CAPRO ESPIATORIO
ESPIATORIO L'espressione trae origine dalla traduzione (caper emissarius) che S. Gerolamo fece del vocabolo ebraico 'Azā'zel nel passo del Levitico (XVI, 8-10 e 26) relativo al "giorno dell'espiazione" (o del kippur), ma viene estesa a qualunque essere animato (o anche oggetto inanimato) reputato capace di accogliere sopra di sé i mali e le colpe della comunità, la quale, per questo processo di trasferimento, ne rimane liberata.
Il passo del Levitico impone ad Aronne di prendere due capri e di gettare sopra di essi le sorti: una per Jahvè, l'altra per Azazel, che secondo i più qui personifica uno spirito malefico ostile a Jahvè. ll capro emissario è però con lo spirito malefico della solitudine in diretto rapporto: mentre infatti l'altro capro viene offerto in sacrificio espiatorio a Jahvè, il capro su cui cadde la sorte di Azazel, "resterà vivo innanzi a Jahvè per fare sopra di lui l'espiazione e poi mandarlo ad Azazel nel deserto" (cfr. i versetti 20-22: "Aronne farà accostare il capro vivo e stendendo le mani sopra la testa di esso, confesserà sopra di lui tutte le colpe e tutti i falli e tutti i peccati degli Israeliti, e fattili passare sulla testa del capio, lo manderà via nel deserto.... Così il capro si porterà addosso tutte le colpe loro.... "; per l'allusione simbolica alla purificazione del Santuario, cfr. il versetto 16).
Semiti e Primitivi. - Questa "trasmissione del male" era conosciuta e praticata anche dalla magia babilonese-assira, per quanto i documenti a noi noti fino ad ora riguardino soltanto il trapasso del male fisico, non del male morale. La trasmissione si effettuava mediante un mezzo fisico (p. es. l'acqua dell'abluzione usata come veicolo per trasferire il maleficio da cui l'individuo è colpito, sopra un oggetto, sul quale essa viene versata); oppure mediante un oggetto inanimato (p. es. i nodi fatti con corde che, strette intorno al corpo del paziente, s'impregnavano del male, da cui egli era afflitto, e in seguito, tagliate e portate lontano, trasportavano seco anche il malefizio); oppure mediante l'immagine del demone malefico o l'immagine stessa del paziente (allo scopo d'ingannare il demone con la rassomiglianza); oppure anche per mezzo di animali. Un testo, per quanto in forma non chiara, ci fa assistere al trapasso del maleficio nel corpo di un maiale precedentemente sacrificato, e richiama l'analogo esempio evangelico (Marco, V, 12-13).
Secondo Erodoto (II, 39), in Egitto, allorché si sacrificava un bue alla divinità, la testa veniva recisa e su di essa recitata la seguente imprecazione: "Se qualche male incombe o ai sacrificatori o all'Egitto tutto quanto, sia trasferito sopra questo capo!". La testa era poi venduta ai Greci sul mercato o gettata nel fiume.
Gli esempî recati trovano analogia nelle costumanze magico religiose delle popolazioni più varie, dove il centro ricevitore dei mali può essere un oggetto inanimato, un animale, un uomo.
Così (per scegliere fra numerosissimi esempî) presso i Cafri, quando ogni altro rimedio sia risultato vano, gl'indigeni conducono all'infermo un capro e confessano sopra di esso i peccati del kraal, facendo così dell'animale un vero capro emissario. Talora si lascia cadere qualche goccia del sangue del malato sulla testa del capro, che poi viene cacciato in un luogo deserto. Presso i Badagas (India meridionale), quando muore qualcuno, si sceglie un giovane bufalo, lo si conduce per tre volte intorno al cadavere portato fuori del villaggio, si appoggia la mano del morto sopra la sua testa e poi un anziano della tribù recita (pure per tre volte) un lungo elenco di tutte le colpe, che un Badaga può commettere. Il popolo ripete il ritornello di ogni versetto e infine il bufalo viene cacciato lontano.
Tracce della credenza nella trasmissione dei mali e dei riti ad essa relativi si riscontrano pure con grande frequenza in Europa (trasmissione ad animali, ad alberi, a oggetti inanimati).
Accanto alle cerimonie occasionali si ricordano cerimonie periodiche di espulsioni di mali mediante un veicolo inanimato o animato. L'uso d'imbarcare tutti gli anni sopra una piroga o una zattera i mali e le colpe della tribù (o gli spiriti che li personificano e ne sono le cause) si ritrova fra popolazioni dell'isola di Borneo e delle isole Nicobar. Presso i Garos dell'Assam (India) e i Bhotiyas (Hymālaia occidentale) il capro emissario periodico è, come presso gli Ebrei, un animale (scimmia, cane). Fra le tribù del delta del Niger, è un uomo sacrificato, dopo che su lui sono state trasferite le impurità fisiche e morali dei singoli individui.
Grecia. - Il mito rivela anche qui l'esistenza del rito del capro espiatorio. Tale carattere sembrano avere infatti le quattro figlie di Giacinto sacrificate presso la tomba del ciclope Geresto dagli Ateniesi decimati da peste e carestia, durante l'assedio posto alla città da Minosse irritato per la morte di Androgeo (Apollod., III, 15, 8; cfr. A. B. Cook, Zeu. s, Cambridge 1914, p. 319) e, sempre in Atene, le figlie di Leo, sacrificate in circostanze analoghe alle precedenti (Ps. Demosth., 60, 28). Più esplicito ancora, nel mito locale riferito da Erodoto (VII, 197, 16-20), è il significato che i Minyi avevano dato al responso dell'oracolo designante come vittima sacrificale Atamante, figlio di Eolo, padre di Frisso e di Elle: essa doveva venir immolata quale καϑαρμὸν τῆς χώρης; vittima cioè di espiazione e di purificazione per il paese.
Col tipico annuo invio al santuario di Atena Iliaca di due nobili vergini locresi, della stirpe regia di Aiace, usciamo dal mito ed entriamo nella storia, benché del rito sia data ancora una ragione mitica: l'offesa brutale di Aiace a Cassandra (v.) dopo la distruzione di Troia, che aveva attirato sulla Locride una pestilenza e il conseguente responso dell'oracolo (Apollod., Epit., VI, 20 segg.; Schol. Tzetz. Lycophr. v. 1141; cfr. L. R. Farnell, The Cults of the Greek States, I, Oxford 1896, p. 261).
Passiamo ora a cerimonie periodiche. Nell'isola di Leucade, dal promontorio su cui sorgeva il tempio d'Apollo (il dio purificatore per eccellenza) si gettava ogni anno in mare un criminale, che veniva poi raccolto ed esiliato (Strab., X, 2, 9; Fozio, s. v. Λευκάτης; Suida, s. v. περὶψημα). Suida aggiunge che alla vittima, carica di tutte le impurità del popolo, si diceva che essa ne era diventata "la spazzatura", "il rifiuto": περὶψημα. A Cheronea, in Beozia, aveva luogo annualmente la ἐξέλασις βουλίμου, "la cacciata della fame", cioè d'uno schiavo, che veniva battuto con fronde di agnocasto, ed espulso dalla città al grido di: "Fuori la fame! (βούλιμον), dentro l'abbondanza e la salute" (Plut., Quaest. conviv., VI, 8).
Nelle città ioniche dell'Asia Minore, il capro espiatorio, straordinario o periodico, in occasione delle feste Targelie (v.), era detto ϕαρμακός, nel significato di "strumento magico vivente di purificazione".
Roma. - Nel mondo romano, il rito del capro espiatorio è assai meno perspicuo. L'espulsione annuale del vecchio Mamurius rivestito di pelli, battuto con bianche verghe e cacciato dalla città in direzione della terra osca (Propert., V, 2, 59 segg.), è menzionata esplicitamente solo da Giovanni Lido (De mensib., IV, 36, p. 71). Anche Servio ricorda, ma senza designazione di mese, un giorno consacrato a Mamurio, giorno quo pellem virgis feriunt. Non è possibile separare Mamurius da Marmar e Mamers, e questi da Mars, di cui sono forme reduplicate. Se pertanto Mars è il giovane iddio dell'anno novello, Mamurius Veturius è il dio decrepito dell'anno trascorso, che, secondo la notizia di Giovanni Lido, veniva cacciato ogni anno da Roma il 14 marzo. Accanto al vecchio anno rappresentato in sembianze antropomorfiche maschili, la mitologia ne possedeva anche una rappresentazione femminile nella vecchia Anna Perenna (Ovid., Fast., III, 523 segg.), dal cui mito si ricava che il suo simulacro (o una vecchia donna, in origine?) era gettato nel fiume al pari del simulacro della morte presso le odierne popolazioni slave. Meno incerto carattere di capri emissarî hanno le tre vittime suovetaurilia, (v.), proprie di talune cerimonie lustrali.
Connessa col rito del capro emissario è anche la cerimonia degli Argei (v.): rito lustrale in intimo rapporto con la fecondità dei campi.
India. - Il rito del capro espiatorio è abbastanza perspicuo nell'antica religione indiana. L'atto espiatorio più importante dell'anno liturgico vedico costituisce parte integrante della festa dei Varuṇapraghāsa, solennità delle primizie dell'orzo, combinata con un rito per la fecondità del bestiame e con un altro rito per l'avvento della pioggia. Sul fuoco sacro del sud - regione dei morti e dei demonî - si fa arrostire dell'orzo e se ne apprestano tante paste in forma di piatti quanti sono gli abitanti della casa, più una per i non nati. Uno dei sacerdoti chiede alla sposa del sacrificante con chi e con quanti ella abbia peccato. In caso di risposta affermativa, basta che la sposa porga al sacerdote tanti fili di erba quanti furono gli uomini con cui ebbe rapporti: una specie di confessione inserita nel rito espiatorio. Indi la donna si pone in capo un graticcio di vimini, su cui stanno le paste e, giunta davanti al fuoco ve le getta dentro, pronunziando la formula seguente: "Qualunque peccato noi abbiamo commesso coi nostri sensi nel villaggio, nella foresta, nella casa, noi lo eliminiamo con questo sacrificio". Evidentemente abbiamo qui un rito di trasmissione dei peccati, che la tendenza dei sacerdoti a tutto spiegare col sacrificio ha trasformato in un atto di oblazione. I peccati, dagli abitanti della casa, che li hanno commessi, sono passati e si son fissati sulle paste le quali, cariche delle impurità della famiglia - veri capri espiatorî - vengon gettate nel fuoco, che tutto distrugge.
Il rituale del sacrificio del soma contiene un atto analogo. I sacerdoti gettano nel fuoco le schegge di legno staccatesi durante la squadratura del sacro palo, a cui vien legata la vittima, e proferiscono sopra ciascuna una formula, nella quale la scheggia è chiamata l'oblazione espiatoria del peccato commesso dagli dei, dagli uomini, dai padri, da loro stessi, consapevolmente o inconsapevolmente.
Cina e Asia orientale. - Per la Cina, le prescrizioni del "Libro dei riti" (Li-Ki), relative alle cerimonie d'eliminazione delle emanazioni pestilenziali e delle malattie, permettono di postulare l'esistenza del rito del capro espiatorio, di cui tuttavia mancano esempî veramente perspicui. Nel Siam una donna pubblica rovinata dal vizio veniva ogni anno portata per le pubbliche vie sopra una barella e poi gettata, fuori della città, sopra un letamaio o una siepe di spine, nella credenza ch'ella attirasse sopra di sé tutte le funeste influenze dell'aria e degli spiriti mali. Lo stesso Frazer (The golden Bough, X, pp. 212-213) riferisce un rito solenne di capro espiatorio nel Giappone.
Celti e Germani. - Il rito del capro espiatorio non è chiaramente riconoscibile né nella religione degli antichi Germani né in quella dei Celti; qualche traccia ne rimane tuttavia nel folklore.
Bibl.: J. G. Frazer, The Golden bough, VI (The scapegoat), 3ª ed., Londra 1913; A. Loisy, Essai historique sur le sacrifice, Parigi 1920; F. Schwenn, Die Menschenopfer bei den Griechen und den Römern, Giessen 1914; J. E. Harrison, Prolegomena to the study of Greek religion, Cambridge 1903; Gebhard, Die Pharmakoi in Ionien und die Sybakchoi in Athen, Monaco 1926; W. R. Paton, The ζαρμακοι and the Story of the Fall, in Revue archéologique, s. 4ª, IX (1907), p. 55 segg.; R. Pettazzoni, La confessione dei peccati, I, Bologna 1929; art. Azazel (E. Nestle), Scapegoat (di varî), ecc., in Hastings, Enc. of Religion and Ethics, Edimburgo 1908 segg.