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Capo Verde, arcipelago dell’Oceano Atlantico a 500 km dalle coste del Senegal, è indipendente dal Portogallo dal 1975 e, fino al 1980, è rimasto unito politicamente con la Guinea Bissau, un’altra ex colonia portoghese. Ancora oggi molto legato al Portogallo dal punto di vista politico, culturale ed economico, Capo Verde è andato costruendo nel corso degli anni una special partnership con l’Unione Europea, specie in tema di cooperazione economica, investimenti e lotta ai traffici illeciti internazionali. Nella rete delle relazioni internazionali capoverdiane si è fatta spazio, negli ultimi anni, una crescente tendenza allo sviluppo di progetti di cooperazione in prospettiva ‘sud-sud’, con paesi quali Brasile e Cina, interessati a valorizzare la posizione strategica del paese per le rotte commerciali transatlantiche.
Capo Verde è membro attivo della Comunità dei paesi di lingua portoghese, fa parte dell’Unione Africana e della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale. L’avvicinarsi delle ultime elezioni legislative, tenutesi il 6 febbraio 2011, è coinciso con un aumento delle tensioni politiche interne: a concorrere sono stati i due principali partiti nazionali, il Partido africano da independência de Cabo Verde (Paicv) e il Movimento per la democrazia (Mpd). Il Paicv del primo ministro José Maria Pereira Neves ha ottenuto la maggioranza dei seggi. Il partito di maggioranza ha potuto rivendicare tra i risultati del suo governo quello di aver attratto nell’economia nazionale ingenti flussi di investimenti esteri e considerevoli aiuti finanziari: un vero e proprio volano per quegli investimenti effettuati in istruzione, sanità, previdenza sociale e sviluppo infrastrutturale che dovrebbero portare Capo Verde ad essere l’unico paese sub-sahariano in grado di raggiungere gli Obiettivi del Millennio fissati dalle Nazioni Unite per il 2015.
Rimangono irrisolti, invece, il problema dell’alto livello della criminalità urbana, una diffusa corruzione a livello amministrativo e i pesanti effetti (come ad esempio la caduta dei prezzi degli immobili) che l’economia capoverdiana ha scontato a causa della crisi economica internazionale. La crisi spiega anche il calo di tutti i principali indicatori economici del paese registratosi negli ultimi anni: dalla crescita del pil, passata secondo le stime del Fondo monetario internazionale dal 7,8% nel 2007 al 3% del 2009, alla diminuzione di cinque punti percentuali, nella prima metà del 2010 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, del volume delle rimesse in entrata, specie per quelle provenienti dall’euro-zona. L’economia nazionale è infatti fortemente orientata sui servizi, che pesano per il 74% del pil nazionale, e in particolare sul settore turistico: una caratteristica strutturale che espone in misura rilevante l’economia capoverdiana allo stato di salute dell’economia internazionale, e in particolare dei paesi europei, dai quali proviene la maggior parte di turisti e di investitori.
Il retaggio coloniale è ben visibile, oltre che nelle relazioni politiche e commerciali del paese, nella stessa società capoverdiana. Circa il 70% della popolazione delle isole è infatti mulatto, mentre il portoghese resta la lingua dell’élite e la religione cattolica – sebbene fusa con credenze indigene – riveste ancora un ruolo predominante.