CAPUA (A. T., 27-28-29)
Città della provincia di Napoli (fino al 1927 appartenente a quella di Caserta). È situata a soli 25 m. s. m., per quanto a 24 km. dal Mar Tirreno, nella zona più spiccatamente pianeggiante della Campania, in un'ansa del fiume Volturno. Di Capua è antico il nome, ma non è altrettanto antico il posto. L'antica famosissima Capua, infatti, sorgeva a SE. della Capua odierna, a circa 4 km. di distanza; al posto che essa attualmente occupa si trovava Casilinum; al posto della Capua antica sorse in seguito una borgata che fu Santa Maria Maggiore (detta poi, solo nel secolo scorso, S. M. Capua Vetere; v.), che fu casale di Capua fino al 1806. Il comune di Capua conta 13.191 ab. di cui 9832 sono raccolti nel centro principale: il comune comprende anche il centro di S. Angelo in Formis (1372 ab.), che sorge a est del capoluogo, a 76 m. s. m., proprio alle falde del Monte Tifata. Il centro principale ha figura di triangolo, con ampie e belle piazze e con vie diritte. Il corso Appio si ricongiunge sulla sinistra del fiume con la via Appia, mercé ponte romano sul Volturno, che fu restaurato da Federico II di Svevia e poi da Carlo III di Borbone. La parte meridionale della città è costituita dal grande laboratorio pirotecnico del R. Esercito, che si trova nell'antico castello ed è fra i più importanti d'Italia: Capua, già antichissima sede vescovile, divenne archidiocesi nel 966; vanta insigni arcivescovi, fra i quali il cardinale Roberto Bellarmino.
L'area del comune è di 48,64 kmq. e abbraccia verso ovest una parte in cui, per la presenza degli acquitrini, ancora persiste la malaria e prevalgono, quindi, i seminativi e i pascoli, mentre verso est sono largamente diffusi gli ortaggi, la canapa, il granoturco e nello stesso tempo la vite, l'ulivo e gli alberi da frutto. Col risanamento igienico della parte più bassa, le colture intensive vengono di giorno in giorno sempre più scendendo lungo il Volturno. Dall'allevamento del bestiame, tuttora notevole nel territorio di Capua, deriva l'importanza dell'industria casearia; nella città è stata di recente impiantata una fabbrica di macchine agricole.
Stazione ferroviaria sulla Roma-Caserta-Napoli, è congiunta con Napoli anche da un'arteria rotabile che passa per Aversa.
Bibl.: O. Rinaldo, Memorie storiche della città di Capua, Napoli 1753-1755; B. Natale, Saggio storico delle antichità di Capua, Caserta 1829; G. Frojo, Relazione agricola economica che accompagna il progetto tecnico per rendere irrigue le terre a sinistra del fiume Volturno a valle della città di Capua, Caserta 1870; S. Di Giacomo, Da Capua a Caserta, in collezione "Italia artistica", Bergamo s. a.; V. Bindi, Capua, la regina del Volturno, Milano 1927.
Monumenti. - Capua è posta sulla destra del Volturno, cinta da solide mura più volte rifatte fino a raggiungere, nel 1732, la forma e l'ampiezza attuale. Gli avanzi dell'epoca longobarda rappresentano un'interessante documentazione di arte barbarica, cui si mescolavano gli elementi bizantini e pallidi ricordi classici. Le chiese di S. Salvatore Maggiore, di S. Giovanni e di S. Michele a Corte, conservano interi organismi architettonici del sec. X, mentre importanti frammenti dello stesso tempo ci offrono le chiese di S. Maria in Abate e di S. Maria del Carmelo (cuspidi di ciborî) e il cortile del palazzo Fieramosca (capitelli). In S. Marcello, dove affiorano elementi costruttivi del sec. IX, si conservano un sarcofago riccamente istoriato del sec. V e un ponale composto con frammenti del sec. XII, ma il cui architrave ricorda un Andoaldo morto nel 992. Del periodo normanno, oltre alle chiese ormai semidistrutte di S. Benedetto Piccolo e di S. Giovanni dei Nobiluomini, esiste il duomo in parte rifatto nel '700 e malamente restaurato nel sec. XIX. Molti elementi degli scomposti amboni dugenteschi vennero adoperati nella decorazione del tempietto che racchiude il Cristo di Matteo Bottiglieri, nella cripta; altri sono nella cappella del Sacramento murati a terra. La colonna del cero pasquale, coeva degli amboni, è decorata con bassorilievi di soggetto simbolico, liturgico biblico, alternati con anelli i cui intarsî ricordano motivi orientali. Altre opere d'arte di particolare interesse sono i monumenti sepolcrali di Gerolamo e Felice dell'Uva (1579-1584); due tavole, una del sec. XIV e l'altra del XVI; una tavola di Antonazzo Romano; le tombe quattrocentesche di Cesare e Matteo De Capua; un mosaico del sec. XII presso il fonte battesimale, già sul portale della chiesa di S. Giovanni delle Monache ricostruito nel fianco del duomo. Mattonelle maiolicate del sec. XV compongono il pavimento della sagrestia, dove si trovano due tavole del Cinquecento. Il tesoro contiene, oltre al celebre Exultet con miniature del sec. XI, un prezioso reliquiario della S. Croce, la mitra di Paolino, la tavola che copriva il messale dell'arcivescovo Alfano, opera di oreficeria cassinese del sec. XII.
In testa al ponte romano gettato sul Volturno si trovano gli avanzi della porta turrita fatta innalzare da Federico II a difesa dell'ingresso del regno, dove è tuttora chiaro l'innesto dell'arte gotica a forme classiche. L'architettura del Trecento è rappresentata dal palazzo Fieramosca, in cui persistono elementi decorativi siculo-musulmani, e, timidamente, in qualche chiesa come a S. Caterina o a S. Eligio. Il Quattrocento invece si manifesta in una rigogliosa fioritura di portali durazzeschi ed aragonesi di chiara derivazione catalana, o in opere ispirate o eseguite da artisti dell'Italia centrale come il palazzo Caporaso, la porta di Napoli, il monumento ad Antonio Azia in S. Domenico. La chiesa dell'Annunziata, di Domenico Fontana, con la sua snella cupola elegantissima, è la più importante costruzione del sec. XVI, durante il quale sorsero il palazzo del Comune e il campanile di S. Eligio, mentre nel secolo successivo fu innalzata la chiesa del Carmine con il bel chiostro attiguo. Nel '700 Capua conobbe un periodo di grande benessere che si manifestò nei palazzi dalle ampie scale luminose, nella trasformazione delle vecchie chiese in templi scintillanti d'oro e ricoperti di stucchi; nella costruzione di molte chiese nuove fra le quali S. Maria delle Monache e S. Eligio. I migliori artisti che lavoravano a Napoli e al palazzo reale di Caserta vennero chiamati a Capua; il Conca, il De Mura, il Solari, fra gli altri, e tutta una schiera d'intagliatori abilissimi che decorarono soffitti, orchestre, stalli, corali con fantasia inesauribile. L'interno della SS. Annunziata offre uno degli esempî più gustosi di quest'arte sensuale.
Il museo Campano, nel quattrocentesco palazzo Antignano, contiene raccolte archeologiche interessantissime e, fra le altre, quella celebre dei probabili ex-voto di partorienti (statue muliebri in tufo che portano nelle braccia bambini in fascie). Importante è pure la sezione medievale, soprattutto per gli avanzi dell'epoca longobarda e per i busti marmorei già appartenenti alla porta turrita di Federico II. (V. tavv. t. CXXXV e CCXXXVI).
Bibl.: G. Jannelli, Sacra guida, ovvero descrizione storico-letteraria della cattedrqale di Capua, Napoli 1858; C. v. Fabriczy, Zur Kunstgeschichte der Hohenstaufenzeit: Kaiser Friedrich's II Brückenthor zu Capua und dessen Skulpturenschmuck, in Zeitschr. f. bild. Kunst, XIV (1879); E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Parigi 1904; P. Toesca, L'architetutra della porta di Capua, in Mélanges Bertaux, parigi 1924, pp. 292-99.
Arte della stampa. - Anche Capua, come altre piccole città d'Italia, vanta la gloria di aver avuto tipografia nel sec. XV. Un volume in-8°, di 560 carte, stampate su due colonne, reca in fine la seguente nota: Explicitum est opus quod vulgo breviarium appellatur: iussu Iordani Gaytani Archiepiscopi Capuani et Patriarche Antiocheni summa cura ac diligentia recognitum: solertique industria impressum Capue per Cristannum Preller almanum Anno salutis MCCCCLXXXIX die X Martij. Un solo esemplare di questo volume è conosciuto e si conserva nella Biblioteca nazionale di Napoli.
Nel 1546 un altro stampatore tedesco giunse da Napoli, Giovanni Sultzbach di Hagenau, di cui è noto il prezioso libretto: Successo de lo combattimento delli tredici italiani e tredici franciosi fatto in Puglia con la disfida che fece lo capitano Fieramosca e la gloriosa vittoria ottenuta dagli italiani nel 1503, stampato nella fedelissima città di Capua per Giovanne Sultzbach a dì undici di giunio 1547.
Bibl.: G. Fumagalli, Lexicon Typographicum Italiae, Firenze 1905; Reichling, Appendices ad Hainii Copingerii Repertorium Bibliographicum, Monaco 1906, n. 435.
Storia. - L'antica città di questo nome nella Campania, al posto dell'odierna S. Maria Capua Vetere, fu per un breve periodo emula politica di Roma, di cui eguagliava il numero degli abitanti alla fine del sec. II a. C., superate ambedue in tutta l'Italia continentale dalla sola Taranto. il nome è certamente in relazione con Campo, al punto che talora Campano e Capuano si alternano. Come data della fondazione ci è tramandato il 598 a. C., che probabilmente va inteso come data della fondazione della colonia etrusca, che, dominatrice in una regione sottomessa, doveva necessariamente chiudersi in una cinta fortificata e in un forte organismo statale. Come sempre in tutta la storia antica, ciò non esclude la presenza d'un villaggio indigeno anteriore. Nel 445 o, come è più probabile, nel 424, ebbe fine il dominio etrusco per essere sostituito da quello dei Sanniti, sino a che nel 340 circa, per timore della confederazione sannitica, Capua entrò in lega con i Romani. Quale che fosse la sua posizione originaria, ancora discussa, la città passò presto in posizione di evidente inferiorità (civitas sine suffragio). Il benessere prodotto dalla fusione con lo stato confinante e dalla sicurezza, faceva maggiormente pesare lo stato di dipendenza da Roma, tanto più che questa diveniva gradatamente più gravosa ai Campani; infatti fu in questo tempo tolto da Roma il territorio dell'agro Falerno sulla destra del Volturno e fu istituita nel 318 la magistratura dei quattro prefetti per Capua e Cuma, con l'evidente incarico di abbassare l'autorità dei magistrati locali. Sì che non fa meraviglia che i Campani approfittassero del disastro di Canne per ribellarsi ai Romani e darsi ad Annibale, nel 216. Questo momentaneo aiuto per i Cartaginesi, a lungo andare finì per essere un danno; non tanto per i cosiddetti ozî capuani - che sono una leggenda, in qualsiasi modo la si interpreti, di scarso valore - quanto per l'arduo problema militare che costituiva per i Cartaginesi la difesa di quella fortezza, quasi isolata dal grosso delle loro Conquiste nel resto dell'Italia meridionale. Dopo un lungo assedio e un tentativo di Annibale, sanguinosamente respinto, di schiacciare i Romani con un assalto contemporaneo dei Cartaginesi dall'esterno e dei Campani dall'interno, e l'altro, pure vano di distrarre i Romani dall'assedio, minacciandone la stessa capitale Capua si arrese nel 211 senza condizioni. Se anche la città continuò ad esistere materialmente, come ente politico era finita. Gli abitanti furono suddivisi in pagi o villaggi con magistrati locali di competenza meramente amministrativa, il territorio fu confiscato e rimase proprietà del Demanio per più di un secolo e mezzo, sino a che Cesare, nel 61, non vi dedusse una colonia (una colonia dedotta nell'83 ebbe un sol anno di durata); venne così restituita alla capitale della Campania la dignità di città. Nel 43 a. C., indi sotto Augusto e infine sotto Nerone, la colonia fu successivamente rinsanguata con nuovi elementi.
Nonostante queste avverse vicende, nonostante il blocco che ebbe a subire da parte dei Sillani nell'82, dopo la sconfitta, alle pendici del Tifata, del luogotenente di Mario, Gaio Norbano, e nonostante l'adesione al partito di Vitellio che doveva soccombere nella sua lotta con Vespasiano, Capua continuò a prosperare, mentre tante altre città greche, etrusche ed italiche decadevano; e ancora nel sec. IV Ausonio colloca Capua subito dopo Roma e Milano, fra le citta italiane, nominandola all'ottavo posto fra tutte le città dell'Impero. Nonostante la devastazione di Genserico nel 456, nel sec. VII Paolo Diacono la colloca ancora fra le tre principali città della Campania; ma i Saraceni, nell'840 circa, la devastarono in modo, che gli abitanti preferirono trapiantarsi nell'antica Casilino trasferendovi anche il nome. Sul luogo della gloriosa metropoli campana il nuovo centro che vi si formò prese il nome da una semplice cappella dedicata alla Vergine.
Della costituzione di Capua sappiamo solo - e anche questo non è certo - che ogni città della lega era retta da un magistrato detto meddix e la lega da un meddix tuticus. Quali rapporti corressero tra questi magistrati, il senato e il popolo non sappiamo.
Il numero degli atti alle armi nella lega campana, al principio della seconda guerra punica, sarebbe stato di 34.000; il che presuppone una densità abbastanza forte, ma giustificata dalla proverbiale fertilità della terra. Né è probabile che abbia subito molte oscillazioni prima del periodo bizantino.
Benché Capua sia stata sempre un centro eminentemente agriLolo e dalla campagna abbia preso nome e ricchezza, ne era tuttavia rinomata anche la produzione degli unguenti (il nome del mercato d'unguenti, la famosa Seplasia, era proverbiale) e di vasi di bronzo; e l'enorme quantità di statuette fittili e di terracotte architettoniche uscite dal solo tempio Patturelli a Curti attesta la grande produzione di terracotte. Né la leggenda degli ozî capuani e le descrizioni della mollezza degli abitanti sarebbero state possibili senza un grande benessere, che ci è del resto attestato anche dalla sua attività letteraria ed artistica.
I resti archeologici della città sono scarsissimi e si riducono a due soli monumenti fuori di terra: l'anfiteatro, edificato dopo Augusto e ornato di statue da Adriano (ne provengono la Venere, la Psiche e l'Adone di Capua al Museo di Napoli) e un arco in mattoni a tre fornici, non sappiamo a chi dedicato. Dei monumenti Sepolcrali due sono abbastanza bene conservati: la cosiddetta Conocchia, una strana costruzione in mattoni sulla via Appia, e le cosiddette Carceri Vecchie, costruzione in marmo incastrata in una chiesa. Un altro monumento ben conservato è il mitreo, scoperto pochi anni or sono, adorno dell'unica rappresentazione in pittura sinora conosciuta dell'uccisione del toro per mano di Mitra e di pitture minori rappresentanti scene di iniziazione. Il mitreo è anche il più antico fra quelli a noi conservati, risalendo al principio del sec. II d. C.
Degli altri monumenti non esistono se non ruderi, interessanti solo per la ricostruzione della topografia locale; essi consistono in terme munite d'un criptoportico, in un acquedotto e in un teatro. Il tempio d'una divinità di tipo matronale, che vien chiamato tempio Patturelli, dal nome del proprietario del fondo al tempo della scoperta, è di nuovo sepolto. Sorgeva presso la frazione di Curti, a oriente dell'antica città. Le sue terracotte votive e architettoniche e le sue statue di tufo sono raccolte in gran copia nel Museo Campano di Capua. Ancor più ricche erano le necropoli che circondavano la città, ma il materiale, disperso fin dal tempo dei veterani di Cesare, ha empito tutti i musei del mondo meno quello di Capua e di ben poche delle tombe si possiede una relazione di scavo che meriti d'esser qualificata scientifica.
Bibl.: K. J. Beloch, Campanien, 2ª ed., Breslavia 1890, pp. 295-360; Ch. Hülsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 1555-61; H. Nissen, Italische Landeskunde, II, ii, Berlino 1902, p. 696 segg. Per il Mitreo, v. A. Minto, in Notizie scavi, 1924, pp. 353-375. Per il materiale del Museo campano, G. Patroni, Vasi e terracotte del Museo campano, 1897-1899; H. Koch, Dachterrakotten aus Campanien, Berlino 1912; Weege, in Jahrbuch des Instituts, XXIV (1909), p. 99 segg., soprattutto pp. 103-113. Per le inscriz. osche, v. J. Zvetaieff, Inscriptiones Italiae inferioris dialecticae, Mosca 1886, p. 39 segg.; per le latine, Corp. Inscr. Latinarum, X, pp. 444-49; per le monete, A. Sambon, Les monnaies antiques de l'Italie, I, Parigi 1904, p. 387 segg.; per la popolazione, K. J. Beloch, Die Bevölk. d. griech.-römischen welt, Lipsia 1886, pp. 419-20.
Principato di Capua. - Capua, centro di uno dei più importanti gastaldati del ducato di Benevento, già nel sec. VII appare retta da conti. Sicone, principe di Benevento, diede la contea di Capua a un suo fido, Landolfo, che fu lo stipite della casa principesca longobarda di Capua. Nella divisione del principato beneventano nei due principati di Benevento e di Salerno, il gastaldato o contea di Capua fu compreso in quest'ultimo (847). Ma Landone, figlio e successore di Landolfo, rapidamente riuscì a rendere affatto indipendente da Salerno il suo dominio capuano. E quando, presso le rovine di Capua, distrutta forse nell'842 dai Saraceni assoldati da Radelchi, principe di Benevento, venne sorgendo una città nuova, che fu intitolata Santa Maria, a prova della propria indipendenza, lo stesso I, andone, cominciò a costruirsi sul Volturno, presso al ponte di Casilino, una nuova capitale, che è l'odierna Capua. La contea fu eretta in principato, quando Atenolfo, conte di Capua, nato da Landonolfo, fratello di Landone, si fu impadromto di Benevento, e col titolo di principe resse Benevento e Capua (900-910), lasciando entrambe in retaggio comune ai figli, Landolfo I (morto nel 943) e Atenolfo II (morto nel 940). Coi figli di costoro le due città parvero centri di due principati distinti; Benevento sotto Atenolfo III e Landolfo II, nati da Landolfo; Capua sotto un altro Landolfo, figlio di Atenolfo II. Ma Landolfo II spodestò il fratello e il cugino e regnò da solo su tutti e due i dominî (961). Lui morto, lo stato si ridivise fra i suoi due figli, Pandolfo I e Landolfo III, per riunirsi ancora quando questi morì (968 o 969), e suo figlio Pandolfo fu spodestato dallo zio. Finché Pandolfo I, che fu detto Capodiferro, regnò, Capua seguì le sorti di Benevento; ma prima di morire (981) il Capodiferro disfece l'opera sua, ridividendo lo stato fra i due primi dei suoi non pochi figli, e assegnò Capua con Benevento e la Marca al primogenito Landolfo IV, al quale però Benevento fu ritolta da quel Pandolfo II, suo cugino, che ne era stato spogliato dallo zio. L'anno dopo Landolfo IV moriva combattendo con Ottone II contro i Greci a Stilo (982).
Solo allorché l'imperatore, vinto a Stilo, e alla vigilia della sua morte immatura, ebbe ridistaccata la Marca da Capua, e investito Landonolfo, altro figlio di Capodiferro, si poté dire nato un principato capuano vero e proprio, di cui le città più notevoli, dopo Capua, furono Teano, Calvi, Carinola, Caserta, Sessa, Venafro, Aquino e Sora. Spento Landonolfo, dopo undici anni di regno, da una rivolta interna, probabilmente avversa ai Tedeschi e propensa ai Greci, e assunto il principato da suo fratello Laidolfo, conte di Teano, questi fu deposto e inviato prigioniero in Germania da Ottone III, che ricongiunse Capua alla Marca, sotto un Ademario, suo favorito (999). Ma i Capuani, non tollerando l'imposizione, espulsero il signore straniero, chiamarono a sostituirlo Landolfo IV, conte di Sant'Agata e fratello del principe beneventano Pandolfo II (1001); e, lui morto, ne riconobbero successore il figlio minorenne Pandolfo II sotto la tutela dello zio principe di Benevento, che prima se ne costituì collega (terzo del nome fra i principi di Capua), poi lo fece sparire e ne dette lo stato al proprio figlio Pandolfo.
Della vita interna dello stato, del numero e dell'attività della sua popolazione nulla si può dire, perché niuna notizia ne avanza. Solo è lecito supporre che la forma politica, l'ordinamento della corte si fossero modellati su Salerno, che s'era a sua volta modellata su Benevento; e così, che la struttura sociale fosse la stessa del rimanente dominio longobardo e si svolgesse allo stesso modo.
Con Pandolfo IV, palesatosi subito dopo la disfatta dell'insurrezione pugliese (1018) fautore di Bisanzio, insieme col fratello Atenolfo, abate di Montecassino, in opposizione alla politica pontificia di Benedetto VIII, il principato di Capua acquistò una maggiore importanza. Appunto a cagione di quell'atteggiamento politico uno dei tre corpi d'esercito condotti in Italia dall'imperatore tedesco Enrico II (1022) mosse contro Montecassino (donde l'abate riuscì a fuggire, imbarcandosi ad Otranto per Costantinopoli, e perì annegato nella traversata) e passò quindi ad assediare Capua. Pandolfo dovette arrendersi a discrezione; e, salvato dalla morte per l'intercessione dell'arcivescovo di Colonia, fu inviato in Germania. A capo dell'abbadia cassinese fu posto Teobaldo; sul trono principesco di Capua il conte Pandolfo di Teano, nipote del Capodiferro. L'influenza capuana, sostegno del bizantinismo nell'Italia meridionale contro il germanesimo, parve andata in rovina.
Ma il successore di Enrico II, Corrado II, assentendo alla preghiera del principe di Salerno, lasciò andare libero Pandolfo IV. E il suo ritorno valse a riorganizzare il partito greco. Pandolfo IV assediò e prese Capua, il suo rivale Pandolfo di Teano si rifugiò a Napoli (1026). Pandolfo attese ad ampliare il dominio partecipando a tutti i più importanti avvenimenti, esercitando un'azione preponderante sull'Italia meridionale. Giovandosi della morte di Guaimario e della minorità del successore, egli, che non aveva piazza marittima importante nel suo stato, estese su Salerno la sua influenza e occupò Napoli a tradimento. Pandolfo di Teano riparò allora a Roma; Sergio IV di Napoli a Gaeta. Tutta la contea del nemico fuggito dovette sottomettersi a Pandolfo IV.
Vero è che con gli aiuti di Gaeta e del normanno Rainulfo Sergio a breve andare ricuperò Napoli. Ma dalla parte di Pozzuoli sembra che un lembo del ducato rimanesse soggetto a Capua: precedente che costituì, non senza conseguenze, una pretesa capuana di sovranità su Napoli. E, infine, l'aiuto prestato a Sergio fu gradito motivo a Pandolfo per insignorirsi di Gaeta, più importante di Napoli come potenza navale e centro di commercio. A compimento del programma di demolizione dell'opera di Enrico II, Pandolfo catturò l'abate Teobaldo, gli sostituì una sua creatura, s'impadronì di tutte le terre dell'abbazia di Montecassino che era il più ricco e il più potente fra gli stati limitrofi. Di qui l'odio mortale di quei monaci per lui, e l'esecrata memoria che di lui serbò la tradizione cassinese. In ultimo, Pandolfo IV accrebbe ancor più la sua potenza, quando attirò al proprio servizio il normanno Rainulfo, per cui il duca di Napoli aveva creato la contea d'Aversa appunto quale baluardo del ducato contro il cupido vicino. Giunse allora il principato longobardo di Capua all'apogeo della potenza, per estensione di territorio, per numero di piazzeforti, per importanza di porti, e per primato incontrastato fra i vari stati del mezzogiomo d'Italia, o soggetti o alleati. Ma Pandolfo IV commise l'errore di romperla con Salerno, e con ciò cagionò la sua rovina.
Guaimario V, atteggiatosi, come già il Capodiferro, a campione della parte tedesca, fatto suo il mutabile conte d'Aversa, chiamò contro Pandolfo IV l'imperatore Corrado. Questi prese Capua, e la concesse a Guaimario; e Pandolfo riparò a Costantinopoli. Di là poi rinviato in Italia, con i suoi aderenti mise a fuoco e a sangue tutta la regione intorno a Capua e a Montecassino, e ottenne infine dall'imperatore Enrico III la restituzione del principato capuano (1047), che però non riebbe l'anteriore potenza, finché regnarono su di esso Pandolfo IV e poi il figlio Pandolfo V e il nipote Landolfo VI.
Quella potenza fu riconquistata e accresciuta da Riccardo Drengot, che, divenuto dal 1050 conte di Aversa, fu dal papa investito del principato nel 1059, e tre anni dopo espulse da Capua quell'ultimo principe longobardo che finì ramingo per le terre già sue.
Col nuovo signore (1062-1078), francese di nascita, lo stato capuano fu un importante fattore fra gl'importantissimi eventi del tempo. Costituitolo stabilmente a sistema feudale, Riccardo spazzò via e soggiogò le varie contee e le piccole signorie, rimanenti nella Campania, della vecchia dominazione longobarda. Ricuperò il ducato di Gaeta, si estese sulle contee di Aquino e di Marsi, e in quell'agitato periodo emerse come una personalità di primo ordine (v. Drengot). Ma lui morto, sotto i suoi successori il principato andò sempre più perdendo l'importanza raggiunta.
Riccardo II, suo nipote e secondo successore, assunto minorenne al trono sotto la reggenza della madre, vi rimase meno d'un anno. Espulsone da una rivolta, non lo ricuperò che di li a nove anni col pericoloso doppio aiuto del duca di Puglia, a cui dovette profferirsi vassallo, e del conte di Sicilia, al quale cedette il suo preteso diritto su Napoli, che si reggeva a stato indipendente. In questa umiliante condizione egli morì nel 1106. Lo stato mutilo, indebolito, in disordine, passò prima al fratello Roberto I, poi a Giordano II, in ultimo a Roberto II, proprio in quell'anno 1127 in cui il secondo conte di Sicilia congiungeva alla sua contea tutto il retaggio di Roberto Guiscardo. Nell'ambizioso e glorioso disegno di Ruggero II di comporre in una grande monarchia tutta l'Italia meridionale, l'ultima ora del principato capuano era scoccata. Furono vani gli sforzi del papato per conservarlo in vita a baluardo del suo dominio; vana l'azione dei suoi alleati. Roberto sollecitava in Pisa l'aiuto di quella repubblica, quando Capua si sottomise a Ruggero II (1134), fondendosi nel regno; Roberto passò il resto della sua vita in esilio.
Bibl.: A. Di Meo, Apparato cronologico agli Annali del Regno di Napoli della mezzana età, Napoli 1795 segg.; R. Poupardin, Études sur la diplomatique des princes lombards de Bénévent, de Capoue et de Salerne, in Mélanges d'arch. et d'hist., XXI (1901), p. 117 segg.; K. Voigt, Beiträge zur Diplomatik der langobardischen Fürsten von Benevent, Capua und Salerno, Gottinga 1902; J. Gay, L'Italie méridionale et l'Empire byzantin, Parigi 1904; id., Les institutions politiques et administratives des principautés lombardes de l'Italie méridionale, Parigi 1907; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Parigi 1907; M. Schipa, Il mezzogiorno d'Italia anteriormente alla monarchia, Bari 1923.