CAPRIATA (fr. ferme, sp. cerha, ted. Binder, ingl. truss)
Struttura speciale, di legno, o mista di ferro e legno, o interamente metallica o di cemento armato, che serve per sostegno dell'armatura di copertura dei tetti a falde inclinate.
Le capriate hanno avuto necessaria applicazione, sia pure in forma embrionale, ovunque le antiche architetture hanno affrontato il tema della copertura di grandi spazî. Così nei templi greci. Ivi la teoria, che già Vitruvio e Pausania ebbero a enunciare per la genesi dell'ordine dorico, ci dà gli elementi principali della trabeazione quale espressione del primitivo tipo di costruzione in legname; e in particolare i triglifi come quello delle testate delle capriate di copertura. E per quanto nessuna struttura in legno ci sia rimasta, ci è ben possibile ricostruire quale fosse il tipo di siffatte capriate; il tempio della Concordia di Agrigento ed il Theseion di Atene ce ne mostrano lo schema, il computo descrittivo conservatoci dell'arsenale del Pireo ne illustra i particolari.
La capriata usata dai Greci era composta di due legni obliqui (puntoni), di una trave orizzontale (catena), ai cui estremi si uniscono con intaglio marginale i piedi dei puntoni, e di un legno verticale (ometto o monaco), contro i cui fianchi s'incastrano le sommità dei puntoni.
A differenza delle capriate moderne dello stesso tipo, le capriate greche, che più che altro potrebbero riportarsi al tipo di travi armati, avevano nel grande trave costituente la catena l'elemento principale, su cui il monaco poggiava recando il carico nel mezzo e sollecitando il trave stesso a flessione. Questo tipo di capriata è simbolicamente indicato nella composizione decorativa della Porta dei leoni di Micene, ove i due leoni sostituiscono i puntoni, sostenendo sui dorsi il peso e appoggiandosi a lor volta sul monaco.
Nell'ampia trattazione che Vitruvio fa della capriata nel suo lib. VI, appare già il principio della capriata triangolare con la catenatirante; e certo il principio deve avere avuto, nella carpenteria romana, complete applicazioni, se sono state possibili le grandi coperture di basiliche civili e, poi, delle tante basiliche cristiane.
È da ritenere che le capriate di legno costruite o rinnovate nei secoli successivi, e i tipi invalsi, come quelli della capriata palladiana, non siano che imitazioni delle capriate romane. Solo nel sec. XIX appaiono veri tipi nuovi, dapprima con lo sviluppo sempre maggiore della carpenteria, poi con l'introduzione del ferro, o nella semplice forma di tiranti, ovvero in quella di complete travature a traliccio, di diversissimi schemi e forme. Ancor più varie le recenti applicazioni del cemento armato. Oggi si usano varî tipi e varî materiali, adottando l'uno o l'altro a seconda della portata.
Per luci fino a m. 7 si usa l'incavallatura semplice costituita, come s'è detto per i Greci, di catena, monaco e puntoni. Questi sopportano direttamente le pressioni trasmesse dai sovrastanti organi dell'orditura del tetto; la catena contrasta alla spinta che i puntoni esercitano contro i muri, e il monaco, oltre che servire per il collegamento superiore dei puntoni, porta spesso una staffa di ferro, che, girando sotto la catena, la sorregge nel punto di mezzo. L'unione dei puntoni col monaco viene rafforzata mediante squadre metalliche fissate sulle due superficie verticali esterne.
Per ampiezza fino a circa 12 m., i puntoni vengono rinforzati mediante saettoni che s'incastrano, con intaglio marginale, al piede del monaco e ai puntoni, in modo da impedirne l'incurvamento. La capriata di questo tipo prende il nome di palladiana. Talora la catena, riuscendo troppo lunga, viene realizzata con una trave composta, risultante di due travi sovrapposte collegate con unione a doppio o a semplice dente, e fasciate con righetta di ferro. Talora la catena e il monaco sono di ferro anziché di legno; per l'unione dei tiranti ai puntoni si usano speciali scatole di ghisa, e i tiranti stessi sono forniti di manicotti a vite, per la regolazione della tensione. Per ampiezze pure inferiori a 12 m., si usano incavallature a due monaci con una controcatena, per lo più di legno, che collega le estremità superiori dei due monaci.
Per portate fino a 25 m. si usa la capriata palladiana con catena, controcatena e puntoni. Tali capriate complesse sono, però, vantaggiosamente sostituite da capriate tipo Polonceau, miste di legno e di ferro. In esse ciascun puntone è armato con un contraffisso di ghisa e con due tiranti di ferro inclinati, e dal vertice della capriata scende un tirante verticale che sostiene la catena o tirante orizzontale nel suo punto di mezzo: la catena è pure munita di manicotto tenditore. Ancora per portate fra m. 18 e 25 si usa la capriata Polonceau a tre contraffissi, in cui spesso i due puntoni sono costituiti da travi di ferro a doppio T.
Un altro tipo di capriata, detta inglese, che si usa in caso di forti ampiezze (m. 10-12 fino a 40), consta di puntoni metallici a doppio T, di contraffissi obliqui in ferro a T, e di tiranti verticali costituiti di ferri tondi oppure di uno o due ferri piatti. In tale tipo di capriata il numero dei tiranti e dei contraffissi di cui è armato ciascun puntone aumenta con la portata. Nei più recenti edifici a struttura portante di cemento armato, si usano capriate pure interamente di cemento armato che formano un insieme monolitico, molto spesso solidale con il resto della struttura portante.
La distanza normale delle capriate è di m. 3-4,50, e maggiore nel caso di capriate di eccezionale ampiezza.
Bibl.: L. A. Barré, Éléments de charpenterie métallique, Parigi 1872; M. Förster, Die Eisenkonstruktionen der Ingenieur-Hochbauten, 1903; L. Cosyn, Traité pratique de constructions métalliques, Parigi 1905; D. Donghi, Manuale dell'architetto, Torino 1920; C. Guidi, Lezioni sulla scienza delle costruzioni, Torino 1927; Emperger, Handbuch für Eisenbetonbau, Berlino 1928; G. A. Breymann, Trattato di costruzioni civili, III, Costruzioni in ferro, 4ª ed. ital., Milano 1925.