carco (agg.)
Ottenuto per sincope da ‛ carico ' (mai adoperato da D.); è di uso ristretto - tranne un esempio - alla Commedia.
In senso proprio, con complemento retto da ‛ di ', vale " pieno ", " stipato ", " gremito ": Pd XXII 72 quando li [la scala paradisiaca a Giacobbe, nel sogno] apparve d'angeli sì carca.
Assoluto, in If VIII 27 sol quand'io fui dentro [la barca di Flegiàs] parve carca; IX 129 molto / più che non credi son le tombe carche. Per " aggravato da soma ", " piegato da un peso ", in Pg XII 2, dove Oderisi oppresso dal suo macigno è quell'anima carca; mentre il termine c. suggerisce - certo non per costrizione di rima - l'immagine del varcare sospingendo la barca con l'ali e coi remi (v. 5).
Bilicato fra senso letterale e metaforico, O navicella mia, com' mal se' carca! (Pg XXXII 129), figura della Chiesa " colmata di merce corrotta ", cioè oppressa dalla donazione di Costantino.
Si sposta invece verso il traslato, o vi s'inquadra pienamente, in altri casi ove equivale a " oppresso, afflitto da gravami morali " e regge uno strumentale appoggiato alla preposizione ‛ di ʼ o altrimenti implicito in avverbio relativo: Rime c 11 non disgombra / un sol penser d'amore, ondʼio son carco, / la mente mia; If I 50 una lupa, che di tutte brame / sembiava carca ne la sua magrezza; Pg XIX 41 portava la mia fronte / come colui che lʼha di pensier carca, immagine di assorta pensosità; XXIX 57 con vista carca di stupor non meno, in più attenuata sfumatura (" con gli occhi pieni d'altrettanta meraviglia "); Pd XVI 94 la porta [San Piero, dove - scrive il Villani - " furono poi le case de' conti Guidi e poi de' Cerchi "] ch'al presente è carca / di nova fellonia: in rima e nesso con barca (come in If VIII 27), secondo una tipica memoria ritmico-concettuale.