capitalismo. Il sistema capitalistico: origini e interpretazioni
Diversi sono gli studi sulle origini e interpretazioni del capitalismo. Secondo alcuni le radici storiche dell’economia capitalistica sono da rintracciarsi nel commercio a lunga distanza e nelle attività dei centri finanziari del Medioevo e del Rinascimento europeo, che portarono all’emergere del capitalismo come sistema dominante a partire dal 16° secolo. Altre interpretazioni – come quella fornita dagli economisti classici – collegano l’affermarsi del capitalismo alla rivoluzione industriale del 18° sec., con la recinzione delle terre, l’espropriazione dei contadini, la creazione di un mercato del lavoro indipendente, la nascita delle manifatture e di una produzione propriamente capitalistica, capace di utilizzare il cambiamento tecnologico dell’epoca, accelerare drasticamente la crescita e consolidare il potere della borghesia.
Nel sistema capitalistico, il carattere di merce dei beni prodotti dal lavoro e le relazioni di mercato vengono estesi anche a moneta, terra, ambiente, al tempo fuori dalla produzione, alle attività di cura e sociali, delineando il conflitto, analizzato da K. Polanyi, fra estensione del capitalismo e tutela di società e natura. Le relazioni di mercato organizzano il coordinamento fra produttori e consumatori, definendo prezzi e quantità. Alcuni sostenitori del capitalismo puro (per es. F. von Hayek) affermano che i meccanismi di mercato sono tendenzialmente capaci di autoregolarsi, assicurare la concorrenza e mantenere l’economia in condizioni di equilibrio; essi garantiscono un’allocazione efficiente delle risorse, la massima utilità ai soggetti economici e un’equa remunerazione dei fattori produttivi – compreso il lavoro – che è pari alla loro produttività marginale. Inoltre, libero mercato e proprietà privata sono considerati come il fondamento della libertà degli individui e come elementi chiave dei sistemi politici di democrazia liberale. In realtà, accanto a mercati concorrenziali in cui le imprese non possono influenzare i prezzi, esistono mercati oligopolistici e monopolistici – legati all’importanza delle economie di scala nella produzione, a strategie di concentrazione industriale o a interventi del potere politico – in cui il potere di poche grandi imprese consente di controllare risorse e ottenere profitti superiori alla media.
Un sistema di mercato, tuttavia, non coincide necessariamente con il capitalismo né esso si osserva ormai più allo stato puro, essendosi trasformato, a partire dal 20° sec., in capitalismo maturo nelle società postindustriali, concentrate sui servizi a economia mista. Le analisi di F. Braudel e G. Arrighi sulla storia del capitalismo nell’economia mondiale distinguono 3 fasi: economia materiale, legata alla riproduzione della società, con autoproduzione, autoconsumo e scambi a scala locale; economia di mercato, in cui produttori indipendenti scambiano i loro beni in mercati concorrenziali; economia capitalistica a scala mondiale, che ha per protagoniste grandi imprese che si appoggiano al potere politico degli Stati.
Lo studio del sistema economico capitalista ha dato vita a numerosi filoni interpretativi, che ne hanno indagato le origini, i rapporti fra centro e periferia, il ruolo dell’innovazione tecnologica, l’andamento ciclico.
Secondo l’approccio sistemico, il capitalismo opera su scala mondiale e presenta gerarchie fra aree del centro e della periferia. Nelle prime si osservano fasi di espansione materiale, caratterizzate da forti aumenti del capitale investito in nuove attività produttive con mercati oligopolistici e alti profitti, che conducono a un’espansione del reddito e dell’occupazione. Quando i produttori di altri Paesi ‘inseguono’ lo sviluppo del centro, i mercati diventano più concorrenziali, i profitti decrescono e i capitali del centro si allontanano dalla produzione; nasce così una fase di espansione finanziaria, che può assicurare rendimenti elevati, poi destinata a terminare con una crisi. Nella storia tale crisi corrisponde al passaggio da un Paese all’altro del ruolo di centro del sistema capitalistico mondiale; i cicli di accumulazione si intrecciano ai cicli di egemonia sul sistema mondiale.
Secondo J. Schumpeter, alla radice delle espansioni produttive del capitalismo ci sono il cambiamento tecnologico e la diffusione delle innovazioni (prodotti, processi, organizzazioni ecc.), che avviano una distruzione creatrice degli assetti precedenti o un’accumulazione creatrice, capace di consolidare il potere dei protagonisti dell’economia. Sono i vantaggi tecnologici ad assicurare profitti elevati in mercati caratterizzati da oligopoli o monopoli temporanei. Secondo C. Freeman, il capitalismo è caratterizzato da una successione di paradigmi tecno-economici che comprende: la meccanizzazione dell’industria tessile nella prima rivoluzione industriale inglese; la diffusione della macchina a vapore e delle ferrovie; l’età dell’elettricità e dell’acciaio nella prima metà del 20° sec.; il fordismo della produzione di massa del dopoguerra; l’emergere delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e della robotica che sostituisce il lavoro salariato.
Gli approcci considerati riconoscono che il capitalismo è instabile e presenta un andamento ciclico, con fasi di espansione alimentate da alti investimenti, e fasi di crisi che possono essere dovute a sovrapproduzione – quando manca una domanda capace di assorbire la produzione – o a sovraccumulazione – quando la massa dei profitti ottenuti non è sufficiente a remunerare tutto il capitale investito. A partire dall’opera di J.M. Keynes, la macroeconomia ha affrontato il problema dei cicli economici, della domanda e della crescita nei Paesi a capitalismo avanzato, suggerendo le politiche di stabilizzazione che i governi nazionali possono realizzare. Altri approcci – in particolare quello di H. Minsky – hanno esaminato le radici finanziarie dell’instabilità del capitalismo. Negli anni 1980, le analisi hanno sottolineato 3 principali direzioni del cambiamento, fra loro collegate: la finanziarizzazione dell’economia negli USA e in Europa; l’affermarsi del neoliberismo che – con liberalizzazione dei mercati e privatizzazioni – ha ridimensionato il ruolo della politica e degli Stati; i processi di globalizzazione dell’economia e l’ascesa della Cina e di altri Paesi asiatici.