FOPPA, Caradosso (Cristoforo Caradosso, erroneamente Ambrogio)
Figlio dell'orafo Gian Maffeo di Milano e di Fiora de Carminali Brambilla di Pavia, nacque a Mondonico in Brianza probabilmente nel 1452. Comunemente conosciuto dai suoi stessi contemporanei come Caradosso, nel suo testamento, dettato a Roma il 6 dic. 1526, l'artista si definisce "Caradossps de Foppa Joilerius et aurifex Romanae Cunae" (Caffi, 1880); B. Cellini (1565-67) nel libro III del Trattato dell'oreficeria raccontando un aneddoto relativo alla vita del F. sostiene che Caradosso fosse un soprannome.
La mancanza di una documentazione che attesti in maniera continuativa l'attività del F., la tradizione e le fonti a lui contemporanee che lo citano come orefice ed esperto di gemme e pietre preziose da un lato, e come medaglista di chiara fama e scultore dall'altro, hanno contribuito alla confusione della critica, orientata talvolta a considerare il F. come specialista in tutti questi settori, talaltra a distinguere tra due diversi omonimi. A questa difficoltà nel delineare la fisionomia del F. hanno evidentemente contribuito il trasferimento da Milano a Roma e i successivi cambiamenti stilistici nella sua produzione. La personalità artistica del F. non può essere totalmente messa in luce e studiata in base alle poche opere giunte fino a noi (di cui si indica la collocazione per distinguerle da quelle non più esistenti), ma la sua fama e l'elogio entusiastico dei contemporanei ne fanno una figura di spicco nell'oreficeria italiana del primo Cinquecento, tanto da averlo fatto ritenere maestro dello stesso Cellini e di tutti i suoi successori.
A Milano, dove la sua famiglia vantava una tradizione nel campo dell'oreficeria (il padre, Gian Maffeo, era orefice alla corte di Galeazzo Maria Sforza), il F. iniziò la carriera al servizio di Ludovico il Moro, come gioielliere di corte, incaricato anche del reperimento di pietre preziose per conto del principe. Nel 1490 lo scultore "Caradosso Foppa de Papia" fu incaricato da Ludovico il Moro di accompagnare Francesco di Giorgio Martini da Siena a Milano, dove l'Opera del duomo voleva sottoporgli il modello del tiburio. Di fatto l'incarico fu svolto da Giovannantonio da Gessate (Milanesi, 1854, pp. 434 s.). Nell'ottobre del 1492 il F. era a Venezia, per acquistare una partita di diamanti per il duca di Milano. Nel 1493 risulta a Ferrara e nel 1495 a Firenze, Viterbo, Roma e forse Parma, rientrando a Milano nel giugno dello stesso anno. In alcune lettere del 1496-97 la sua presenza è documentata a Piacenza ed a Venezia (Malaguzzi Valeri, 1902, pp. 57-61). Dopo la caduta di Ludovico il Moro rimase probabilmente a Milano. Nel 1504 fu in contatto con Isabella d'Este, per la quale si offrì di realizzare un fermaglio da cappello raffigurante Laocoonte (Hackenbroch, 1979) e alla quale propose l'acquisto di un vaso, che le fece recapitare l'anno successivo, realizzato con 49 pezzi di cristallo legati in argento dorato con smalti, e un calamaio (Bertolotti, 1885, p. 88). Dalla fine del 1505 il F. è documentato a Roma, dove si stabilì come orafo, medaglista e antiquario al servizio dei pontefici Giulio II, Leone X, Adriano VI e Clemente VII. Durante questo periodo effettuò molte consulenze per i Gonzaga; il marchese, poi duca Federico (che per questa transazione scelse quale intermediario Baldassar Castiglione) gli commissionò un'"impresa" (Bertolotti, 1888) e nel 1524 una medaglia che sul verso doveva rappresentare Davide che uccide Golia (Hill, 1930, n. 662; Hill - Pollard, 1978). Dal 1508 la sua presenza è documentata nei conti della amministrazione papale. Nel 1509 figura tra i fondatori dell'università di S. Eligio degli Orefici, la corporazione degli orafi romani. Nel 1510 è documentato a Loreto. Nel 1516 si stabilì a Roma nella parrocchia di S. Biagio della Pagnotta, rione Ponte, dove il 6 dic. 1526 dettò il suo testamento (Caffi, 1880, pp. 600-612). In un altro documento del 1° apr. 1527 risulta già morto.
Le fonti contemporanee al F. ne lodano innanzitutto la grande abilità quale gioielliere e orefice. Ambrogio Leone, medico nolano, in De nobilitate rerum (1525; Malaguzzi Valeri, 1917, p. 330) descrisse il famoso calamaio eseguito dal F., per il quale era stata offerta una somma molto elevata, e che fu successivamente proposto per l'acquisto ad Isabella d'Este (lettera di Gian Cristoforo Romano alla marchesa di Mantova, 25 luglio 1505, in Bertolotti, 1885, pp. 89 s.); esso consisteva in una cassettina d'argento con quattro rilievi rettangolari sulle facce, raffiguranti il Ratto di Ganimede, la Lotta tra Centauri e Lapiti, Ercole e Caco ed Ercole ed il leone Nerneo. Del calamaio non è rimasta traccia, ma nella collezione Dreyfus di Parigi si conservavano placchette di bronzo raffiguranti i primi due episodi che probabilmente riprendono l'originale perduto (Malaguzzi Valeri, 1917, p. 331). Le altre placchette attribuitegli da Molinier (1886, pp. 99 ss.), Sileno battuto dalle baccanti, Scena marittima, la Forza, la Scienza e la Giustizia e il Trionfatore, non sarebbero neppure copie da originali del Foppa. Teseo Ambrosio nell'Introductio in chaldeicam linguam, syriacarn atque armenicam (1539; Malaguzzi Valeri, 1917, p. 328 n. 1) descrisse un'altra opera di oreficeria del F., un razionale eseguito per Giulio II con un diamante di forma piramidale incastonato tra lamine d'oro e d'argento tra le quali spiccavano le effigi dei quattro Dottori della Chiesa. Un'altra importante opera realizzata dal F. per lo stesso pontefice fu la tiara con tre grossi diamanti e altri più piccoli, 24 rubini, 24 smeraldi e 22 zaffiri, cominciata nel 1510, di cui esiste un disegno a colori di F. Bartoli al British Museum, proveniente dalla collezione Talman (Ferrajoli, 1912, p. 82). Usata nelle cerimonie pontificie a S. Pietro, secondo il Thurston (1905), fu fuso nel 1797 insieme con molti altri oggetti preziosi di proprietà dei papi per pagare l'indennità di guerra ai Francesi dopo il trattato di Tolentino. Sempre per Giulio II, il F. realizzò un gioiello che viene ricordato nel 1523 e che fu donato poi a messer Alessandro Puccio. L'ultima opera commissionata al F. nel 1524 e mai terminata è un tabernacolo d'argento per l'ospedale del Salvatore. Sembra che quest'opera sia caduta nelle mani delle soldatesche che saccheggiarono Roma nel 1527 (Fedele, 1905, pp. 451-477).
Benvenuto Cellini nella Vita e nel Trattato dell'oreficeria celebra il F. come un grande orefice, elogia la sua specialità, i fermagli da cappello, e descrive minutamente il suo metodo di lavoro per quanto riguarda l'esecuzione di crocifissi: sul modello in cera fuso in bronzo applicava sottili lamine d'oro che poi batteva fino a far loro prendere la forma di un bassorilievo, su cui applicava il resto dell'oro dando la forma con ceselli e martelletti, e rifinendo l'opera nei dettagli, soprattutto la muscolatura delle membra. Il Cellini elogia anche la maestria del F. nell'esecuzione di "paci" attribuendogli quella del Tesoro del duomo di Milano, che invece sembra essere stata eseguita successivamente, per Pio IV (Plon, 1883), e di "medagliette cesellate fatte di piastra", di cui non è rimasta traccia. Per quanto riguarda l'attività di scultore, le opere attribuitegli dalla tradizione, come il fregio di terracotta e la Pietà nella sagrestia di S. Satiro a Milano sono state assegnate ad Agostino Fonduli (Malaguzzi Valeri, 1917). Anche gli sportelli di bronzo del reliquiario di S. Pietro in Vincoli a Roma, attribuitigli sulla scorta delle somiglianze stilistiche con le opere milanesi, devono essere considerate di mano diversa dalla sua.
Nel campo della medaglistica si è giunti a ritenere autografi alcuni pezzi anche grazie alle affermazioni del Vasari (III, p. 535; IV, p. 161), pur mancando dei documenti che ne comprovino la paternità. Si tratta di almeno due delle tre medaglie di fondazione per la posa della prima pietra di S. Pietro a Roma, avvenuta nel 1506. La prima raffigura sul recto il busto di Giulio II con il camauro e la cappa e sul verso la facciata della basilica secondo il progetto bramantesco dell'estate del 1505; a giudizio del Frommel (1994, n. 284) fu probabilmente eseguita precedentemente all'arrivo del F. a Roma, nel tardo autunno 1505, dallo stesso medaglista che, circa due anni prima, aveva raffigurato il pontefice nella medaglia con il cortile del Belvedere. La successiva grande medaglia per la posa della prima pietra raffigura il busto di Giulio II a capo scoperto e con la stola, e sul verso la stessa facciata di S. Pietro, eseguita prima della primavera del 1506, quando Bramante cambiò il progetto. Una terza medaglia raffigura sul recto il busto dell'architetto marchigiano, unico ritratto attendibile giunto fino a noi, e sul verso l'allegoria dell'Architettura, seduta con regolo, compasso e filo a piombo, alle cui spalle si vede la facciata della basilica romana. Un'altra medaglia per la fondazione raffigura sempre il pontefice e sul verso un pastore che osserva il suo gregge rientrare nell'ovile. Una successiva medaglia, eseguita tra il 1512 e il 1513, ritrae sul recto sempre la facciata di S. Pietro, e sul verso Leone X in ginocchio che presenta a s. Pietro il modello della chiesa (Armand, 1887). Sulla base delle somiglianze stilistiche tra le medaglie romane e alcune medaglie milanesi risalenti agli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento, Hill (1930) assegna anche queste ultime al K; esse raffigurano Francesco Sforza, Ludovico il Moro e Niccolò Orsini, e una quadrata Gian Giacomo Trivulzio (attribuita al F. dal Lomazzo). Sull'attribuzione di una serie di medaglie-monete riproducenti undici duchi di Milano, eseguite durante il regno di Luigi XII come duca di Milano, che lo rappresentano con i suoi predecessori, da Giangaleazzo Visconti in poi, la critica non sembra essere concorde.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite... (1568), a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, p. 535; IV, ibid. 1879, p. 161; G.P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura, scoltura ... (1584), a cura di R. Ciardi, Firenze 1974, ad Ind.; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, II, Siena 1854, pp. 48, 434 s.; A. Bertolotti, Benvenuto Cellini a Roma e gli orefici che lavorarono pei papi nella prima metà del sec. XVI, in Archivio storico art., archeol. e lett. della città e prov. di Roma, I (1875), p. 32; M. Caffi, Arte antica lombarda. Oreficeria, in Arch. st. lombardo, VII (1880), pp. 600-612; E. Piot, Caradosso, in Le cabinet de l'amateur, III (1883), 26, pp. 25 s.; E. Plon, B. Cellini orfevre, médailleur, sculpteur, Paris 1883, p. 274; Id., Nouvelle appendix, Paris 1884, p. 29; A. Bertolotti, Artisti veneti in Roma nei secoli XV, XVI, XVII …, Venezia 1884, p. 30; Id., Artisti in relazione coi Gonzaga signon di Mantova, Modena 1885, pp. 75, 88 s.; E. Molinier, Les bronzes de la Renaissance. Les plaquettes. Catalogue raisonné, Paris 1886, pp. 99 ss.; A. Armand, Les médailleurs italiens des quinzième et seizième siècles, VIII, Paris 1887, p. 34; A. Bertolotti, Le ani minori alla corte di Mantova, in Archivio storico lombardo, XV (1888), pp. 495-498; F. Malaguzzi Valeri, Artisti lombardi a Roma nel Rinascimento, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XXV (1902), pp. 57-64; P. Fedele, I gioielli di Vannozza ed un'opera del Caradosso, in Archivio della R. Società romana di storia patria, XXVIII (1905), pp. 451-477; H. Thurston, Two lost masterpieces of the goldsmiths art, in The Burlington Magazine, VII (1905), p. 37; A. Ferrajoli, Tiara o triregno di Giulio II eseguito e descritto dal Caradosso, in Atti e memorie della R. Accademia di S. Luca, II (1912), pp. 81-97; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, Milano 1917, III, pp. 325-339, 351-356; G.F. Hill, A Corpus of italian medals of the Renaissance before Cellini, London 1930, ad Ind.; P. Bondioli, Per la biografia di Caradosso F., in Arch. st. lombardo, s. 8, I (1948-49), pp. 241 s.; G.F. Hill - G. Pollard, Renaissance medais from the Samuel Kress Collection at the National Gallery of Art, London 1967, pp. 38 s.; Il Duomo di Milano, Milano 1973, 11, pp. 93, 153; M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, pp. 166 s.; G.F. Hill - G. Pollard, Medals of the Renaissance, London 1978, ad Ind.; Y. Hackenbroch, Renaissance jewellery, London 1979, pp. 17-22; C.L. Frommel, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo (catal., Venezia), Milano 1994, pp. 603 s.; C.M. Brown - S. Hickson, C. E, in Arte Lombarda, 1997, n. 119, pp. 9-39; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 563-565.