Abstract
L’art. 44 d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (TUIR) non definisce espressamente la categoria dei redditi di capitale, limitandosi ad elencare, attraverso un metodo casistico e puntuale, una serie di fattispecie produttive di proventi qualificabili come redditi di capitale. L’elemento comune di tale categoria è indicato nella lett. h) dell’art. 44 TUIR che annovera, tra i redditi di capitale, gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti (non indicati espressamente nelle precedenti lettere del medesimo articolo) aventi per oggetto l’impiego di capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento incerto.
Nella categoria dei redditi di capitale si annoverano sia gli interessi e i proventi derivanti da “rapporti di finanziamento” sia gli utili derivanti da “rapporti di partecipazione” ad iniziative economiche altrui, nonché i proventi derivanti fattispecie ad essi assimilati, come i redditi derivanti da contratti di cointeressenza propria, i compensi per fideiussioni od altre garanzie.
L’analisi della categoria dei redditi di capitale non può fondarsi esclusivamente sulle norme contenute nel d.P.R. 22.12.1986, n. 917, (TUIR), ma deve tener conto delle disposizioni tributarie stratificatesi nel tempo che, sin dalla riforma tributaria operata dalla l. 9.10.1971, n. 825, hanno interessato una categoria reddituale che risulta fortemente influenzata dalla continua evoluzione degli strumenti finanziari di investimento (per una ricostruzione sistematica della categoria dei redditi di capitale nell’originario TUIR Gallo, F., Prime considerazioni sulla disciplina dei redditi di capitale nel nuovo testo unico, Rass. trib., 1988, 39; Gallo, F., I redditi di capitale, in AA.VV., Il reddito di impresa nel nuovo Testo Unico, Padova, 1988, 315; Rinaldi, R., Contributo allo studio dei redditi di capitale, Milano, 1989).
L’elevata eterogeneità normativa in materia di imposizione dei redditi di capitale è stata una delle ragioni che ha spinto il legislatore ad operare un’integrale riforma della disciplina dei redditi di natura finanziaria con la legge delega 23.12.1996, n. 662 e il d.lgs. 21.11.1997, n. 461, che sono intervenuti integrando tale categoria reddituale con ulteriori fattispecie imponibili nonché con una nuova disposizione di chiusura volta a ricomprendervi ogni provento non aleatorio derivante da rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale.
A distanza di pochi anni dalla riforma del 1997, la legge delega per la riforma del sistema fiscale n. 80 del 7.4.2003 ha previsto una radicale riforma del regime impositivo delle attività finanziarie: con l’entrata in vigore dell’imposta sul reddito delle società (IRES), prevista dal d.lgs. 12.12.2003, n. 334, sono state introdotte rilevanti modifiche in materia di dividendi societari. Ciò che non ha mai trovato attuazione è stata la generale revisione del sistema impositivo di tutte le rendite finanziarie, le quali, pur a fronte della generalizzata unificazione dell’aliquota operata dal d.l. 13.08.2011, n. 138, conv. con modif. in l. 14.09.2011, n. 148, continuano ad essere disciplinate dal d.lgs. del 1997.
Il mantenimento della netta distinzione delle due categorie dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria che, seppur coerente con la scelta legislativa di non limitare il fenomeno impositivo soltanto ai redditi prodotti (redditi di capitale), ma di estenderla anche a tutte le manifestazioni di ricchezza finanziaria riconducibili ad ipotesi di reddito entrata (redditi diversi), risulta ancora oggi inadeguato a cogliere la complessità e l’articolazione degli strumenti finanziari.
Il legislatore non ha mai fornito una definizione unitaria di reddito di capitale, preferendo procedere all’individuazione delle ipotesi reddituali tipiche il cui elemento comune è costituito dalla circostanza di rappresentare il frutto o il provento normale dell’impiego di capitale, ancorché non determinato o determinabile. In assenza di una definizione legislativa, parte della dottrina ha cercato di elaborare la nozione di redditi di capitale giungendo così a riconoscere a tale categoria una precisa identità unitaria (Marchetti, F., Alcune riflessioni sulla nozione di reddito di capitale, in Rass. trib., 1990, I, 793) per cui dovrebbe ricondursi alla nozione di frutti civili che nel sistema impositivo non sono assoggettati ad imposta ad altro titolo. Il reddito consisterebbe nella remunerazione ottenuta dal titolare della fonte produttiva per il trasferimento del godimento della medesima ad un terzo, il quale dovrà non soltanto retrocedere una stessa quantità del capitale concessogli in godimento, ma anche corrispondere un corrispettivo a titolo di remunerazione.
L’identificazione fra la nozione di reddito di capitale e quella di frutto civile non ha impedito al legislatore di ricondurre ad imposizione come redditi di capitale anche fattispecie di redditi che non costituivano frutti civili come le vincite alle lotterie, i premi in genere ovvero ancora gli utili da contratti di cointeressenza propria, i compensi per la prestazione di fideiussioni e gli utili derivanti dalla gestione di patrimoni nell’interesse collettivo (Berliri, A., Corso istituzionale di diritto tributario, vol. II, Milano, 1978, 103).
Sebbene parte della dottrina abbia costruito la categoria dei redditi di capitale sulla base del modello del frutto civile, taluni dubbi hanno reso difficile ipotizzare un reale rapporto di identificazione tra le due fattispecie.
In questo senso parte della dottrina (Lupi, R., Gli interessi non derivanti da un “impiego di capitale” nell’imposizione diretta: dalla natura compensativa al nuovo testo unico, in Rass. trib., 1987, I, 91), ha escluso l’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra capitale e reddito, potendo essere attratta nella sfera della tassazione un’utilità reddituale anche indipendentemente dalla connessione diretta con l’impiego di capitale (in questo senso Cass., 12.11.2010, n. 22980). A sostegno dell’impossibilità di sovrapporre pienamente la nozione di reddito di capitale con quella di frutto civile è possibile richiamare quanto prevedeva la disposizione di cui alla lettera h) dell’art. 41, co. 1, del previgente TUIR che, nell’enucleare i requisiti in presenza dei quali un provento poteva essere sottoposto “residualmente” ad imposizione come reddito di capitale, qualificava come redditi di capitale gli altri interessi non aventi natura compensativa e «ogni altro provento in misura definita derivante dall’impiego di capitale».
Il riferimento ai proventi in misura definita è stato tuttavia eliminato dalla riforma del 1997 che ha così equiparato il reddito di capitale ad un “frutto economico” (Gallo, F., Il reddito di capitale come frutto economico, in Fisco, 1998, 6520).
In particolare, la lett. h) del vigente art. 44 TUIR, annoverando nella categoria dei redditi di capitale anche «gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, …», individua in tale categoria reddituale qualunque reddito, variabile o invariabile, che risulti prodotto da un atto di impiego di capitale senza che vi sia la necessità di accertare l’ulteriore circostanza che la concessione del capitale avvenga o meno ai fini del godimento del capitale stesso (Gallo, F., La nozione di reddito di capitale alla luce del d. lgs. 21 novembre 1997, n. 461, in Dir. prat. trib., 1998, I, 1219).
Il riferimento ai proventi derivanti da rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale implica un concetto di reddito “prodotto” (Miccinesi, M., I tributi diretti erariali, in Russo, P., a cura di, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996, 531, da una fonte: il fatto che la norma richiami genericamente il reddito prodotto, e non anche la fonte di esso, induce a condividere quanto affermato dall’Amministrazione finanziaria circa la rilevanza ai sensi della lettera h), dell’art. 44, TUIR, «di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche di rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito» (cfr. Ministero delle finanze, circ. 24.06.1998, n. 165/E).
Pertanto, l’art. 44, lett. h) TUIR, escludendo dai rapporti aventi ad oggetto l’impiego di capitali suscettibili di generare redditi di capitale quelli «attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto», determina l’inclusione nella categoria dei redditi diversi di tutti quei differenziali positivi e negativi che, pur presupponendo un impiego di capitale, si innestano in un rapporto di carattere aleatorio che rende incerti nell’esistenza e nell’ammontare i relativi risultati reddituali positivi e negativi.
In questo senso l’art. 44, lett. h) TUIR traccia una linea di demarcazione tra redditi di capitale e redditi diversi, per cui mentre i primi saranno dati dal provento derivante dal rapporto avente ad oggetto l’impiego di capitale, i secondi saranno caratterizzati dall’incertezza (differenziale positivo o negativo), del risultato (per una recente ricostruzione della categoria dei redditi di capitale si permetta il rinvio a Corasaniti, G., Diritto tributario delle attività finanziarie, Milano, 2012, 39 ss.).
Parte della dottrina (Castaldi, L., I redditi di capitale, in Tesauro, F., a cura di, Imposta sul reddito delle persone fisiche, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, Torino, 1994, 228), distingue le varie tipologie dei redditi di capitale in tre categorie. Una prima categoria è costituita dai proventi riconducibili ad una ampia nozione dell’interesse, ossia dai corrispettivi concordati negozialmente per il temporaneo trasferimento a terzi della disponibilità di un capitale. Si tratta dei proventi derivanti da cd. “rapporti di finanziamento” come i contratti di mutuo, deposito e conto corrente nonché le obbligazioni ed i titoli similari. Una seconda categoria è data dai proventi derivanti dai cd. “rapporti di partecipazione” ad iniziative economiche altrui, i quali condizionano i risultati alle iniziative alle quali si partecipa ed alle determinazioni del soggetto che le pone in essere; è il caso degli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all’IRES, nonché in quelli derivanti all’associato da rapporti di associazione in partecipazione con apporto non costituito da prestazione di lavoro o dai contratti di cd. cointeressenza di cui all’art. 2554, co. 1, c.c. infine, una terza tipologia di reddito di capitale è costituita dai cd. “differenziali positivi”, che possono realizzarsi tra le somme comunque erogate ed i proventi conseguiti al termine del rapporto negoziale (Boria, P., Il sistema tributario, Torino, 2008, 225-226).
Questa ultima tipologia di proventi, potendosi manifestare sia nel campo delle operazioni di finanziamento che in quello dei rapporti di partecipazione, solleva problemi circa l’individuazione della linea di confine tra reddito di capitale (sempre tassabile) e plusvalenza (capital gain) che è invece tassabile solo qualora rientri tra i redditi diversi. Più correttamente, si avrà reddito di capitale qualora i proventi costituiscano il frutto di un’unitaria operazione economica, mentre si avrà reddito diverso di natura finanziaria quando il differenziale positivo sia generato da due distinte operazioni di investimento e disinvestimento formalmente autonome.
I proventi di cui all’art. 44 TUIR non sono qualificabili come redditi di capitale qualora siano conseguiti nell’esercizio di un’impresa commerciale, di una società in nome collettivo o in accomandita semplice. Sotto il profilo impositivo, inoltre, i redditi di capitale, essendo generalmente sottoposti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ovvero a regimi fiscali sostitutivi, non concorrono alla formazione della base imponibile dell’IRPEF o dell’IRES.
Per quanto riguarda le modalità di determinazione, i redditi di capitale sono costituiti dall’ammontare lordo percepito nel periodo di imposta o nel quale si presume percepito.
La modalità di determinazione dei redditi di capitale al lordo delle spese risulta coerente con quella posizione dottrinale che riconduce i proventi alla naturale fruttuosità del capitale, vale a dire quella generata senza il compimento di alcuna attività da parte del contribuente (Marchetti, F., Il risparmio nel sistema delle imposte sui redditi, Milano, 1997, 88, contra Lovisolo, A., Il sistema impositivo dei dividendi, Padova, 1980, 197 ss.).
Il momento impositivo è individuato in base al cd. “principio di cassa”. Il termine “percezione” deve intendersi come “acquisizione definitiva dell’effettiva disponibilità giuridica del diritto”, con la conseguenza che la produzione della nuova ricchezza imponibile possa avvenire anche mediante il compimento di atti di disposizione del diritto (Pansieri, S., I redditi di capitale, in Falsitta, G., Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2008, 137).
La prassi individua il momento di percezione in quello in cui il provento esce dalla sfera di disponibilità del soggetto erogante per entrare nella sfera patrimoniale del percettore (Agenzia delle Entrate, circ. 23.12.1997, n. 326/E). Esistono casi in cui, in parziale deroga al principio di cassa, gli interessi su capitali dati a mutuo si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuita per iscritto; in assenza di tali pattuizioni, gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo di imposta al saggio legale (cfr. art. 45, co. 2, TUIR). Tale presunzione è suscettibile di prova contraria da parte del contribuente salvo il caso in cui dalle scritture contabili e da altri documenti emerga con certezza che gli interessi sono stati corrisposti in un periodo d’imposta diverso da quello risultante dall’atto di mutuo.
Nel caso in cui si verifichi la rettifica dei redditi di capitale dichiarati dai soci di società di capitali, non sarà sufficiente provare l’esistenza del maggior reddito della società, dovendo essere dimostrato da parte dei soci che tale maggior reddito è stato da loro effettivamente percepito (tale onere non opera nel caso di società di capitali a ristretta base familiare, per le quali opera la presunzione di distribuzione ai soci del maggior utile non contabilizzato dalla società).
I redditi per i quali si opta per l’applicazione del regime del risparmio gestito di cui all’art. 6, d.lgs. n. 461 del 1997, non sono assoggettati ad imposta secondo il principio di cassa bensì in base al risultato della gestione maturato nel periodo d’imposta.
I redditi di capitale sono assoggettati a forma di imposizione sostitutiva, al fine di perseguire l’obiettivo di una tassazione semplificata e spesso agevolata rispetto al modello impositivo ordinario (Fantozzi, A., Il diritto tributario, Torino, III ed., 2003, 823).
Ai sensi dell’art. 44, co. 1, lett. a), TUIR sono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, depositi (irregolari ex art. 1782 c.c. e bancari ex art. 1834, c.c.) e conti correnti. La base imponibile, ai sensi dell’art. 45, co. 1, TUIR, è data dalla differenza tra la somma percepita alla scadenza e quella data a mutuo o a deposito.
Gli interessi derivanti da mutuo sono quelli di cui all’art. 1815 c.c., vale a dire quelli determinati dalle parti ovvero, in mancanza, quelli determinati al saggio legale ai sensi dell’art. 1284 c.c.
Nella lett. a), art. 44 TUIR rientrano anche gli interessi maturati sui depositi bancari ai sensi dell’art. 1834 c.c. nonché gli interessi ed altri proventi derivanti dal contratto di conto corrente disciplinato dall’art. 1823 e ss. c.c.
Ai sensi dell’art. 17, lett. n), TUIR, ai redditi di cui alla lett. a) dell’art. 44, TUIR si applica la tassazione separata qualora la durata del contratto sia superiore a cinque anni e qualora gli stessi non siano soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o a imposta sostitutiva.
L’art. 44, co. 1, lett. b), TUIR dispone che sono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari e degli altri titoli diversi dalle azioni e titoli similari, nonché dei certificati di massa. Rientrano nella lett. b) i proventi di titoli tipici (cambiale ed assegno bancario) o atipici (individuali o di massa).
Anche per tali redditi vale quanto detto in precedenza sia per la determinazione della base imponibile (art. 45, co. 1, TUIR), sia per quanto riguarda il regime di tassazione separata (art. 17, co. 1, lett. n), TUIR), in caso di durata del contratto superiore a cinque anni in assenza di ritenuta alla fonte.
L’art. 44, co. 2, lett. c), TUIR ricomprende tra i titoli similari alle obbligazioni i titoli di massa che contengono un’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata e che non attribuiscono al possessore alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’emittente, di partecipazione all’affare in relazione al quale essi sono stati emessi; di controllo sull’emittente (cfr. Agenzia Entrate, circ. 16.6.2004, n. 26/E, § 2.5.).
Secondo l’Amministrazione finanziaria le obbligazioni sono identificate in funzione del diritto al rimborso integrale del capitale, come valore minimo assicurato, alla scadenza del prestito. Gli strumenti di cui all’art. 2411, co. 3, c.c., non sembrano rientrare nel genus delle obbligazioni in quanto non viene assicurato il diritto al rimborso, requisito essenziale e caratterizzante della fattispecie (circ., 6.03.2013, n. 4/E). A seguito delle modifiche introdotte dal co. 9, art. 32, d.l. 22.6.2012, n. 83, il regime fiscale dei titoli obbligazionari disciplinato dal d.lgs. 1.4.1996, n. 239 è stato esteso anche alle società per azioni con azioni negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione nonché alle società non quotate le cui obbligazioni e titoli similari siano negoziate nei mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione.
La lettera b) richiama anche i proventi degli altri “titoli diversi dalle azioni e titoli similari”: si tratta di una formula ampia che comprende “i titoli atipici”. In assenza di una definizione di certificati, si ritiene che le caratteristiche rilevanti di tali titoli debbano essere individuate nella fungibilità e nell’omogeneità (cfr. Min. fin., circ. 24.06.1998, n. 165/E, § 1.1.3). Sono qualificati come “titoli atipici”, assoggettati al trattamento fiscale previsto dall’art. 5, d.l. 30.9.1983, n. 512, conv. dalla l. 25.11.1983, n. 649: «i titoli o certificati di massa, diversi dalle azioni, obbligazioni e titoli similari, nonché dai titoli o certificati rappresentativi delle quote di partecipazione in organismi di investimento collettivo del risparmio». I titoli atipici sono dunque titoli che incorporano un rapporto di impiego del capitale e che non presentano né i requisiti per essere considerati similari alle azioni né i requisiti per essere considerati similari alle obbligazioni (circ. 16.3.2005, n. 10/E). Tutti quei titoli obbligazionari che assicurino rendimenti commisurati a parametri di natura finanziaria, rientrano nel novero dei titoli “atipici”, qualora non garantiscono la restituzione del capitale versato. Gli strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale emessi da soggetti vigilati (intermediari bancari, finanziari e assicurativi) sono invece considerati titoli similari alle obbligazioni e rientrano nell’ambito di applicazione del d.lgs n. 1.4.1996, n. 239.
L’art. 44, lett. c) TUIR qualifica come redditi di capitale anche le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue di cui agli artt. 1861 e 1869 c.c.
L’inclusione dei compensi derivanti da tali negozi all’interno dell’art. 44 TUIR è giustificata dalla circostanza che tali compensi, pur non derivando da un impiego attuale del capitale, sono comunque correlati a un impiego potenziale del capitale: il garante si assume l’obbligo di anticipare un capitale a favore del creditore, qualora il debitore non adempia al pagamento del debito garantito (Escalar, G., Contributo allo studio della nozione di reddito di capitale, in Rass. trib., 1997, 325).
Tra le altre garanzie, oltre a quelle di carattere personale diverse dalla fideiussione (anticresi e avallo), rientrano anche quelle a carattere reale come il pegno e l’ipoteca.
Sulla riconducibilità tra i redditi di capitale degli interessi eventualmente corrisposti dal creditore al garante sulla somma di denaro ricevuta in garanzia (es: pegno irregolare), la dottrina (Escalar G., Contributo allo studio, cit., 317) li qualifica come un compenso per la prestazione della garanzia, ma come il compenso per le utilità che il creditore garantito può assicurarsi attraverso la messa a frutto della somma ricevuta.
Devono considerarsi escluse dalle altre garanzie i contratti derivati di tipo differenziale con finalità di copertura dal rischio di subire perdite per il rialzo o ribasso di quotazioni o di altri parametri di tipo finanziario.
Per effetto delle modifiche apportate dal d.lgs. 3.11.2003, n. 344 al TUIR, la nozione degli utili nell’ambito dei redditi di capitale è rinvenibile dal disposto dell’art. 44, co. 1, lett. e), TUIR che considera utili quelli derivanti dalla partecipazione al capitale ed al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società. La norma richiamata include nella predetta categoria reddituale gli utili che derivino non più da ogni tipo di “partecipazione”, bensì dalle sole “partecipazioni al capitale o al patrimonio” di società ed enti commerciali.
L’art. 44, co. 2, lett. a), TUIR considera similari alle azioni quei titoli la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici dell’emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli sono emessi. La similarità dello strumento finanziario alle azioni opera solamente quando la remunerazione risulta totalmente indeducibile in capo al soggetto emittente (cfr. art. 109, co. 9, TUIR, si permetta il rinvio a Corasaniti, G., Azioni, strumenti finanziari partecipativi e obbligazioni: dalla riforma del diritto societario alla riforma dell’imposta sul reddito delle società, in Dir. prat. trib., 2003, 875; Escalar, G., Il nuovo regime di tassazione degli utili di partecipazione e dei proventi equiparati nel decreto legislativo di “riforma dell’imposizione sul reddito delle società”, in Rass. trib., 2003, 1947).
Ai sensi dell’art. 44, co. 2, lett. a), TUIR, una volta constatata l’indeducibilità della remunerazione dello strumento finanziario partecipativo in capo all’emittente, tale remunerazione non è assoggettata ad imposizione in capo al percettore come interesse, bensì come utile da partecipazione.
Come ha precisato l’Agenzia delle Entrate (circ. 16.06.2004, n. 26/E), risultano esclusi i rapporti contrattuali e dei contratti derivati anche se cartolarizzati.
Nel caso di strumenti finanziari assimilati determinante è il return, vale a dire la remunerazione che rappresenta l’unico elemento in forza del quale è effettuata siffatta assimilazione.
Qualora il negozio di finanziamento preveda, accanto ad un elevato risk of loss (Padovani, F., Investimenti in società di capitale e imposizione sul reddito, Milano, 2009, 147 ss.), anche una remunerazione totalmente collegata ai risultati economici della società o del gruppo, tale ultima caratteristica non avrebbe rilevanza ai fini qualificatori, risultando la prima sufficiente ad attrarre il titolo tra quelli partecipativi di “quasi capitale”. Inoltre, la norma, individuando gli strumenti similari alle azioni in base alla remunerazione e non anche in base alla natura dell’apporto finisce col porre sullo stesso piano gli strumenti caratterizzati da apporti di equity, apporti atipici ed apporti aventi natura di finanziamento (Assonime, circ. 14.07.2004).
Nel caso di strumenti finanziari emessi da società ed enti non residenti, l’art. 44, co. 2, lett. a) TUIR assimila alle azioni anche le partecipazioni al capitale o al patrimonio, nonché titoli e strumenti finanziari di debito emessi da tali soggetti, a condizione che la loro remunerazione sia indeducibile nello Stato di residenza dell’emittente e che consista totalmente nella partecipazione ai risultati economici del soggetto emittente.
Sul punto occorre rilevare come mentre gli strumenti di quasi capitale emessi da soggetti residenti sono assimilati agli strumenti di capitale ai sensi dell’art. 44, co. 1, lett. e), TUIR, gli strumenti finanziari emessi da soggetti non residenti sono assimilati alle azioni (Padovani, F., Commento all’art. 44 TUIR, in Commentario breve alle leggi tributarie, Tomo III, TUIR e legge complementari, a cura di A. Fantozzi, Padova, 2010, 230).
La lett. f) dell’art. 44, co. 1, TUIR ricomprende tra i redditi di capitale gli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione (art. 2549 c.c.), cioè quei contratti sinallagmatici, consensuali e non formali, di scambio a tempo determinato o indeterminato per i quali il titolare dell’impresa e della gestione di beni è l’associante (salvo patto contrario espresso) e non anche l’associato il quale risulta temporaneamente cointeressato alla redditività dell’impresa o dell’affare, essendo creditore dell’associante per la restituzione dell’apporto (anche di servizi, di opere ma non di lavoro dipendente) prestato unitamente ad un eventuale corrispettivo rappresentato dagli utili prodotti durante l’associazione, al netto delle perdite subite.
La lett. f), attribuisce la qualificazione dei redditi di capitale anche agli utili derivanti dai contratti di cointeressenza agli utili di un’impresa senza la partecipazione alle perdite in caso di apporto (cd. “cointeressenza impropria”) o agli utili derivanti da contratti di cointeressenza in cui è prevista la partecipazione agli utili e alle perdite senza il corrispettivo di un determinato apporto (cd. “cointeressenza propria”).
Qualora in tali contratti (inclusi quelli di associazione in partecipazione), l’apporto sia costituito unicamente da attività di lavoro, la relativa partecipazione agli utili configurerà reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 49, co. 2, TUIR.
L’art. 44, co. 1, lett. g), TUIR qualifica come redditi di capitale i proventi derivanti dalla gestione, nell’interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti. Tali redditi riflettono la valorizzazione delle quote del fondo stesso operata dalla società di gestione e pertanto si tratta di quei proventi direttamente riferibili all’incremento di patrimonio rilevato in capo all’OICR (cfr. Agenzia Entrate, circ. 15.7.2011, n.33).
I proventi di cui alla lettera g), dell’art. 44, co. 1, TUIR sono quelli distribuiti in costanza di partecipazione all’OICR con sede in Italia (esclusi i fondi immobiliari) e ai cd. “lussemburghesi storici” e quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di liquidazione o di cessione delle quote o azioni e il costo medio ponderato di sottoscrizione o acquisto delle quote o azioni medesime.
Inoltre la conversione di quote o azioni da un comparto all’altro del medesimo fondo multicomparto si considera rimborso e quindi il relativo provento è soggetto ad imposizione.
Anche per gli OICVM di diritto estero la base imponibile è costituita dai proventi che il partecipante ritrae dall’impiego delle somme affidate all’organismo di investimento e cioè i proventi direttamente riferibili all’incremento di patrimonio rilevato in capo all’OICVM. Qualora tra i valori del prospetto di cessione e quello di acquisto dovesse emergere una differenza negativa, i redditi di capitale si assumono pari a zero e l’intera differenza costituisce una minusvalenza deducibile.
L’art. 44, co. 1, lett. g-bis), TUIR considera redditi di capitale quelli derivanti dalle operazioni di riporto e di pronti contro termine su titoli e valute. Infatti è stata attribuita rilevanza alla sostanza economica delle operazioni poste in essere e ciò a prescindere dal loro oggetto o dallo strumento contrattuale impiegato. Pertanto, per i soggetti non esercenti attività di impresa, simili operazioni non generano un fenomeno di cessione a titolo oneroso, bensì un atto avente ad oggetto l’impiego di capitale (cfr. Min. fin., circ. 24.06.1998, n. 165/E, § 1.1.10.).
I proventi delle operazioni di pronti contro termine e riporto su titoli e valute sono costituiti dalla differenza positiva tra i corrispettivi globali di trasferimento dei titoli e delle valute. I corrispettivi espressi in valuta devono essere valutati rispettivamente secondo il cambio del giorno in cui sono pagati o incassati. Dalla differenza così determinata si scomputano gli interessi e gli altri proventi dei titoli, non rappresentativi di partecipazioni, maturati nel periodo di durata del rapporto, con esclusione dei redditi esenti dalle imposte sui redditi. I corrispettivi a pronti e a termine espressi in valuta estera sono valutati rispettivamente secondo il cambio del giorno in cui sono pagati o incassati (ex art. 45, 1 co., TUIR).
Lo scomputo deve essere applicato anche nel caso in cui tali operazioni siano poste in essere da soggetti non residenti nei cui confronti trovino applicazioni disposizioni interne o convenzionali che prevedono la non imponibilità degli interessi e altri proventi delle obbligazioni o titoli similari.
L’art. 44, co. 1, lett. g-ter) TUIR contempla espressamente nella categoria dei redditi di capitale i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito. Il successivo art. 45, co. 1, TUIR chiarisce che nei proventi di cui alla predetta lett. g-ter) si considera, oltre al compenso per il mutuo, anche l’importo degli interessi ed altri proventi dei titoli maturati nel periodo di imposta.
L’assicurazione sulla vita è quel contratto con il quale l’assicuratore, in relazione ad eventi relativi alla vita dell’assicurato (morte o sopravvivenza ad una certa età), si assume l’obbligo di pagare un capitale o di corrispondere una rendita al contraente o ad un terzo a fronte di un premio unico o periodico. I contratti di capitalizzazione sono negozi mediante i quali il contraente affida una somma di denaro ad un gestore che si impegna a restituirla, a scadenza, capitalizzata o aumentata degli interessi maturati senza alcun riferimento alla durata della vita umana. Il pagamento erogato dal gestore potrà consistere in una rendita ovvero in un capitale.
I capitali (comprensivi degli eventuali redditi maturati), corrisposti dalle compagnie assicurative in caso di premorienza dell’assicurato, non sono imponibili ai fini dell’IRPEF.
Ai sensi dell’art. 45, co. 4, TUIR, la base imponibile è data dalla differenza tra l’ammontare percepito e i premi pagati, con la precisazione che si considera corrisposto anche il capitale convertito in rendita a seguito di opzione.
Le rendite erogate a seguito della partecipazione al sistema della previdenza complementare sono soggette ad un incremento annuale, frutto del reinvestimento del capitale accumulato nel corso della vita lavorativa e destinato, al momento del pensionamento, a consentire la corresponsione della rendita stessa. I proventi finanziari così prodotti (cd. “rendimenti in corso di erogazione”) sono retrocessi al contribuente nella forma di incremento della rendita stessa e ne costituiscono dunque una componente diversa ed ulteriore rispetto a quei rendimenti prodotti in fase di accumulo e già tassati all’11% in capo al fondo (rendimenti “in accumulo”).
I rendimenti in corso di erogazione, secondo quanto previsto dall’art. 44, co. 1, lett. g-quinquies) TUIR, sono redditi di capitale. La norma si riferisce, infatti, ai redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche di cui all’art. 50, co. 1, lett. h-bis), TUIR (rendite della previdenza complementare) erogate in forma periodica.
Ai sensi dell’art. 45, co. 4-ter), TUIR, la base imponibile di tali rendimenti in corso di erogazione è data dalla differenza tra l’importo di ciascuna rata di rendita o di prestazione pensionistica erogata e quello della corrispondente rata calcolata senza tener conto dei rendimenti finanziari.
La lettera g-sexies), art. 44, co. 1, TUIR introduce un meccanismo di imputazione del reddito particolare con riferimento ai trust con beneficiario individuato, residenti o meno, il cui reddito, ai sensi dell’art. 73, co. 2, TUIR è imputato in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto istitutivo o in documenti successivi o, in mancanza, in parti uguali. In realtà, si è osservato (Fransoni, G., La disciplina del trust nelle imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2007, I, 263) tale disposizione assolve ad una funzione di attrazione qualificante, in quanto i redditi percepiti dal beneficiario non potranno sempre qualificarsi come redditi di capitale, dipendendo per questo profilo dallo status del soggetto percettore (imprenditore o meno, imputazione a periodo e non imposizione secondo il principio di cassa).
Pertanto, la funzione della lett. g-sexies) sarebbe quella di isolare il reddito imputato al beneficiario del trust, impedendogli di far concorrere alla formazione del proprio imponibile le eventuali perdite relative ai beni conferiti in trust.
Modificata dall’art. 3, co. 160, lett. a), l. n. 662/1996, tale disposizione assolve alla funzione di attrarre ad imposizione qualunque reddito prodotto dall’impiego del capitale che non rientri nelle precedenti lettere dell’art. 44, TUIR, ma che derivi in ogni caso da un rapporto avente ad oggetto la temporanea messa a disposizione di soggetti terzi di un capitale al fine di ritrarne un vantaggio suscettibile di valutazione economica.
Art. 44, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (TUIR); d.lgs. 22.11.1997, n. 461.
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