Cardiochirurgia
La cardiochirurgia è la branca della chirurgia che interviene sul cuore e sui grossi vasi, per correggere alterazioni congenite o acquisite, o, in casi di estrema compromissione cardiaca, provvedere al trapianto dell'organo o all'impianto di una protesi sostitutiva. Le metodiche cardiochirurgiche possono essere correttive radicali (mirando a un totale recupero anatomo-funzionale) o palliative, cioè solo parzialmente correttive (con duplice funzione: destinate a migliorare, spesso con carattere di urgenza, quadri clinici particolarmente critici, oppure attuabili quando a causa della molteplicità dei difetti, per es. in molte cardiopatie congenite, la correzione completa non sia possibile).
Il primo intervento chirurgico sul cuore fu la sutura di una ferita da taglio di circa 7 cm, eseguita l'8 gennaio 1896 da G. Farina, presso l'Ospedale della Consolazione a Roma. Il decorso postoperatorio fu infausto a causa di una broncopolmonite, ma l'esame autoptico verificò l'avanzato processo di cicatrizzazione della ferita cardiaca e dimostrò che le ferite del cuore potevano guarire a differenza di quanto fino ad allora ritenuto. J. Erichsen, infatti, nel 1874 affermava che "un chirurgo saggio ed umano non opererà mai all'addome, al petto e al cervello" e poco tempo dopo C.A.T. Billroth dichiarava: "un chirurgo che prova ad eseguire la sutura di una ferita del cuore merita di perdere la stima dei suoi colleghi" (Rutkow 1996, p. 532). Nello stesso 1896 i chirurghi Rehn ad Amburgo e Kappelen in Danimarca, e nel 1897 Parrozzani a Roma, eseguirono altre suture di ferite cardiache (Capo 1997, pp. 297-98). Da questi primi tentativi, la chirurgia cardiovascolare si è sviluppata attraverso una lunga maturazione teorica, sperimentale e clinica durata circa 50 anni. Nella fase iniziale, si limitava a interventi extracardiaci, alcuni radicali, cioè risolutivi della patologia esistente, come nel caso del dotto di Botallo pervio (R.E. Gross nel 1938; P. Valdoni nel 1939) o della resezione della coartazione aortica (C. Crawford nel 1944), ma più spesso palliativi, come nel caso delle anastomosi succlaviopolmonare (A. Blalock, E. Taussig) e aortopolmonare (W.J. Potts), praticate per migliorare il quadro clinico della tetralogia di Fallot. Subito dopo la Seconda guerra mondiale furono corrette con successo, con tecnica a cuore chiuso e pulsante che non interrompe la sua funzione di pompa, alcune malformazioni intracardiache congenite, e furono così eseguite la valvulotomia transventricolare per la correzione della stenosi valvolare della polmonare (R. Brock) e la chiusura di piccole pervietà del setto interatriale (C.P. Bailey nel 1952; Gross nel 1953; E.B. Kay e H.B. Shumacker nel 1954 ecc.).
Negli stessi anni si diffuse enormemente la commissurotomia mitralica transatriale (Bailey) per la terapia chirurgica della stenosi mitralica, come pure la pericardiectomia, cioè l'asportazione del pericardio in caso di pericardite costrittiva. Queste prime esperienze cliniche dimostrarono però che le tecniche a cuore chiuso, basate unicamente sulla guida del tatto, erano applicabili solo nel caso di vizi cardiaci semplici e che i risultati ottenuti in assenza del controllo visivo erano insoddisfacenti e incompleti. Per allargare l'indicazione operatoria a cardiopatie più complesse, si doveva, di necessità, riuscire ad aprire le camere cardiache e a interrompere il passaggio di sangue attraverso esse, allo scopo di aggredire e riparare le lesioni sotto il diretto controllo della vista. Questo problema ha trovato, dopo il 1950, due diverse soluzioni, assai fruttuose per risultati terapeutici e apporto di conoscenze: la prima è rappresentata dalla possibilità di provocare un arresto circolatorio, temporaneo e reversibile, mediante l'ipotermia (E.G. Bigelow nel 1950), la seconda dalla circolazione extracorporea del sangue, ottenuta sostituendo al sistema propellente e ossigenante naturale un cuore-polmone artificiale. La durata dell'arresto circolatorio in ipotermia non può oltrepassare i 7-8 minuti: con questa tecnica si possono quindi eseguire solo interventi semplici e di breve durata, come la valvulotomia della polmonare o la sutura di una pervietà interatriale. Per correggere chirurgicamente malformazioni cardiache più complesse, si è invece reso necessario l'uso della circolazione extracorporea (CEC), che permette di escludere il cuore dal circolo per un lungo periodo di tempo senza rischio di anossia dei vari parenchimi. Le tecniche di sola ipotermia sono ora scomparse, mentre restano a volte come completamento della CEC, specie nella cardiochirurgia neonatale.
La prima applicazione clinica della CEC (Gibbon e Dennis nel 1951) riguarda la sutura di un'ampia pervietà interatriale sotto il controllo della vista. Nel 1955 C.W. Lillehei, riprendendo il concetto, già postulato da alcuni fisiologi del secolo scorso, della circolazione 'crociata' con donatore, applicò su piccoli cardiopatici congeniti una circolazione crociata, in cui il donatore con i suoi polmoni provvedeva all'ematosi. Successivamente, il 'donatore' fu sostituito da un ossigenatore artificiale: entrarono così nella pratica clinica i circuiti extracorporei completamente meccanici, che provvedono alla propulsione e alla ematosi del sangue (Lillehei, R.A. De Wall, J.W. Kirklin). Le apparecchiature per la CEC si sono progressivamente perfezionate, così da poter essere impiegate per molte ore consecutive senza rischi. Sempre nel 1955, D.G. Melrose introdusse la cardioplegia, vale a dire l'arresto del cuore indotto farmacologicamente. Ma solo gli studi sul metabolismo cardiaco di J. Bretschneider, alla fine degli anni Sessanta, hanno consentito di avvalorare la tecnica della cardioplegia associata all'ipotermia profonda. Alle soglie degli anni Sessanta, sono state aggredite e corrette radicalmente e con successo quasi tutte le cardiopatie congenite, anche le più complesse (pervietà interatriali e interventricolari, stenosi e atresie polmonari, tetralogie di Fallot, trasposizione dei grandi vasi ecc.). Successivamente, nel decennio 1960-70, si è sviluppata la chirurgia a cuore aperto delle valvulopatie acquisite (vizi mitralici e aortici). Dopo i primi tentativi con tecniche conservative o correttive (plastiche, anuloplastiche), che davano risultati incostanti e non duraturi, si è passati alle tecniche di sostituzione valvolare. Le valvole lese vengono escisse e sostituite o con omotrapianti valvolari umani o di maiale o, molto più frequentemente, con protesi artificiali meccaniche di varia forma: a palla (Starr), a disco (Bjork, Lillehei) ecc. È stato operato con notevole successo un elevatissimo numero di malati ai quali sono state sostituite una, due e anche tre valvole cardiache.
A partire dal 1970, è iniziato il periodo della terapia chirurgica per malattie coronariche, favorito dal diffondersi degli esami coronarografici. Già in precedenza era stata tentata, con scarso successo, una serie di interventi per la cura delle crisi stenocardiche (innesto dell'arteria mammaria sinistra nello spessore del miocardio ventricolare: A.M. Vineberg nel 1945; endoarteriectomia coronarica: W.P. Longmire nel 1958; allargamento della coronaria stenotica con patch venoso: Å. Senning nel 1961; bypass coronarico con vena safena: R.G. Favaloro nel 1967; bypass coronarico con arteria mammaria interna sinistra: J.H. Green nel 1968). Oltre all'asportazione dei gangli simpatici preaortici, era stata tentata una rivascolarizzazione miocardica indiretta con la creazione di sinfisi pericardiche, ottenute legando le arterie mammarie o impiantandole a 'tunnel' nel miocardio ventricolare. A queste tecniche è stata poi preferita la rivascolarizzazione diretta del miocardio con un bypass coronarico con trapianto di vena. In pratica si impiantano uno o più ponti venosi (in genere si usa la safena), che partendo dall'aorta ascendente saltano l'ostruzione coronarica, dimostrata con la coronarografia, e portano il sangue alla parte distale dell'arteria coronarica interessata. Sono sottoposti a questo intervento malati con crisi di angina ricorrente o ribelle, casi con pregresso infarto o casi con pochi sintomi, ma con avanzata ostruzione di un vaso coronarico. Come terapia chirurgica degli esiti di infarto, vengono resecati gli aneurismi del ventricolo sinistro, riparate perforazioni del setto o lesioni della valvola mitrale.
Anche nel caso di gravi turbe della conduzione (blocco atrioventricolare, arresto cardiaco), la chirurgia può oggi intervenire, mediante l'applicazione di pacemaker, cioè di elettrostimolatori artificiali che inducono ritmicamente la contrazione del miocardio. Tra gli attuali obiettivi della cardiochirurgia, vi è anche la realizzazione del 'cuore artificiale', cioè di una pompa meccanica destinata a sostituire l'azione propulsiva del cuore e, come fine ultimo, a sostituire completamente il cuore stesso, in caso di gravi alterazioni coronariche, di infarti estesi, di scompenso cardiocircolatorio irreversibile e, a volte, nell'attesa di poter eseguire un trapianto di cuore. La realizzazione di una pompa meccanica pone, naturalmente, importanti problemi, alla cui soluzione si sta lavorando in ogni parte del mondo: l'uso di materiali che durino il più a lungo possibile, che non alterino le costanti chimico-fisiche del sangue (anche se il passaggio di sangue nella pompa si dovesse prolungare per lunghi periodi di tempo), la possibilità di regolare la gittata pulsatoria e di bilanciare con assoluto equilibrio la gittata delle due sezioni, destra e sinistra, del cuore ecc. Alla fine del 1967 risale il primo clamoroso tentativo di trapianto del cuore da uomo a uomo, di C.N. Barnard, subito seguito da quelli di N.E. Shumway, D. Cooley, M.E. De Bakey ecc. Nei due decenni successivi, i progressi tecnici e quelli realizzati nella prevenzione della crisi di rigetto hanno nettamente migliorato la prognosi del trapianto cardiaco, la cui attuazione in Italia è stata autorizzata nel 1985 (v. trapianto) e da allora largamente praticata.
Come si è detto, per eseguire interventi complessi (sostituzioni valvolari, rivascolarizzazione miocardica, correzione di cardiopatie congenite complesse) è necessario intervenire a cuore aperto su un organo immobile ed esangue per tempi anche lunghi. Al fine di ottenere questa situazione ottimale, si è ricorsi all'applicazione di tecniche particolari (clampaggio aortico), che determinano la sospensione del circolo coronarico. La conseguenza di questa manovra è un'ischemia globale del miocardio che, se prolungata, può però indurre danni irreversibili. Numerose misure sono state proposte per evitare la comparsa del danno miocardico legato all'ischemia, soprattutto dopo aver riscontrato un'associazione causale fra danno ischemico e comparsa di una complicanza cui viene dato il nome di bassa gittata postoperatoria, che è causa di mortalità e morbilità postoperatoria. Le tecniche volte a contrastare il danno ischemico vengono dette protezione miocardica e, dal momento della loro introduzione, sono andate incontro a una notevole evoluzione, legata soprattutto ai progressi compiuti nel campo del metabolismo cardiaco, degli aspetti metabolici dell'ischemia e della riperfusione postischemica.
La tecnica di protezione miocardica maggiormente diffusa e impiegata consiste nel praticare il clampaggio aortico, nel provocare l'arresto dell'attività cardiaca con una soluzione ricca di potassio e, contemporaneamente, nel determinare un'ipotermia profonda del miocardio, che duri per tutto il tempo del clampaggio. Le soluzioni cardioplegiche contengono potassio, perché esso è in grado di bloccare la fase iniziale della depolarizzazione delle cellule miocardiche e di arrestare il cuore in diastole. La loro temperatura deve essere di circa 4 °C, per determinare una temperatura del miocardio compresa fra 15 e 20 °C. La composizione delle soluzioni cardioplegiche in uso varia, sia per la concentrazione sia per il tipo di sostanze in esse disciolte. Un aspetto particolarmente importante, nella moderna cardiochirurgia, è rappresentato dall'anestesia, che deve, in particolar modo, evitare situazioni che aumentino la richiesta di ossigeno del miocardio e controllare l'ossigenazione miocardica e le pressioni intracardiache.
Le cardiopatie congenite (v. cuore) che possono essere corrette con intervento chirurgico sono molte. Ne riportiamo alcune.
a) Difetto interatriale (comunicazione fra i due atri): l'intervento chirurgico è indicato quando esiste uno shunt sinistro-destro superiore al 50% ed è controindicato quando esiste un aumento delle resistenze vascolari polmonari fisse con shunt crociato.
b) Difetto interventricolare: spesso associato a difetto interatriale e a malformazione degli apparati valvolari mitralici e tricuspidali nel quadro denominato canale atrioventricolare completo; in circa l'80% dei casi, il difetto interventricolare si chiude spontaneamente entro il primo anno, nei casi diagnosticati a un mese di vita, e solo il 25% dei difetti esistenti dopo un anno si chiude successivamente; l'indicazione chirurgica è urgente nei difetti ampi e con scompenso importante e non trattabile.
c) Canale atrioventricolare: particolare difetto interventricolare associato a valvola atrioventricolare unica e a difetto interatriale tipo ostium primum; la sintomatologia è in genere precoce, con scompenso, dispnea, epatomegalia e mancata crescita ponderale; la mortalità nei primi due anni di vita raggiunge l'85% e l'indicazione chirurgica è d'obbligo.
d) Persistenza del dotto arterioso di Botallo: la comunicazione tra l'aorta e l'arteria polmonare, nella maggior parte dei nati a termine, si chiude nei primi giorni di vita, mentre nei nati prematuri può persistere, determinando iperafflusso polmonare con graduale tendenza allo scompenso, che nel 5% circa dei casi può portare il bambino a morte; l'intervento chirurgico consiste nella chiusura e nella sezione del dotto.
e) Tetralogia di Fallot: malformazione caratterizzata da stenosi infundibolare o valvolare polmonare, ampio difetto interventricolare e destroposizione aortica a cavallo del setto, di grado variabile, e ipertrofia ventricolare destra; costituisce il 10-15% delle cardiopatie congenite e determina un quadro di shunt destro-sinistro con ridotta portata polmonare, elevata portata aortica, desaturazione arteriosa in ossigeno e cianosi marcata; la mortalità raggiunge il 50% entro il primo anno di vita e la sopravvivenza media spontanea è di dodici anni. Per tale motivo, l'indicazione chirurgica è d'obbligo; la mortalità ospedaliera è del 5-10%; i risultati a distanza sono buoni con sopravvivenza pari al 98% sino ai dieci anni.
f) Stenosi polmonare: è dovuta a ostruzione all'efflusso del ventricolo destro, con aumento della pressione intraventricolare e presenza di gradiente transtenotico; l'ostacolo può essere valvolare o infundibolare, associato spesso a pervietà del forame ovale o a presenza di un difetto interatriale con comparsa di cianosi (cosiddetta trilogia di Fallot).
g) Coartazione aortica: è caratterizzata da restringimento dell'aorta a livello dell'istmo; le conseguenze emodinamiche dipendono dalla possibile pervietà del dotto arterioso di Botallo, dalla gravità dell'ostruzione, dallo sviluppo del circolo collaterale e da eventuali altre anomalie associate; la correzione chirurgica è possibile e fornisce buoni risultati.
h) Stenosi aortica: può essere valvolare, sottovalvolare, sopravalvolare, subaortica per ipertrofia muscolare asimmetrica; vi sono varie tecniche chirurgiche di correzione a seconda del tipo di stenosi, che determinano buoni risultati.
i) Trasposizione delle grandi arterie: malformazione caratterizzata dall'origine anomala dell'aorta dal ventricolo destro e dell'arteria polmonare dal ventricolo sinistro; l'ossigenazione del sangue è possibile solo in parte, per cui è sempre presente la cianosi, per un mescolamento delle due circolazioni attraverso un difetto interatriale; nel 30% circa dei casi, alla trasposizione è associato un difetto interventricolare e, spesso, il dotto di Botallo è pervio; se il paziente non è sottoposto ad alcun trattamento, la mortalità raggiunge il 90% entro il primo anno di vita.
l) Ritorno venoso anomalo totale: malformazione caratterizzata da mancata connessione delle vene polmonari con l'atrio sinistro; il flusso ematico polmonare venoso giunge al cuore attraverso alcune vene tributarie dell'atrio destro: cava superiore nella forma sopracardiaca (45% circa dei casi), seno coronario nella forma intracardiaca (25% circa) e sistemi portoepatici nella forma infracardiaca (25%); la terapia chirurgica è assolutamente necessaria e deve essere eseguita precocemente.
m) Atresia della tricuspide: è dovuta all'assenza della valvola tricuspide e a grado variabile d'ipoplasia atriale destra, associati a difetto dei setti atriale e ventricolare, e accompagnati a volte da stenosi della valvola polmonare e da trasposizione dei grossi vasi; la prognosi è molto severa; la correzione chirurgica è indispensabile e può essere palliativa o radicale. Altre malformazioni congenite che si riscontrano più raramente sono la malattia di Ebstein, la finestra aortopolmonare, il cor triatriatum, la sindrome del cuore sinistro ipoplasico, l'arco aortico interrotto, il ventricolo destro a doppia uscita, il blocco atrioventricolare congenito, l'aneurisma dei seni di Valsalva, le anomalie coronariche, il ventricolo unico ecc. Tali specifiche patologie trovano indicazioni chirurgiche differenti che possono giungere fino al trapianto cardiaco (v. trapianto).
Oltre che nelle patologie congenite, la cardiochirurgia ha numerose indicazioni anche nelle cardiopatie acquisite e, in primo luogo, nelle valvulopatie, cioè nelle alterazioni delle valvole cardiache, divenute stenotiche e/o insufficienti per cause degenerative, infettive ecc. Anche le valvulopatie, peraltro, possono essere congenite e manifestarsi nell'adulto per patologie acquisite sovrapposte.Le valvulopatie aortiche riguardano la valvola aortica, costituita da uno scheletro fibroso (anulus) e da tre cuspidi, che possono divenire rigide, calcifiche e fondersi parzialmente fra loro, determinando la riduzione del lume, con conseguente stenosi. L'insufficienza si determina quando la valvola si allarga, o per dilatazione della radice aortica con prolasso di una cuspide, o per perforazione e frammentazione delle cuspidi determinate da un'endocardite, o per fusione e retrazione delle commissure, come nella malattia reumatica. In genere, sulla base della situazione emodinamica, si procede alla sostituzione valvolare con protesi meccanica o biologica. Nelle valvulopatie mitraliche, la riduzione dell'area dell'ostio mitralico al disotto di 1 cm2, esistente tra l'atrio e il ventricolo sinistro, determina una stenosi grave, causata nella maggior parte dei casi da malattia reumatica. La commissurotomia mitralica può essere eseguita a cuore chiuso nelle forme più semplici o con l'ausilio della circolazione extracorporea. Quando il danno è irreparabile con semplice commissurotomia, si può procedere alla sostituzione valvolare con protesi. L'insufficienza mitralica è determinata, in genere, da malattia reumatica, da prolasso mitralico per corde tendinee allungate o rotte o da disfunzione e rottura ischemica del muscolo papillare. In presenza di una sintomatologia più o meno importante, con successivo danno miocardico, si procede a trattamento chirurgico eseguito in circolazione extracorporea, per effettuare la riparazione o la sostituzione valvolare. A volte, la valvola mitralica può essere stenotica e contemporaneamente insufficiente; in tali circostanze, quando vi è l'indicazione, è obbligatoria la sostituzione valvolare. Nelle valvulopatie tricuspidali, l'insufficienza è ben tollerata, se lieve o moderata. Il trattamento chirurgico è necessario quando l'insufficienza è severa e isolata ed è accompagnata da importante riduzione funzionale.
Il trattamento della cardiopatia ischemica è essenzialmente medico, ma, dopo valutazione con coronarografia e ventricolografia, può porsi indicazione a un intervento chirurgico, al fine di migliorare il flusso arterioso nelle zone miocardiche alterate e di correggere eventuali complicanze dell'infarto, per rimuovere, riparare o sostituire le parti anatomiche danneggiate. Nella cardiopatia ischemica, indicazioni chirurgiche, in alternativa all'angioplastica coronarica, sono rappresentate dall'angina severa stabile e instabile, da estesa ischemia, da disfunzione del ventricolo sinistro, da malattia del tronco comune della coronaria sinistra, da malattia trivascolare con frazione di eiezione inferiore al 50% con test da sforzo positivo, da malattia bivascolare che interessa l'arteria interventricolare anteriore con test da sforzo positivo. Se si sono infine instaurate, dopo l'infarto, alterazioni importanti del miocardio, dei setti e delle strutture valvolari, si può procedere a trattamenti chirurgici complessi, tenendo conto anche della gravità della prognosi.
In presenza di aneurismi e dissezioni dell'aorta toracica, che a volte possono estendersi fino all'aorta addominale, si possono effettuare interventi più o meno complessi, a volte urgenti, per arginare rotture e conseguenti emorragie. Interventi chirurgici sono inoltre necessari per i tumori benigni o maligni del cuore e per le affezioni del pericardio, costituite essenzialmente da pericarditi croniche infiammatorie (specie tubercolari) o da raggi (esiti fibrotici da irradiazione del mediastino) e da tumori del pericardio. Da ultimo, per alcune patologie congenite complesse e non riparabili in modo conservativo e per alcune gravi patologie acquisite con importante danno e con prognosi infausta a breve termine, può essere preso in considerazione il trapianto cardiaco.
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