CAPUA
Cittadina della Campania (prov. Caserta), sulla riva sinistra del Volturno. C. prende il nome dall'omonima città antica, distrutta dai saraceni nell'841, che sorgeva sulla via Appia a ca. km. 4 a S-E del centro attuale, sul sito dell'od. Santa Maria Capua Vetere, nella prosperosa area della pianura campana, comprendente le valli del Volturno e del Garigliano.Dopo la divisione del ducato longobardo, nell'849, tra Benevento e Salerno, i Capuani si arroccarono sulla collina di Sicopoli, rifiutandosi di riconoscere la supremazia, sia pur nominale, del principe di Salerno. Nell'856 il vescovo Landolfo e suo fratello Landonulfo avviarono la costruzione di una nuova città sul sito dell'antica Casilinum - il porto fluviale dell'antica C. - presso il ponte romano della via Appia. La fondazione, che trovò eco in cronisti anche non dell'area longobarda meridionale, si strutturò entro una cinta difensiva particolarmente solida (Cilento, 1966) e organizzata sulla base dell'elemento fiume e dell'elemento ponte.Dell'iniziale conformazione urbanistica si conosce ben poco: il primo nucleo - costituito da un gruppo di isolati irregolari per orientamento e per struttura (Schmiedt, 1978) - si disponeva a S del ponte con una doppia spinta espansiva, a N verso l'ansa del fiume e a E lungo il percorso della via Appia. Si ha notizia, per l'età altomedievale, di almeno quattro porte: porta Capuana, porta Aurea o di S. Angelo, porta Fluviale e porta di Castello, di presidio al ponte romano. Si andavano intanto configurando le principali direttrici viarie: il tratto urbano della via Appia, l'od. corso Gran Priorato di Malta e l'od. via Roma, con una trama interna di assi ortogonali.La cronologia di alcuni tracciati è suggerita, oltre che dalla documentazione storica, dall'esistenza di chiese che, se non proprio al momento di fondazione della città, si possono far risalire tra la fine del 9° e gli inizi del 10° secolo.Con Atenolfo I (887-910) C. ebbe il rango di principato, soppiantando Benevento e dominando su tutto il territorio compreso tra l'alta valle del Liri e la foce del Volturno (Martin, 1980). È verosimile che in quest'epoca vi sia stata una fioritura anche dal punto di vista artistico. Le chiese capuane conservate e datate all'incirca al tempo di Atenolfo - come S. Salvatore a Corte, S. Michele a Corte, S. Giovanni in Corte - testimoniano di un'alta capacità edilizia e di una sorprendente coerenza stilistica. Queste caratteristiche sono evidenziate dalla scultura architettonica e dai frammenti dell'arredo decorativo, che parlano un linguaggio di limpida sensibilità espressiva e che testimoniano una ricchezza edilizia (in ambito sacro e forse civile), confermata sia dalla cronachistica sia dalla documentazione pubblica e privata.Attualmente l'analisi di S. Salvatore a Corte, con un ancoraggio cronologico agli ultimissimi anni del sec. 9° (Cielo, in corso di stampa), ha dimostrato l'importanza, oltre che dell'organizzazione ecclesiastico-culturale della città - ove nel sec. 10° si registrarono almeno altre due fondazioni aristocratiche, S. Giovanni delle Monache e S. Giovanni de Landepaldi -, anche di iniziative edilizie realizzate sul territorio capuano da una classe nobiliare alla ricerca di una definitiva affermazione.Da un punto di vista più strettamente artistico, l'impianto basilicale a colonne, desinente in una sola abside e preceduto da un portico, trova un collegamento con quello dei Ss. Rufo e Carponio, nell'attuale versione probabilmente della fine dell'età longobarda (Venditti, 1967; Belting, 1968; Cielo, 1990).Diverse sono invece le icnografie delle altre due chiese di S. Michele a Corte e S. Giovanni in Corte, entrambe a navata unica; quella di S. Michele è impreziosita da un elegante triforio di ingresso al presbiterio, uno slanciato tiburio e una cripta a galleria, in una sintassi linguistica percorsa da accenti bizantini (Venditti, 1967; Belting, 1968; Cielo, 1990).Per quanto riguarda la scultura, il problema si pone invece in maniera più articolata. Mentre i capitelli della facciata di S. Salvatore a Corte sono in modo palmare imparentati con quelli della facciata di S. Michele a Corte - si tratta di esemplari del III tipo secondo la classificazione di Gaborit (1968), che si ritrovano anche fuori dell'area capuana (Aceto, 1984) -, i capitelli della navata, iconograficamente più isolati, offrono dal punto di vista stilistico analogie con la plastica capuana del tempo, evidenziando un procedimento tecnico che tende a isolare gli elementi vegetali (o decorativi) dal fondo e si vieta ogni forma di articolazione plastica (Belting, 1969; Aceto, 1978).I lapicidi capuani, che operavano in botteghe organizzate, dimostrano inventiva e fantasia nella ripresa di modelli classici, nell'elegante traduzione di temi di ascendenza orientale, mediati da manufatti di arti suntuarie - come nel caso del raffinato pluteo, degli inizi del sec. 10°, con leoni affrontati proveniente dalla chiesa di S. Giovanni in Corte (Mus. Prov. Campano; Aceto, 1990) -, e nell'originale elaborazione di organismi decorativi, come capitelli a incavi geometrizzanti, giocati sulla trasposizione di moduli dalla metallistica (Cielo, 1978).Delle decorazioni ad affresco delle chiese capuane di questa fase si conservano purtroppo solo lacerti, come quelli dei Ss. Rufo e Carponio, di S. Salvatore e di S. Michele, collocati cronologicamente fra i secc. 9° e 10° per rimandi interni alla pittura e alla miniatura della Longobardia Minore (Belting, 1968), al cui ambito si ricollega anche l'Exultet miniato, databile ante 1022 e conservato nel tesoro del duomo (Rotili, 1967).La C. d'età normanna godeva di un'eminenza che le veniva dalla dignità principesca e dal prestigio della cattedra arcivescovile, oltre che da un'alta tradizione di cultura: essa fu a ragione tra le città che solo i maggiori protagonisti della conquista poterono affrontare (Delogu, 1979), anche perché dal punto di vista strategico disponeva di un apparato perfettamente organizzato, con mura, torri e porte incastellate, che consentì alla città di resistere in una prima fase anche all'assedio dei Normanni di Riccardo Drengot (Amato di Montecassino, Storia de' Normanni, IV, 27-28). Il passaggio della città ai nuovi dominatori (1062) vide, anche se non immediatamente, una modifica della topografia del potere: al palatium dei principi longobardi, costruito in prossimità del polo religioso, si sostituì o si affiancò un castello ugualmente fortificato, il castrum lapidum, destinato a influenzare l'organizzazione spaziale e viaria del centro. L'incidenza urbanistica normanna si qualifica soprattutto per le chiese e i monasteri fondati ex novo o ristrutturati, a cominciare dalla cattedrale, dedicata ai ss. Stefano e Agata, quasi ignota nelle precedenti forme d'età longobarda - la sede in cui il vescovo capuano Gerberto assurse alla dignità di metropolita nel 966 -, che tuttavia offre poche tracce riferibili al momento normanno dopo i radicali interventi del Quattrocento e del Settecento e i danni dell'ultima guerra. In ogni caso alla fine del sec. 11°, con l'arcivescovo Erveo (1073-1081), la cattedrale dovette essere ricostruita quasi certamente secondo un'icnografia basilicale, con cripta e un quadriportico, in gran parte conservato, cui si affianca ancora l'imponente campanile, sempre di età normanna, con un primo ordine a grandi massi lapidei e colonne angolari sugli spigoli, secondo un modulo di ascendenza islamica. Sul fianco laterale destro è stato ricostruito il portale che una volta incorniciava le valve bronzee della chiesa del monastero benedettino di S. Giovanni delle Monache, valve databili al 1122 come sembra confermato anche dalla tipologia ornamentale e dalla qualità dell'intaglio del portale (Pace, 1982) ed evidenzianti stretti legami con la plastica campana degli anni intorno al 1100; alla scultura aquitanica rimanda invece il più tardo portale della fiancata meridionale di S. Marcello (Bottari, 1955).L'età normanna vide inoltre la ricostruzione del complesso abbaziale di S. Benedetto - con il coinvolgimento diretto dell'abate Desiderio di Montecassino -, la cui chiesa, di schietta derivazione cassinese nell'organizzazione planimetrico-spaziale, ha di recente rivelato affreschi riconducibili alla medesima matrice.Anche edifici di ridotte dimensioni svolsero un non trascurabile ruolo storico e artistico. S. Benedetto Piccolo, dipendente dal 1116 dal monastero di S. Giovanni delle Monache, ricostruito dalla badessa Lusiza nel 1164, costituisce, con il suo architrave ospitante l'epitaffio in esametri della badessa (Bloch, 1986), uno dei punti di richiamo lungo l'arteria che dal castrum lapidum va a innestarsi nell'od. corso Gran Priorato di Malta, attestando inoltre con il suo ciclo di affreschi di età angioina una significativa continuità.Nel panorama dell'architettura d'età normanna a C. - ancora da esplorare anche nelle fonti - va incluso inoltre S. Angelo in Audoaldis, che, al di là del consueto schema basilicale a tre navate e tre absidi e del probabile coinvolgimento di una committenza aristocratica, ha suscitato contrastanti interpretazioni per quanto riguarda l'iscrizione incisa sull'architrave del portale (Zampino, 1968; Di Resta, 1983; Bloch, 1986).La committenza normanna può riscontrarsi ancora nell'arredo liturgico di produzione locale. La grande vasca battesimale di Gemma, badessa di S. Maria delle Dame Monache (oggi al Mus. Prov. Campano), donata nel 1097, presenta l'elemento di maggior interesse nei versi dell'iscrizione, che secondo la ricostruzione storico-critica di Bloch (1986) lascerebbe supporre un'origine longobarda della committente: questo costituirebbe un indizio, allo scadere del secolo, di imprevedibili capacità di reazione della stirpe sconfitta. È invece ritenuta un prodotto palermitano la rilegatura dell'Evangeliario di Alfano, datato fra il 1173 e il 1182 e conservato nel tesoro del duomo (Lipinsky, 1964; Farioli Campanati, 1982).In una città posta alla confluenza delle principali strade provenienti da N, e dunque di particolare interesse strategico, non poteva mancare la traccia dell'intervento di Federico II, clamorosamente presente, infatti, soprattutto nella costruzione della porta delle Torri, che dal punto di vista urbanistico riporta a O il principale polo del potere politico. La famosa porta, i cui lavori coprono gli anni 1233-1239/1240, era fiancheggiata da due torrioni, di cui rimangono le basi, e mostrava sulla facciata un complesso sistema di sculture, scritte e tituli, attestante un preciso programma politico-ideologico. Una parte delle statue che la decoravano sono oggi conservate al Mus. Prov. Campano; di particolare rilievo, oltre alla figura acefala dell'imperatore seduto e classicamente paludato, i busti di Taddeo da Sessa e Pier delle Vigne, un frammento di leone, la testa di Zeus e quella della c.d. Capua fidelis, opere tutte sottese da un intenso classicismo (v. Federico ii). Prescindendo dalle suggestive interpretazioni precedenti, è da segnalare infatti, in particolare, l'ultima lettura del monumento, volta a evidenziare in esso un linguaggio che, pur tendendo alla simbologia classicistica, ha radici "in una rete molto complessa di rinvii culturali, la cui sostanziale e conservatrice appartenenza al quadro medievale resta un limite insuperato [...] fra strumentalizzazione politica di taluni aspetti della nomenclatura classicistica [...] e inclinazione retrospettiva e tradizionalistica delle sue componenti sia ideali che figurative"; la porta fu un monumento nuovo "perché progettata e realizzata come monumento di stato: laico nell'iconografia, nelle forme, nei significati, e destinato a funzione pubblica" (Bologna, 1992).Nella documentazione di età sveva esiste anche traccia di segno opposto e precisamente delle distruzioni delle mura da parte dei figli di Federico II. La cinta muraria venne comunque restaurata dagli Angioini; sotto il predominio di questi ultimi, incisive modifiche al tessuto urbanistico vennero dagli insediamenti monastici di Francescani, Agostiniani, Domenicani e Verginiani.Una figura di rilievo nelle vicende religiose, politiche e monumentali della città durante la seconda generazione angioina è certamente quella di Bartolomeo di C. (1248-1328), logoteta e protonotario del regno. Il palazzo che ancora oggi si impone nel suo lungo sviluppo, introdotto dalla superba torre d'angolo sulla strada che collega la via Appia e il corso Gran Priorato di Malta - in uno dei principali nodi urbanistici intorno alla longobarda chiesa di S. Giovanni de Landepaldi -, può essere legato con attendibilità proprio al nome di Bartolomeo di C., che nel 1291 "emit domos pro ampliando suum palatium situm in Parochia S. Johannis Nobilium" (Di Capua Capece, 1750, p. 54; Di Resta, 1970). Dato che a C. - come a Napoli, Salerno, Aversa, Teano - le testimonianze dell'edilizia privata angioina sono in gran parte scomparse, questo episodio segna un prezioso tassello, che sembra trovare un chiaro riferimento a Napoli, in via Tribunali, nel palazzo di Filippo d'Angiò (databile alla fine del sec. 13°), principe di Taranto, di cui è rimasto il solo portale (Venditti, 1969). L'accostamento è immediato per il disegno complessivo e le proporzioni, anche se il portale capuano si caratterizza per una più attenta ricerca decorativa - che può richiamare alcuni brani del palazzo Pernigotti a Salerno - e per una delicata vibrazione chiaroscurale. L'iniziativa di Bartolomeo di C. nel campo dell'edilizia religiosa si tradusse nel 1300, previa autorizzazione di Bonifacio VIII, nella fondazione di un ospedale con chiesa, probabilmente affidato ai padri di Montevergine (Tescione, 1989).La chiesa dei Domenicani - sorta insieme con il monastero sull'area del palatium longobardo - qualifica con il suo compatto volume la principale via di Capua. Una donazione di Carlo II del 1294, di un fiorino d'oro la settimana (Processus venerabili Monasterio S. Dominici), costituisce il terminus ante quem dell'esistenza del monastero e forse della chiesa, la cui leggibilità è oggi parziale a motivo di un accorciamento di età barocca, che ha escluso dalla fruizione liturgica il coro e ha ampiamente trasformato l'invaso. La tipologia dell'edificio rimanda agli impianti chiesastici degli Ordini mendicanti: lunga aula coperta a orditura lignea e coro a terminazione piatta, voltato a crociera su costoloni, con la riproposta di una contrapposizione tra lo spazio legato al culto e quello destinato ai fedeli (Romanini, 1978; Bozzoni, 1984). Le alte monofore ad arco acuto trilobato, da poco liberate sulla fiancata meridionale, danno il senso dello slancio gotico, coerentemente ribadito dall'esterno absidale stretto fra due robusti contrafforti.Del periodo angioino sussistono inoltre, in abbandono, o trasformate, o non studiate, chiese di sicuro interesse, come quella del Gesù Piccolo (Cantone, Casiello, 1987; Pane, Filangieri, 1990). Ancora confusa nella scansione degli spazi per le trasformazioni subìte e per il lungo degrado, presenta una serie di elementi riferibili a una fase gotica, come le arcate acute sulla parete sinistra, le monofore ad arco acuto trilobato, i dimenticati affreschi.In quanto alla stagione pittorica capuana ancorabile all'età angioina, quando è stata indagata con attenzione, come nel caso degli affreschi di S. Salvatore Piccolo del 1290-1295 (Mus. Prov. Campano; Leone de Castris, 1986; Bologna, 1992), o della cappella della Madonna della Rosa nella cattedrale, del primo terzo del sec. 14° (Leone de Castris, 1986), essa ha mostrato ricchezza di humus e modernità di agganci a contesti anche lontani.Nella tarda età angioina (fine sec. 14°) si colloca il coro di S. Caterina, con volta a semiombrello costolonata su pianta pentagonale, preceduta da un modulo rettangolare a crociera ancora su costoloni che si alzano da slanciati fusti forniti di curati capitelli a motivo vegetale. L'intreccio dei moduli ricorda soluzioni napoletane (S. Lorenzo) e campane (Mercato San Severino, S. Francesco) e lo stesso andamento poligonale dell'abside, forata da tre finestre, invoca a modello S. Maria Donnaregina a Napoli.Il Mus. Prov. Campano, ospitato nel palazzo Antignano, conserva tra l'altro un'importante collezione medievale, con numerosi elementi di scultura in funzione architettonica e alcuni pregevoli pezzi figurati. Tra questi ultimi particolarmente significative sono le sculture provenienti dalla porta delle Torri.
Bibl.:
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