CAPETINGI
. Si suole indicare con questo nome (per il quale v. ugo capeto) la dinastia che tenne il regno di Francia dallo scomparire del Carolingi (987) alla Rivoluzione (1792) e poi dalla Restaurazione (1814) sino al 1848. Il termine di Capetingi è usato più propriamente per la linea diretta, che regnò dal 987 al 1328, mentre s'indicano le linee cadette che successivamente regnarono, con i nomi particolari di Valois (1328-1589), Borbone (1589-1792; 1814-1830), Orléans (1830-1848). La famiglia compare nella storia francese alla metà del sec. IX, con Roberto detto il Forte; onde in questo periodo i suoi membri sono detti Robertingi. Incerte sono le origini dei C. L'ipotesi di un'origine sassone dei C. è errore derivato dall'essere Ugo Capeto figlio di una principessa sassone, la sorella cioè di Ottone il Grande. La critica più recente pensa non potersi risalire oltre Roberto il Forte e doversi ricercare le origini capetinge nella zona neustriana, fra la Senna e la Loira. Nell'853 Carlo il Calvo ha nel Maine, Anjou, Touraine come suo missus dominicus Roberto il Forte che è quasi certamente il conte che successe in Tours al conte Viviano, morto combattendo contro i Bretoni. Roberto aveva possessi a Blois; era probabilmente imparentato con Eude conte d'Orléans; nell'865 compare come conte a Blois. Era anche abate laico dell'abbazia di Marmoutier. Morto Roberto il Forte (866), primeggiò il figlio Eude, che difese Parigi contro i Normanni (885-886) e nell'888, dopo la scomparsa di Carlo il Grosso, fu riconosciuto re. Pochi anni dopo però gli fu contrapposto da Folco arcivescovo di Reims e da una parte dell'aristocrazia feudale, Carlo il semplice, figlio di Ludovico il Balbo (893). La contesa fra Eude e Carlo determinò la spartizione del regno fra i due (896). Nell'898 Eude morì, i suoi eredi rimasero semplici feudatarî, e Carlo il Semplice fu solo re di Francia. Ma la lotta fra Carolingi e C. doveva durare un secolo intero e chiudersi col trionfo dei C. Riaccesasi nel 920, Carlo il Semplice dovette combattere contro Roberto, fratello di Eude conte di Parigi, che si proclamò a sua volta re (922). Roberto morì in battaglia, ma Carlo fu fatto prigioniero, e la corona fu data a Rodolfo, duca di Borgogna, genero di Roberto (933). Capo della casa robertingia divenne Ugo il Grande, figlio di Roberto conte di Parigi, ma dagli scrittori chiamato usualmente Dux Francorum, titolo che probabilmente indicava solo l'egemonia in tutto il regno francese, non l'esistenza di un ducato di Francia. I possessi della famiglia si erano trasformati passando da Roberto a Eude: questi aggiunse l'Orleanese, l'Étampese ed il Mélunese. In tal modo i Robertingi sono attratti nel bacino della Senna, Parigi diventa il loro centro; Angers e Tours con le terre della Loira sono abbandonati a visconti, che presto diventeranno conti e indipendenti. Ugo il Grande non chiede la corona; nel 936, anzi, alla morte di Rodolfo di Borgogna, richiama dall'esilio Luigi IV d'Oltremare - figlio di Carlo il Semplice - ma col proposito di farne un suo strumento. Re e duca hanno rapporti ora cordiali ora tesi: ambedue ricorrono per aiuto a Ottone I di Germania e ne sposano le sorelle. Il conflitto fra le due dinastie non si esaurì con la morte di Ugo il Grande (956), ma giunse al suo epilogo col figlio e successore di lui Ugo Capeto (v.), che ne uscì vincitore (987).
L'avvento dei C. non vuol dire il trionfo di concezioni politiche nuove, d'istituti nuovi; non è neppure il trionfo della feudalità contro la monarchia. La lotta aveva impoverito così i Carolingi come i C., i quali giunsero al potere fiaccati e incapaci, nei primi tempi, di una politica di forza. I C. ebbero tuttavia dei grandi vantaggi; quello di avere la base della loro azione nell'Île-de-France, cioè nel centro della Francia; e quello della continuità nella discendenza diretta, con regni abbastanza lunghi da assicurare anche la continuità dell'opera politica. Questa non portò subito a notevoli risultati di fronte ai grandi ducati feudali, che anche nel sec. XI si conservarono sempre più potenti che mai. I primi re C., Ugo Capeto (987-996), Roberto (996-1031), Enrico I (1031-1060) riescono però a preparare il riconoscimento del principio della ereditarietà del trono conciliandolo abilmente col principio elettivo, in quanto, appena eletti, provvedono a far eleggere e incoronare i loro figli. Poi il diritto di designazione e di primogenitura prevalse su quello elettivo.
A un'azione più energica accenna Filippo I (1060-1108), che riesce ad ingrandire il dominio regio, e ad arginare l'espansione anglo-normanna. Con Luigi IV il Grosso (1108-1137), coadiuvato dall'abate Sigeri di Saint-Denis, la dinastia si muove, combattendo al di fuori con i duchi di Normandia e con l'Imperatore, al di dentro contro i feudatarî; rinnova la tradizione dell'amicizia con la chiesa e riordina l'amministrazione dello stato. Parigi diviene residenza abituale della corte e centro del regno col suo successore, Luigi VII (1137-1180), sotto il quale però la monarchia capetingia deve superare la grave crisi seguita al ripudio da parte di Luigi della moglie Eleonora duchessa di Aquitania: poiché Eleonora portò mano di sposa e ducato (1152) ad Enrico II Plantageneto, conte d'Angiò, duca di Normandia e dal 1154 re d'Inghilterra, donde il conflitto tra Francia e Inghilterra durato tre secoli. La monarchia capetingia cercò al centro e al sud compensi per le perdite fatte a sud-ovest, mentre con maggior fortuna il re inglese si adoperava per attrarre nella sua sfera i grandi feudi di Linguadoca e di Provenza, sì da stringere la monarchia francese in un cerchio. Con Filippo II Augusto (1180-1223) la monarchia capetingia si rafforza moralmente e politicamente: le lotte con l'Inghilterra e la Germania sono felicemente condotte; l'intesa con i comuni e con le classi borghesi è stabilita; la monarchia prevale sulla feudalità. Uno sbarco in Inghilterra nel 1216 e contemporaneamente l'intervento in Provenza, col pretesto di una lotta contro gli Albigesi, aprono un nuovo orizzonte alla monarchia. Con Luigi VIII (1223-1226) e Luigi IX (1226-1270) la monarchia capetingia si organizza fortemente, sviluppando organi importanti di governo e di amministrazione. Energicamente si afferma la forza del regno contro gl'Inglesi e contro l'Impero; le crociate regie in Asia e in Africa, l'attività del fratello di Luigi IX, Carlo d'Angiò, in Italia, rivelano delle pretese egemoniche in tutta l'Europa occidentale e meridionale. Continua lo sviluppo delle istituzioni monarchiche sotto Filippo III l'Ardito (1270-1285), Filippo IV il Bello (1285-1314) ed i suoi tre figli (Luigi X, Filippo V, Carlo IV) che successivamente regnano e con cui si spegne il ramo primogenito della famiglia. Il Parlamento, come organo monarchico antifeudale, gli Stati Generali, come espressione del consenso delle varie classi della nazione alla politica regia, hanno in questo periodo il massimo rilievo. Insieme con essi il Consiglio del re e la Corte dei conti costituiscono i grandi corpi del regno. La monarchia, forte dell'appoggio di tutta la nazione (clero, feudalità, borghesia), può ingaggiare un'aspra lotta col papato, abolire il potente ordine dei Templari, attirare la Santa Sede in terra francese, agire attivamente per imporre l'influsso francese nella zona di diritto imperiale fra le Alpi ed il Rodano. In conclusione, i C. del ramo primogenito, traendo vantaggio dal risveglio economico e intellettuale, non solo crearono una potente monarchia, dotata di organi acconci, ma, giovandosi dell'indebolimento dell'impero e dal papato, diedero alla Francia un vero primato europeo e gettarono le basi di un'unità nazionale territoriale, politica e spirituale, che i successori si accontentarono di sfruttare spesso e di completare non sempre bene.
Bibl.: Per le fonti: A. Molinier, Les sources de l'histoire de France, II: Epoque féodale. Les Capétiens jusqu'à 1180; III: Les Capétiens, 1180-1328, Parigi 1902-1903. Delle opere generali sono da consultarsi i capitoli relativi ai Capetingi scritti dal Langlois e dal Luchaire (Le royaume de France, 887-1108); dal Luchaire (Le royaume de France, 1108-1270) e dal Coville (La royauté française sous les derniers Capétiens directs, 1270-1328), in E. Lavisse-A. Rambaud, Histoire générale du IVe siècle à nos jours, I, Parigi s. a.; II, 1893; III, 1894; dal Luchaire, Les premiers Capétiens (987-1137); Louis VII Philippe-Auguste Louis VIII (1137-1226) e dal Langlois, Saint-Louis Philippe-le-bel. Les derniers Capétiens directs (1226-1328), in E. Lavisse, Histoire de France des origines à la Révolution, II, ii, Parigi s. a. (cfr. anche II, i, il capitolo Le démembrement de l'empire carolingien); III, i e ii, s. a., ma compararsi per la prima volta nel 1901, Hugh Capet (888-987); France in the eleventh century; France: Louis VI and Louis VII (1108-1180); dal Powicke, The reigns of Philip Augustus and Louis VIII of France; e dal Petit-Dutaillis, Saint-Louis, in The Cambridge Medieval history, III, Cambridge 1924; V, 1926; VI, 1929. Agli articoli della Cambridge Medieval history sono allegate, in fondo ai rispettivi volumi, ottime bibliografie. Di utile lettura anche le parti 3ª (la France féodale) e 4ª (la monarchie et la nation française di G. Hanotaux, Parigi s. a. Vedi inoltre: J. v. Kalckstein, Geschichte des französischen Königtums unter des ersten Capetingern, I, Lipsia 1877; L. Halphen, La France sous les premiers Capétiens (987-1226), in Rev. de synthèse historique, XIV (1907), p. 62 segg. Per la storia religiosa e per le relazioni con la Chiesa: G. Goyau, Histoire religieuse, Parigi 1922; A. Hauck, Kirchengeschichte Deutschlands, III, iii, iv-V, i, Lipsia 1904 (ristampa 1920-1929); G. Schurer, Kirche und Kultur im Mittelalter, Paderborn 1924; J. Hefele-H. Leclercq, Histoire des conciles, IV-VI, Parigi 1911-15. Per i conti di Parigi: E. Mourin, Les comtes de Paris, Parigi 1869; inoltre: A. Barthélemy, Les origines de la maison de France, in Rev. des quest. hist., XIII (1875). Per le relazioni con l'Impero: W. Giesebrecht, Geschichte der deutschen Kaiserzeit, 5ª ed., I-VI, Lipsia 1881-1895. Per le relazioni col movimento comunale: A. Luchaire, Les communes françaises à l'epoque des Capétiens directs, 2ª ed., Parigi 1911; C. E. Lodge, The communal movement, especially in France, in The Cambridge Medieval history, V (1926). Per le istituzioni: J. Flach, Les origines de l'ancienne France, Parigi 1887-1917; A. Luchaire, Manuel des institutions françaises; période des Capétiens directs, Parigi 1892; id., Histoire des institutions monarchiques de la France sous les premiers Capétiens (987-1180), 2ª ed., Parigi 1891; P. Viollet, Histoire des institutions politiques et administratives de la France, Parigi 1890-1903; R. Holtzmann, Französische Verfassungsgeschichte von der Mitte des neunten Jahrh. bis zur Revolution, Monaco e Berlino 1910.
La poesia eroica capetingia. - Come si dice alla voce canzoni di gesta, si è creduto da alcuni studiosi che molte leggende siano fiorite intorno alla famiglia dei Capetingi, tanto da giustificare la presunta esistenza di un ciclo capetingio accanto a quello carolingico. In realtà, un unico poema abbiamo nel quale si faccia menzione della dinastia dei Capetingi, l'Hugon Capet. E si tratta di un poema del sec. XIV, che impropriamente è stato creduto una chanson de geste, perché è tutto pervaso da uno spirito eminentemente borghese ed è dominato da un tono quasi comico, molto lontano dalla solennità e dall'austerità dei poemi nazionali francesi. Vi si narrano le avventure di Hugon, che conduce una giovinezza dissipata e finisce con rifugiarsi presso un suo zio a Parigi. Là è richiesto d'aiuto dalla regina Blanchefleur, che cerca d'impedire il matrimonio della figlia col conte Savari di Champagne. Ugone compie grandi atti di valore e finalmente è coronato re. È un'opera di scarso valore, dovuta a un autore che conosce i poemi nazionali e procura di trarne profitto con poco o punto successo. Non può rappresentare, da sola, una traccia d'un ciclo di poemi perduto. Onde il ciclo capetingio si risolve in un'illusione degli eruditi. L'Hugon Capet è un infelice poema, che va studiato fra le tarde imitazioni delle canzoni di gesta.
Bibl.: Hugues Capet, chanson de geste publiée par le marquis De la Grange, Parigi 1864; C. Nyrop, Storia dell'epopea francese (trad. E. Gorra), Firenze; G. Bertoni, in Archivum romanicum, V (1920), p. 110.