CAPOLAVORO
L'uso del termine c. (o capodopera) è documentato per la prima volta in Italia nel sec. 18° nel significato di migliore opera di un artista. Esso deriva dalla locuzione francese molto più antica chef d'oeuvre, adottata nel Medioevo nel contesto di regolamenti relativi a corporazioni professionali: completata la propria formazione nella bottega di un maestro, l'apprendista - a volte dopo un periodo di lavoro come artigiano a giornata itinerante - aveva l'obbligo di realizzare un c. (chef d'oeuvre) per dimostrare la sua competenza e divenire quindi membro della corporazione. La buona riuscita della prova lo abilitava all'esercizio della professione come maestro a pieno titolo.Per quanto è noto, la prima menzione di un tale requisito di ammissione compare nel Livre des métiers, una compilazione di leggi e consuetudini che disciplinava l'esercizio delle professioni artigianali a Parigi, redatto dal prevosto regio Etienne Boileau (m. nel 1269). Riassumendo in compendio gli Statuti dei falegnami che eseguivano telai per selle (chapuiseurs), il trattato di Boileau stabilisce che "non appena un apprendista è in grado di eseguire un capolavoro (chief d'oeuvre), il suo maestro può sostituirlo con un altro in quanto è ragionevole che, nel momento in cui ne è capace, egli eserciti il suo mestiere e riceva maggiore onore e remunerazione di chi invece non è all'altezza". Benché la formulazione del testo sia tale da indurre a ritenere che non si tratti, in questo caso, di un contratto di nuova stipulazione, non è noto a che epoca esso risalga e in quali circostanze sia stato introdotto, né in che misura ne fosse diffusa l'applicazione ai tempi di Boileau.L'obbligo di eseguire un c. come requisito per essere ammessi a una corporazione artigianale compare nel corso del Tardo Medioevo con frequenza crescente, ma non ovunque: in alcune città è sconosciuto, in altre invece riguarda soltanto determinate professioni. A Parigi, per es., gli Statuti della corporazione dei pittori, scultori, incisori e miniatori, approvati nel 1391, richiedono uno chef d'oeuvre come condizione necessaria per l'ammissione; a Firenze, invece, ai pittori - iscritti all'Arte dei medici e speziali - era assicurata l'ammissione dopo l'apprendistato sulla base di formalità piuttosto semplici; gli armaioli dovevano sottoporre soltanto un manufatto di prova al giudizio di quattro maestri dell'Arte dei corazzai (Statuti del 1321; Doren, 1908, p. 147). I maestri, oltre al desiderio di tramandare e mantenere alto il livello qualitativo della loro arte, avevano un interesse economico nel limitare il numero dei nuovi professionisti e nel controllare i membri della corporazione: ciò di fatto li aiutava a conservare il monopolio sulla produzione e sulla vendita dei beni. Questo spiega le prove a volte ardue che gli apprendisti dovevano sostenere come loro progetti di capolavoro. D'altra parte le autorità pubbliche, ansiose di promuovere le attività economiche o di dimostrare il loro potere, cercavano di limitare la giurisdizione delle corporazioni e, già nella seconda metà del Trecento, i re di Francia conferivano i diritti di maestro in determinati settori come favore personale, dispensando dall'obbligo della prova professionale. A partire dall'età rinascimentale gli artisti, considerando la propria attività come un'occupazione di carattere umanistico e non artigianale, furono indotti a opporsi alla pretesa delle corporazioni di regolamentare il loro lavoro. Sotto la spinta di una nuova concezione dell'arte come prodotto dell'intelletto umano, dell'ispirazione e del contatto con l'ideale, prevalse la visione completamente diversa, più elevata, della perizia tecnica, che oggi è definitivamente acquisita.Gli statuti delle corporazioni medievali spesso specificavano il tipo di prova alla quale l'apprendista era tenuto a sottoporsi. I pittori dovevano in genere eseguire una tavola di dimensioni prefissate, gli scultori una statua e i vetrai una lastra di vetro dipinto. A volte venivano indicati anche il soggetto da realizzare, il materiale da impiegare e i procedimenti tecnici di cui il candidato doveva dimostrare di essere esperto. I soggetti da rappresentare erano quelli che a un artigiano del Tardo Medioevo potevano prevedibilmente essere richiesti nel corso della sua attività professionale: l'immagine della Vergine Maria, di Cristo o di un santo. Gli Statuti della corporazione dei pittori, scultori e maestri vetrai di Lione, approvati nel 1496 dal re di Francia Carlo VIII, richiedevano all'aspirante maestro scultore di eseguire uno dei seguenti progetti: "un Cristo in pietra, completamente nudo, che mostra le sue ferite, con indosso un piccolo perizoma, con stimmate visibili sulle mani, sul costato e sui piedi, una corona di spine sul capo, un volto che esprime bontà e pietà, l'intera opera deve misurare cinque piedi e mezzo in altezza; oppure, della stessa altezza, un'immagine di Nostra Signora che tiene il Bambino tra le braccia; oppure altre belle raffigurazioni di S. Barbara, S. Margherita o S. Caterina; oppure una rappresentazione alta due piedi e mezzo e larga tre, con otto figure bene scolpite e levigate, della Cattura di Cristo o di Cristo che porta la croce, oppure una Flagellazione in casa di Caifa o un Battesimo con S. Giovanni Battista accompagnato da angeli che tengono le vesti del Signore, tutte di bell'aspetto" (Ouin Lacroix, 1850, p. 744). I maestri vetrai dovevano dimostrare la loro abilità realizzando "due lastre di vetro, ciascuna della misura di otto piedi quadri, una con un Calvario dipinto e montato e l'altra con una Dormizione della Vergine, ben fatte e realizzate come si deve, oppure con altre storie secondo gli ordini dei maestri" (Ouin Lacroix, 1850, p. 754). Gli Statuti di Strasburgo (1516) richiedevano ai candidati l'esecuzione di "una tavola con la Vergine Maria con il Bambino seduto o in piedi, dipinta a olio, una Crocifissione con un folto gruppo di piangenti e di ebrei in un paesaggio, alcuni a cavallo e altri a piedi, eseguiti a tempera, un angelo o un altro tipo di figura drappeggiata di giovane, scolpita e dipinta, alta circa un braccio" (Bucher, in Die alten Zunft, 1889, pp. XXXI-XXXII). A Cracovia (1490) erano richiesti una Crocifissione, una Fuga in Egitto oppure un S. Giorgio a cavallo da realizzare entro tre mesi (Bucher, ivi, p. XXX), mentre a Norimberga (1596) il soggetto non era specificato e l'aspirante maestro aveva facoltà di rimettere a giudizio un saggio di quello che riteneva il prodotto migliore del suo lavoro (Bucher, ivi, p. XXXI).Negli statuti ricorrono spesso altri tipi di condizioni in merito all'esecuzione del capolavoro. Figli di maestri e di artigiani locali godevano piuttosto frequentemente di un trattamento privilegiato e potevano essere esentati completamente dall'obbligo di fornire uno chef d'oeuvre, mentre ai forestieri non era possibile sottrarsi al rispetto assoluto del regolamento. In genere veniva posto un termine entro il quale l'opera doveva essere completata - come viene sottolineato - dal solo candidato, che non poteva avvalersi dei suggerimenti né dell'assistenza di terzi. Allo scopo di garantire la correttezza della prova, in alcuni casi gli statuti stabilivano che il candidato si trasferisse nella casa del maestro, dove rimaneva rinchiuso da solo per tutto il tempo necessario; alcune corporazioni disponevano di un ambiente appositamente destinato a tale scopo. Dopo che una giuria di maestri aveva espresso il suo parere, il c. rimaneva in genere di proprietà della corporazione, che poteva cercare di ricavarne un utile dalla vendita; qualora ne esigesse la restituzione, l'autore doveva corrispondere alla corporazione una somma in contanti pari al valore stimato dell'opera.Poiché i progetti per c. rappresentavano uno degli incarichi comunemente commissionati a una bottega medievale nel corso della sua normale attività e dato che essi erano realizzati da giovani agli inizi della loro carriera, nel complesso difficilmente dovevano essere opere di eccezionale valore. La tendenza a non conservarli priva però gli studiosi quasi completamente della possibilità di valutarli su basi concrete. È ragionevole tuttavia ritenere che, poiché lo chef d'oeuvre costituiva il primo esempio di lavoro inteso come dimostrazione di abilità, si tendesse ad attribuire particolare importanza alla perizia tecnica, identificando il massimo livello di padronanza del mestiere con il virtuosismo. Queste sono infatti certamente le qualità più evidenti che caratterizzano i c. realizzati da vari artigiani ed entrati occasionalmente a far parte di collezioni di oggetti, quali le raccolte di principi di età tardorinascimentale e barocca, o di cui continuò la produzione laddove si conservarono le tradizioni artigiane.A volte questi pezzi da esposizione privi di utilità erano oggetto di giudizi negativi. Un funzionario di Tournai, che scrive nei primi anni del sec. 17°, porta a esempio il progetto di c. assegnato ad aspiranti falegnami, consistente nel realizzare un letto "messo insieme e costruito tanto delicatamente, che potrebbe servire solo per essere esibito", mentre ai calzolai poteva essere richiesto di realizzare "scarpe in stile 'apostolico', aventi solo la punta del piede, il tacco e la suola in cuoio e il resto intrecciato con cinghie" (Hurges, 1855, pp. 50-51).I c. degli apprendisti fabbri offrono l'esempio più chiaro del trionfo dell'abilità. Realizzati in materiali più resistenti e ricercati già piuttosto precocemente dai collezionisti, se ne conserva un certo numero. Il c. dei fabbri subì inoltre un'ulteriore evoluzione fino a divenire anche un genere a sé stante, diverso dai manufatti realizzati per l'uso comune, e quindi facilmente riconoscibile; un trattato francese del sec. 17° lo caratterizza come segue: "I capolavori che vengono eseguiti [da fabbri] in numerose delle più illustri città di questo regno sono ancora fatti alla vecchia maniera e con il meccanismo a vista, una cosa certamente più bella e più difficile da eseguire a causa dei chiavistelli, delle seghettature e degli altri aggetti attraverso i quali devono passare le chiavi, ma ancor di più per via delle decorazioni architettoniche, scolpite e realizzate a bassorilievo che devono essere sistemate su questi oggetti" (Jousse, 1627, p. 10). L'esecuzione di una chiave e della relativa serratura, viene ricordato, poteva tenere impegnato un apprendista per due o più anni, con il rischio di portarlo alla rovina. Il c. aveva quindi cessato di essere una modesta prova di competenza e, per una sorta di insistenza sul valore illimitato dell'abilità inventiva e tecnica, si era trasformato in una sfida di altissima difficoltà.
Bibl.: Fonti. - Les métiers et corporations de la ville de Paris. XIIIe siècle. Le livre des métiers d'Etienne Boileau, a cura di R. de Lespinasse, F. Bonnardot, Paris 1879, p. 175; M. Jousse, La fidelle ouverture de l'art du serrurier, La Flèche 1627.Letteratura critica. - C. Ouin Lacroix, Histoire des anciennes corporations d'arts et métiers et des confréries de la capitale de Normandie, Rouen 1850; T. de Hurges, Mémoires d'échevin de Tournai, Mémoires de la Société historique et littéraire de Tournai 5, 1855; F.C. Heitz, Das Zunftwesen in Strasbourg, Strasbourg 1856; Das Buch der Malerzeche in Prag, a cura di M. Pangerl (Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mittelalters und der Renaissance, 13), Wien 1878; Die alten Zunft und Verkehrs-Ordnungen der Stadt Krakau, a cura di B. Bucher, Wien 1889; H. Floerke, Studien zur niederländischen Kunst- und Kulturgeschichte. Die Formen des Kunsthandels, das Atelier und der Sammler in den Niederlanden vom 15.-18. Jahrhundert, München-Leipzig 1905; A. Doren, Studien aus der florentiner Wirtschaftsgeschichte, II, Das florentiner Zunftwesen vom 14. bis zum 16. Jahrhundert, Stuttgart 1908; H. Huth, Künstler und Werkstatt der Spätgotik, Augsburg 1923 (Darmstadt 19672); F. Olivier-Martin, L'organisation corporative en la France d'ancien régime, Paris-Liège 1938; H.R. d'Allemagne, Les anciens maîtres serruriers et leurs meilleurs travaux, Paris 1943; G. Hoogewerff, De Geschiednis van de St. Lucas Gilden in Nederland [Storia della corporazione di S. Luca in Olanda] (Patria, 41), Amsterdam 1947; E. Camesasca, Artisti in bottega, Milano 1966; E. Coornaert, Les corporations en France avant 1789, Paris 1968; R. Wissell, Des alten Handwerks Recht und Gewohnheit (Einzelveröffentlichungen des historischen Kommission zu Berlin, 7), 2 voll., Berlin 1971; W. Cahn, Masterpieces. Chapters on the History of an Idea (Princeton Essays on the Arts, 7), Princeton 1979.W. Cahn