capere [III singol. cong. pres. cappia; part. pass. catto]
Transitivo, nel senso di " contenere ", compare in Pg XVIII 60 e questa prima voglia / merto di lode e di biasmo non cape, " non ha in sé merito né demerito " (Buti), e in Pd XXVIII 68 maggior salute maggior corpo cape (in rima con rape e con sape), " occupat et requirit maius corpus " (Benvenuto); ma il Buti, seguito dai commentatori moderni, considerava maggior salute oggetto di cape e interpreta: " maggior corpo contiene maggior salute: imperò che nelle cose corporali maggiore effetto fa lo corpo grande che lo piccolo, se non rimanesse già per mancamento delle sue parti ". Con costrutto intransitivo, vale " essere contenuto ", " entrare " in un luogo : Rime CXVI 28 L'angoscia, che non cape dentro, spira / fuor de la bocca, e LXXXIII 22; Pd III 76 che [la discordanza tra il volere divino e quello dei beati] vedrai non capere in questi giri, dove il termine si arricchisce di una connotazione che lo rende quasi sinonimo di " aver luogo ", " accadere "; XVII 15, XXIII 41; Fiore CCXXX 2, in senso osceno.
Forse rifatto su ‛ sappia ' (Parodi, Lingua 236 e 258), è cappia di Pg XXI 81 perché tanti secoli giaciuto / qui se', ne le parole tue mi cappia (in rima con scalappia e sappia), " entri in me, nella mia mente attraverso le tue parole ", oppure, attribuendo al complemento ne le tue parole valore locale, " sia contenuto per me nelle tue parole ", che il Buti più liberamente interpretava " nella risposta tua mi sia manifesto ". La prima persona " cappio " è già in Chiaro (Amore, io non mi doglio 68 " né per merzé non cappio ov'è bieltate ").
Il Dionisi pensava che cappia potesse derivare dal verbo ‛ cappiare ', probabilmente dal basso latino capulare, " prendere al cappio ", come potrebbe suggerire la metafora della rete al v. 76, ma né gli studiosi moderni sembrano accettare tale interpretazione, né essa ricorre nei commentatori più antichi, a eccezione forse del Vellutello che chiosava : " legami, fammi a te più affezionato, rispondendo con parole cortesi sì che mi appaghi ". La forma è invece da considerare un latinismo con raddoppiamento conforme ai canoni della fonetica (ed è perciò errato pensare che D. sia stato forzato da pura necessità di rima).
Nel participio catto, latinismo evidente da captus, il significato del verbo è vicino al valore fondamentale di capio, " prendere ", " catturare ", in Pg XX 87 veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, / e nel vicario suo Cristo esser catto.
Bibl. - G.A. Dionisi, De' blandimenti funebri o sia delle acclamazioni sepolcrali cristiane, Padova 1794, 137-138, e Aggiunta critica al Purgatorio, nel vol. II della sua edizione della Commedia, Parma 1796, fol. p. III-VI (citaz. da Scartazzini, ad l.); Pagliaro, Ulisse 308 n. 38.