CARDI, Lodovico, detto il Cigoli (Civoli)
Nacque a Cigoli (presso San Miniato al Tedesco) il 21 sett. 1559, da una nobile famiglia le cui origini risalivano ai Gualandi di Pisa.
La carriera di pittore, architetto e scultore del C. - che fu tra gli iniziatori del barocco fiorentino - è ampiamente documentata dalle biografie che ne scrissero il nipote G.B. Cardi e F. Baldinucci, e da molte fonti archivistiche (pubblicate da Busse, Colnaghi, Chappell). Dopo la prima istruzione impartitagli a Empoli da Bastiano Morellone, "un molto letterato Sacerdote", il C. venne portato a Firenze verso il 1568 per studiare "lettere umane". All'età di tredici anni circa palesò le sue attitudini artistiche, e, su raccomandazione del senatore Iacopo Salviati, fu affidato all'insegnamento di A. Allori, con il quale collaborò, nel 1574, all'allestimento dell'apparato funebre per il granduca Cosimo I (Borsook, 1965).
Le prime opere del C. rivelano la diligenza - che sarà uno dei maggiori motivi del suo successo - posta nello studio del colore, del disegno, dell'anatomia, al fine di pervenire ad uno stile più naturalistico.
Assai giovane - ma l'anno è controverso - si ammalò del "mal caduco", imputato al contatto che ebbe con i cadaveri mentre studiava anatomia nella bottega dell'Allori, e dovette curarsi per "due ovver tre anni" a Cigoli. Il C. tornò in seguito a Firenze ove, nella bottega del "suo caro amico e maestro" B. Buontalenti, terminò il S. Francesco di Paola (chiesa di S. Giuseppe), che era rimasto incompiuto alla morte di un non meglio precisato pittore Crocino. Questi avvenimenti, tradizionalmente datati - sulla base del Cardi - verso il 1576-79, vanno posticipati agli anni 1582-84.
Nel 1578 il C. fu immatricolato nell'Accademia del disegno (numerosi i documenti d'archivio: vedi Giornali e Conti all'Archivio di Stato di Firenze). Il quadro che egli dipinse per esservi ammesso, Caino e Abele (ora perduto), venne giudicato il migliore tra quelli presentati. Nel 1581 collaborò con l'Allori alle decorazioni della galleria degli Uffizi; nel periodo 1581-84 dipinse la Vestizione di s. Vincenzo Ferrer e Cristo al Limbo per S. Maria Novella (chiostro grande), e la Nascita della Vergine per la SS. Concezione (ora distrutto). Col Buontalenti il C. studiò architettura e lavorò alla decorazione degli Uffizi (probabilmente la Tribuna) e ai disegni scenografici per le feste della corte medicea. Per perfezionarsi nella pittura studiò con Santi di Tito assimilandone le qualità di disegno accurato e di composizione dignitosa. Con il suo "amicissimo" Gregorio Pagani fondò anche una accademia indipendente nello studio di G. Macchietti, ove si disegnava "dal naturale" e si ricercava una coloritura più naturalistica (Baldinucci).
Grazie al Buontalenti il C. ebbe accesso alla corte medicea. Conobbe il granduca Francesco, don Giovanni e il maestro di corte Ostilio Ricci il quale, oltre che al C. stesso, insegnò prospettiva e matematica al suo amico Galileo. Numerosi pagamenti e lettere all'Archivio di Stato di Firenze (Guardaroba Mediceo e Archivio Mediceo) testimoniano i numerosi lavori - e servigi - che il C. eseguì per i Medici.
Le prime opere commissionategli furono sette ritratti, eseguiti nel 1588 ed inviati a Mantova (ora perduti), e alcune pitture per le nozze (1589) del granduca Ferdinando con Cristina di Lorena che divennero i suoi committenti più importanti. Per essi doveva dipingere di lì a poco un affresco nella villa Petraia e una Resurrezione per una cappella di palazzo Pitti, recentemente identificata con una tela nella Galleria Pitti (Chappell, 1974).
Il 26 luglio 1588 il C. e i suoi fratelli Uliviere e Sebastiano chiesero la cittadinanza fiorentina, dichiarando di risiedere in città da "circa 20 anni" e di dedicarsi ad "arti et esercizi honorati" (Arch. di Stato di Firenze, Duegento, ms. 143, p. 71).
Negli anni 1590-1603 il C. era tra i massimi pittori attivi a Firenze con una grande bottega in cui operavano l'amico A. Commodi, G. e C. Parigi, Clemente C. Porcellini, un tal Benedetto, Adriano (o Cili), e negli ultimi anni G. Bilivert e C. Allori. Il C. si distingueva per la sua attività sia negli ambienti artistici sia in quelli intellettuali; era membro dell'Accademia Fiorentina (dal 1597) e dell'Accademia della Crusca (dal 1603), ed era stimato come poeta, parlatore e musico. I suoi rapporti con l'antiquario e scienziato G. Mercuriale, con lo storico B. Davanzati, con il poeta Michelangelo Buonarroti il Giovane (della corrispondenza con il quale restano le cinque lettere pubblicate dal Matteoli nel 1964-65) e probabilmente con la cerchia della Camerata ebbero indubbi influssi sugli aspetti colti e lirici della sua arte.
Molte opere sono databili (tutte a Firenze, quando non altrimenti specificato): 1589-90, Immacolata Concezione (Pontormo, S. Michele), Resurrezione (Pitti); 1590, Martirio di s. Lorenzo (Uffizi); 1591, Ultima cena (Empoli, colleg., distrutta nel 1944), Resurrezione (Arezzo, Pinac.); 1592, La Trinità (S. Croce); 1593, Madonna e santi (Pianezzole, S. Michele); 1594, Eraclio (Empoli, colleg., distrutta 1944), Eraclio (S. Marco), Ritratto virile (Pitti); 1595, La Vergine del rosario (Pontedera, SS. Iacopo e Filippo). Posteriori al 1596 sono le sue opere più importanti: S. Francesco riceve le stimmate (Pitti); Cena in casa del Fariseo (dipinta per il Mercuriale: Roma, Gall. Doria; poi incisa da C. Galle); 1597, Martirio di s. Stefano (Pitti), S. Antonio e il miracolo della mula (Cortona, S. Francesco); 1598, Uccisione di s. Pietro martire (S. Maria Novella), Sogno diGiacobbe (Nancy, Musée des Beaux-Arts); 1599, Pietà con santi (Colle Val d'Elsa, S. Agostino), Lamentazione (Vienna, Kunsthistorisches Museum; incisa da P. Thomassin, 1617), Adorazione di s. Francesco (varie repliche; Roma, Gall. nazionale e coll. Mazzelli; San Juan di Puerto Rico, Ponce Museum), Cristo che salva Pietro (Carrara, Accademia delle Belle Arti), disegni per arazzi medicei (Cristo dinanzi a Pilato, Uffizi), S. Girolamo traduce la Bibbia, inviato con molte lodi a S. Giovanni de' Fiorentini a Roma; 1600, Annunciazione (Montughi, S. Francesco); 1602-01, modelli per la decorazione della cappella de' Medici in pietre dure (il grande ritratto ad olio di Cosimo I è ora in palazzo Medici, e l'Ultima cena, eseguita in pietre dure per l'altare, in palazzo Pitti). Il C. ebbe anche la sovrintendenza dei lavori di rifacimento di S. Gaggio, per cui dipinse la Disputa di s. Caterina e il Matrimonio mistico per l'altare maggiore.
Negli anni 1604-13 il C. eseguì le sue opere più importanti a Firenze e a Roma, dove giunse il 3 apr. 1604 (Busse, 1911, p. 67), per dipingervi il S. Pietro che guarisce uno storpio, uno dei sei dipinti per gli altari laterali della basilica di S. Pietro (Chappell-Kirwin, 1974), commissione che il C. ottenne tramite il granduca. Durante questo decennio fu ospitato dai Medici (trattamento preferenziale, che suscitò la gelosia dei suoi rivali), e da don Virginio Orsini. A Roma intrattenne relazioni con monsignor Agucchi, con il medico G. Mancini, con i cardinali Del Monte, Barberini, Arrigone, Montalto e Scipione Borghese, e con i sostenitori di Galileo nell'Accademia dei Lincei (Chappell, 1975). Essendo stato eletto all'Accademia di S. Luca, il C. vi pronunciò un applaudito discorso (non pervenutoci) in cui sosteneva che è necessario che l'artista abbia solide basi "in disegno" (G. B. Cardi).
Per quanto riguarda gli artisti, frequentò i fiorentini (in particolare l'amico Passignano), la cerchia dei Carracci e, seppur malvolentieri, il Caravaggio: a questo fu preferito per l'Ecce Homo eseguito nel 1604-06 per il cardinal Massimo (ora a Pitti). Il S. Pietro era ancora incompiuto quando, nell'autunno del 1604, il C. venne richiamato a Firenze, ove dipinse il Presepio (Pisa, Museo comunale). Nel 1605 dipinse L'incoronazione di Cosimo I (Pisa, chiesa dei cavalieri), il Martirio di s. Giacomo (Polesine, S. Giacomo), l'Adorazione dei Magi (Stourhead, Wiltshire, Gran Bretagna: proviene dalla cappella Albizzi in S. Pietro Maggiore a Firenze).
Il 12 maggio 1606 il C. tornò a Roma, ove il suo S. Pietro era stato esposto al pubblico e, accusato di plagio, rielaborò il dipinto e ne ottenne grandi lodi e una catena d'oro dalla Fabbrica (il quadro è stato rimosso; se ne hanno frammenti in Vaticano, i disegni del C. e le incisioni di Callot e di Dorigny). All'inizio del 1607 il C. presentò i suoi modelli architettonici per la basilica di S. Pietro; a quest'epoca aveva probabilmente già eseguito per il cardinale Arrigone Agar nella villa Muti a Frascati. Ritornò in seguito a Firenze ove fece testamento il 21 sett. 1607: testimoni furono G. Amadori, Agnolo e Francesco Favill, M. D'Aquilio, e gli artisti Iacopo da Empoli, Giovanni Bilivert e tal "Gio. Batista di Marcantonio Bergera da Turnio macina colori in Firenze" (Archivio di Stato di Firenze, Archivio notarile, alla data). In questi anni dipinse la Deposizione (c. 1607, pal. Pitti), la Carità (1607-08, pal. Pitti), La vocazione di s. Pietro (1607, pal. Pitti) e la Nascita della Vergine (1608, Pistoia, S. Domenico). Lavorò anche alle decorazioni per le feste in occasione delle nozze di Cosimo II fin verso la fine del 1608 (Borsook, 1969), dopo di che ritornò a Roma ove rimase fino alla morte.
A Roma il C. abitava in via della Sapienza; nella sua bottega lavoravano V. Bocacci, G. Buratti, A. G. Lelli, S. Coccapani e il giovane D. Fetti.
Nel 1609 intraprese un'opera di grande rilievo per l'altare maggiore di S. Paolo fuori le Mura, il Seppellimento di s. Paolo (distrutta nel 1823); l'opera, rimasta incompiuta, fu considerata "imperfetta con tanta perfezione" (Cardi). Firmato e datato al 1610 è Il casto Giuseppe (Roma, Galleria Borghese). Dai documenti risulta che a Roma il C. assolse molti compiti per i Medici: sovrintese al rifacimento di palazzo Firenze (realizzato da Pietro Veri) e alla sua decorazione, eseguita dai paesaggisti Cosimo Lotti, Luca Ranfi e, probabilmente, Agostino Tassi: eseguì accertamenti sullo stato di villa Medici: stimò un quadro di A. Elsheimer; iniziò (1613) una Assunzione destinata alla granduchessa (Orbaan, 1927); egli consigliò anche Maffeo Barberini per la decorazione della sua cappella in S. Andrea della Valle, e difese le scoperte di Galileo, ch'egli aiutò osservando le macchie solari con il telescopio a Roma (vedi la corrispondenza fra i due, pubblicata dal Matteoli nel 1959).
Tra il settembre 1610 e la fine del 1612 affrescò la cupola della cappella Paolina in S. Maria Maggiore. Questo affresco, rappresentante la Donna del sole (Apocalisse, 12) in piedi sopra la luna (col primo paesaggio lunare visto attraverso il telescopio di Galileo), fu eseguito per Paolo V Borghese con la supervisione del cardinale Iacopo Serra. Vista dal basso, la decorazione non era pienamente riuscita, data l'altezza della cupola e l'inadeguatezza dello scorcio, ma alle critiche dei suoi nemici si opposero le alte lodi del papa e di altri pittori. Verso la fine del 1611 iniziò la decorazione della loggetta del palazzo di Scipione Borghese sul Quirinale con la Storia diPsiche (gli affreschi staccati sono ora nel Museo di Roma a palazzo Braschi). Il Borghese lo compensò patrocinando la sua nomina a cavaliere milite (secondo il Baldinucci, commendatore) dell'Ordine di Malta (lettera del 30 apr. 1613, in Cardi).
Il C. morì l'8 giugno 1613 (Roma, Archivio del Vicariato, S. Pantaleo in Parione,Libro de' morti, p. 71) e venne sepolto nella chiesa di S. Giovanni de' Fiorentini (la lapide attuale è ottocentesca); le sue spoglie vennero successivamente trasferite a S. Felicita in Firenze (lapide del 1644).
Nell'Autoritratto degli Uffizi, in quello del Museo d'arte e di storia di Chambéry esposto a Malta nel 1970 (The Order of St. John in Malta, catal., Malta 1970, p. 248) e nelle descrizioni delle fonti il C. appare uomo melanconico, sensibile e molto pio (era membro dell'Oratorio di S. Filippo Neri). Fu anche artista colto e meticoloso che cercava "esquisitezza in ogni operazione" e che "stimava oltremodo il sapere quanto si aspetta ad un perfetto pittore" (Cardi).
Il perseguimento di questo fine lo portò a rifarsi agli ideali rinascimentali e ad esercitare un ruolo determinante sulla formazione del "barocco fiorentino" nella pittura. Aveva iniziato la sua carriera quando gli ideali estetici del manierismo venivano soppiantati dall'interesse controriformistico per il realismo, la precisione e il pietismo nelle rappresentazioni di soggetti religiosi. Il C. trasformò il prosaico stile tridentino di Santi di Tito nella sua "bella e leggiadra maniera" (Cardi), unendo alla tradizione fiorentina della precisione di disegno e della armonia compositiva la sua raffinata sensibilità per la bellezza formale, che si esprimeva con colore prezioso, magnificenza teatrale e figure aggraziate. A ciò egli aggiungeva una grande capacità di proiettare il pathos introspettivo del momento drammatico: fondamento dell'immediatezza barocca della sua arte fu proprio questa sua capacità di esprimere l'interiorità dei suoi personaggi.
Per quanto riguarda la sua formazione stilistica, il C. fu un eclettico nel senso positivo del termine. La sua evoluzione artistica conobbe tre periodi. Negli anni formativi a Firenze (fine dell'ottavo decennio 1589) passa dal manierismo a uno stile più oggettivo e produce opere "di varie maniere" (Cardi); i dipinti pervenutici rivelano forti influssi del Pontormo e di Santi di Tito, che però il, C. personalmente interpreta con maggiore semplicità e senso dello spazio (S. Vincenzo,Resurrezione). Nel secondo periodo fiorentino (1590-1603) il suo stile evolve a "leggiadra maniera" e rivela influssi diversi: disegno, composizione e colori di Andrea del Sarto e l'immediatezza drammatica delle incisioni di Dürer, ma anche la monumentalità di Michelangelo e, nei paesaggi, la delicatezza di disegno dei fiamminghi. Quest'ampia gamma stilistica è evidente nel S. Antonio di Cortona: equilibrio rinascimentale, opulenza teatrale, atmosfera contemplativa e sostenuta; e nel più barocco S. Stefano di Pitti: azioni concentrate, realismo, pathos emotivo. I dipinti successivi al 1604 rivelano l'influsso del barocco romano, come il caravaggesco Ecce Homo; le opere tarde sono ispirate da Raffaello, come la Vocazione di Pietro, la Carità, la loggetta e la cupola Borghese, e il S. Pietro che guarisce lo storpio, lodato da A. Sacchi, che lo classificò terzo tra i dipinti presenti a Roma, preceduto soltanto dalla Trasfigurazione di Raffaello e dalla Comunione di s. Girolamo del Domenichino (G. B. Passeri, Vite, a cura di J. Hess, Wien 1934, p. 303).
Per ottenere quella coloritura calda e naturale tanto ammirata nel Seicento, il C., ricusando le fredde tonalità dei manieristi, imitò il Barocci, la cui Madonna del Popolo egli aveva studiato assieme al Pagani, e poi il Correggio, suo "maestro del colorito" (Cardi). Baglione menziona un viaggio, non ben documentato, che il C. avrebbe compiuto in "Lombardia" per studiare le opere dei maestri dell'Italia settentrionale e in particolare del Correggio. Studiò anche Tiziano, elaborando quei colori caldi, quelle pennellate pittoriche ma precise e quel senso della presenza (come nella Maddalena penitente, Pitti), per cui il Baldinucci e gli scrittori posteriori lo esaltarono come "il Tiziano e il Correggio fiorentino". Pur individuando gli influssi operanti sulla formazione del C., si può concordare con il contemporaneo G. Mancini che, descrivendo i pittori attivi a Roma, collocava il C. nella categoria di quelli che avevano acquisito uno stile personale (I, p. 110).
Il C. fornì al Seicento fiorentino nuovi ideali artistici; pittori come l'Allori, il Bilivert e il Dolci adottarono i suoi metodi ed il suo stile esemplificati dal S. Antonio di Cortona. Con i suoi santi raffigurati in atteggiamento di mistica devozione e di estasi, il C. arricchì il vocabolario del barocco europeo di tipi iconografici di accentuato pathos anticipando il Reni e il Bernini.
Come disegnatore il C. era reputato tra i migliori della scuola fiorentina; Baldinucci lo paragonò a Michelangelo per lo spirito e la vivacità dei suoi disegni, assai ricercati dai collezionisti. Attualmente le maggiori raccolte di disegni del C. sono la coll. Medici degli Uffizi, la coll. Baldinucci al Louvre e la coll. Corsini nel Gabinetto naz. delle stampe a Roma. Raccolte minori sono conservate a Vienna, Monaco di Baviera, e Londra. I suoi seguaci adottarono il suo metodo di tracciare rapidi schizzi compositivi in inchiostro e di eseguire, per i particolari, più precisi studi dal vero in gesso colorato o biacca. Il carattere di bozzetto dei suoi studi dell'ultimo periodo influenzò la fluida pennellata di C. Allori, Coccapani, Bilivert e Fetti.
Anche come architetto il C. fu ricercatore eclettico e riformatore, passando dal capriccioso "postmanierismo" fiorentino del Buontalenti a un classicismo più puro, che alla tradizione toscana del disegno chiaro ed armonioso univa un'ornamentazione elegante e un frequente uso scenografico dell'arco (vedi in particolare Berti, 1959; Gambuti, 1973). Tra le sue opere fiorentine di maggior rilievo sono da citare il modello per la facciata di S. Maria del Fiore (1587-96 circa, variamente identificato: Berti); il portale dell'orto del Gaddi; il rifacimento di S. Gaggio per Bartolomeo Corsini (1602-03); il cortile di palazzo Nonfinito (posteriore al 1602); palazzo Rinuccini (iniziato nel 1605); le cappelle Doni ed Usimbardi in S. Trinita; la cappella Guicciardini in S. Felicita (posteriore al 1605, con la supervisione di M. Cinganelli: Guicciardini); la loggetta dei Tornaquinci. Al granduca Ferdinando fornì consigli circa il progetto della cappella medicea e l'ampliamento di palazzo Pitti (poi disegnato da G. Parigi). Nelle sue proposte del 1606-07 per il completamento di S. Pietro - consistenti in disegni per la facciata, l'interno ed un ciborio su colonne tortili - il C. propendeva per la continuazione, con alcune modifiche, del progetto michelangiolesco che egli ammirava molto (vedi le lettere al Buonarroti il Giovine e le ricerche del Lavin [1968] e del Hibbard [1971]).
La sua attività nel campo degli spettacoli teatrali e delle cerimonie attende tuttora una più esatta definizione. Dopo aver collaborato in molte cerimonie medicee negli anni 1570-90, assolse funzioni più propriamente di supervisore nella commemorazione funebre di Filippo II di Spagna in S. Lorenzo nel 1598 ed in una non meglio identificata "commedia" in occasione delle nozze di Maria de' Medici nel 1600. Disegnò archi, scenografie ed una chiatta per una festa nautica sull'Arno in occasione delle nozze di Cosimo II nel 1608. Nel 1609 diresse la sontuosa commemorazione funebre di Ferdinando in S. Giovanni a Roma e contribuì anche con il disegno di uno stemma per una cerimonia simile nell'Accademia della Crusca a Firenze (per gli allestimenti di esequie si veda: Berendson, 1961; Bertelà, 1969).
Le sue giovanili opere di scultura comprendono anche bozzetti di figure in cera e creta (oggi perduti) che egli stesso eseguì con il Commodi da modelli di Michelangelo. Coadiuvò il Giambologna nel disegno per la statua equestre di Cosimo I in piazza della Signoria a Firenze (1594) e successivamente disegnò un modello per la base dell'Enrico IV dello stesso artista per il Pont-Neuf a Parigi (1604-14). Verso il 1600 studiò presso il celebre anatomista e scrittore d'arte Theodor de Mayerne e fu probabilmente allora che eseguì la Notomia di cera, famosa nella Firenze del Seicento, successivamente fusa in bronzo (cera e bronzo sono al Bargello), che nel Settecento ispirò la statua di cera colorata di G. e M. Zumbo (Bucci, 1969).
La sua attività di scienziato e teorico ci è tramandata dal Baglione, ed è confermata dalla fama del suo discorso (perduto) sul disegno, dal suo strumento per disegnare in prospettiva (descritto e lodato dal Commodi, come si legge nel Baldinucci), e dal trattato sul colore, incompiuto e perduto, citato dal Cardi. Ci sono pervenute invece la lettera di Galileo che confronta pittura e scultura, scritta evidentemente nell'ambito di una discussione da tempo in corso (Panofsky), e il Trattato della prospettiva pratica che G.B. Cardi sperava di pubblicare insieme con la sua Vita del Cigoli, e che reca l'imprimatur in data del 6 e 15 febbr. 1628 (stile fiorentino).
Il suo secolo esaltò nel C. il grande riformatore che indusse i pittori ad abbandonare l'esagerata imitazione di Michelangelo per adottare uno stile più realistico fondato sulla tradizione del bel disegno toscano (Baldinucci; opinione che trova eco nel Lanzi: "Il Cigoli e i suoi compagni tornan la Pittura in miglior grado"). La critica moderna ha concentrato la sua attenzione sulle fonti stilistiche del C., rilevando soprattutto la prevalenza di influssi o settentrionali o toscani, e sul suo contributo al barocco fiorentino.Sebastiano (Bastiano), fratello minore del C., incisore, nacque probabilmente tra il 1560 e il 1568 a Cigoli. Fu attivo a Firenze dove il 26 luglio 1588 chiedeva la cittadinanza fiorentina insieme col C. e con l'altro fratello Uliviere. Sebastiano fece testamento il 21 settembre del 1607, nello stesso giorno del C. e alla presenza degli stessi testimoni. Sebastiano e Uliviere dimostrarono poca abilità nella conduzione dei loro affari e dovettero ricorrere frequentemente all'aiuto del C. (in una occasione l'aiuto fu fornito tramite Galileo: vedi lettera del 1º febbr. 1613). Mentre nel 1607 il C. aveva nominato ambedue i fratelli suoi eredi universali, nel 1613 egli modificò il testamento nominando eredi i suoi nipoti, i tre figli di Uliviere (tra cui il suo futuro biografo G. B. Cardi). Sebastiano è documentato l'ultima volta a Cigoli dove era attivo nella compagnia di S. Michele fino al 1644, probabile anno della sua morte (Gamucci).
È ancora da studiare la personalità artistica di Sebastiano: G. B. Cardi non lo menziona, mentre secondo Baldinucci Sebastiano eseguì le illustrazioni per il Trattato della prospettiva pratica del Cardi. Busse propose di attribuire a Sebastiano una xilografia della Cena in casa del Fariseo, del Cardi.
Fonti e Bibl.: Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, ms. 2660: L. Cardi, Trattato della prospettiva pratica: la prefaz. è costituita dalla Vita del Cigoli scritta da G. B. Cardi, pubblicata e annotata da G. Battelli e K. Busse, San Miniato 1913. Per la corrispondenza del C. vedi P. Guicciardini-E. Dori, Le antiche case ed il palazzo deiGuicciardini in Firenze, Firenze 1952, pp. 44, 124 ss.; E. Panofsky, Galileo as a critic of the Arts, The Hague 1954; Macchie di sole e pittura, carteggio L. Cigoli-Galileo Galilei (1609-1613), a cura di A. Matteoli..., in Boll. dell'Acc. degli Euteleti della città di San Miniato, XXXII (1959), pp. 11-87; Cinque lett. di L. C. Cigoli a Michelangelo Buonarroti il Giovane,ibid. XXXVII (1964-65), pp. 31-42. Si vedano ancora: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura, a cura di A. Marucchi-L. Salerno, I-II, Roma 1956-57, ad Indicem; G. Baglione, Le vite de' pittori, Roma 1642, pp. 153-55; F. Baldinucci, Notizie de' profess. del disegno (1702), a cura di D. M. Manni, IX, Firenze 1771, pp. 32-109; Firenze, Bibl. naz., Ms. Palatino E. B. 9-5: F. M. N. Gabburri, Vite di pittori, III, cc. 360v-361v; K. H. Busse, Manierismus und Barockstil… L. C. da Cigoli, tesi di laurea, università di Lipsia, 1911; Id., in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, Leipzig 1912, pp. 588-592 (con ampia bibl.); G. Battelli, L. C..., Firenze 1922; D. E. Colnaghi, Dict. of Florentine Painters, London 1928, p. 65; Mostra del Cigoli, San Miniato 1959 (con ampia bibl.); A. Gamucci, Note sulla fam. Cardi a Cigoli e a San Miniato, in Boll. della Acc. degli Euteleti della città di San Miniato, XXXIII (1960), pp. 59-65; C. Thiem, Gregorio Pagani, Stuttgart 1970, ad Indicem; A. Matteoli, Una biografia ined. di G. Bilivert, in Commentari, XXI (1970), pp. 342 n. 10, 343 s. nn. 12 s., 345 n. 19, 346 n. 22; Id., La sepoltura di Cigoli,ibid., XXII (1971), pp. 343-347; M. Chappell, L. Cigoli,Essays on his Career and Painting, tesi di laurea, Univ. of North Carolina, 1971; Id., Cigoli,Galileo and Invidia, in Art Bulletin, 1975, pp. 9198. In particolare per la pittura, vedi: L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano 1818, II, pp. 118 ss.; J. Burckhardt, Der Cicerone, II Leipzig 1910, p. 953; J. A. F. Orbaan, Florentijnsche Gegevens, IV, in Oud Holland, XLIV (1927), pp. 280-284; R. Cipriani, Il Cigoli pittore, tesi di perfez., univ. di Roma, 1950-1951; M. Bucci-M. Gregori, in Mostra dei Cigoli, San Miniato 1959, pp. 39-109, 195-230 (rec. di E. Brunetti, in Arte figur. antica e moderna, VII [1959], 5, pp. 62-65, e di M. Pittaluga, in The Burlington Mag., CI [1959], pp. 444 s.); H. Siebenhüner, Umrisse zur Gesch. der Ausstattung von St. Peter in Rom von Paul III. bis Paul V. (1547-1606), in Festschrift für H. Sedlmayr, München 1962, pp. 229-319 (con bibl.); G. Chelazzi Dini, L. Cigoli, tesi di laurea, univ. di Firenze, 1962; Id., Aggiunte e precisazioni al C., in Paragone, XIV (1963), 167, pp. 51-65; L. Cuppini, Un inedito del Cigoli, in Commentari, XIV (1963), pp. 5153 (Martirio di s. Giacomo in S. Giacomo Maggiore a Polesine, già attribuito a L. Corona); W. Friedlaender, Cigoli and Rubens, in Studien zur Toskanischen Kunst..., München 1964, pp. 6582; A. Corbo, I pittori della Cappella Paolina in S. Maria Maggiore, in Palatino, XI (1967), pp. 301-313 (passim); Mostra d'Arte sacra della Diocesi di San Miniato (catal. con bibl.), San Miniato 1969; M. Chappell, C. Allori's Depictions of St. Francis, in The Burlington Magazine, CXIII (1971), pp. 444-455; K. Langedijk, A new Cigoli. The State portrait of Cosimo I…, ibid., pp. 575-579; M. Chappell, Some Works by Cigoli for the Cappella de' Principi,ibid., pp. 580-582; Id., Some Paintings by C., in Art Quarterly, XXXIV (1971), pp. 203-218; C. Carman, Cigoli Studies, tesi di laurea, The Johns Hopkins University, Baltimore 1972; Il Museo Francescano (catal.), Roma 1973, ad Ind.; Ch. H. Carman, Il "Sacrificio d'Isacco" del Cigoli, in Arte illustr., VII (1974), pp. 331-38; F. Borroni Salvadori, Le esposizioni..., Firenze 1974, pp. 12, 37 n. 178, 76 e n. 366; M. Chappell, Cigoli's Resurrection for the Pal. Pitti, in The Burl. Mag., CXVI (1974), pp. 469, 474; A. Matteoli, Studi intorno a L. C. Cigoli, in Boll. d. Accad. d. Euteleti della città di San Miniato, XLIII (1974), pp. 135-206; M. Chappell-W. C. Kirwin, The decoration of the "navi piccole" in San Pietro, in Storia dell'arte, XXI (1974), pp. 119-70; M. Chiarini, I quadri della collez. del principe Ferdinando di Toscana, in Paragone, XXVI (1975), 301, p. 83; 303, p. 75; 305, p. 67.
Per i disegni vedi: I disegni della R. Gall. degli Uffizi, P. N. Ferri, Disegni di L. Cigoli..., Firenze 1912; P. N. Ferri-F. di Pietro, Mostra dei disegni di C., Bergamo 1913; R. Bacou-J. Bean, Disegni L. fiorentini del Museo del Louvre dalla collezione di F. Baldinucci, Roma 1959, ad Indicem; A. Forlani, Disegni del Cigoli, in Mostra del Cigoli, San Miniato 1959, pp. 113-158; L. Berti, Disegni del Cigoli, in Pantheon, XVIII (1960), pp. 127-34; Rhode Island School of Design, Ital. Drawings from the Museum's colls, Providence 1961, n. 15; D. Lotti, Argomenti, in Boll. dell'Acc. degli Eureleti della città di San Miniato, XXXVI (1964), pp. 13-40; M. D. Batalla, Cigoli disegnatore con il catalogo dei disegni conservati al Gabinetto naz. delle stampe, tesi di laurea, Istituto univers. Maria SS. Assunta, Roma 1967; Le cabinet d'un grand amateur,P.-J. Mariette... (catal.), Paris 1967, p. 23; J. Bean, Two celestial Virtues by Cigoli, in Master Drawings, VI (1968), p. 259; The H. A. Thomas Coll.,University Gallery,Univ. of Minnesota, Minneapolis 1971 (dis. attr.); R. Bacou, in Il paesaggio nel disegno del Cinquecento europeo (catal.), Roma 1972, ad Ind.
Sull'architettura vedi: V. Fasolo, Architetture del Cigoli attraverso i suoi disegni agli Uffizi, in Atti del V Convegno naz. di storia dell'architett., 1948, pp. 419-422; Id., Un pittore architetto: il Cigoli, in Quaderni dell'Ist. di storia dell'architettura, I (1953), 1, pp. 2-7; 2, pp. 11-15; L. Berti, Architettura del Cigoli, in Mostra del Cigoli, San Miniato 1959, pp. 165-192 (con bibl.); H. Siebenhüner, Umrisse, cit., 1962, pp. 310; H. Hibbard, Scipione Borghese's Garden Palace on the Quirinale, in Journal of the Society of Architectural Historians, XXIII (1964), pp. 163-192; I. Lavin, Bernini and the Crossing of St. Peter's, New York 1968, ad Indicem; H. Hibbard, Carlo Maderno, London 1971, ad Indicem; M. Myers, A Presentation Drawing for the Façade of S. Maria del Fiore,Florence, in Master Drawings, IX (1971), pp. 391-398; G. Monnier, Dessin d'architecture du XVe au XIXe siècle (catal.), Paris 1972, ad vocem; A. Gambuti, L. Cigoli,architetto, in Studi e documenti di architettura, II (1973), pp. 37-136. Sulle scenografie e gli apparati vedi: C. Molinari, L'attività teatrale di L. Cigoli, in Critica d'arte, XLVII (1961), pp. 62-67; O. Berendson, The Ital. XVI and XVII cent. catafalques, tesi di dottor., New York University, Inst. of Fine Arts, New York 1961, pp. 80-87, 170, 173 s., 183 s.; E. Borsook, Art and Politics at the Medici Court, in Mitteilungen des kunsthistor. Institutes in Florenz, XII (1965), pp. 31-54; XIII (1967), pp. 95-114; XIV (1969), pp. 91-114, 248-250 (passim); G. Bertela-A. P. Tofani, Feste e apparati medicei da Cosimo I a Cosimo II (catal. con bibl.), Firenze 1969. Sulla scultura vedi: M. Bucci-A. Forlani, in Mostra del Cigoli, cit., pp. 109 s., 142 s.; M. Bucci, Anatomia come arte, Firenze 1969, pp. 156-158; Drawings and prints... (catal.), Providence, R. I., 1973, ad Indicem.