Caratterista
È dalla tradizione teatrale che il cinema ha mutuato la figura del caratterista. Nell'Ottocento si era soliti discernere in un ordinamento ove si diversificava 'il primo carattere' dal 'secondo' e dal 'mezzo carattere', distinzioni ancora attuali. Sotto queste denominazioni si assiepano attori che passano dalla macchietta al tipo, svolgono ruoli di contorno che insaporiscono e vivacizzano lo snodo narrativo, spesso con una coloritura umoristica, ma non meno frequentemente risultano riconducibili a un ordito drammatico. Alla sapienza e alle pratiche del teatro, il linguaggio del film ha aggiunto l'imperativo di esigere, oltre alla fotogenia dei soggetti da fotografare, un'identità fisica e fisionomica di impatto immediato. Per quante variabili si possano applicare ai moduli recitativi di un c., il segno di riconoscimento è simile a quello delle maschere della commedia dell'arte: nel momento stesso in cui il c. compare sullo schermo, lo spettatore è infatti in grado di intuire i tratti salienti del suo personaggio come anche la funzione che potrà svolgere nei successivi snodi narrativi. La collocazione periferica nel gioco delle parti non impedisce che gli interpreti 'minori' siano un valido sostegno agli attori e alle attrici più affermati e che possano concorrere, significativamente con la loro presenza e la qualità delle loro prestazioni, a determinare il successo di un film. Non è un caso che l'industria cinematografica ripaghi i c. con compensi che a Hollywood consentono un più che dignitoso tenore di vita, essendo garantita anche la possibilità di dedicarsi ad altre redditizie occupazioni.
Un riconoscimento autorevole è costituito dal premio Oscar che, a partire dal 1936, viene conferito agli attori e alle attrici non protagonisti, una compagine in cui sono entrati i c. più dotati. Da ricordare, tra gli altri, Thomas Mitchell, Walter Brennan, Donald Crisp, Barry Fitzgerald, Edmund Gwenn, Claire Trevor. Indipendentemente dalle statuette consegnate, il pantheon dei caratteristi degni di comparire accanto ai sommi interpreti, è ricco di presenze. Ad affollarlo sono Edward Everett Horton, Louis Calhern, Claude Rains, Arthur Kennedy, Thelma Ritter, Nina Foch, Endy Devine, William Demarest, Donald Meek, Everett Sloane e giganti come Ethel e Lionel Barrymore appartenenti alla royal family di Broadway.
Ogni cinematografia ha i suoi grandi c., si pensi agli inglesi Jack Hawkins, Flora Robson, Cecil Parker, Robert Newton, James Robertson Justice, Dennis Price, Herbert Lom e, in quest'ambito, al caso, tutt'altro che raro, di eccelsi attori teatrali ‒ John Gielgud, Ralph Richardson, Alec Guinness ‒ impostisi in splendenti cammei. Molto richiesti nei periodi di intensa produttività e quindi garantiti dalla continuità lavorativa, i c. rischiano di cristallizzarsi nella prigionia degli stereotipi, al punto che ognuno trova posto in una galleria tipologica, in un genere anziché in un altro e vi resta, malgrado episodi di mobilità e intercambiabilità. L'esercito dei prestatori d'opera è infinito e cercando di segnalare i più significativi, diventa impossibile non incorrere in imperdonabili sviste. A titolo esemplificativo sono assai noti nel western i volti di Walter Brennan, Ward Bond, John Ireland, John McIntyre. Nel gangster film e nel noir, Edward Cianelli, George Raft, Howard Da Silva, Lee Marvin; nell'horror, Basil Rathbone, Bela Lugosi, Boris Karloff, protagonisti e comprimari eccellenti. Altre stratificazioni rientrano nel frastagliato atlante delle etnie: dagli ispanici e latinoamericani Leo Carrillo, Cesar Romero, Rita Moreno, Sal Mineo, Emilio Fernández agli slavi e balcano-danubiani Akim Tamiroff, Oskar Homolka, Ernie Kovács, senza dimenticare l'effervescenza di un attore come Mischa Auer, dagli italiani d'America Frank Langella, Brenda Vaccaro, Vincent Gardenia, Danny Ajello ai neri Rex Ingram, Clarence Muse, Butterfly McQueen, Louise Beavers. Coloro che avevano la pelle scura a Hollywood vennero a lungo impiegati soprattutto come cantanti, ballerini e c., e solo lentamente hanno conquistato posizioni di spicco. È di un'attrice non protagonista, Hattie McDaniel, il primo Oscar assegnato nel 1940 a un interprete di colore, la mamie affettuosa e petulante di Gone with the wind (1939; Via col vento) di Victor Fleming.
Altro segno distintivo è l'aderenza ai vari cliché della rappresentazione così come i registi e gli sceneggiatori hanno voluto disegnarli: tra i ricchi e i potenti si annoverano Edward Arnold, James Coburn e, in Italia, Guglielmo Barnabò; Marjorie Main, Jane Darwell hanno impersonato donne anziane energiche o scorbutiche, e un tocco di stravaganza è venuto da Elsa Lanchester e da Martha Raye, mentre un pizzico di perfidia e di malignità femminile è stato offerto da Agnes Moorehead. Materne, matronali, lamentose e, all'occorrenza, aggressive sono state in Italia Bella Starace Sainati, Ada Dondini, Agnese Dubbini, Elvira Betrone, Emma e Irma Gramatica, disposte a passare dal protagonismo schiacciante di La damigella di Bard (1936) di Mario Mattoli e di Sorelle Materassi (1944) di Ferdinando Maria Poggioli alle brevi e rapide incursioni in Sissignora (1942) di Poggioli e in Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica. Se la maggioranza dei c. rimane tale durante l'intero percorso professionale, per altri l'attività ha corrisposto a un gradino da salire o da scendere. È il destino di celebri attori (Eric von Stroheim, Peter Lorre, Walter Huston, Orson Welles, Adolphe Menjou, Shelley Winters) retrocessi e costretti entro esibizioni efficacissime ma marginali. La sorte ha voluto anche che Anthony Quinn, Humphrey Bogart, Peter Sellers, Giulietta Masina, Marilyn Monroe, David Niven, Jack Palance, Osvaldo Valenti toccassero la vetta. Per contro, Victor McLaglen, vincitore del premio Oscar come migliore attore protagonista nel 1936 per The informer (1935; Il traditore) di John Ford ha avuto in seguito un onorevole arretramento. Infine, vi sono state celebrità del teatro sacrificate nei film: tra gli italiani Ruggero Ruggeri, Claudio Gora, Salvo Randone, Luigi Almirante, Aroldo Tieri, Sergio Tofano.
Struttura portante di ogni cinematografia, i c. generalmente escono dai vivai teatrali, in cui si passa dai testi di W. Shakespeare nel mondo anglossassone all'intrattenimento leggero, dall'avanspettacolo alla rivista e al cabaret. In Italia vi sono aree geografico-culturali prodighe di talenti. In particolare: Nando Bruno, Ave Ninchi, Marisa Merlini, Mario e Memmo Carotenuto sono riconducibili al fiume della commedia di gusto romanesco, a mezza via tra intonazione farsesca, neorealismo rosa, sapide notazioni di costume. Interminabile invece la sfilza dei napoletani debitori verso Eduardo De Filippo e Francesco Rosi, da Giacomo Furia a Tina Pica, da Clelia Matania a Franco Sportelli, da Aldo Bufi Landi a Mino Vingelli, da Ugo D'Alessio a Decimo Cristiani, da Pupella Maggio a Gianni Caiafa. Non v'è poetica, né corrente artistica, né epoca che non siano legate ai c. dei film che le hanno immortalate. A segnare i decenni Trenta e Quaranta per gli statunitensi, all'ombra dei venerati beniamini del pubblico, si incontrano, tra gli altri, Raymond Massey, John Carradine, Herbert Marshall, Eugene Pallette, Hume Cronyn, Frank Morgan, Donald Meek, Sidney Greenstreet, le sorelle Eva e Zsa Zsa Gabor (per quest'ultima v. la voce), Paul Lucas, George MacReady, Jean Hagen, Celeste Holm, Oscar Levant, Burl Ives. D'altronde, se Jean Gabin, Louis Jouvet, Charles Vanel hanno emblematizzato il realismo poetico nella Francia prebellica, è impossibile scindere da questo ritratto d'insieme Raymond Aimós, eterno e magro compagno di sventure, vagabondo dall'animo nobile e dall'intelligenza acuta, caduto nell'agosto 1944 sulle barricate di Parigi sollevatasi contro l'occupante nazista. Non sono inoltre da dimenticare Robert LeVigan, Marcel Dalio, Victor Francen, Jules Berry, Gaston Modot, Raymond Cordy, figure che hanno costellato i film di Jean Renoir, Julien Duvivier, René Clair, Marcel Carné.
L'Italia, dopo l'avvento del sonoro, ha assistito al proliferare di c. che hanno arricchito i film di un'invidiabile professionalità: Franco Coop, Mino Doro, Mario Ferrari, Nicola Maldacea, Enrico Glori, Lauro Gazzolo, Arturo Bragaglia, Virgilio Riento, Giuseppe Porelli, Nico Pepe, Guglielmo Sinaz, i fratelli Luigi e Nino Pavese, Aldo Silvani, Piero Carnabuci, Rubi D'Alma, Carlo Romano, Irasema Dilian, Carlo Duse, Loris Gizzi, Nerio Bernardi, Umberto Sacripante, Mario Siletti, Enzo Biliotti, Armando Migliari, Silvio Bagolini, Michele Riccardini. Tra i tanti da ricordare: Achille Majeroni, riproposto da Federico Fellini in I vitelloni (1953) e da Marco Ferreri in L'ape regina (1963). Una vitalità che il dopoguerra ha rinvigorito con Eduardo Passarelli, Ernesto Almiran-te, Vittorio Duse, Carlo Delle Piane, Carletto Sposito, Francesco Grandjacquet, Giulio Calì, Arnoldo Foà, Riccardo Billi, Mario Riva, Franca Marzi, Turi Pandolfini, Franco Fabrizi, Gianni Cavalieri, Riccardo Garrone, Carlo Mazzarella, Galeazzo Benti, Checco Durante, Gina Rovere. Talvolta i registi hanno attinto al di fuori dei tradizionali alvei: Folco Lulli e Saro Urzì, i 'pasoliniani' Ninetto Davoli e Mario Cipriani, e il commediografo Leopoldo Trieste non avevano alle spalle esperienze vissute davanti alla macchina da presa e Lamberto Maggiorani, interprete di Ladri di biciclette (1948) di De Sica e poi impiegato in numerose particine, era in origine un operaio. Il film comico e la commedia italiana non hanno mai smesso di offrire nuove facce: Luciano Salce, Gianrico Tedeschi, Lino Toffolo, Aldo Maccione, Gastone Moschin, Maria Grazia Buccella, Tiberio Murgia, Carlo Pisacane, Piero Mazzarella, Renzo Montagnani, Lino Banfi, Gigi Reder, Felice Andreasi, Alvaro Vitali, Anna Mazzamauro, Remo Remotti, Renato Scarpa, Alberto Lionello, Johnny Dorelli.
Ovunque sono nati film in cui i c. hanno dominato il campo visivo e la scacchiera della drammaturgia. Tra gli esempi più significativi: Stagecoach (1939; Ombre rosse) di John Ford, I promessi sposi (1941) di Mario Camerini, The ladykillers (1955; La signora omicidi) di Alexander Mackendrick, I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. In queste opere l'apporto dei c. è determinante nel perseguimento dell'esito artistico, realizza un amalgama perfetto con i ruoli primari ed elimina diseguaglianze di misure e di registri. Merita di essere notato che vi sono stati, e continuano a esserci, autori che ai c. concedono un ampio spazio, non di rado formando con le stesse persone un indissolubile sodalizio: J. Ford, Frank Capra, Alessandro Blasetti, Elia Kazan, Jacques Tati, F. Fellini, Pietro Germi e Otar Ioseliani, affezionati a una figurazione accentuatamente stilizzata, ne hanno certamente esaltato la funzione.
Intramontabile, il c. reca con sé nei film l'aria del tempo, le tonalità dominanti di un filone cinematografico. Nei western all'italiana sono affiorate le grinte spigolose di Klaus Kinsky, Lee van Cleef e sono stati promossi Charles Bronson e Clint Eastwood. In generale, v'è una rigenerazione che assicura gli indispensabili ricambi sui più diversi versanti. Tuttavia, grazie alla bravura delle vecchie e nuove leve e all'accresciuto peso dei c. nella messa in scena cinematografica, è diventato sempre più arduo percepire dove muoia il c. e sbocci il grande attore, confondendosi nell'economia del film l'uno e l'altro. Seppur relegati in posizione minoritaria, attori come Laura Betti, Milena Vukotic, Leo Gullotta, Victor Cavallo, Marina Confalone lasciano con ogni loro apparizione un marchio indelebile nella memoria dello spettatore, vanificando qualsiasi tentativo di stabilire graduatorie.