CAPODIFERRO, Evangelista Maddaleni (Maddalena) de', detto Fausto
Nacque a Roma nella seconda metà del sec. XV, primogenito di Niccolò di Evangelista e di Ambrosina, forse anch'ella appartenente al ramo dei Maddaleni.
Il nome dei genitori è testimoniato da una donazione di Ambrosina del 13 marzo 1518(Tommasini, 1892, p. 5);conosciamo i nomi dei fratelli del C. (Alessandro, Cesare, Battista, Giuliano e Gian Pietro) e di una sorella, Brigida. Il C. abitò nell'avita casa del rione Pigna, "in vico qui ducit de area Alteriorum ad Minervae" (Corpusinscriptionum Latinarum, VI, n. 1236). La sua famiglia (su cui vedi T. Amayden, La storia delle famiglie romane, Roma s.d., I, p. 347; II, p. 93;Tommasini, 1892, p. 4 n.2), Un tempo influente ma, all'epoca del C., ormai decaduta (vedi a p. 16 i Nuptiali dell'Altieri, scritti tra il 1506e il 1509), verso la fine del sec. XIV si era divisa nei due rami di Paolo di Goccio e di Lello Maddaleni; appartenendo al secondo ramo, il C. usò indifferentemente i cognomi Capodiferro e Maddaleni, uniti o separati. Il C. usò spesso anche lo pseudonimo umanistico di "Fausto" sicché il suo nome appare nelle testimonianze contemporanee e nelle sue stesse opere in forme assai varie: "Faustus Romanus, Evangelista Caputferreus, Faustus Magdalenus, Evangelista Magdalenus Capitferreus Faustus", e così via.Il poco che sappiamo della biografia del C. si trae in gran parte dai suoi scritti: allievo di Pomponio Leto, fin dalla prima giovinezza partecipò all'attività dei circoli umanistici romani, mettendosi in evidenza per la sua facilità di verseggiare in latino: forse già intorno al 1474 scrisse alcuni famosi epigrammi contro Sisto IV che aveva saccheggiato i marmi del Colosseo per costruire ponte Sisto (Vat. lat. 3351, f. 76). In seguito, la vita del C. appare segnata da una lunga serie di amori e dalla continua ricerca di protettori che lo aiutassero a risollevarsi da una non brillante situazione economica.
Il primo amore del C. di cui abbiamo notizia fu quello per la figlia dello scrittore apostolico Bernardo da Montefalco, Sperata Coppi, con cui egli si fidanzò e che nel 1500 rapì nella chiesa di S. Maria dell'Anima, conducendola in una proprietà dei Colonna, di cui era cliente, presso Civitalavinia. A quanto narra il Burckard (II, p. 231) il padre della giovane si recò insieme col governatore di Roma a denunziare il rapimento allo stesso pontefice Alessandro VI: il papa "subrisit", ma fece in modo che il 13 giugno di quell'anno due squadre di armati riportassero la giovane nella casa paterna. Più tardi, dopo la morte di Sperata, le liriche del C. si rivolgeranno a numerose altre donne: Marzia, Commoda, Postumia, Elisabetta Divizi, la cortigiana Imperia (per i rapporti del C. con Imperia vedi G. Cugnoni, Agostino Chigi il Magnifico, in Arch. della Soc. romana di st. patria, IV[1881], p. 196, in cui sono riferiti tre epigrammi del C. in lode di Imperia, e F. Beroaldo iunior, Ad Imperiam [Carm., I, 3], che ricorda il dono, fatto dal C. ad Imperia, di una "argentea lunula").
Intanto il C. tentava di ingraziarsi Alessandro VI rivolgendo a lui e ai suoi familiari poesie encomiastiche, ma poi, evidentemente deluso, si scagliò violentemente - certo in segreto - contro i Borgia. Tale ostilità del C. è spiegata anche dai rapporti di clientela che lo legavano al cardinal Giovanni Colonna, da Alessandro VI privato della porpora e costretto a ritirarsi in Sicilia fino alla morte del pontefice (1503). Senza palinodie furono invece le lodi profuse dal C. nei riguardi di Giulio II, di cui fu, almeno per numero di componimenti, il massimo cantore (certo non senza riceverne adeguate ricompense: vedi Vat. lat. 3351, ff. 23, 123v; Cian, p. 443).
Il 4 marzo 1505 da una delle donne da lui cantate, Commoda, nacque al C. la figlia Fausta; il 20 aprile, "qui dies Fausto fuit funestissimus" (come il C. annotò in cifra nel suo brogliaccio, Vat. lat. 3351, f. IV; Tommasini, 1892, p. 15), Commoda fu sposata a un "Batto", pseudonimo di un personaggio inidentificabile. Tali nozze ebbero certo la funzione di spianare la strada a quelle del C., che infatti sei giorni dopo prese in moglie Faustina di Andrea di Giorgio da Trebisonda. La parentela col grande umanista greco fu per il C. motivo di orgoglio; ne ereditò tra l'altro, in tutto o in parte, la biblioteca (l'elenco dei libri, steso dal C., è edito da Tommasini, 1892, p. 11, dal Vat. lat. 3351, f. 179v: vedi inoltre Mercati, Codd. latini Pio, p. 19 n. 4).
Non sappiamo se in questo periodo il C. avesse una qualche professione: il fatto che nel Vat. lat. 3351, f. 1v, esista la minuta di una lettera di dedica del C. al cardinal Giovanni Colonna, "patrono suo praecipuo", di certi Commentarii in regulis Cancellariae non pervenutici, fece congetturare al Tommasini (1892, pp. 15 s.) che fosse tra gli scrittori apostolici, e la supposizione parrebbe confortata dal suo fidanzamento con Sperata Coppi, dal matrimonio con la figlia di un altro scrittore apostolico, dalla buona conoscenza che, nel Vat. lat. 3351 il C. dimostra dell'ambiente curiale. Più tardi, nei Regesta di Leone X, s'incontra un "Evangelista" tra gli scrittori, e il C. compare tra quei "commensales continui" di cui molti avevano incarichi nella Cancelleria; tuttavia non sembra che esistano mandati a lui intestati. Certo è che le condizioni economiche del C., come testimonia quel Vat. lat. 3351 che gli servì sia da brogliaccio poetico che da libro di conto, erano tutt'altro che floride: a f. 189 leggiamo ad esempio che "m. phedra" (Tommaso Inghirami da Volterra) teneva otto manoscritti greci del C. in pegno per 7 ducati; intermediario del prestito era stato "m. Camillo porcaro", cioè il poeta latino Camillo Porzio.
Il 26 sett. 1508 il C. annota "con dolore" nel suo brogliaccio la morte del cardinal Colonna, suo "unico patrono"; ma già il 1º ottobre successivo annota di essersi recato dal cardinal Giovanni de' Medici chiedendogli, come a mecenate e benefattore diletterati, di accettarlo tra i suoi familiari; cosa che il prelato concesse volentieri. Il C. procurò in ogni modo di rendersi gradito al nuovo protettore, assurto poi nel 1513 al soglio pontificio, postulando nel contempo favori simili a quelli ricevuti dal Bembo e dal Sadoleto (Vat.lat. 3351, f. 130; Tommasini, 1892, p. 11). Ma la munificenza del papa non arrivò a tanto: ci risulta solo che il C. era tra gli "Scutifferi" della corte nel Ruolo del 1514-16 (Ferraioli, p. 22; e vedi, del C., l'epigramma Leoni X pro Scutiferatu, in Vat. lat. 3419, ff. 115v-116) e che nel 1514 ricevette la nomina a conservatore e l'incarico di tenere un insegnamento di storia appunto nel palmo dei Conservatori.
Nel breve di nomina, del 17 ott. 1514 (edito da G. Marini, Lettera nella quale si illustra il ruolo de' professori dell'Archiginnasio romano per l'anno 1514, Roma 1797, pp. 20, 112, e poi più esattamente dal Renazzi, II, pp. 234 s.), si designa il C., "familiarem continuum commensalem nostrum", a tenere lezioni di non meno di un'ora davanti ai conservatori nei giorni di riunione; il salario era di 300 scudi l'anno, da pagarsi sulla gabella del vino. Non conosciamo i risultati dell'iniziativa, né sappiamo se il C. avesse particolari interessi per gli studi storici. Quell'anno stesso (secondo alcuni nel 1513). il C. fu anche conservatore insieme con Antonino Frangipane e Mario Crescenzi (Vat. lat. 3351, f. 171v; vedi, del C., l'epigramma Leoni X Faustus conservator, in Vat. lat. 3419, f. 124).
Scarse, e di poca importanza, sono le notizie che abbiamo del C. negli anni successivi: in una lettera del 17 ag. 1516, ad Andrea della Valle arcivescovo di Mileto che seguirà il papa a Viterbo (Vat. lat. 3351, f. 164v, edita dal Tommasini, 1892, p. 19); il 13 marzo 1518 ricevette in dono dalla madre, insieme con i fratelli, parte di un possedimento familiare fuori porta Appia; nel novembre 1520 partecipò insieme con altri letterati a una delle battute di caccia di Leone X.
Col passare degli anni, sembra che il C. fosse sempre più occupato nell'amministrazione del suo patrimonio, sì che il Giraldi poté affermare che il C. sarebbe stato migliore poeta se le preoccupazioni familiari non lo avessero distolto dalle lettere. Certo egli si preoccupò della sistemazione matrimoniale sia della figlia naturale Fausta sia di Giulia, avuta da Faustina. Il 4 dic. 1519 nella casa del C. fu steso dal notaio Pacifico de Pacificis il contratto di nozze tra Fausta e Domenico di Filippo Antonazzi (edito dal Tommasini, 1892, p. 15 n. 2); la figlia Giulia andò in moglie al nobile romano Domenico Massimi, probabilmente in data successiva.
Dopo la morte di Leone X il C. ricercò degli incarichi nell'ambito del Comune di Roma: nel gennaio 1523 aveva l'ufficio di tubatore, ma probabilmente si limitò a riscuoterne il lucro (ibid., p. 13); nel marzo ebbe l'incarico di creare una biblioteca nei locali sovrastanti la loggia del palazzo dei Conservatori (Roma, Arch. stor. com., Segreti di Consigli Magistrati e Cittadini romani, vol. 15, anno I, f. 109), ma l'iniziativa sembra sia rimasta allo stadio di progetto: in seguito non abbiamo più notizie di una sua partecipazione alla vita del Comune. Nel giugno 1524 il C. con Faustina si allontanò da Roma, dove infuriava la peste, rifugiandosi in una vigna fuori porta del Popolo; nel luglio era già tornato, ed era ospite del fratello Cesare (Vat. lat. 3351, 167; Tommasini, 1892, p. 18).
Gli appunti del C. si arrestano al 15 ag. 1526, con la notazione della morte dell'ambasciatore imperiale Luis Fernandez de Cordoba; secondo l'attestazione del Giovio il C. morì a Roma poco prima del sacco del 1527.
Non risulta che il C. lasciasse discendenza maschile, ed anche i due suoi nipoti di cui abbiamo notizia morirono bambini: Girolamo Flaminio, figlio di Fausta, morì il 1º marzo del 1524 a poco più di un anno (Vat. lat. 3351, f. 166v); Giulio, nato da Giulia, perì nel sacco del 1527, quando il palazzo dei Massimi fu incendiato (Armellini, p. 135).
Della cultura da appassionato dilettante del C., abbastanza vasta anche se non profonda, può dare un'idea la sua biblioteca greca e latina, dei cui libri ci resta l'elenco nel Vat. lat. 3351 (ff. 189, 191; Tommasini, 1892, p. 12); allievo di Pomponio, ebbe una discreta educazione umanistica e, in qualità di copiosissuno verseggiatore, godette ottima fama in quella società letteraria che iniziòa riunirsi col nome di Accademia Romana nella villa del Leto sul Quirinale, ed ebbe poi sede via via presso le abitazioni dei vari mecenati. Il suo nome ricorre quindi spesso nelle testimonianze dell'epoca: lo ricordano l'Ariosto nel suo "catalogo dei poeti" (Orlando Furioso, XLVI, 13), il Giraldi nel De poetis suorum temporum, l'Arsilli nel De poetis urbanis, Tommaso Inghirami in una lettera ad Andrea Umiliato (Marquardi Gudii et docto,virorum ad eum Epistolae, Hagae Comitum 1714, pp. 139 ss.), il Sadoleto in una famosa lettera al Colocci (Ubaldini, Vita di mons. A. Colocci, p. 69), il Giovio nell'elenco dei Corytianae Academiae fato functi,qui sub Leone floruerunt edito dal Fanelli (Ubaldini, ibid., p. 114). Fu amico di F. Beroaldo che gli dedicò il Triumphus Cupidinis (Epigrammata, 26), di T. Inghirami, di S. Volentisco (il Tommasini, 1892, pubblica a p. 19, dal Vat. lat. 3351, un biglietto del Beroaldo al C. in data 3 sett. 1505 e due biglietti del C. all'Inghirami e al Volentisco), del Sadoleto, del Castiglione, cui indirizzò l'ecloga Elisa (Vat. lat. 3351, ff. 9v-11), di Camillo Porzio, cui dedicò molti epigrammi, di Tamira (Vat. lat. 3419, f. 73), di Pacifico Massimi, che gli indirizzò alcuni versi del Vat. lat. 2862, di Marc'Antonio Casanova, che gli dedicò alcuni Carmina (Vat. lat. 5227).Ben poco dei troppi versi del C. è edito: durante la sua vita videro la luce solo alcuni epigrammi nei Coryciana (Romae 1524, c. Ii; l'autografo dei due epigrammi è nel Vat. lat. 3351, f. 123v)e nel Suburbanum Augustini Chisii di Blosio Palladio (Romae 1512, c. 2v), quasi a testimoniare la sua partecipazione alla vita letteraria e mondana di Roma. Dal Vat. lat. 3351C.Corvisieri pubblicò un epigramma e un elenco di carri (meglio edito dal Tommasini, 1892, p. 16)che avevano partecipato a una festa, interessante per i nomi dei pittori che li avevano decorati (Antonazzo Aquilio romano pittore del sec. XV, in Il Buonarroti, s. 2, IV [1869], pp. 115 n. 3, 158n. 2);gli epigrammi del C. relativi ad opere d'arte furono poi quasi tutti editi da H. Janitschek, Ein Hofpoet Leos X. über Künstler und Kunstwerke, in Rep. für Kunstwissenschaft, III (1880), pp. 52-60. Vari altri componimenti furono pubblicati dal Tommasini nel corpo del suo saggio sul C. e nella Vita del Machiavelli (II, pp. 1108 ss.). Ma la massima parte dell'opera del C. resta inedita in numerosi manoscritti, tra cui senza dubbio il più interessante è il Vat. lat. 3351, una sorta di zibaldone su cui egli annotò in ordine grosso modo cronologico sue poesie (cambiandone poi con indifferenza, a seconda delle necessità, l'intitolazione a donne e a mecenati), notizie di cronaca romana e familiare, entrate e uscite, debiti, epigrafi, cifrari.
Dalle note di cronaca il Tommasini mise assieme una specie di diario, che pubblicò (1992, pp. 14-18)insieme con minute di lettere che dimostrano i legami del C. con l'Accademia (pp. 18-20), numerose liriche latine e la partizione a quattro voci d'un inno alla Vergine, che dimostra che il C. fu anche musicista. Fu probabilmente da questo stesso codice che il C. trascrisse di suo pugno il Vat. lat. 3419, che è un codicetto di dedica di suoi epigrammi latini alla maniera del Pontano, divisi nei tre libri delle Thermae (ff. 1 ss.), dei Tumuli (ff. 41 ss.) e del Theatrum (ff. 101 ss.), e cioè in poesie d'amore per donne e giovinetti, in epitaffi e in componimenti occasionali. Le Thermae sono dedicate a Giovan Tommaso Pico della Mirandola, figlio di Giovan Francesco; il Theatrum sembra che sia stato pubblicato dal C. insieme con altri versi latini di Camillo Porzio e di Marc'Antonio Casanova con dedica a Giovanni Colonna: nel Vat. lat. 3351, al f. 23, si legge infatti un epigramma In libello ubi Fausti,Camilli,Marci elegiae erant ("Unanimes fuimus; sic tres lege, Roma, libellos / Sic foveas vates Jane Coluinna, tuos") in cui il pentametro sostituisce il precedente, cancellato, "Applaudos, si quid nostra theatra placent". Segue, nel codice Vat. lat. 3419(ff. 139 ss.), il poemetto encomiastico Iulius II, che era stato dedicato al cardinal Luigi d'Aragona. Componimenti del C. sono sparsi in vari altri codici: una raccolta di componimenti intitolata Alexander VI è nel Vat. lat. 5383(i fogli, 1-20, provengono dal citato Vat. lat. 3419, in cui la raccolta fu segnalata dalla Bibliografia romana, Roma 1880, p. 76, e dal De Nolhac, La Bibliothèque de Fulvio Orsini, Paris 1887, p. 257 n. 3). Una raccolta di poesie amorose latine (di cui alcune datate 1502 e 1503), intitolata Nevia e divisa in tre libri, è nel manoscritto J 72della Biblioteca comunale Augusta di Perugia, un codice di dedica destinato dal C. ai cardinali Innocenzo Cybo, Giovanni Salviati e Niccolò Ridolfi; altra sua raccolta di versi è nell'incompiuto Vat. lat. 10377, che il C. voleva donare a Clemente VII e che forse rimase interrotto per la morte dell'autore (Codices Vaticani latini 10301-10700, a cura di M. Vattasso-E. Carusi, Romae 1920, pp. 56-63).Un epigramma intitolato Eccho, oltre che nei codici Vat. lat. 3351, f. 3v e 3419, f. 11, è nel Barb. Vat. lat., XXX, 93 (ex 1200), f. 27;un altro (presente anche nel Vat. lat. 3351, f. 134 e 3419, f. 60v) era all'inizio del codice 33dell'Accademia Rubiconia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone, ora irreperibile; altri componimenti sono nel codice Barb. Vat. lat. 2020(f. 57), nel Vat. lat. 5227contenente i Carmina di M. A. Casanova (f. 333), nel Vat. lat. 10377 (ff. 146v-147: versi in lode dei Giberti), nell'Ottob. Vat. lat. 2549(f. 316; presente anche nel Vat. lat. 2754, f. 24v), nel codice 371 della Biblioteca civica di Belluno (f. 73).
Resta da far cenno all'attività teatrale del C., rivolta principalmente alla stesura di ecloghe dialogate latine da rappresentarsi in occasione di banchetti e di festeggiamenti. Tra i Carmina di G. B. Cantalicio (Napoli, Bibl. naz., cod. XVI A 1, ff. 12v-37v) ci sono versi relativi a commedie del C., del Casali e del Porzio: nel Vat. lat. 3351 si trova infatti l'elenco dei personaggi, diviso in un prologo e cinque atti, della commedia Vulcania (f. 168), non pervenutaci; in essa dovevano esser presenti motivi autobiografici, dato che il prologo era recitato da "Faustus" e che un "Evangelista" sembra essere il personaggio principale dell'atto IV. Lo stesso codice Vat. lat. 3351 ci ha tramandato varie egloghe destinate alla rappresentazione: l'Hercules (ff.5v-8v: celebrativa del matrimonio tra Lucrezia Borgia e Alfonso d'Este), il M. Antonius (ff. 108v-111: in onore di Marc'Antonio Colonna), e due ecloghe in onore di Giulio II, di cui la prima (intitolata Umber, ff. 24 s.)fu rappresentata secondo un'annotazione marginale nel palazzo del cardinal Colonna durante un convito in onore di Guidobaldo duca d'Urbino, la seconda (ff. 29v s.) in un banchetto offerto dal cardinale al papa stesso nel 1504. Un'altra breve rappresentazione allegorica, De laudibus Hispaniae actio (ff.116 s.), fu messa in scena durante il convito con cui il cardinal Galeotto Della Rovere, nipote del pontefice, ricevette Enrico d'Alba, oratore di re Ferdinando d'Aragona. Numerose altre ecloghe, rappresentate nel corso di banchetti, sono anche nel citato codice Vat. lat. 10377; nei codici vaticani Cappon. 75 e Barb. lat. 4793 (contenenti ambedue un'identica relazione anonima delle feste svoltesi a Roma nel 1513 per il conferimento del patriziato romano a Giuliano e Lorenzo de' Medici) a ff. 105v-110 si trovano sette epigrammi del C. i quali, insieme con altri versi di B. Palladio, L. Grana, V. Pimpinella, C. Porzio, fanno parte di una complessa rappresentazione che, durante i festeggiamenti, precedette la recita del Poenulus plautino.
Il C. infine, sul modello pomponiano, fu anche antiquario e collezionò antiche lapidi e sculture; dei suoi interessi epigrafici resta traccia nel codice Vat. lat. 3351, ff. 132 e 153 S. (vedi Corpus inscriptionum Latinarum, VI, nn. 1236, 1445, 6181, 9019, 11027; XIV, 2523, 2524).
Fonti e Bibl.: F. Beroaldo jr., Carmina... Epigrammaton liber..., Romae 1530; P. Giovio, Elogia doctorum virorum, Antverpiae 1557, p. 56; G. G. Giraldi, De poetis nostrorum temporum dial. I, in Opera, II, Basileae 1580, p. 395; F. Ars, Poesie latine, a cura di R. Francolini, Senigallia 1837, p. 12 (vv. 107-110); M. A. Altieri, Li Nuptiali, a cura di E. Narducci, Roma 1873, p. 16 (per la famiglia: le altre notizie, ad Indicem, si riferiscono all'omonimo nonno del C.); I. Burchardi Liber notarum, II, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXXII, 1, a cura di E. Celani, p. 231 (altre notizie, v. ad Indicem, riguardano il nonno del C.); P. Mandosio, Bibliotheca romana..., II, Romae 1692, p. 264; A. Colocci, Poesie ital. e latine..., a cura di G. F. Lancellotti, Iesi 1772, p. 121 n. (e); F. M. Renazzi, Storia dell'università degli studi di Roma..., II, Roma 1804, pp. 14, 234 s.; M. Armellini, Un censimento della città di Roma sotto il pontificato di Leone X..., in Gli studi in Italia, IV-V (1882), p. 135; R. Lanciani, Il cod. Barber. XXX,89,contenente frammenti di una descriz. di Roma del sec. XVI, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, VI (1883), p. 23; O. Tommasini, La vita e gli scritti di N. Machiavelli, I, Roma 1883, pp. 268 n., 271; II, ibid. 1911, pp. 295, 1108 ss.; Id., E. M.de' C. accademico e... storico, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, classe di scienze morali, stor. e filol., s. 4, X (1892), pp. 3-20; D. Gnoli, Le cacce di Leone X, in Nuova Antologia, 16 febbraio 1893, pp. 621, 646; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo, V, Roma-Torino 1902, pp. 195, 223, 578; R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma..., I, Roma 1902, p. 190; Id., The Golden Days of the Renaissance in Rome,from the Pontificate of Julius II to Paul III, New York 1906, p. 140; V. Cian, rec. a L. v. Pastor, Geschichte der Päpste, III, in Giorn. stor. della lett. ital., XXIX (1911), pp. 443 s., 449 n. 1; A. Ferraioli, Il ruolo della corte di Leon X, Roma 1911-18, p. 22; Id., La congiura dei cardinali contro Leone X, in Misc. della R. Soc. rom. di storia patria, VII (1919), p. 213; L. v. Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1925, ad Indicem; IV, 1, ibid. 1926, ad Indicem; J. L. Paschang, The Popes and the Revival of Learning, Washington 1927, pp. 105, 110; G. Mercati, Codici lat. Pico Grimani Pio..., Città del Vaticano 1938, p. 19 n. 4; G. A. Cesareo, Pasquino e pasquinate nella Roma di Leone X, Roma 1938, ad Indicem (la lettera a p. 263 non è del C., ma del Tebaldeo); C. Dionisotti, rec. ad A. Altamura, Per una biogr. di P. Tamira, in Giorn. stor. della lett. ital., CXVIII (1941), p. 59; A. Perosa, Studi sulle poesie del Marullo, in Rinascimento, I (1950), p. 260; G. Sacerdote, C.Borgia, Milano 1950, ad Ind.; A. Campana, Intorno all'incisore G. B. Palumba e al pittore J. Rimpacta, in Maso Finiguerra, I (1963), pp. 166-72, 175; F. Ubaldini, Vita di mons. A. Colocci, a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, ad Indicem; Corpus inscriptionum Latinarum, VI, 1, pp. 261 n. 1236, 315 n. 1445; VI, 2, pp. 991 n. 6181, 1196 n. 9019, 1436 n. 11027; XIV, p. 248 nn. 2523-24; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices,s.v. Magdalenus, Evangelista.