CAPITOLO
. È una forma metrica derivata, per imitazione o per parodia, dalla terzina dantesca e, come questa, è costituita da una serie di ternarî incatenati, conchiusa da un verso che rima col secondo dell'ultimo ternario. Deve il nome, secondo il Minturno (Arte poetica, Venezia 1564, p. 263), ai capitoli dei Trionfi del Petrarca. Ebbe, fino al Quattrocento, un carattere specialmente politico e didascalico, trattando gli argomenti più varî, e verso la fine del sec. XV, specialmente presso i cosiddetti presecentisti (Cariteo, Tebaldeo, Serafino dell'Aquila), anche d'amore. Poi, a partire dal sec. XVI, si affermò specialmente nella poesia burlesca e satirica, cantando col Berni i temi tradizionali del malo alloggio e delle cattive cene, e lodando col Berni stesso la peste, i pesci, l'orinale e la primavera, col Varchi le tasche, il finocchio, i peducci, col Molza i fichi, l'insalata, la scomunica, col Tansillo la gloria, l'aglio, l'uso di tingersi la barba; dall'Ariosto in poi è la forma metrica più usata dalla satira classica.