimi (atti di diritto familiare, testamento), che sono del tutto preclusi all'interdetto (con qualche eccezione da parte della giurisprudenza). L'attività di amministrazione e rappresentanza del tutore si svolge sotto il controllo dal giudice tutelare, che deve autorizzare gli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione. Se compiuti senza le prescritte autorizzazioni, gli atti del tutore sono annullabili, su istanza del tutore stesso, o del rappresentato – che può agire dopo la revoca dell'interdizione – o infine dei suoi eredi o aventi causa. Tutti i provvedimenti che riguardano l’interdizione sono soggetti a una doppia pubblicità volta a renderli legalmente riconoscibili: essi devono essere iscritti nel registro delle tutele tenuto presso la cancelleria del tribunale, ed essere poi trasmessi all'ufficiale dello stato civile che ne fa annotazione a margine dell'atto di nascita: in questo modo essi sono legalmente conoscibili, e nessuno può sostenere di averli senza colpa ignorati.
Un'ipotesi di incapacità diversa da quelle viste finora, volta a punire, anziché a proteggere il soggetto, è quella che deriva dalla cd. interdizione legale. Essa colpisce automaticamente chi sia condannato all'ergastolo o alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni. L'interdizione è una pena accessoria rispetto alla sanzione primaria. Non subiscono limitazioni gli atti di natura personale o familiare (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit., 97).
Quando l'infermità di mente non è così grave da richiedere l'interdizione, oppure quando vi sono situazioni quali la patologica prodigalità, l'abuso abituale di bevande alcoliche e di stupefacenti (soltanto se espongono la persona o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici), il sordomutismo e la cecità congeniti o dalla prima infanzia (se è mancata un'educazione sufficiente, e a meno che non risulti una totale incapacità di provvedere ai propri interessi, che consente l'interdizione), si ha l'inabilitazione.
Il minore emancipato e l'inabilitato hanno la capacità di compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione (cioè gli atti che entrano nella normale gestione e conservazione del patrimonio); per gli atti di straordinaria amministrazione, a meno che il giudice non provveda diversamente, è previsto che l'incapace relativo compia l'atto con l'assistenza di un curatore e, nella maggior parte dei casi, con l'autorizzazione del giudice tutelare, in mancanza del quale, gli atti compiuti dall'emancipato e dall'inabilitato sono annullabili. Per questi soggetti non esiste alcuna restrizione al compimento di atti personalissimi. Quanto al testamento, l'inabilitato è capace, purché provvisto della concreta capacità di intendere e di volere (art. 591, n. 3).
Una disciplina speciale, che diversifica il trattamento normativo dell’inabilitato da quello del minore emancipato, è prevista relativamente all’esercizio dell’impresa commerciale. Il minore emancipato, se autorizzato dal tribunale ad iniziare o continuare un’impresa commerciale, è legittimato anche a compiere atti di straordinaria amministrazione estranei all’esercizio dell’impresa. L’inabilitato, invece, può soltanto essere autorizzato a continuare l’esercizio dell’impresa commerciale, restando ferma la necessaria assistenza del curatore per tutti gli atti si straordinaria amministrazione (Breccia, U., Diritto privato - Parte prima, cit., 85). Procedimento e mezzi di pubblicità sono analoghi a quelli già visti per l'interdizione.
Un importante intervento legislativo, la l. 9.1.2004, n. 6, oltre ad aver apportato numerose modifiche alle disposizioni che concernono l'interdizione e l'inabilitazione, ha introdotto nel libro primo del codice civile (titolo XII, capo I) la figura dell'amministratore di sostegno. La ratio della riforma è quella di tutelare i cd. soggetti deboli, cioè, le persona prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, attuando interventi di sostegno temporaneo o permanente, con la minore limitazione possibile della capacità di agire. Il giudice, con decreto, nomina l'amministratore di sostegno, stabilendo i poteri e la durata dell’incarico. Il beneficiario verrà assistito dall’amministratore relativamente ad alcuni atti, e sostituito con riferimento ad altri (in quest’ultimo caso, l’amministratore di sostegno agisce in nome e per conto del beneficiario). L’istituto non sembrerebbe destinato a incidere sulla capacità riguardo agli atti personali. In ogni caso, il giudice può sempre modificare o integrare decisioni assunte con il decreto di nomina. Inoltre, l'amministratore di sostengo deve periodicamente riferire al giudice circa l'attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. Il provvedimento è soggetto a pubblicità tramite annotazione nell'atto di nascita (art. 405) (Iudica, G.-Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, cit., 97).
Per evitare una semplificazione eccessiva, come abbiamo già accennato, il legislatore prevede anche dei limitati correttivi che diano specifica rilevanza all'incapacità di fatto di un soggetto legalmente capace, o, viceversa, alla capacità di fatto di un soggetto incapace. Quanto al primo caso, esso, a norma dell'art. 428, si realizza quando un soggettivo al momento del compimento di un fatto è incapace di intendere o di volere, per una qualsiasi causa anche transitoria (assunzione di alcool e stupefacenti, stati di infermità mentale, malattia debilitante, stato confusionale, ecc.). L'incapacità non è però causa sufficiente: occorre che l'atto sia gravemente pregiudizievole per l'incapace; se si tratta di un contratto, occorre invece la malafede dell'altra parte.
Sussiste l'incapacità naturale quando esiste una menomazione tale da impedire un serio controllo del comportamento e una cosciente volontà. Per gli atti illeciti, il criterio per riferire l'atto al soggetto, così da accollargliene la responsabilità (imputabilità), è la pura capacità di intendere e di volere sussistente nel momento in cui l'atto è compiuto (art. 2046 c.c.). Essa può riscontrarsi ovviamente nel minore o nell'interdetto legale, ma anche nell'interdetto giudiziale: non è detto, infatti, che l'infermità di mente, pur abituale, implichi una continua e ininterrotta incapacità di intendere o di volere (Meloni, E.-Pusceddu, M., Amministratore di sostegno, interdizione, inabilitazione, percorsi giurisprudenziali, Milano, 2010, 85 ss.).
Il minore non è del tutto privo di capacità di agire, pur essendo sottoposto, ai sensi dell'art. 316 c.c., alla potestà dei genitori fino alla maggiore età. I genitori possono agire disgiuntamente nel compimento di atti di ordinaria amministrazione; per gli atti di straordinaria amministrazione i genitori devono invece agire congiuntamente e solo per necessità o utilità evidente del figlio, verificata attraverso la necessaria autorizzazione del giudice tutelare (art. 320 c.c.) (Breccia, U., Diritto privato - Parte prima, cit., 88). Nell'ipotesi di decadenza dalla potestà (per effetto di una sentenza del Tribunale per i minorenni) nel caso di violazione di doveri o di abuso di poteri da parte del genitore che rechi grave pregiudizio al figlio, e nell'ipotesi in cui entrambi i genitori muoiano, il minore è soggetto a tutela. I poteri del tutore sono simili a quelli dei genitori, egli è però soggetto a più intenso controllo da parte del giudice tutelare e del Tribunale, la cui autorizzazione, su parere del giudice tutelare, è necessaria per gli atti di disposizione elencati nell'art. 375 e per la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa (Breccia, U., Diritto privato - Parte prima, cit., 85).
Il potere di indirizzare il comportamento del minore e di decidere riguardo i suoi interessi ha un'estensione sempre minore, man mano che il minore cresce e acquista una capacità di valutazione autonoma. Lo stesso art. 2 prevede che, se il minore entra in un rapporto di lavoro (come può avvenire di regola dopo i 15 anni), acquista la capacità di esercitare i diritti e le azioni che dipendono dal contratto di lavoro. Il minore lavoratore potrà, per esempio, esigere la retribuzione e riscuoterla; agire in giudizio contro un licenziamento ingiustificato; ma potrà anche decidere se partecipare a uno sciopero o aderire a un'associazione sindacale.
Il minore è capace di agire anche sotto altri aspetti: può contrarre matrimonio, con l'autorizzazione del tribunale per i minorenni, a 16 anni (art. 84); alla stessa età può riconoscere un proprio figlio naturale (art. 250, ult. co.) e può dare il consenso a essere riconosciuto da un genitore naturale (art. 250, co. 2). La richiesta di interruzione di gravidanza deve provenire dalla stessa minore con l'assenso di chi esercita la patria potestà o la tutela. Ma nei primi 90 giorni, per seri motivi, il difetto di assenso può essere superato con un provvedimento del giudice tutelare che autorizza l'interruzione di gravidanza o, in caso di urgenza, con la sola certificazione del medico. Dopo i primi novanta giorni (quando l'aborto richiede uno stato di necessità) la minore dei diciotto anni è in tutto parificata alla donna maggiorenne (Dogliatti, M., Trattato di diritto civile e commerciale. La potestà dei genitori e l'autonomia del minore, Milano, 2007, 149 ss.).
Artt. 1-2 c.c.
Breccia, U., Diritto privato -Parte prima, Torino, 2003; Ambrogio S., Compendio di diritto privato, Piacenza, 2012; Dogliatti. M., Trattato di diritto civile e commerciale. La potestà dei genitori e l'autonomia del minore, Milano, 2007; Iudica G., Zatti P., Linguaggio e regole del diritto privato, Padova, 2004; Loffredo, F., Le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica. Manuale e applicazioni pratiche delle lezioni Guido Capozzi, 2010; Meloni, E.-Pusceddu M., Amministratore di sostegno, interdizione, inabilitazione, percorsi giurisprudenziali, 2010; Rodotà, S.-Zatti, P., Trattato di biodiritto. Il governo del corpo, 2011; Roppo, V., Diritto privato. Linee essenziali, Torino, 2012.