Vedi CAPUA dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
CAPUA (v. vol. ii, pp. 335-336)
Le ricerche e le scoperte fortuite degli ultimi anni hanno aggiunto nuovi dati alla topografia della città ed hanno soprattutto permesso di conoscere, grazie ai ritrovamenti nelle necropoli, lo sviluppo culturale nei primi secoli di vita di C., la cui data di fondazione sembra abbastanza vicina a quella, intorno all'800 a. C., indicata da Velleio Patercolo.
Nell'abitato si sono potuti individuare vari tracciati di strade, che non coincidono con vie attuali, ma confermano, coerentemente con l'orientamento degli edifici di cui sono noti alcuni avanzi, che lo schema urbanistico dell'area compresa entro la cinta doveva essere abbastanza regolare, ma non perfettamente ortogonale. Nella parte NO, dove si sono potuti fare dei saggi stratigrafici, in un'area meno sconvolta dalle successive ricostruzioni e livellamenti, si sono trovate ultimamente alcune fondazioni in pietrame che risalgono al periodo fra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a. C. ed hanno lo stesso andamento delle strutture posteriori, ma in molti luoghi topograficamente distanti dell'area urbana sono state rinvenute testimonianze di una continuità di vita dalla prima Età del Ferro, cui risalgono frammenti di ceramica d'impasto, fino al tardo impero. Non si può dire la stessa cosa per un quartiere evidentemente suburbano ad O, in cui fra l'altro, ai due lati di una strada dal tracciato curvo si sono trovati avanzi di case, la cui fase più antica risale ad epoca di poco posteriore alla guerra annibalica.
Nella parte O della città, a S della Via Appia, può essere ormai ubicato uno dei Fori, forse quello più importante, la cui area era delimitata ad O dal teatro, ad E da altri grossi edifici pubblici, ed a S da un grande tempio a podio, di cui è conservato in buona parte l'elevato della cella in laterizio, di età imperiale non inoltrata, che era forse, a giudicare anche da una epigrafe trovata nelle vicinanze, il Capitolium, ricostruito sotto Tiberio. Più ad E si sono trovate delle aree scoperte circondate da porticati ed il criptoportico di un complesso di carattere con ogni probabilità commerciale, mentre a N, oltre l'Appia, si trova il lato aperto del criptoportico a tre lati, il quale, come altri complessi analoghi, può aver fatto parte di un santuario.
Le necropoli più antiche finora individuate sono a N, in località Tirone, dove furono fatti degli scavi nel secolo scorso, e ad O nella zona delle Fornaci, dove si sono avute le scoperte più notevoli dal 1962 in poi, e non c'è soluzione di continuità dal IX al V sec. a. C. Altre tombe del VI e V sec. sono state trovate a N, in località Madonna dei lupi, lungo tutto il lato O e, recentemente, a S, mentre quelle di età sannitica appaiono accentrate soprattutto a SO, presso la ferrovia, a NE, a S. Prisco ed a N; le necropoli romane sembrano svolgersi più che altro lungo le vie che uscivano dalla città.
Il periodo che va dalle più antiche testimonianze archeologiche note finora da C. fino alla conquista da parte dei Sanniti nel 423 a. C. può essere suddiviso in sei fasi. Di queste le prime due coincidono con quelle del villanoviano in Etruria e nel Salernitano, la terza comprende l'orientalizzante antico e medio e dura dal 720-10 al 640 a. C. circa, la quarta corrisponde all'orientalizzante recente e termina verso il 580-70 circa, e la sesta ha inizio nell'ultimo venticinquennio del VI secolo.
Mentre nel periodo I A le tombe sono esclusivamente ad incinerazione, in quello I B, che coincide all'incirca con lo scorcio fra il IX e l'VIII sec. a. C., appare il rito dell'inumazione, che si afferma sempre di più nel corso della seconda fase ed è esclusivo di quella successiva. Dal VI sec. diventa di nuovo frequente la cremazione ed in molti casi, come non di rado nel mondo greco, l'ustrinum serve anche da tomba.
Le forme vascolari essenziali nella prima Età del Ferro sono l'olla, globulare o biconica con collo relativamente basso, la quale serve anche da ossuario; lo scodellone, anch'esso perlopiù privo di ansa; l'anforisco del tipo cosiddetto laziale e la capeduncola ombelicata, con parete che da concava diventa man mano verticale ed ansa a nastro con risvolto interno, a linguetta o a lyra che, dal periodo I B è spesso fenestrata ed apicata. In alcuni corredi della sottofase I B, la quale è sincrona alle tombe dello scavo Osta di Cuma, e di quella II A, si sono trovate delle tazze attiche e di officine ritenute cicladiche del Geometrico medio terminale e del Geometrico tardo-iniziale, e nel periodo II C, che deve aver avuto inizio verso la metà dell'VIII sec. a. C. o poco dopo, incominciano ad apparire vasi protocorinzi e di imitazione che trovano stretti confronti nella fase più antica della necropoli di Pithecusae (v. s. v. Ischia) ed in qualcuna delle prime tombe greche di Cuma. Contemporaneamente si trova però anche ceramica d'argilla figulina di produzione locale con un repertorio formale sia greco che indigeno, dovuta evidentemente in parte a figuli greci; limitatamente ai periodi II A e II B, ceramica d'impasto con decorazione geometrica dipinta di un tipo diffuso soprattutto nell'Etruria centrale, dove trovano stretti confronti anche gli ossuari, le capeduncole ed altri elementi. Tipicamente locali sono da considerare invece, oltre alla fiasca con corpo espanso, alcune fogge, quali le anse fenestrate delle capeduncole e le costolature elicoidali sulla spalla di numerose olle della seconda fase. Mentre la maggior parte delle fibule trova confronto nell'Italia meridionale, ma soprattutto in Etruria, possono essere considerate come tipiche di C. e della Campania centrale alcune derivazioni dal tipo a quattro spirali con applicazioni plastiche fra le quali predominano gli uccelli e le figure umane sulla "barca solare", che provengono da contesti del periodo II B. Altre fibule dello stesso periodo con l'arco rivestito di perline di pasta vitrea denotano rapporti con il villanoviano bolognese ed aree attigue, e delle tazze su alto piede con figura fra cavalli sull'orlo, o con quattro anse ad orecchini del periodo II C, trovano stretti confronti nell'agro falisco.
Nella terza fase i rapporti con l'Etruria sono meno stretti, ma nel periodo iniziale di quella successiva la civiltà di C. rientra ormai nella κοινή etrusca ed oltre alla ceramica etrusco-protocorinzia prodotta anche sul posto, come dimostra la presenza in tombe di scarti di fabbrica, si trova il bucchero sottile, evidentemente importato e la fibula con apofisi sull'estremità della staffa che prelude al tipo Certosa.
Dagli ultimi decennî del VII sec. a. C. viene poi prodotto anche del bucchero locale, che è pressoché identico nel repertorio formale e nella decorazione a quello dell'Etruria ed è la ceramica prevalente nel VI sec. a. C. fino a tutta la quinta fase e scompare definitivamente agli inizî del secolo successivo. Mentre nel periodo orientalizzante e nei primi decenni del VI sec. a. C. non sono rare le importazioni corinzie, dalla metà del VI sec. a. C. diventano sempre più frequenti quelle attiche, fra le quali è da segnalare, oltre alla ceramica figurata, quella a vernice nera semplice, che viene imitata già prestissimo. Nella VI fase, e soprattutto nel suo periodo più antico, rientrano anche i vasi a figure nere campani, in parte certo attribuibili a C., ed il vasellame di bronzo, di cui i prodotti più significativi e più caratteristici sono i lebeti con decorazione incisa ed applicazioni plastiche sul coperchio. Come la ceramica figurata locale che ha, salvo un gruppo atticizzante, rapporti abbastanza stretti con la produzione etrusca, e soprattutto con il gruppo di Orvieto, anche i bronzi, di questo periodo, la cui qualità è in parte relativamente buona, rientrano decisamente nella cultura artistica etrusca. Le decorazioni fittili architettoniche sono invece in parte più vicine ai prototipi dapprima peloponnesî e poi greco-orientali penetrati attraverso Cuma fin dall'inizio del VI sec. a. C., che non la gran massa di quelle rinvenute in Etruria.
Bibl.: Su iscrizioni vascolari etrusche ed osche: M. Lejeune, Collection Fröhener inscriptions italiques, Parigi 1953. Sulla storia e la cultura artistica di C. dopo la guerra annibalica: M. W. Frederiksen, in Papers Br. School Rome, XXVII, 1959, p. 94 s. Sui recenti ritrovamenti: A. de Franciscis, in Not. Scavi, 1956, p. 65 s.; 1957, p. 362 s.; 1961, p. 261 ss. Sull'anfiteatro: A. de Franciscis, in Rend. Linc., XIV, 1959, pp. 7 s.; 399 s. Sulla necropoli: A. de Franciscis - R. Pane, Mausolei romani della Campania, Napoli 1957; W. Johannowsky, in Studi Etruschi, XXXIII, 1965, p. 685; id., in Dialoghi di Archeologia, I, 1967, p. 159 s. Sui vasi a figure nere campani: F. Badoni, in Arch. Class., XVI, 1964, p. 26 s.; id., La ceramica campana a figure nere, Firenze 1969.