CAPITANI DEI REGNI D'ITALIA E DI SICILIA
Il termine capitaneus viene usato nelle fonti di età federiciana per indicare, tanto nel Regno di Sicilia quanto in quello d'Italia, un funzionario preposto all'amministrazione giurisdizionale di una circoscrizione; non è tuttavia generalizzabile l'area di applicazione delle sue funzioni perché risulta variabile nel tempo e nello spazio: mentre nell'Italia comunale, infatti, può talora corrispondere a un distretto cittadino, al Sud può comprendere intere regioni.
Altrettanto ambiguo appare, d'altra parte, il significato stesso del termine: già noto nel latino classico come aggettivo per indicare una distinzione di grandezza concreta, e passato in senso traslato in età carolingia per individuare una superiorità sociale (homines capitanei nel placito di Risano dell'804), si diffonde nel sec. XI nel Regno d'Italia, assumendo chiara connotazione feudale per poi subire nel corso del secolo successivo un ulteriore slittamento semantico. In ambito feudale, infatti, con il nome di capitanei regis in principio erano indicati, secondo la versione Antiqua dei Libri feudorum (tit. III; Lehmann, 1896), i vassalli maggiori (duchi, marchesi, conti) che avevano ricevuto l'investitura direttamente dal re; successivamente il medesimo nome fu attribuito anche ai vassalli che tenevano un beneficio dai precedenti e, al tempo di Oberto dell'Orto (Antiqua, tit. VIII), venne specificato che il contenuto del loro feudo era costituito da una pieve o da parte di essa. Benché il significato feudale registrato dai Libri feudorum ancora nel Duecento continui a conservarsi presso le clientele vassallatiche, specie quelle vescovili, nelle fonti del Barbarossa pare di cogliere nel suo uso eloquenti oscillazioni fra un'indicazione di preminenza sociale (capitanei ora nel senso di signori di castello, senza espliciti riferimenti feudali) e la loro individuazione come categoria di ruolo pubblico (capitanei elencati con duchi, marchesi, conti, visconti, podestà, comuni); quest'ultima connotazione sembrerebbe prevalere negli anni Ottanta del sec. XII in cui il ruolo di capitaneus si colloca nelle fonti quasi in sostituzione del ruolo di visconte, anche se mancano designazioni dirette da parte dell'amministrazione imperiale di un ufficio (e di un ufficiale) di tale nome.
Anche nel Regno normanno ‒ e successivamente in quello normanno-svevo ‒ il termine capitaneus non era del tutto ignoto, ma qui il suo significato fin dall'inizio sembra riguardare solo l'ambito amministrativo, senza le complicazioni socio-feudali che ne caratterizzano l'uso nel Regno d'Italia. A detta del cronista Romualdo già nel 1156 re Guglielmo aveva costituito il senescalco Simone quale magistrum capitaneum Apulie, incarico passato al conte Gilberto di Gravina nel 1166: si trattava verosimilmente di un plenipotenziario regio con competenze militari e giudiziarie su un'intera regione, dal momento che lo stesso conte è indicato dalle fonti documentarie anche come magnus comestabulus totius Apulie et principatus Capue: il suo successore nel 1173 vi accoppierà il titolo di magister iustitiarius per la Puglia e per la Terra di Lavoro. Anche re Tancredi nominò due capitani e gran giustizieri per le medesime regioni e con il passaggio agli Svevi le stesse dignità furono nuovamente assegnate al principio del sec. XIII. Secondo Martin (1993) al titolo di capitano, in alternativa a quello di connestabile, si ricorreva durante i periodi di crisi e implicava funzioni di viceré; anche secondo Ficker (1868-1874) ‒ che riporta varie attestazioni tratte dagli Annali di Montecassino fino al 1220 ‒ avrebbe avuto un carattere straordinario o sarebbe stato usato in occasione di prolungate assenze del re dal territorio del Regno o durante la sua minorità. Nel 1201-1202, infatti, papa Innocenzo III in qualità di reggente nominò capitani e gran giustizieri di Puglia e di Terra di Lavoro Gualtiero di Brienne e il maresciallo Giacomo; l'anno successivo fa la sua comparsa anche un regis custodem et magistrum capitaneum Sicilie nella persona di Guglielmo Capparone. Nel 1208 sono designati come gran capitani (magistri capitanei) i conti Pietro di Celano e Riccardo di Fondi che, per espresso ordine regio, svolgono anche le funzioni di gran giustiziere il primo e di rettore speciale di Napoli il secondo. Con la piena assunzione del potere da parte di Federico e con la sua presenza nel Regno, al principio il titolo sembra poco usato ‒ nel 1221, per esempio, il conte Tommaso d'Aquino risulta essere soltanto gran giustiziere di Puglia e di Terra di Lavoro, ma non più gran capitano ‒ e ricorre episodicamente, quando l'imperatore si deve allontanare, come nel 1226, anno in cui Federico prima di recarsi in Lombardia nomina il gran giustiziere Enrico di Morra capitaneum regni sui, ma nel 1228, in occasione della crociata, il suo reggente Rinaldo di Spoleto sarà invece indicato come ballius regni e non come capitano, anche se al proposito non mancano oscillazioni terminologiche (Tommaso d'Aquino, già reggente di Gerusalemme, nel 1231 è infatti creato capitaneus regni e affianca Enrico di Morra).
Soltanto nel 1239 sembra tuttavia aver luogo una vera riforma amministrativa nella quale la funzione di capitano trova una collocazione più precisa. Occorre anzitutto distinguere l'uso del termine nel Regno meridionale e in quello d'Italia: al Sud conserva competenze vicariali di carattere quasi vicereale sulle due estese regioni ‒ insulare e peninsulare ‒ in cui si articola il Regno, al Nord è attribuito anche a funzionari di giurisdizioni minori, per lo più cittadine.
Secondo Riccardo di San Germano nell'ottobre del 1239 Federicò nominò Andrea Cicala capitaneus e gran giustiziere con competenze territoriali a porta Roseti usque ad fines regni, cioè dai confini fra la Calabria e la Basilicata fino al Tronto, circoscrizione ricalcante quella che in precedenza comprendeva la Puglia e la Terra di Lavoro; in dicembre gli si affianca Giordano Filangieri come capitaneus a porta Roseti usque Farum et per totam Siciliam, poi sostituito l'anno successivo da Rogerio de Amicis. Non pare comunque che l'istituzione sia durata a lungo: dal 1242 Andrea è definito capitaneus regni e in seguito sarà presente fra i dignitari imperiali senza titolo, mentre Rogerio è inviato come ambasciatore in Egitto nel 1243 e l'anno successivo lo sostituisce nell'incarico capitaneale di Sicilia Rogerio de Parisio; sotto il regno di Corrado IV compare un'unica volta come capitano regio e giustiziere di Terra di Lavoro e di Molise il conte palatino Enrico di Lomello; con Manfredi sarà Galvano Lancia a essere indicato nel 1257 come capitaneus generalis da porta Roseto ai confini del Regno, mentre Federico Lancia risulterà lo stesso anno ricoprire la dignità di vicarius generalis in Calabria et Sicilia, affiancato o sostituito nel 1259 da Federico Maletta come capitaneus Sicilie.
Nel Regno d'Italia, dove di norma conservava ancora un significato prevalentemente feudale, Federico pare usare per la prima volta il termine in senso amministrativo nel 1236, in occasione della sottomissione di Vicenza, al cui governo pose il suo fedele Guglielmo Visdomino di Mantova in qualità di capitaneus communis Vicencie pro domino imperatore; ma fu soprattutto l'anno successivo, in seguito alla vittoria di Cortenuova sulla Lega lombarda, che l'imperatore obbligò Milano a ricevere un capitano da lui imposto che esercitasse a nome dell'Impero giurisdizione e pienezza dei poteri in città e nel suo distretto. Da quel momento il tentativo di riordino circoscrizionale del Regno d'Italia fu sistematico e si realizzò in brevissimo tempo a partire dal Piemonte, dove nel 1238 furono nominati dei capitani imperiali con competenze podestarili per Ivrea, per Torino e Moncalieri, per Chieri e successivamente anche per Acqui, per Alba e per Casale, tutti sottoposti al vicario generale a Papia superius. Per le altre aree il termine sembra assumere invece dimensione regionale con poteri vicariali: il marchese Uberto Pallavicini nel 1239 è infatti indicato come capitaneum in Lunexana e nel 1243 diventerà vicarius generalis per Lunigiana, Versilia e Garfagnana; con l'annessione della Tuscia pontificia Federico nel 1240 creava un capitaneum Viterbii et adiacentium partium, trasformato nel 1242 in sacri imperii ab Amelia usque per totam Maritimam vicarius generalis; a un livello ancora superiore già era eccezionalmente comparso nei primi mesi del 1238 un vicarius et capitaneus in Italia et Lombardia. In questi anni nel Regno d'Italia il termine appare così generico da essere attribuito tanto a un ufficiale di livello cittadino ‒ che in seguito può assumere anche quello di 'podestà imperiale' ‒ quanto a un ufficiale regionale, diventando sinonimo di 'vicario generale', più diffuso nelle fonti. Non mancano infine situazioni in cui il capitano svolga allo stesso tempo funzione provinciale e cittadina: così a Como il capitaneus Cumarum et adiacentium terrarum è indicato anche come capitaneus et potestas civitatis Cumarum. Non sembrano esserci state differenze di fatto fra capitani provinciali e vicari e fra capitani cittadini e podestà imperiali, dal momento che erano tutti ufficiali regi, retribuiti con un salario erogato dall'amministrazione imperiale: forse a quello del podestà contribuivano ancora i bilanci comunali; appare invece chiara la dipendenza gerarchica dei capitani cittadini dai vicari (o dai capitani provinciali) ai quali spettava l'appello sulle cause giudicate dai primi. Anche dopo Federico il termine continuò a essere usato nelle istituzioni cittadine con accezione analoga a quella di podestà: basti pensare alla diffusione nella seconda metà del Duecento dell'ufficio di 'capitano del popolo'.
Fonti e Bibl.:Historia diplomatica Friderici secundi, I, pp. 134, 211, 492; II, p. 536; V, pp. 122, 123, 177, 178, 411, 588, 691, 812, 936, 1067, 1096; VI, pp. 82, 555, 569, 701, 708; K. Lehmann, Das langobardische Lehnrecht, Göttingen 1896, Antiqua, tit. III, pp. 92-93; tit. VIII, pp. 127-128; Romualdo Salernitano, Chronicon, in R.I.S.2, VII, 1, a cura di C.A. Garufi, 1909-1935, pp. 241, 256; Riccardo di San Germano, Chronica, ibid., VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, pp. 108, 136, 177, 203. J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, I-IV, Innsbruck 1868-1874, §§ 197-199, 203, 206, 401-402, 414, 418-419; J.-M. Martin, La Pouille du Ve au XIIe siècle, Rome 1993, pp. 808-811; A. Zorzi, La giustizia imperiale nell'Italia comunale, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 85-103; R. Bordone, La Lombardia 'a Papia superius' nell'organizzazione territoriale di Federico II, "Società e Storia", 88, 2000, pp. 201-215; Id., I capitanei nei diplomi di Federico, in La vassallità maggiore del Regno Italico. I capitanei nei secoli XI-XII, a cura A. Castagnetti, Roma 2001, pp. 493-502; A. Castagnetti, Introduzione, ibid., pp. 7-23.