CAREGA DI MURICCE, Francesco
Discendente da un ramo della famiglia Carrega trasferitosi da Genova in Toscana verso la metà del '700 e poi ascritto alla nobiltà toscana, nacque a Livorno il 18 marzo 1831 dal marchese Alessandro, cavaliere priore dell'Ordine di S. Stefano, e da Vittoria Cipriani. Allievo di Francesco Silvio Orlandini, ai rapporti con questo e alla sua opera di ispiratore deve essere ricondotto il precoce e vivacissimo sentimento patriottico che spinse il C., appena sedicenne, a partecipare all'azione svolta durante il 1847 dai moderati toscani al fine di ottenere le prime riforme liberali, e che lo portò, l'anno successivo, ad arruolarsi nel II battaglione volontari livornesi, comandato da G. Bartolommei. Combatté il 4 maggio 1848 sotto il forte di Belfiore e il 29 maggio a Curtatone, col battaglione universitario. Fu - come egli stesso amava ricordare - tra gli ultimi a lasciare il campo di battaglia, impegnato nella ricerca del corpo di Giuseppe Montanelli, da tutti creduto morto.
Negli anni successivi alla prima guerra di indipendenza il C. studiò scienze naturali e agraria presso l'università di Pisa. Conseguita la laurea, egli attese per alcuni anni alla gestione della tenuta paterna delle Muricce, presso Collesalvetti, integrando, tuttavia, nel rispetto della migliore tradizione della grande proprietà fondiaria toscana, la sua opera di agricoltore con una assidua e brillante attività di ricerca e di studio in campo agrario, che rappresentò la via più diretta per la quale, nella seconda metà del "decennio", egli entrò in contatto e riuscì a inserirsi rapidamente (come attesta il carteggio tenuto in questi anni dal C. col Vieusseux) nel gruppo dei moderati fiorentini, facenti capo all'Accademia dei Georgofili che, da tempo protagonisti in campo economico e sociale, avevano svolto anche un ruolo politico di primo piano durante la crisi del '47-48.
è del 1856 il primo contributo del C. al Giornale agrario toscano, al quale continuò a collaborare intensamente fino al '59-60; nel 1858 venne nominato socio corrispondente dell'Accademia dei Georgofili, in seguito alla pubblicazione, avvenuta a Firenze con notevole successo l'anno precedente, di due sue operette (Ricordi e studi sull'Esposizione agraria toscana del 1857, che rappresentò la prima presa di contatto del C. con un tipo di iniziativa - organizzazione di mostre, di congressi, di concorsi - nei cui confronti anche in seguito manifesterà particolare interesse, e l'Annuario agrario per il 1858, il primo di una lunga serie di interventi nel campo della manualistica agraria).
Il C. vi prendeva posizione sul problema agrario che da oltre trent'anni era stato al centro dell'attenzione dei più illuminati proprietari toscani, il tema classico della mezzadria, affrontato tuttavia con un'ottica molto moderna; veniva, infatti, sottolineata l'importanza, nei confronti dell'aspetto più strettamente tecnico e agronomico, del momento complessivo dell'"economia rurale", intesa, secondo una sua più tarda definizione, come "l'ordinamento di tutte le membra che conferiscono a formare l'azienda agraria, nonché il governo della medesima". Una prospettiva alla quale il C. non rinuncerà mai, e che in più di una occasione lo porterà ad "aprire una campagna - come si legge in una lettera a Ubaldino Peruzzi del 2 marzo 1873 relativa alla pubblicazione del Giornale agrario italiano -control'agricoltura officiale e l'invasione della chimica a danno della sintesi economica che deve prevalere in materia agraria". Ciò consentì al C. di individuare con chiarezza la caratteristica di fondo dell'istituto mezzadrile e la sua scarsa compatibilità con la "nuova agricoltura": non è chi non veda, affermava due anni più tardi ai Georgofili, "che il contratto colonico allontana dai campi il capitale e l'intelligenza. è fondamento al medesimo il lavoro", di cui fra l'altro non si tiene nemmeno computo fra i costi della produzione. Di qui la presunta convenienza economica del rapporto mezzadrile, che esisteva in realtà, secondo il C., per i soli proprietari terrieri assenteisti, che potevano sfruttare il sopralavoro cui i mezzadri erano costretti dal rigido legame col podere e dalla conseguente loro autonomia produttiva e consumatrice. In termini rimasti poi definitivi il C. non solo muoveva alla mezzadria una critica sul piano economico e produttivo, ma ne negava anche la decantata superiorità sotto il profilo morale e sociale, adducendo come prova la reale condizione della maggior parte dei coltivatori che, in contrasto con l'immagine tradizionale, "ti apparisce lurida e nuda in ogni famiglia colonica cui tu ti imbatta, per poco che ti discosti dal corso dei nostri fiumi maggiori". Il provvedimento concreto che il C. finiva conseguentemente col suggerire era analogo a quello già messo in pratica, qualche anno prima, dal Ridolfi a Meleto, la "sospensione" della mezzadria.
Ma le due operette pubblicate dal C. nel '57 suscitarono interesse anche per un altro motivo. In esse era infatti presente una critica all'amministrazione granducale per la serie di provvedimenti restrittivi nei confronti dell'insegnamento agrario, culminata con la soppressione dell'Istituto agrario pisano, fondato quindici anni prima dal Ridolfi e diretto dal Cuppari, e assumeva un valore polemico nei confronti di tutta la politica di repressione svolta dal governo toscano negli anni successivi alla prima guerra di indipendenza, in relazione ai quali il C. richiamava la pesante atmosfera, "l'atra caligine" in espresso contrasto con "la propizia luce che rischiarò la prima ragunanza dei dotti italiani" avvenuta a Pisa nel 1839. Con ciò il C. si presentava, insieme con il Ricasoli, come il portavoce del profondo malcontento dei proprietari contro l'amministrazione granducale per la sua azione restrittiva sul terreno politico e culturale e per l'insufficiente appoggio fornito sul piano economico. Una presa di posizione, dunque, esplicita, che non sorprende, tuttavia, perché essa si ricollegava all'atteggiamento complessivo assunto dal C. nei confronti dell'amministrazione lorenese fin dagli anni dell'università, atteggiamento di non troppo velata critica e per il quale, il C. fu a lungo, come egli stesso ricordava con orgoglio, uno dei sorvegliati speciali della polizia livornese.
Con la fine del '58 il C. fu pronto a collaborare con l'attivo gruppo di moderati fiorentini, che dava vita alla "Biblioteca civile dell'italiano", le cui due anime, secondo la celebre espressione del Bon Compagni, erano rappresentate dal Ricasoli e dal Ridolfi. Alla fine del febbraio 1859 il C. fece parte, insieme con lo stesso Ridolfi e con Tommaso Corsi, della commissione incaricata dal comitato della "Biblioteca civile", di conferire col Cavour, il quale durante gli incontri del marzo - come raccontò successivamente lo stesso C. - avversò l'idea dei toscani di fondare un giornale politico, invitandoli invece a impegnarsi nella pubblicazione di un'opera antiatistriaca (sarebbe poi stato il volume Toscana e Austria di Celestino Bianchi) e nell'organizzazione di truppe volontarie toscane che partecipassero alla guerra.
Nei due mesi che seguirono il C. fu a Livorno, ove svolse una notevole attività proprio al duplice scopo di raccogliere le firme di adesione per il volume edito dalla "Biblioteca civile" e di reclutare e equipaggiare i volontari livornesi (cfr. in particolare la lettera al Peruzzi del 26 apr. 1859). Il ruolo giocato dal C. in questi mesi fu appunto quello di agire come intermediario fra il gruppo dirigente di Firenze e i moderati livornesi, al fine di condurre la più difficile delle città toscane "a porgere quieta e saggia la mano alla capitale". Dal suo intenso carteggio col Peruzzi, accanto all'entusiasmo del C. per la questione nazionale e per la guerra di indipendenza, in favore della quale continuò instancabilmente ad adoperarsi, traspare la profonda diffidenza nei confronti dei repubblicani e del "partito guerrazziano", sul quale egli ripetutamente sottolineò la necessità di vigilare con la massima attenzione (lettere del 19 e del 26 apr. 1859).
La sera del 27 aprile, dopo che il granduca era fuggito e "la pacifica rivoluzione" si era compiuta, il C. fu designato commissario del governo provvisorio toscano per le province di Pisa e di Livorno. Egli aveva partecipato al moto consegnando a Leopoldo II per incarico del Ridolfi la richiesta di immediata abdicazione in favore dell'arciduca Ferdinando.
La richiesta era rivelatrice della prospettiva non ancora unitaria propria del Ridolfi e di quasi tutti i moderati toscani (eccettuato il Ricasoli), alla quale aderì espressamente il C., preoccupato innanzitutto (come ebbe a giustificarsi alcuni anni più tardi) per il problema dell'indipendenza. Una prospettiva che traspariva con chiarezza anche dalle direttive date dal governo provvisorio ai propri commissari e alle quali si attenne il C. nello svolgimento della sua missione a Pisa e a Livorno, ove fu in grado di garantire, insieme all'ordine pubblico, la continuità dello Stato granducale, essendo riuscito a convincere i principali funzionari a restare al loro posto.
Sciolto, due settimane più tardi, il governo provvisorio toscano, il C. fu invitato dal Ricasoli a far parte del suo gabinetto come segretario generale del ministero di Finanze, Agricoltura e Lavori pubblici, carica che tenne fino all'annessione della Toscana al Piemonte.
Alle elezioni del 25 marzo 1860 il C. fu eletto deputato al Parlamento per la VII legislatura nel collegio di Viareggio e si schierò con l'ala più conservatrice della Destra storica, alla quale sarebbe rimasto sempre fedele, come ricordava con orgoglio in una lettera dell'ottobre del 1874, in cui riaffermava la sua insofferenza per i "centri parlamentari". Nel 1860 insegnò anche agricoltura generale presso l'istituto agrario delle Cascine a Firenze. Tuttavia raggiunse la massima notorietà nel 1861, legando il proprio nome alla prima Esposizione italiana, che si inaugurò a Firenze il 15 settembre e al cui successo egli, come segretario generale del R. Commissione appositamente nominata (ne era presidente onorario il principe di Carignano e presidente effettivo il Ridolfi), contribuì in misura determinante grazie all'intensa attività svolta. Sono noti, tuttavia, i dubbi e le riserve che suscitò nel paese e nel Parlamento il rilevante eccesso della spesa occorsa rispetto al preventivo. Nei primi mesi del '62 venne improvvisamente sciolta la Commissione e nel luglio fu nominato un commissario liquidatore. è certo, comunque, che questa "disgraziata faccenda dell'Esposizione" rappresentò un episodio cruciale nella vita del C. (cfr. le lettere al Peruzzi del luglio '62), che a lungo continuò a difendere il proprio operato, pubblicando una serie di opuscoli, fino al 1867, anno in cui la pubblicazione della Relazione finale contenente la revisione della Corte dei conti gli dette piena soddisfazione (Esposizione Italiana del 1861. Schiarimenti di fatto…, Firenze 1862; La Esposizione Italiana e F. C., ibid. 1862; Esposizione Italiana tenuta in Firenze nel 1861: ultime parole…, ibid. 1868). Ma l'episodio condizionò negativamente anche la sua attività politica.
Alla fine del 1862 fu nominato ("degradato" secondo la sua espressione) direttore compartimentale delle gabelle a Catania, ove rimase due anni a riorganizzare i servizi delle dogane; nel 1864 fu trasferito a Palermo, dove ancora risiedeva nel settembre del '66 allo scoppio della rivolta, contro la quale egli si adoperò, alla testa delle guardie di finanza, con particolare energia ed efficacia, guadagnando la commenda dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Subito dopo, rassegnate le dimissioni, tornò in Toscana e riprese i suoi studi di agronomia da lungo tempo trascurati. Nel 1870 pubblicò il saggio Sulla istruzione agraria e fu chiamato a presiedere il primo congresso generale degli agricoltori italiani. Il suo impegno nel campo della ricerca scientifica e dell'insegnamento agrario, tuttavia, si fece particolarmente intenso negli anni successivi al 1873, dopo che aveva impiegato il biennio '71-72 in un lunghissimo viaggio alle Antille, in Messico e negli Stati Uniti. I resoconti di esso, pubblicati dapprima nella Gazzetta d'Italia, vennero successivamente raccolti nel volume In America (Firenze 1875), l'opera in cui il C. manifesta nel modo più evidente le sue non comuni doti di narratore. Al contrario durante gli anni '70 si allentò sempre di più il suo impegno politico, anche se in una lettera al Peruzzi del 17 ott. 1874 egli si dichiarava disposto ad accettare la candidatura alle elezioni al Parlamento offertagli per il collegio di Empoli e nel '76 fece un duplice tentativo di inserirsi nel giornalismo politico, assumendo, una dopo l'altra, per pochi mesi la direzione dei giornali bolognesi IlMonitore e L'Alfiere.Un tentativo il cui fallimento spinse il C. ad abbandonare definitivamente la politica e a ritirarsi a vita privata (1878).
Gli anni dal '73 all'80 furono per il C. di attività particolarmente intensa nel campo dell'insegnamento e della pubblicistica agraria. Nel 1873 il C. si trasferì in Romagna, dividendo il suo tempo, secondo la sua stessa testimonianza, tra Ravenna, dove insegnava agronomia, estimo rurale e storia naturale all'Istituto tecnico provinciale, e Forli, ove aveva assunto l'impegnativo compito di dirigere il Giornale agrario italiano, con il proposito (esplicito anche nel titolo) di farne l'erede del glorioso Giornale agrario toscano e uno strumento moderno di battaglia contro "l'agricoltura officiale e il suo tecnicismo". Negli anni successivi, trascorsi a Bologna, il C. partecipò come giudice a numerosi concorsi agrari (Ferrara, Sardegna), collaborò a varie riviste e si dedicò alla compilazione della serie degli Annuari (Agrario, Geografico, Scientifico), pubblicati a Firenze presso la "Biblioteca della Gazzetta d'Italia", che rappresentano il più significativo esempio della sua straordinaria attitudine alla precettistica e alla letteratura divulgativa, il cui maggiore frutto fu comunque rappresentato dalle Nozioni di agronomia (Firenze 1879), un manualetto fortunatissimo, dedicato (come il primo Annuario del C., venti anni prima) agli agenti di fattoria e ai proprietari.
Nel 1878 il C. si ritirò a Cutigliano, un paese montano dell'Appennino pistoiese, attrattovi da una grande passione, per l'alpinismo; qui scrisse Un'estate a Cutigliano (Pistoia 1878) e Pagine alpine (ibid. 1879), divenuti due classici della letteratura della montagna. Dopo il 1880 il C. venne gradualmente abbandonando anche la sua attività di studioso. Non pubblicò più opere di carattere scientifico (se si eccettua un breve manuale di Estimo rurale, Milano 1890). Anche la sua collaborazione ai giornali si fece sempre più rara e meno impegnata (ne sono una dimostrazione i "ricordi" autobiografici, pubblicati sul Fanfulla della Domenica, 3 maggio 1891, 31 genn. e 6 marzo 1892). Scarse sono le notizie sugli ultimi anni della vita del C., durante i quali egli viaggiò molto in Europa e in Italia, soggiornando in numerose città italiane, tra cui Salerno e Napoli. L'ultimo periodo della sua vita lo trascorse a Roma, ove morì il 6 luglio 1905.
Fonti e Bibl.: Numerose lettere inedite del C. si conservano presso la Bibl. nazionale di Firenze: n. 480.76, Carteggi Vari (lettere al Montanelli); A. 18-34, Carteggio Vieusseux (lettere del C. interessanti il periodo 1857-60); Carteggio Peruzzi (oltre 80 lettere del C., molte di rilevante interesse, attinenti agli anni 1859-1880). La bibliografia sul C. si riduce al breve profilo biograficotracciato dal nipote A.Dalgas (Un patriota livornese, F. C. di M., in Liburni Civitas, IV[1931], 2, pp. 100-105)e ad alcuni necrologi: cfr. in particolare La Nazione del 7 luglio 1905 e gli Atti dell'Accademia dei Georgofili, s. 5, II (1905), pp. LIX-LXII. Notizie sulC. in F. Pera, Quarta serie di nuove biogr. livornesi, Firenze 1906, pp. 145 s., e Quinta serie…, Firenze 1912, pp. 124 s.; Diz. del Risorg. naz., II, ad vocem;T.Sarti, Il Parlam. subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 234.