CARBOCHIMICA
. È la parte della chimica riguardante la preparazione di composti ottenuti a partire dal carbone.
La c. ha avuto notevole interesse nello sviluppo dell'industria chimica: basti pensare al catrame, prodotto nella distillazione dei carboni fossili, il quale ha costituito la fonte di materie prime per l'industria dei coloranti, dei farmaceutici, dei solventi, del nerofumo, di resine (fenoliche, cumaroniche, ecc.), per l'impregnazione del legno, ecc., e inoltre al fatto che dal carbone o dal coke da molto tempo si ottiene idrogeno e gas di sintesi. A partire dal 1920 (anno nel quale fu prodotto l'alcole isopropilico del propilene dei gas di raffineria) si cominciarono a utilizzare frazioni petrolifere come fonte di composti fino allora ottenuti dal catrame e ciò segnò la nascita della petrolchimica, che si sviluppò rapidamente perché consentiva di disporre di una larga gamma di prodotti, a un prezzo più basso di quelli ottenuti dal catrame o dal carbone; inoltre la più facile accessibilità del petrolio da parte dei vari paesi consentiva a molti di crearsi industrie petrolchimiche mentre la disponibilità del catrame di carbon fossile era limitata e accentrata in pochi paesi, ciò che ha costituito una forte limitazione allo sviluppo della carbochimica.
Il notevole recente aumento di costo verificatosi nei prodotti petroliferi e anche le diminuite riserve di gas naturale in alcuni paesi (per es., SUA) hanno portato a riconsiderare la possibilità di utilizzazione del carbone, non solo come fonte dei composti della c. tradizionale, ma soprattutto a studiare, in base alle tecnologie nel frattempo acquisite, nuovi processi di utilizzazione del carbone idonei alla produzione di gas ad alto potere calorifico (in grado di sostituire il gas naturale come combustibile domestico e industriale) e di gas a basso potere calorifico (combustibile industriale) e per la produzione di prodotti liquidi, capaci di fornire carburanti.
Poiché il rapporto C/H del petrolio e del carbone è dell'ordine rispettivamente di 0,5 e 1,25, ne deriva che per convertire il carbone in prodotti liquidi occorre far combinare nel carbone idrogeno, il quale a sua volta si deve ottenere dal carbone; perciò sia la produzione di gas ad alto potere calorifico che quella di prodotti liquidi comportano sempre la produzione d'idrogeno da carbone, la quale si basa su processi di gassificazione.
Mentre i progressi compiuti in Europa in questi ultimi anni relativamente all'utilizzazione del carbone sono stati modesti, perché l'orientamento della chimica è stato verso l'utilizzazione del petrolio e del gas naturale, numerose sono state le ricerche condotte in altri paesi, per es. negli SUA recentemente, specie per prepararsi a fronteggiare una futura diminuzione delle riserve di gas naturale e un aumento del suo consumo.
Negli SUA nel 1975 è stato costituito un ente governativo, ERDA (Energy Research and Development Administration), per coordinare ricerche e sviluppo nel campo dello sfruttamento delle risorse energetiche, fra le quali primeggia l'utilizzazione dei vasti giacimenti carboniferi. Attualmente è allo studio la costruzione di alcuni impianti "dimostrativi" per passare al vaglio tecnico-economico le tecnologie finora acquisite e provate in piccoli impianti pilota e per raccogliere tutti i dati necessari per la progettazione di impianti operativi di quei processi che si dimostreranno validi.
Le ricerche attualmente si concentrano principalmente sulla possibilità di: a) produzione di gas ad alto potere calorifico da utilizzare in sostituzione del gas naturale, sia come gas di città sia per usi industriali; b) produzione di gas a basso potere calorifico destinato a centrali termoelettriche, a riscaldamento di forni industriali; c) produzione di prodotti liquidi dai quali ricavare prevalentemente frazioni carburanti e anche materie prime per l'industria chimica.
Produzione di gas ad alto e a basso potere calorifico. - In un gassogeno un combustibile subisce sostanzialmente le seguenti operazioni: preriscaldamento, distillazione, reazione del residuo (coke) in presenza di vapore-ossigeno-idrogeno per dare un gas contenente metano, ossido di carbonio, idrogeno, ecc., in quantità variabile a seconda delle condizioni di operazione.
I vari gassogeni differiscono sostanzialmente per il modo col quale realizzano queste diverse fasi; così si hanno gassogeni nei quali le reazioni endotermiche di gassificazione del coke si accoppiano con quelle di formazione del metano; il calore necessario può essere fornito in diversi modi: elettricamente, con mezzi riscaldanti a base di sali fusi, facendo bruciare parte del coke con ossigeno (in modo che l'esotermicità di questa reazione di combustione compensi l'endotermicità di quelle di gassificazione); si può anche aggiungere idrogeno per favorire la reazione di formazione del metano.
Oltre ai gassogeni già noti (App. II, 1, p. 1019; III, 1, p. 700) ne sono stati studiati altri, provati in esemplari di modeste dimensioni; fra essi uno dei più interessanti e che è stato provato su scala maggiore è quello denominato Hygas (fig. 1): il carbone, in granuli di circa 3 mm, subisce un prescaldamento a circa 400 °C, in (1), poi viene miscelato con olio leggero (2) e la sospensione è alimentata nell'alto del gassogeno (3) dove attraversa tre zone sovrapposte nelle quali si hanno le temperature di: 315 °C, 700 ÷ 800 °C e 950 ÷ 1000 °C; dal basso entra vapore che mantiene in sospensione il coke così che le reazioni avvengono in letto fluido più facilmente e rapidamente; nel compartimento inferiore si ha una parziale gassificazione del coke, nel compartimento centrale il gas ricco in idrogeno dà origine in parte a metano; i gas caldi nel compartimento più alto provocano un'evaporazione delle frazioni più leggere dell'olio. Il coke che rimane viene gassificato nel gassogeno elettrotermico (4) e il gas ricco in idrogeno è inviato alla base di (3). Al posto del generatore elettrotermico (4) si può avere un gassogeno normale. Il gas di sintesi è convertito e poi privato della CO2; il gas ricco d'idrogeno è al solito immesso alla base del gassogeno (3).
Nel sistema studiato dal Bureau of Mines il carbone in polvere entra nel gassogeno dall'alto in equicorrente con un gas caldo ricco d'idrogeno; il gassogeno è suddiviso in due camere: in quella superiore il carbone distilla e il coke che si forma passa in quella inferiore, dove a 900 °C in letto fluido in presenza di un gas ricco d'idrogeno si ha metanazione; il calore sviluppato viene utilizzato per produrre vapore che insieme con idrogeno servirà per gassificare il coke residuo che fornisce il gas dal quale, dopo conversione ed eliminazione dell'anidride carbonica, si ottiene il gas ricco d'idrogeno. Si produce gas a elevato tenore di metano e a elevato potere calorifico (8400 kcal/Nm2).
Sono stati studiati anche processi nei quali viene sottratta anidride carbonica dal gas di gassificazione mediante aggiunta di un accettore (per es., dolomite calcinata); il gas residuo, ricco d'idrogeno e di ossido di carbonio, viene sottoposto a metanazione catalitica.
Per quanto riguarda la produzione di gas a basso potere calorifico per forni industriali o per centrali termoelettriche ci si orienta verso l'impiego dei gassogeni già descritti (App. II, 1, p. 1019), specie verso il tipo Lurgi a pressione e il Winkler a turbolenza), integrati con la depurazione dei gas (specie desolforazione) per avere gas rispondenti alle norme antinquinamento. Per questa produzione sono stati studiati con nuovo interesse anche i processi di gassificazione sotterranea (App. II, 1, p. 1019).
Produzione di prodotti liquidi. - La conversione del carbone in prodotti liquidi ha raggiunto livelli industriali in Germania durante la seconda guerra mondiale seguendo due linee: a) idrogenazione del carbone; b) sintesi di idrocarburi (e altri composti) a partire da gas di sintesi.
L'idrogenazione, già studiata da F. Bergius nel 1914, fu poi sviluppata dalla I. G. Farbenindustrie e nel 1938 la Germania produceva 1,5 milioni di t di benzine per questa via, produzione che saliva durante la guerra a circa 4 milioni di t di carburanti (benzina avio, auto, gasolio).
L'idrogenazione dei carboni fu poi abbandonata in Germania, ma il processo fu studiato negli SUA dove fu scartato perché nell'immediato dopoguerra i carburanti ottenibili non risultavano competitivi rispetto a quelli derivati dal petrolio.
Oggi, a seguito delle mutate condizioni, il problema è stato ripreso e sono stati proposti i processi Consol, H-Coal.
Il carbone macinato viene sospeso in olio di ricircolo e attraversa, a 180 atm e 540 °C, un reattore, dove si trova il catalizzatore che viene mantenuto in sospensione dal gas (idrogeno e gas di ricircolo) così che si realizza un buon contatto fra gas, liquido e solido. Il liquido estratto dal reattore, in una zona al disopra del catalizzatore, viene portato alla pressione atmosferica frazionandosi in un prodotto di testa (che viene ulteriormente separato per distillazione) e in un prodotto di coda che, frazionato sotto vuoto, fornisce un prodotto leggero e un olio più pesante usato per sospendere nuovo carbone. Anche i gas incondensabili uscenti dal reattore, ricchi d'idrogeno, sono depurati per allontanare l'H2S che contengono, e poi ritornano in ciclo. La parte catramosa contenente carbone può essere bruciata o gassificata per fornire idrogeno al processo.
I sistemi d'idrogenazione sono quelli che forniscono i maggiori quantitativi di prodotti liquidi e richiedono pressioni e temperature elevate; pressioni inferiori o tempi di contatto minori limitano la reazione e portano a prodotti liquidi più pesanti, mentre pressioni più elevate e tempi di contatto prolungati favoriscono la formazione di prodotti più leggeri.
Il risultato dell'idrogenazione è legato anche alla natura del carbone trattato; tanto più elevato è il suo contenuto di carbonio presente in composti non aromatici e d'idrogeno (e quindi minore il suo tenore di ossigeno) tanto più facile risulta l'idrogenazione.
I carboni più idonei all'idrogenazione sono quelli con più elevata percentuale di vetrinite e di exinite (v. carbone in questa App.), con più basso tenore di ceneri e con un tenore di carbonio del 78 ÷ 84% circa.
Poiché nei processi d'idrogenazione una parte del carbone rimane solido, più o meno trasformato, si è pensato di sottoporre il carbone a estrazione con solvente, idrogenando poi solo la parte estratta.
Il cloruro di zinco fuso è un catalizzatore particolarmente efficace per produrre benzina ad alto numero di ottano (il cloruro di zinco favorisce l'idrocracking di aromatici policiclici e dà rese alte in benzina); miscele di cloruro di zinco o bromuro di alluminio dànno rese più alte in prodotti ramificati, con punto di ebollizione compreso nell'intervallo di distillazione delle benzine. Il prodotto dell'idrogenazione per distillazione fornisce oltre alla benzina una frazione tipo cherosene usata per estrarre altro carbone.
Si può anche solubilizzare una frazione maggiore di carbone operando la dissoluzione con solvente in presenza d'idrogeno a pressione elevata (150 ÷ 170 atm).
Un sistema indiretto d'idrogenazione, che consente di ottenere idrocarburi da carbone, è rappresentato dal processo Fischer-Tropsch secondo il quale il carbone viene prima gassificato; la miscela di CO + H2 (o gas di sintesi) in presenza di catalizzatori a temperature di 200 ÷ 300 °C e a pressione atmosferica, o a pressione di 100 ÷ 200 atm, fornisce una miscela di idrocraburi, alcoli e altri composti ossigenati in percentuale variabile a seconda delle condizioni operative. Il processo, lungamente studiato in Germania da F. Fischer e collaboratori, fu tradotto in pratica applicazione dalla soc. Ruhrchemie nel 1936; nel 1939 funzionavano in Germania 9 impianti con capacità variabile da 30.000 a 180.000 t/anno che rimasero in esercizio fino al 1944-45, quando vennero distrutti dai bombardamenti. Inizialmente la sintesi fu condotta a pressione atmosferica utilizzando catalizzatori a base di cobalto, addizionato di ossido di torio o di magnesio, su supporto di farina fossile. A temperatura di 180 ÷ 200 °C la resa in idrocarburi variava da 130 a 160 g/m3 di gas di sintesi a seconda delle condizioni di operazione e dello stato del catalizzatore. Successivamente, in accordo ai dati della fig. 2, il processo fu variato operando a pressione moderata (5 ÷ 20 atm); in tali condizioni la resa in idrocarburi era un po' più elevata (10 ÷ 15%) e quella delle cere paraffiniche poteva salire dal 10 al 40%, sempre operando con catalizzatore al cobalto (tab. 1). Adottando un catalizzatore a base di ferro e operando sempre a pressioni di 10 ÷ 30 atm si potevano ottenere rese di 150 ÷ 160 g/m3 di gas di sintesi; questo catalizzatore presentava una maggiore durata e consentiva l'adozione di velocità spaziali più alte. La grande versatilità del catalizzatore di Fe ha consentito l'adozione di reattori a letto fisso e a letto fluido, sia fisso che trascinato. I reattori a letto fisso (fig. 3), come indica il nome, sono costituiti essenzialmente da uno scambiatore di calore verticale nel quale all'interno dei tubi è posto il catalizzatore e all'esterno circola acqua; il gas attraversa il catalizzatore dall'alto al basso mentre il calore viene asportato dall'acqua; la temperatura di reazione si regola controllando la pressione dell'H2O bollente. Nel sistema a letto fluido circolante (Kellog) il reattore (fig. 4) è costituito da un cilindro collegato con un ciclone; il catalizzatore circola nel cilindro insieme col gas di sintesi e poi arriva nel ciclone dove abbandona il catalizzatore che ritorna in ciclo trasportato dall'alimentazione fresca.
Il processo Fischer-Tropsch fu applicato anche in Francia e in Giappone; gli SUA nel dopoguerra s'interessarono al processo e ne svilupparono uno, denominato Hydrocol, sulla base del quale fu costruito un impianto a Bronsville (Texas) che però non riuscì mai a superare il 60 ÷ 65% della potenzialità prevista e nel 1957 venne fermato e smantellato. In Gran Bretagna il processo è stato studiato dal 1936 al 1963 da organi tecnici governativi; nel 1960 una commissione destinata a valutare le prospettive commerciali dei processi del tipo Fischer-Tropsch concluse affermando che, anche disponendo di processi più efficienti di quelli fino allora noti, la trasformazione non poteva risultare economica per il Regno Unito e così decise di sospendere i lavori di ricerca.
Nella Rep. Sudafricana invece nel 1950 è stata fondata la soc. Sasol (South African Oil and Gas Company) allo scopo di costruire e gestire un impianto Fischer-Tropsch. L'impianto Sasol ha potuto usufruire di condizioni di vantaggio (disponibilità di forti riserve di carbone estraibile a basso prezzo, costo elevato per spese di trasporto del petrolio importato, basso costo della mano d'opera) che ne spiegano il successo economico.
Il primo impianto Sasol è entrato in funzione nel 1955 con una potenzialità di circa 250.000 t/anno di prodotti liquidi; esso si compone di due processi di sintesi: uno Arge a letto fisso (Ruhrchemie-Lurgi migliorato) e l'altro a catalizzatore trascinato dalla corrente gassosa (Kellog). Il carbone è gassificato con ossigeno e vapore in una serie di 13 gassogeni a pressione di 25 atm; eliminate le varie impurezze (idrogeno solforato, anidride carbonica, composti organici solforati, tracce di idrocarburi) mediante lavaggio del gas con metanolo a bassa temperatura, due terzi circa del gas vengono inviati all'impianto Arge costituito da 5 reattori a letto fisso, con catalizzatore a base di ferro granulare ove, a 220 ÷ 240 °C, il 62 ÷ 68% del gas viene convertito; il rimanente dopo separazione delle frazioni condensabili viene in parte riciclato; l'altro terzo del gas di gassificazione insieme con parte dei gas residuati dall'impianto Arge e con quelli provenienti dal reforming con ossigeno e vapore del metano (e di idrocarburi a 2 atomi di carbonio prodotti nell'impianto Arge) passano all'impianto Kellog. Questo è formato da 3 reattori costituiti da una camera cilindrica di 36 m di altezza e 2 di diametro attraversata dai gas che trasportano il catalizzatore; la temperatura è mantenuta intorno ai 320 ÷ 340 °C. Dopo la reazione il gas si separa, in un ciclone, dal catalizzatore che ritorna in ciclo. I prodotti oleosi dopo raffinazione per distillazione dànno benzina, oli, cere, idrocarburi a 3-4 atomi di carbonio utilizzati per produrre benzine di polimerizzazione.
Il sistema fornisce diversi composti (tab. 2,3) alcuni dei quali utilizzati come materia prima per ulteriori produzioni (butadiene, stirene, polietilene, ammoniaca, fertilizzanti, ecc.). Recentemente è stato deciso l'ampliamento con la creazione di un secondo impianto (Sasol II) basato sulle stesse tecnologie; questo prevede l'apertura di una nuova miniera capace di fornire 40.000 t/giorno di carbone dalla cui lavorazione si dovrebbero ottenere 1,5 milioni di t/anno di carburanti; 150.000 t/anno di etilene, 200.000 t/anno di derivati del catrame, 100.000 t/anno di ammoniaca oltre a sottoprodotti vari (zolfo, ecc.) e il raddoppio da 1000 MW a 2000 MW dell'attuale centrale termoelettrica. La messa in marcia dell'impianto Sasol II è prevista per il 1981.
Bibl.: H. H. Storch, N. Golumbic, R. B. Anderson, The Fischer-Tropsch and related syntheses, New York 1951; Bureau of Mines, Synthetic liquid fuels programm 1945-1955, Washington 1959; British Ministry of Power, Report of the Committee on coal derivatives, Londra 1960; H. H. Lowry, Chemistry of coal utilisation (supplemento), New York 1963; H. C. Hottel, J. B. Howard, New energy technology, Cambridge, Mass. 1971.