MALOCELLO, Carbone
Nacque probabilmente a Genova alla fine del secolo XII; il padre, Guglielmo, era già morto nel 1216, anno al quale risale la prima notizia che riguarda il M., su cui in generale le notizie sono scarse.
La famiglia del M. era tra le più importanti dell'aristocrazia consolare genovese di discendenza vicecomitale, e nel XIII secolo divenne, con i Guercio, una delle principali della fazione guelfa, a lungo al potere a Genova durante lo scontro con gli imperatori della casa di Svevia.
Il 29 sett. 1216 il M. aveva stipulato dei contratti, attestati dai rogiti del notaio Lanfranco, che consentono di avere un'idea delle sue attività commerciali, orientate, come era consueto per gli operatori economici genovesi, verso i porti di "Outremer", la Siria crociata. Questi avevano ancor più rafforzato il loro primato nel quadro dei commerci genovesi dopo il 1204, quando, in conseguenza della quarta crociata, l'ambito dell'ex Impero bizantino era divenuto area di monopolio veneziano dalla quale i Genovesi erano esclusi.
In quell'occasione il M. stipulò due differenti contratti di accomandita con destinazione la Siria: con il primo il mercante lucchese Guizzardo gli affidava un carico di panni "de Camua", alcuni tinti in vermiglio e altri in azzurro (due dei colori più pregiati e ricercati sul mercato), per un valore complessivo di ben 54 lire genovesi; il secondo contratto invece chiarisce i rapporti societari tra il M. e i Domoculta, in quanto il M. ricevette un'accomandita in oro per un valore di 100 lire da Bartolomeo di Domoculta, il quale contestualmente affidò oro per un valore di altre 50 lire a un parente del M., Oberto, che evidentemente viaggiava con il Malocello. Nella stessa galea era anche il giovane Simone di Bartolomeo di Domoculta, presumibilmente socio del M., il quale a sua volta aveva stipulato un contratto con Guizzardo per una partita di panni, anch'esso di 54 lire.
In base a questi rogiti notarili sembra dunque che il M. fosse all'epoca pienamente inserito nelle attività commerciali che coinvolgevano gran parte dell'aristocrazia cittadina e che avrebbero gettato le basi per la fioritura economica dei decenni successivi. Il suo inserimento nei circoli politici, oltre che in quelli economici, del resto naturale per un appartenente a una famiglia prestigiosa, è testimoniato anche dal fatto che l'8 ott. 1224 il M. fu uno dei testi chiamati a presenziare - insieme con gli esponenti delle più autorevoli famiglie del ceto dirigente cittadino - alla stipulazione dell'accordo con il quale fu rinnovata tra il Comune di Genova e il visconte, l'arcivescovo e i borghesi di Narbona la convenzione già stipulata circa ottant'anni prima con la viscontessa Ermengarda.
Dal punto di vista genovese l'accordo rivestiva grande importanza, in quanto consentiva di confermare, in un contesto drammatico per il Mezzogiorno francese a causa delle conseguenze della crociata antialbigese, le posizioni di privilegio che i Genovesi avevano conquistato nei porti provenzali grazie alla politica di sostegno sempre praticata nei confronti della nobiltà locale.
Ormai orientato evidentemente all'attività politica più che a quella economica, il M. fu investito, nel 1231 con il ghibellino Nicolino Spinola, dell'importantissimo comando della spedizione navale in soccorso del sultano almohade del Marocco, che si trovava in difficoltà nella guerra contro Ibn-Hud, emiro di Murcia.
L'intervento genovese nella guerra tra i due principi musulmani si giustificava con l'importanza crescente del Marocco, e della costa nordafricana in generale, nel quadro degli interessi economici del Comune. Da quest'area Genova importava pelli, grano, una piccola quantità di lana e soprattutto l'oro che, lungo le carovaniere transahariane, raggiungeva i porti marocchini dalle leggendarie miniere di Sigilmasa. Lo Spinola, forte di una lunga esperienza di comandi in mare, doveva avere la principale responsabilità dell'organizzazione delle operazioni dal punto di vista militare; il M. si distinse invece per le notevoli capacità diplomatiche di cui dette prova, talento che doveva aver già sperimentato e che probabilmente era il motivo per il quale era stato scelto per la spedizione, oltre che per mantenere l'equilibrio tra le due fazioni politiche nelle quali si stava polarizzando l'antica divisione fra i clan familiari in competizione per il controllo della politica genovese.
La flotta genovese, forte di 10 galee e 5 unità minori, ebbe un'importanza decisiva per la guarnigione marocchina che presidiava la città di Ceuta, uno dei principali empori del commercio genovese in Marocco, consentendole di resistere all'attacco delle forze nemiche. Grazie all'operato dei due ammiragli, Genova ottenne dal sultano riconoscente un premio di 8000 bisanti d'oro e il dono onorifico di un cavallo coperto da un panno d'oro e ferrato con ferri d'argento, che fu condotto in trionfo per la città, ma soprattutto si vide ampliare tutti i privilegi di cui i suoi mercanti godevano sui mercati marocchini e su quello di Ceuta in particolare.
Nel 1234 il M. fu chiamato a presenziare a un altro accordo fondamentale per la politica genovese nella Riviera di Ponente: la ratifica da parte del conte Filippo del Maro degli accordi stipulati dal Comune con suo fratello Riccardo, per mezzo dei quali i due avevano fatto omaggio a Genova dei numerosi castelli da loro controllati nella valle di Oneglia, grazie al possesso dei quali il controllo genovese sulle valli dell'estremo Ponente ligure si rafforzava notevolmente. I due si erano anche impegnati a partecipare con i loro uomini all'"exercitum seu cavalcatam" che i Genovesi avessero eventualmente effettuato nella Riviera fino ad Albenga, a fornire uomini per la flotta genovese e soprattutto ad attenersi alle disposizioni di Genova in materia di commercio del sale, uno dei più redditizi traffici che attraverso le valli del Ponente congiungevano la costa ligure al retroterra piemontese. Attraverso questo trattato, dunque, Genova rafforzava considerevolmente il controllo in un'area di notevole importanza strategica per tenere a freno le riottose Comunità dell'estremo Ponente ligure, come Ventimiglia, che mal sopportavano la sottomissione agli interessi genovesi.
Gli eventi del Maghreb furono una svolta decisiva per l'attività del M.: nel 1235, in seguito ai problemi causati ai commerci genovesi dall'atteggiamento ostile dell'emiro di Ceuta, al-Yamasti, ribellatosi al sultano del Marocco, egli fu incaricato di prendere parte alla nuova spedizione che i Genovesi stavano organizzando verso l'Africa nordoccidentale.
Il M., portatosi a Ceuta come ambasciatore, avviò le difficili trattative con l'emiro ribelle, ma - nonostante la sua abilità di diplomatico e l'efficace strumento di pressione della poderosa flotta genovese che si era posta alla fonda di fronte alla città e aveva iniziato a montare sulle navi le macchine d'assedio - non riuscì a convincere l'ostinato emiro a scendere a più miti consigli. Considerando quindi inutile proseguire, il M. decise di lasciare la città, dopo aver lanciato ufficialmente la sfida all'emiro a nome del Comune di Genova.
Raggiunta quindi la flotta e consultatosi con gli ammiragli, il M. fece presente quella che egli aveva individuato come la principale debolezza della posizione genovese: la mancanza di un adeguato corpo di truppe da sbarco che appoggiassero da terra l'azione della flotta dal mare contro le difese della città. Convinti della validità della sua posizione, gli ammiragli incaricarono il M. di recarsi a Siviglia, dove si riteneva possibile arruolare un consistente numero di mercenari che avrebbero potuto compensare la deficienza nel dispositivo militare genovese; il locale emiro, infatti, sempre più minacciato dalla pressione delle forze castigliane sulle sue frontiere, sarebbe stato propenso a schierarsi con il sultano nella speranza di ricevere a sua volta soccorsi contro il pericolo incombente.
Giunto a Siviglia, il M. cadde gravemente malato; le sue condizioni, peggiorate rapidamente, lo condussero alla morte in pochi giorni, probabilmente sempre nel 1235, senza che avesse potuto portare a termine il suo incarico.
Informati degli avvenimenti, i comandanti della flotta genovese decisero di proseguire comunque e di intervenire dal mare contro Ceuta. Sebbene la mancanza di truppe di terra non consentisse di condurre l'attacco in profondità, i danni arrecati dalle macchine d'assedio alle fortificazioni e alla città stessa furono sufficienti a convincere al-Yamasti ad arrendersi e a concludere un accordo con il quale i Genovesi vedevano confermati i loro privilegi. La città cadeva così sotto un loro velato protettorato, per gestire il quale fu costituito tra i finanziatori che avevano partecipato all'organizzazione della flotta il primo esempio noto di una "maona", termine derivato probabilmente dall'arabo che indica la tipica società per azioni genovese che tanta fortuna avrebbe avuto nel secolo successivo, alla quale si sarebbero ispirate come modello le analoghe associazioni sorte per amministrare i domini genovesi a Chio, a Cipro e in Corsica.
Dalla narrazione dei cronisti coevi risulta che il corpo del M. non poté essere traslato in patria, e fu tumulato in una chiesa cristiana di Siviglia con tutti gli onori spettanti al suo rango. Non si hanno notizie su un suo eventuale matrimonio, né dell'esistenza di suoi figli.
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