Carezza
Per carezza si intende qualsiasi dimostrazione di affetto o di benevolenza fatta ad altri con atti o con parole e, più specificatamente, l'atto di passare leggermente le dita o la palma della mano sul volto o su altra parte del corpo di una persona come gesto di tenerezza. Le carezze fanno parte degli stimoli di cui hanno bisogno i lattanti per un sano sviluppo biologico e psichico. Nell'ambito dell'analisi transazionale, una forma di psicoterapia che ha particolarmente approfondito il fenomeno, carezza indica il singolo messaggio interpersonale; ove a questo segua una risposta si ha una 'transazione', cioè una comunicazione.
1. Una forma di comunicazione
Nel linguaggio quotidiano carezza significa il delicato appoggiare o il lieve strisciare, di solito della mano, sul corpo, fatto allo scopo di dare piacere, ma anche ogni forma di riconoscimento piacevole per chi lo riceva. Carezza è, in breve, una comunicazione gradevole, quale che sia il canale sensoriale con cui è trasmessa (visivo, uditivo o cinestetico), solitamente caratterizzata dal piacere sia di chi la riceve sia di chi la dà. Per la reciproca dipendenza tra psiche e soma, sia il movimento di chi accarezza sia la percezione della sensazione, cioè il riconoscimento del suo significato da parte di chi è accarezzato, anche quando la carezza sia solo a livello fisico, vanno qualificati come psicosomatici perché, se è il soma che percepisce il contatto, è la mente (o psiche) che legge la percezione. Al di là dei primissimi tempi di vita, la persona accarezzata percepisce a livello somatico e contemporaneamente riconosce a livello psichico il gesto e lo scopo di esso. Di conseguenza, perché sia davvero tale, la carezza deve essere consapevolmente indirizzata a far piacere a chi la riceve e , perché il rapporto sia riconosciuto dall'uno e dall'altro partecipante come fonte di godimento (un sentimento piacevole, appunto) e non solo come sensazione indeterminata, bisogna che entrambi siano consapevoli di sé. Un altro aspetto è importante: come ogni comunicazione tra due soggetti umani, anche le carezze, sia pur fatte per dar gioia, possono invece essere sgradite a chi le riceve. O ancora possono essere manipolatorie o velare una offesa in chi le invia ed essere invece accolte con gioia ovvero indifferenza dal ricevente. In definitiva, in qualsiasi forma la carezza si incarni - sia essa gesto, parola, sguardo, intonazione della voce, postura che possono essere inviati e ricevuti sia in modo consapevole sia in modo preconscio - il suo valore può variare nell'interpretazione dei due individui che comunicano per mezzo di essa.
In età neonatale, proprio come tutti i Mammiferi, anche gli esseri umani hanno la necessità di contatti affettuosi (quale che sia il canale sensoriale usato) per la stessa sopravvivenza fisica. Solo in un secondo tempo, per i lattanti, il ricevere e dare carezze diviene il modo e l'inizio del rapporto sociale specie-specifico con gli adulti a cui sono affidati e la carenza di carezze inibisce lo sviluppo psicofisico, così come l'assoluto isolamento in età adulta può divenire destrutturante sia per il livello di capacità mentale raggiunto sia per quello fisico. Il lattante umano, proprio come il gatto o la scimmia neonati, abbisogna, per un sano sviluppo biologico e psichico, più ancora che di latte, di essere accarezzato e stimolato sia, a livello sensorio, dalla intimità fisica sia, a livello sociale, da riconoscimenti affettuosi. Su questo punto particolarmente importanti sono le ricerche di R.A. Spitz (1945a e b, 1946), che dimostrano la necessità di carezze fisiche nella specie umana partendo dalla constatazione che bambini allevati in brefotrofio per i primi due anni di vita in modo corretto secondo le regole dell'igiene corporea e alimentare, ma necessariamente lasciati soli in culle e recinti per la carenza di personale assistenziale, presentano una crescita corporea e uno sviluppo psichico nettamente minore di quelli di bambini allevati (seppure in modo meno attento alle regole igieniche) in famiglia. Spitz (1965) segnala le conseguenze dell'abbandono forzato dei lattanti nelle cliniche pediatriche (negli anni in cui i genitori non erano ammessi ad assistere i figli): se la deprivazione di carezze si prolunga oltre i tre mesi, la maggior parte dei lattanti dimostra una depressione psicofisica grave (depressione anaclitica), fino a giungere a un marasma biopsichico irreversibile e alla morte.
Vi è una generale concordanza tra studiosi sul fatto che non solo i comportamenti di attaccamento sono presenti in tutte le specie, ma che inoltre essi sono innati (Zazzò et al. 1974). Le carezze materne fanno parte dei comportamenti di attaccamento specie-specifici e stimolano l'infante a seguire la madre. Il reciproco darsi carezze è importante al di là delle prime età della vita come mezzo di socializzazione e di coesione nel gruppo dei coetanei in infanzia e in adolescenza (Montuschi 1992), fino a divenire in età adulta sistema di divisione in ruoli e per diversi gradi di importanza sociale.
2. Carezza e analisi transazionale
Nel 1961 E. Berne, il fondatore dell'analisi transazionale (una forma analitica in cui la persona è considerata inscindibile dalle sue relazioni ambientali), struttura la sua teoria incentrandola, tra l'altro, sulla necessità di carezze, ove il termine carezza sta per singolo messaggio o stimolo interpersonale; il reciproco che comprende la carezza e la risposta a essa è detto transazione e cioè comunicazione reciproca, che naturalmente può essere verbale o paraverbale e ha le sue origini nel colloquio mentale 'intrapersonale' (Berne 1961). L'autore trova nelle ricerche di Spitz del 1945-46 la conferma della propria ipotesi sulla primaria necessità delle carezze per il sano sviluppo psicofisico. La persona umana, secondo Berne, 'ha fame' di stimoli sensori per conservarsi in completo e fisiologico funzionamento psichico e dunque la carezza (fisica o verbale o formulata solo dallo sguardo) è fondamentalmente un riconoscimento esistenziale. Ogni comunicazione umana può essere considerata carezza, positiva o negativa che essa sia; il 'ciao' indifferente, che è comunque un riconoscimento, se pur minimo, è anzi definito l'unità di riconoscimento. Quando non ottenga carezze per lui piacevoli, l'uomo ne cerca di spiacevoli perché non può vivere senza. Permanendo invariato il bisogno, la forma sociale delle carezze varia di solito con il crescere dell'età: più frequenti quelle fisiche nei primi anni di vita e quelle verbali in età adulta (Berne 1961, 1972). Successivamente, seguendo la stessa corrente di pensiero, T. Bruce e R. Erskine (1974) parlano di carezze contraffatte al fine di manipolare l'altro, J. Orten (1983) evidenzia le carezze 'congelate' ovvero per lettera e le carezze 'di seconda mano' che il soggetto si ripete; J. McKenna (1974) divide le carezze a partire dai tre stati dell'Io secondo lo schema dell'analisi transazionale: carezze per esserci, carezze per fare, carezze alle opinioni, e così via. Oltre alle carezze interpersonali, e causa di queste, vengono prese in considerazione le carezze positive o negative del colloquio interiore di ciascuno; sia consapevoli sia preconsapevoli o inconsapevoli, le une e le altre cause effettive della progressiva crescita psichica in sfaccettature o in nuovi aspetti dell'Io, ovvero del suo contrarsi in sentimenti e comportamenti ripetitivi (Romanini 1983). Non si tratta quindi tanto di carezze come contatti interpersonali, ma piuttosto come stimoli all'autoriconoscimento (Attanasio 1983).In modo fisiologico, in età evolutiva, dapprima i genitori e i fratelli e in un secondo tempo gli adulti con ruolo pedagogico e i compagni, attraverso l'uso delle carezze positive (permessi, approvazioni ecc.) e negative (rimproveri o divieti motivati e limitati dal rispetto per la persona), spingono il soggetto al riconoscimento della propria identità in limiti, potenzialità e in qualità positive e lo iniziano inoltre all'adattamento sociale. Nella prima infanzia, l'assorbimento inconsapevole di carezze negative o manipolatorie, o la stessa 'economia di carezze' (carenza di carezze positive con uso di carezze manipolatorie e negative) in sé, avviene al di fuori della piena consapevolezza, divenendo anzi parte del modo di vivere del soggetto e in questo senso anche un fattore di rischio per la sua salute mentale successiva. Va peraltro notato che, già a partire dalla tarda infanzia e dall'adolescenza e lungo tutta la vita adulta, in soggetti sufficientemente normali, le carezze (positive o negative o ancora manipolatorie che siano) prima di essere accettate sono filtrate dal colloquio interiore attraverso il riconoscimento del loro valore e della loro attendibilità (messe a confronto con i bisogni, le qualità innate e i valori dell'individuo), come ben sanno insegnanti, pedagogisti e psicoterapeuti.
In seguito e nell'età adulta, i differenti rapporti, tanto con un ambiente professionale e sociale quanto con i membri delle più diverse età nella famiglia, saturano il bisogno umano di carezze (ovvero di riconoscimento affettivo e cognitivo), sia confermando le qualità identificatorie che l'individuo si riconosce fin dall'infanzia, sia apportandone di nuove, sia negandole.
bibliografia
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