CARCANO LEONE, Giovanni Battista
Nacque nel 1536 a Milano da Bartolomeo e da Giovanna Balbi.
La famiglia paterna era di antica nobiltà, e ad essa appartennero diversi medici e scrittori: due omonimi del C., nati rispettivamente nel 1626 e nel 1670 (a quest'ultimo si deve una memoria sulla famiglia Carcano), poi Bartolomeo, Cristoforo, Ignazio e altri.
Compiuti gli studi umanistici nella città natale, il C. seguì i corsi di filosofia e medicina a Pavia, dedicandosi particolarmente all'anatomia, studiata con il fratello maggiore Pietro Martire, riformatore dell'anatomia nell'università pavese, discepolo del Vesalio, e alla chirurgia sotto il Troni. A diciannove anni fu nominato chirurgo maggiore del corpo di artiglieria nell'armata spagnola del duca d'Alba, e partecipò all'assedio di Santhià.
Ne approfittò per studiare le ferite d'arma da fuoco, dimostrando falsa la teoria dei chirurghi spagnoli, seguaci di Giovanni da Vigo, per i quali la ferita da archibugio era velenosa; egli mostrò che l'aspetto di tali ferite è dovuto alla lacerazione delle carni, per cui non era un rimedio efficace quello di cauterizzarle con olio bollente. Anche nei riguardi delle incisioni delle ferite si mostrava scettico, preferendo altri mezzi più semplici e meno dolorosi; più tardi avrebbe poi ripreso gli studi sull'argomento con un libro nutrito di casi tratti da questa ricca esperienza.
Gli fu in seguito (presumibilmente 1555; cfr. A. Segre, La campagna del duca d'Alba in Piemonte, in Riv. mil. ital., VIII [1905], pp. 1476-79) affidata, la direzione dell'ospedale militare di Milano. Con l'aiuto di don Alonso Pimentel, che era governatore di Milano, poté recarsi a Padova per due anni. Gli premeva soprattutto conoscere Falloppio; infatti, ricevuto benignamente da lui ed ospitato in casa sua, ne divenne collaboratore ed amico; ciononostante continuava a restar fedele al suo metodo, che consisteva nell'accettare un'opinione anatomica non sull'autorità di qualcuno, ma solo dopo averla direttamente sperimentata attraverso la dissezione dei cadaveri. Ritornato a Milano, iniziò a fare dimostrazioni anatomiche e chirurgiche davanti a medici come Settala, Selvatico, Rovida, Casati, Molteni, Alessandri ecc., e ad insegnare privatamente. Dopo qualche anno Falloppio gli donò tutti i suoi manoscritti e lo designò come suo successore alla cattedra di anatomia a Padova, ma il Senato veneto gli preferì un altro discepolo del Falloppio, Fabrizio d'Acquapendente. Nel 1573 il Senato milanese gli affidò la cattedra di anatomia dell'università di Pavia, resasi vacante per la morte di Gabriele Cuneo, ma il C. iniziò il suo insegnamento solo l'anno successivo. Cade in quell'anno la pubblicazione delle due opere più importanti del C., De cordis vasorum in foetu unione, e De musculis palpebrarum atque oculorum motibus deservientibus, riunite nel volume Anatomici libri duo (Ticini 1574).
Il suo insegnamento - per il quale non si limitava, alla nomenclatura medica, ma mostrava i vari organi mentre ne descriveva conformazione e movimenti, cui aggiungeva utili osservazioni mediche - attirava gran numero di scolari, circa trecento, ma pure medici già affermati. Un grave ostacolo era rappresentato dalla disposizione governativa che non permetteva l'uso di più di un cadavere all'anno per le dissezioni; ma il C. riuscì a superare tali difficoltà, potendo così studiare osteologia su ossa di bambini, feti e adulti, o incidere pubblicamente anche una donna gravida.
Noto per il suo spirito umanitario, usava recarsi anche nelle più povere case di Milano, ovunque qualche malato lo mandasse a chiamare. Sposò Violante Soldata e ne ebbe diversi figli, fra cui va ricordato Carlo, anch'egli medico e lettore di anatomia a Pavia dal 1625 al 1632.
Morto nel 1584 S. Carlo Borromeo, il C. venne incaricato della sezione del cadavere, ed egli ne descrisse le operazioni in Exenteratio cadaveris illustrissimi cardinalis Caroli Borromei, Mediolani 1584. Avendo rielaborato le sue osservazioni sulle ferite del capo, diede alle stampe De vulneribus capitis liber absolutissimus triplici sermone contentus, Mediolani 1584; non poté pubblicare invece altre opere che aveva iniziato a scrivere sull'occhio, sulla vena azygos, sui tumori, sulla peste ecc., perché la morte lo sorprese a Pavia nel 1606. Si conosce soltanto una sua Lettera... De felice successo di sua notomia fatta quest'anno 1585, Milano 1585, indirizzata ad Antonio Reina.
Nelle sue opere egli non intese annunciare alcuna scoperta importante, ma solo diffondere le cognizioni anatomiche da altri scoperte, o correggere improprietà ed errori diffusi: così egli afferma nella prefazione dei due libri anatomici del 1574. Nel primo investiga come il feto possa vivere e crescere senza respirare nell'utero materno, mentre muore se, appena nato, non respira subito. Vesalio, Falloppio e Aranzio erano stati assai imprecisi nel descrivere la unione nel feto dei grossi vasi del cuore: il C. segue il canale arterioso dall'aorta all'arteria polmonare, notando l'assenza di valvole. Nel feto, tra la vena cava e le polmonari, nota la presenza diun'apertura nel sipario tra l'orecchietta destra e la sinistra, dotata di una membrana a mo' di valvola, la cui scoperta è da qualcuno attribuita a Botallo. Con studi di anatomia comparata e con lunghe osservazioni su cadaveri di bambini di varie età, il C. poté dimostrare che tale apertura si chiude entro due mesi dalla nascita. L'opera termina con alcune istruzioni sul modo di preparare e conservare gli organi da studiare. Le descrizioni del C. furono di grande utilità per gli studi sulla circolazione del sangue nel feto e nel neonato, e spinsero Aranzio a correggere alcune affermazioni del suo De humano foetu. Il secondo scritto, sui muscoli dell'occhio, descrive i muscoli motori dei globi oculari e delle palpebre (del cui muscolo elevatore attribuisce la scoperta al Falloppio), e riconosce con esattezza la valvola lacrimale, fino allora descritta con molta imprecisione, anche da Vesalio. Dalle osservazioni sui dotti lacrimali trasse elementi per la cura delle fistole lacrimali. Per quest'opera, il Morgagni paragonò il C. a Eustachio.
L'opera sulle ferite del capo è ricca di importanti osservazioni, e denota una conoscenza assai vasta delle precedenti pubblicazioni sull'argomento. Si suddivide in tre parti: nella prima il C. tratta delle lesioni dei tegumenti, della cuffia aponevrotica e del pericranio; nella seconda delle contusioni e delle fratture del cranio; nella terza delle operazioni col trapano e con altri strumenti nonché delle cure successive all'operazione. Il C. spiega come sia possibile che lievi percosse al capo possano anche divenire mortali; sconsiglia quindi l'uso del ferro rovente sulla sutura sagittale per la cura dell'epilessia. Diffida del pari di impiastri e unguenti, preferendo, secondo i casi e la gravità della percossa, l'applicazione di astringenti e repellenti, l'incisione del muscolo massetere o l'uso del trapano, da riservare a pochi casi (è sconsigliabile ad esempio nelle suture e nelle parti scagliose delle ossa temporali). Nel caso di ferite da taglio con parti ossee attaccate ai tegumenti del capo rovesciati, il C. propone di rimettere i tegumenti incisi al loro posto. Poiché le conseguenze delle percosse tardano talvolta a comparire anche parecchi mesi, egli invita a non attribuire semplicisticamente il decesso ad altre cause. Osservatore acuto e pratico, avverte la necessità di indagare anche le più piccole circostanze, come la posizione del corpo al momento della ferita, l'arma, la costituzione del ferito, ecc. Il trattato, fondato su solide conoscenze anatomiche e sull'osservazione libera da pregiudizi, offre dettagliati esempi - come per le incisioni al fine di evitare infiammazioni dovute a grumi sanguigni seguiti alle percosse - e illustrazioni e spiegazioni sugli strumenti da usare.
Bibl.: P. Morigia, La nobiltà di Milano, Milano 1595, p. 328; J. van der Linden, De scriptis medicis, Amstelodami 1662, p. 179; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 274; B. Corte, Notizie istor. intorno à medici scrittori milanesi, Milano 1718, pp. 109-111; J. J. Manget, Bibliotheca scriptorum medicorum, I, 2, Genevae 1731, p. 126; G. B. Morgagni, Epistolae anatomicae XVIII, Venetiis 1740, pp. 34 s.; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensi, I, 1, Mediolani 1745, col. 301; A. Portal, Histoire de l'anatomie, II, Paris 1770, p. 53; A. Haller, Bibliotheca chirurgica, I, Basileae 1774, p. 245; G. Tiraboschi, Storia d. lett. it., VII, 2, Modena 1778, p. 40; A. Scarpa, Elogio stor. di G. B. C., Milano 1813; S. De Renzi, Storia della med. in Italia, III, Napoli 1845, pp. 175, 234, 270, 304, 580, 586, 637, 668; A. Castiglioni, Storia della medicina, I, Milano 1936, p. 376; L. Belloni, La medicina a Milano..., in Storia di Milano, XI, Milano, 1958, pp. 674-78; Biographisches Lex. der hervorragenden Ärtzte, I, p. 828.