CAPORETTO (A. T., 24-25-26)
Vasto comune della provincia di Gorizia (superficie kmq. 159,97) nella media valle dell'Isonzo. Il capoluogo (ted. Karfreit; slov. Kobarit) è posto a 235 metrì sul mare alle falde della Cima Stáriiski, sulla destra del fiume, dove la valle dell'Isonzo s'allarga dopo una profonda stretta. Il luogo è importante commercialmente e militarmente perché la strada che segue l'Isonzo e continua verso Predil e Tarvisio (Drava) qui s'incrocia con quella che viene da Cividale e risale il Natisone. Gli abitanti del comune (per la maggior parte sloveni) erano 818 nel 1910 e 1160 nel 1921 (788 a Caporetto, 240 a Subida; 132 a Villa Svina); sono ora 6330 dopo l'aggregazione dei comuni di Creda, Dresenza, Idresca, Libussina, Luico. Il territorio è in prevalenza montuoso; sull'agricoltura predomina la pastorizia.
Storia. - Vi fu qui una stazione dell'età del ferro, abitata prima dai Veneti, poi dai Galli. In età romana è probabile vi passasse la strada costruita da Augusto. (2-i a. C.), che da Concordia per Cividale (Forum Iuli) saliva al Norico (Corp. Inscr. Lat., V; pp. 163 e 936). Nell'età di mezzo fece parte della Marca friulana e della contea di Gorizia, finché passò nel 1500 sotto la casa d'Austria. Non ha monumenti notevoli se non la chiesetta di S. Antonio, costruzione secentesca con affreschi grossolani di pittore paesano, non privi di interesse iconografico (sec. XVIII).
La battaglia di Caporetto. - Si suol denominare così, nella storia della guerra italo-austriaca 1915-18, la dodicesima battaglia dell'Isonzo (24 ottobre-9 novembre 1917), poiché nella conca di Caporetto, appunto, conversero, discendendo lungo il fondovalle dalla conca di Plezzo e risalendolo dal campo trincerato di Tolmino, le colonne austro-tedesche, ch'erano riuscite a sfondare la fronte del IV e del XXVII corpo d'armata.
In seguito ai risultati della nostra undicesima offensiva dell'Isonzo (18 agosto-4 settembre 1918), con la quale le nostre truppe avevano compiuto notevoli progressi sull'altipiano della Bansizza (v.), formando così un saliente minaccioso a sud-est della testa di ponte di Tolmino, e intensamente logorato le forze austriache anche nel settore carsico, fra gli ultimi giorni di agosto e i primi di settembre il Comando supremo austriaco, temendo di non poter far fronte a un nostro nuovo attacco, chiese l'ausilio della Germania per sferrare un grande attacco contro l'ala nord della nostra II armata (da Plezzo a Tolmino), che, per l'andamento e la consistenza delle linee italiane, era giudicata dal nemico "manifestamente debole" (Hindenburg).
Le truppe austro-ungariche già dislocate sulla fronte Giulia (23 divisioni, con 1800 bocche da fuoco) vennero quindi rinforzate con altre 14 divisioni (7 tedesche e 7 austriache) e con oltre un migliaio di bocche da fuoco, delle quali 800 circa germaniche. L'armata destinata all'attacco, designata col nome di XIV armata e costituita da truppe austro-ungariche e tedesche (8 divisioni austriache e 7 tedesche), con un totale di 168 battaglioni (pari a 224 dei nostri), fu posta al comando del generale tedesco von Below e ripartita in quattro corpi d'armata o gruppi, così formati e dislocati: gruppo Krauss (3 divisioni austriache) dal Rombon al Monte Nero; gruppo Stein (una divisione austriaca e 3 tedesche), fra il Monte Nero e Tolmino; gruppo Berrer (due divisioni tedesche) fra Tolmino e l'Idria; gruppo Scotti (una divisione austriaca e una tedesca) sull'altipiano di Lom. Delle quindici divisioni, otto furono destinate al primo urto contro le nostre linee, tre ad immediato rincalzo e quattro di riserva. Dovevano inoltre concorrere all'attacco la X armata austro-ungarica (Krobatin) che fronteggiava le nostre truppe della zona Carnia, e la I armata dell'Isonzo (del gruppo d'esercito Boroević) dislocata sulla Bansizza.
Lo scopo che l'offensiva si proponeva era quello di ricacciare gl'Italiani dalla zona del Carso fin dietro il Tagliamento, raggiungendo la linea Cividale-Gemona. Le truppe della XIV armata, quindi, dovevano cercare di assicurarsi il possesso incontrastato della strada di fondovalle Plezzo-Caporetto-Tolmino, raggiungendo al più presto possibile la linea Monte Maggiore-Monte Matajur-Monte San Martino-Globocak. Attacchi dimostrativi dovevano svolgersi nel Trentino e sul Carso allo scopo di trarre in inganno il Comando italiano sulla vera direzione dell'attacco principale. L'inizio dell'azione fu rimandato più volte, finché venne fissato per le primissime ore del 24 ottobre.
Le nostre forze, nel settore minacciato, erano così schierate, da nord a sud: IV corpo d'armata (gen. Cavaciocchi), dalla conca di Plezzo alla costa Raunza, di fronte a Tolmino, con 3 divisioni in linea (50a, 43a, 46a) e una, la 34a, in riserva; XXVII corpo d'armata (gen. Badoglio), dalla costa Raunza alla zona di Kal (Bansizza) con quattro divisioni (19a, 65a, 22a e 54a). In seconda linea, all'altezza dell'ala destra del IV corpo e della sinistra del XXVII, nel triangolo monte Matajur-Kuk-Savogna, fu, qualche giorno prima dell'offensiva, dislocato il VII corpo d'armata (gen. Bongiovanni), con due divisioni (3a e 62a), le quali avevano il compito di guardare da ogni minaccia le testate delle valli confluenti nella grande strada per Cividale. Due altri corpi d'armata (il XIV e il XXVIII), con un complesso di 66 battaglioni, erano dislocati più indietro, quale riserva. Sul resto della fronte della II armata, fino al Vipacco, erano schierati i corpi d'armata: XXIV (gen. Caviglia),II (generale Albricci), VI (gen. Lombardi) e VIII (gen. Grazioli), con complessive 11 divisioni.
In complesso, la II armata (gen. Capello) poteva disporre di ben nove corpi d'armata, venticinque divisioni, sessantuna brigata o raggruppamenti equivalenti, con un totale di 353 battaglioni, dei quali 251 in prima linea. Considerando però le forze delle divisioni in linea nel settore prescelto dal nemico per l'attacco, al mattino del 24 ottobre, erano in linea 71 battaglioni (sostenuti dai 12 della 34a divisione e dai 30 del VII corpo d'armata), di fronte a 30 battaglioni tedeschi e 46 austriaci (pari a 101 dei nostri), con altri 63 battaglioni in rincalzo e 29 di riserva. I battaglioni nemici, inoltre, erano tutti completi di organici e di quadri, mentre i nostri erano alquanto ridotti. Anche il nostro schieramento di artiglieria, per quanto formidabile, era pur sempre inferiore a quello avversario nel settore d'attacco, dove gli Austro-Tedeschi avevano accumulato ben 886 bocche da fuoco leggiere, 138 pesanti e 41 pesantissime.
Altro elemento di reale debolezza per noi era insito nel tracciato e nell'efficienza delle nostre prime linee oltre Isonzo, le quali presentavano due tratti particolarmente vulnerabili: nella conca di Plezzo, l'uno, dove le nostre trincee, disposte nel fondovalle e sprovviste di ricoveri a causa delle infiltrazioni acquee, erano dominate dall'ampio arco delle posizioni nemiche, fra il Rombon e l'Iavorcek; sulle falde del Mrzli e del Vodil l'altro, dove la nostra linea si svolgeva a distanza più o meno breve dalla sovrastante linea avversaria, in terreno spesso franoso e alle nostre spalle precipitante verso il fiume. Né una consistenza di gran lunga maggiore presentavano le linee del XXVII corpo d'armata, le quali erano parimenti dominate quasi dappertutto dalle posizioni avversarie e avevano tuttora in corso lavori importantissimi di difesa. Le linee arretrate, poi, erano costituite per la maggior parte da trincee di tipo antiquato e lasciate in abbandono. È da notare, infine, che lo stato d'animo delle nostre truppe non era più quello delle prime battaglie dell'Isonzo: la stanchezza, il pensiero delle famiglie assoggettate a tutte le restrizioni imposte dalla guerra, l'incertezza circa la durata di questa e la lentezza dei nostri progressi territoriali, nonostante le perdite sempre più ingenti, la propaganda sovversiva e pacifista, infine, e quella che il nemico tentava d'insinuare dalle sue trincee nelle nostre, avevano finito col far presa sull'animo dei nostri soldati. Per giunta, quasi alla vigilia dell'offensiva il generale Capello, assalito da un attacco uricemico, dovette, il giorno 20, cedere il comando dell'armata al generale Montuori e partire per Padova. Avendo però appreso dell'imminenza dell'offensiva nemica, ripartiva subito per la fronte e convocava i comandanti delle grandi unità dell'armata a Cividale, qualche ora prima della battaglia.
Alle due del mattino del 24 ottobre, i primi colpi dell'artiglieria avversaria si abbatterono sulle nostre linee; dopo una prima fase di bombardamento con proiettili tossici, si scatenò il fuoco di distruzione, intensissimo. In breve tutto, trincee, camminamenti, ripari, fu sconvolto, gli osservatori acciecati, i collegamenti infranti. In molti tratti delle trincee avanzate non rimanevano più che rade catene di uomini, avvelenati dai gas o annichiliti dall'intensità del bombardamento; dietro, incominciavano a diffondersi lo sgomento e il disordine. Le nostre artiglierie, intanto, sia per la fitta nebbia, sia, in qualche settore, per erronea interpretazione di ordini, non opponevano al fuoco nemico che una reazione fiacca e incerta: in taluni punti tacevano del tutto.
Verso le 8, mentre poderose mine esplodevano sul monte Rosso e sul Mrzli, il nemico lanciava le sue fanterie all'attacco contro le posizioni del IV e del XXVII corpo, con più deciso impeto nella conca di Plezzo e nel settore della testa di ponte di Tolmino. In breve, le nostre linee nella conca di Plezzo, nel tratto Sleme-Mrzli e nel settore di sinistra del XXVII corpo (19a divisione), furono sommerse, nonostante che in molti tratti le nostre truppe opponessero una strenua resistenza. La brigata Friuli nella conca di Plezzo, particolarmente, le brigate Caltanissetta ed Alessandria sul Mrzli, la Ionio sullo Sleme si batterono disperatamente: episodi di eroismo, rimasti per lo più avvolti nel silenzio e nel mistero come gran parte delle vicende di quella tragica mattinata. Prima di mezzogiorno, le truppe della conca di Plezzo, sopraffatte dal gruppo Krauss, erano in ritirata sulla stretta di Saga; la 12a divisione germanica, sfondate le nostre difese nel tratto Gabrje-Selisce, avanzava rapidamente sulle due rive del fiume; l'Alpenkorps, travolte le truppe della 19a divisione, si affermava sui due speroni di Costa Raunza e Costa Duole, con i quali la dorsale del Kolovrat si protende nella conca di Tolmino; il gruppo Scotti, impadronitosi del Krad Vhr e del costone di Cemponi, attaccava il Globocak. Nel pomeriggio, le sorti della giornata precipitavano, e i Tedeschi, avanzando con sicurezza quasi temeraria per il fondo valle, raggiungevano poco dopo mezzogiorno Kamno, alle 14 Idersko, alle 15 Caporetto.
Il primo atto del dramma era compiuto. Invano le truppe della Bansizza si opponevano ai reiterati attacchi nemici e li respingevano; invano, nella giornata del 25, alcuni reparti mantenutisi solidi e altri sopraggiunti precipitosamente in rinforzo tentarono di arginare le masse austro-tedesche che, imbaldanzite dal trionfo, premevano alle testate delle valli e dilagavano per le strade friulane. Alla sera del 25, il gruppo Krauss era riuscito a sfondare lo sbarramento di valle Uccea e a strappare lo Stol alla 50a divisione; più a sud, anche il Kolovrat e il Globocak cadevano in mano dell'avversario. Quelle unità del IV corpo che erano rimaste sulla sinistra dell'Isonzo, venivano in gran parte catturate; solo un manipolo di alpini si manteneva ancora, in magnifico e tragico isolamento, sul Monte Nero. Il giorno 26, con la caduta del Monte Maggiore, anche l'ultima linea di difesa fu scardinata e la via per Cividale aperta, così che, nella notte, il Comando supremo fu costretto a ordinare la ritirata sul Tagliamento. La III armata, intanto, doveva ripiegare al Vallone, sull'altipiano carsico, e affrettare lo sgombro delle artiglierie. Nelle ore antimeridiane del 27, mentre Cividale veniva occupata dal nemico, il generale Cadorna dava l'ordine generale di ritirata al Tagliamento. Guardava, intanto, con occhio sicuro alla linea del Grappa-Piave, sulla quale egli contava di risollevare le sorti della battaglia e di salvare l'Italia. (Per le fasi ulteriori della battaglia si vedano le voci tagliamento e piave).
Bibl.: Oltre alle opere generali sulla guerra alla fronte italiana (v. guerra mondiale) e alla relazione della Commissione d'inchiesta sulla battaglia (Roma 1920); v. W. Örbel, Vormarsh in Oberitalien: vom Isonzo zur Piave, Stoccarda 1918; Kraus, Das wunder von Karfreit, Monaco 1926; L. Cadorna, la guerra alla fronte italiana, Milano 1921; V. Coda, Dalla Bainsizza al Piave. Ottobre-novembre 1917, Milano 1919; A. Pirazzoli, La battaglia di Caporetto, Milano 1919; A. Tosti, Riflessi del rogo, Milano 1928; A. Soffici, La ritirata del Friuli, Firenze 1920; L. Capello, Per la verità, Milano 1920; N. Papafava, Badoglio a Caporetto, Torino 1923; id., Appunti militari, Ferrara 1921; id., Da Caporetto a Vittorio Veneto, Torino 1925; P. Pieri, in Nuova rivista storica, 1927, p. 337 segg.; 1928, p. 614 segg.; G. Volpe, Ottobre 1917. Dall'Isonzo al Piave, Roma 1930 (il libro ha particolare importanza perché attribuisce il rovescio di Caporetto a ragioni di carattere essenzialmente tecnico militare anziché a motivi di ordine psicologico e politico).