Vedi CARIATIDE dell'anno: 1959 - 1994
CARIATIDE (v. vol. II, p. 339)
Per la forma architettonica della figura femminile portante, una serie numerosa di studi monografici, l'edizione di documenti di importanza centrale (in primis, delle kòrai dell'Eretteo e delle loro copie romane) e la scoperta o la nuova lettura di serie o di esemplari di grande significato hanno enormemente ampliato la base della discussione, e chiarito i termini (di schema, di stile, di funzione architettonica e di significato) entro i quali vanno letti gli episodi della sua storia non lineare. La c. è stata concepita nel tempo secondo schemi nettamente differenziati, ciascuno dei quali nasce e si afferma in rapporto complesso con la tradizione figurativa della grande e piccola plastica, compresa anche - ma in modo non esclusivo - quella delle Trägerfiguren di più vario e largo impiego. All'interno di ciascuno schema, a parte l'insistente e significativo rimando (fin dagli esempi della piena classicità) a tratti di stile arcaizzanti, o comunque retrospettivi, l'aspetto formale delle figure può variare in misura notevole, anche con interferenze tra c. di schemi diversi, ma sempre in rapporto, si direbbe, con il significato o la somma di significati di volta in volta loro attribuiti. In effetti, il collegamento della c. alla sfera del divino, che è verosimile sia costitutivo della forma stessa, non può più tuttavia essere inteso come univoco; esso appare, al contrario, suscettibile di caratterizzazioni diverse, in rapporto ad ambiti diversi: o genericamente sacrali (e all'interno di questi sarà, caso per caso, da rintracciare il senso della c.); o di più esatta pertinenza cultuale, anche in rapporto a determinate entità o cerchie divine; o ancora con più o meno esclusive e complesse implicazioni funerarie. È verosimile poi che in certi ambiti regionali, e/o in circostanze specifiche, alcuni tratti di significato, impliciti o palesi in certe varietà della figura maschile portante, abbiano comportato o rafforzato la connotazione di alcune di quelle femminili: v. p.es. le c.-menadi, e forse le c.-prigioniere (o quanto meno la loro puntuale menzione come tali) e lo stesso àition vitruviano (Vitr., I, 1, 5) circa l'origine della forma.
Per le figure di Korenschema, se una interpretazione della Kore di Lione come c. dovesse ricevere conferma, possederemmo, sull'acropoli, la prima traduzione in termini attici di una forma che con le c. delfiche sembra per ogni verso ancorata a esperienze microasiatiche e insulari. Sono ancora queste, tuttavia - e in special modo le «Sifnie» - a fornirci nel particolare contesto del santuario e dei suoi anathèmata una compiuta caratterizzazione della c. per la seconda metà del VI sec. a.C.: immagini in coppia, «diadi» in simmetria speculare (un elemento poi sentito come originariamente costitutivo, e perciò sempre risorgente), inserite funzionalmente nell'architettura del thesauròs ma non subordinate a essa per via di gesto, o di dimensioni, o di collocazione (e in questo simili, p.es., alle immagini dei perirrhanthèria). Presenze affermative, come garanti o guardiane (Hom., IIliade, v, 749- 50), sulla fronte del thesauròs, di cui segnano con significativa intensità, inquadrandola, l'apertura di accesso. Nelle c. disposte a coppie a sostegno del trono di Amyklai, e specificamente designate come Chàrites e Hòrai (Paus., III, 18,9), la subordinazione effettiva al trono e ad Apollo poteva contemperarsi, in ambito laconico ma anche nella tradizione microasiatica di cui Bathykles di Magnesia si può supporre portatore, con l'ideologia della divinità- sostegno. E plausibile poi, anche se non puntualmente precisabile, che oltre a questo legame di interdipendenza strutturale e di significato con il vero e proprio trono, le c. ne possedessero in più uno specifico con il suo bàthron, e cioè la Tomba di Yakinthos, e che di conseguenza valessero effettivamente come segnale della sua apoteosi. Il legame con uno specifico culto ctonio è stato recentemente più volte proposto anche per le kòrai dell'Eretteo. Il peplo, l'attributo della phiàle (a rigore peraltro testimoniato dalle repliche romane solo per le due figure centrali), gli stessi tratti arcaizzanti del manto e severizzanti dell'intreccio dei capelli - allusivi indizî di continuità - segnalano come l'ambito entro cui rintracciare il significato delle figure sia quello del culto e dell'offerta rituale; mentre le forme piene delle figure ne escluderebbero un accostamento alle troppo più giovani arrephòroi. La speciale disposizione delle figure, non trattenute ai lati di un accesso, ma moltiplicate a costituire l'intero avancorpo, e il fatto che questo rappresenti l'unica e straordinaria emergenza architettonica nella semplice successione di muraglie in cui si organizza l'Eretteo sul lato S, sua vera pròstasis, nonché luogo privilegiato di tramite tra la sua porzione occidentale e l'area deputata, che è chiusa a S dal Partenone e a E dalla massa ortogonale del grande bomòs, ne suggeriscono un collegamento più ampio, e non così riduttivo, con i culti che fanno capo alla Poliàs e al suo tempio, e forse una speciale valenza nel contesto dei rituali (ivi compreso quello panatenaico) che coinvolgessero specificamente su quel versante l'Eretteo. Per le c. di Limyra, appartenenti al monumento del dinasta licio Pericle, è indubitabile il rimando al modello ateniese; ma per il numero e la disposizione delle figure (quattro, su ciascuna delle due fronti) nonché per l'interpretazione dell'edificio come heròon (per il quale si è invocata la loggetta dell'Eretteo come precedente) sarà opportuno richiamare come possibile più precisa fonte di ispirazione la Tomba di Yakinthos ad Amyklai. È solo in età imperiale, in ogni caso, che le kòrai come punto di riferimento dei diversi momenti classicistici divengono oggetto di replica puntuale, rivissute tuttavia e rifunzio- nalizzate secondo nuove necessità: nel Foro di Augusto a Roma, in cui la coppia centrale (sono troppo labili gli indizi che anche altre figure fossero replicate) è ripetuta in due serie disposte a grande altezza - come mensole di una cornice - sui portici che delimitano lateralmente il Tempio di Marte Ultore, con un significato che, date le molte implicazioni politico- religiose del foro, può essere sia celebrativo sia più strettamente cultuale; a Villa Adriana, dove ancora la coppia centrale è duplicata, in un contesto che può essere quello dell'apoteosi di Antinoo; nel Foro Boario, ove trovava posto una serie antonina, variata nella sostituzione dell'echino a ovoli con un alto kàlathos intrecciato; e, fuori di Roma, nel foro di Corinto, ove è tuttavia incerto se fosse replicata l'intera loggetta, o comparissero, di quella, solo gli esemplari in un certo qual senso meno noti (cfr. anche la kòre mantovana come Musa o Tragedia). La fortuna del modello dell'Eretteo, d'altra parte, non esclude per l'età imperiale l'impiego di immagini in schema diverso (cfr. infra, e anche, p.es., le c. del foro di Merida, in panneggi del IV sec. a.C. e altro gesto, vicine alla serie Monaco, Glyptothek, invv. 305, 206, 371-2), così come lascia spazio anche a figure in Korenschema di aspetto e significato totalmente diversi: cfr. le c. dal Triopio di Erode Attico, sull'Appia, che sembrerebbero ancora da mettere in rapporto con il culto lì attestato per le due Faustine, divinizzate come Demetra e Kore.
Pendants femminili dei telamoni-sileni, le c.-menadi in Atlantenschema li accompagnano, forse alternate a essi (teatro di Monte Iato, fine IV sec. a.C.; Casa di Centuripe, Siracusa invv. 27735-6). È incerto se vi fossero sileni corrispondenti per le figure di Siracusa, inv. 37379, dal teatro, o di Segesta, magazzino degli scavi (inedita); erano d'altra parte prive di compagni maschili le figure dell'ipogeo ellenistico di Vaste, come le due piccole c. tarentine (da naìskos?) ora a Ginevra. L'area di diffusione è, come per i telamoni, la Sicilia e l'Italia meridionale; come in quelli, le c. di certa e non illusoria funzione portante appaiono solidali al blocco di pietra cui si addossano, mentre è comprovata la possibilità di una loro disposizione in serie: si vedano le c. (menadi o ninfe) dai modellini di grotta Caruso a Locri, probabilmente ancora di IV sec. a.C. E da notare come nei monumenti di maggiore autorità, l'identità di menade o ninfa appaia sempre in possibile rapporto di coerenza con l'ambito teatrale, o funerario, o cultuale in cui essa è inserita. A una tradizione figurativa diversa saranno invece da collegare le c. in schema di Atlante «aperto», con entrambe le braccia sollevate e allargate a sostenere la trabeazione sovrastante (di cui la più antica redazione monumentale, nonostante le premesse nella piccola plastica, è rappresentata sinora solo dalle c. Rankengöttinnen della nuova tomba tracia di Sveštari, in Bulgaria), nelle quali si fissa e si precisa il gesto solo saltuariamente attestato per tali figure divine (mosaico di Olinto, come qui tra sfingi alate; capitello di Salamina di Cipro) - anche se adombrato in molte raffigurazioni ellenistiche di Rankengöttinnen da Coo all'Asia Minore alla Russia meridionale - e nelle quali convergono i significati di divinità signora della natura, che muore e rinasce, e forse anche di psychopompòs, come Sabazio. C. in tale schema, unite come in questo caso a elementi di ordini architettonici diversi, ricompaiono, ma in modestissimo rilievo, nella tardo-ellenistica tomba 228 di Cirene.
Delle figure in Karyatidenschema, con un braccio levato a sostegno dell'architrave, si può fissare entro la seconda metà del IV sec. a.C. il primo utilizzo. Sono immagini come queste, del resto, a rendere comprensibile un testo (Ath., VI, 241 d/e) che rappresenta il primo non equivoco collegamento tra una sicura funzione di sostegno e un nome, καρυάτιδες, altrimenti utilizzato per designare una categoria di accolite danzanti di Artemis; mentre si dovrà infine accettare, con tutte le sue possibili implicazioni, il fatto che nella contemporanea «colonna di acanto» di Delfi «le geste des Danseuses était un geste de Caryatides» (Marcadé). Nelle c. in questo schema, unico intermediario possibile tra immagine e architettura è il kàlathos troncoconico, sempre presente nelle figure di aspetto più spiccatamente arcaizzante (così frequenti in questo gruppo, se non proprio esclusive di esso) che oltre a completare l'equilibrio strutturale delle figure sembra, al pari di altri tratti «retrospettivi» delle immagini, controbilanciare la novità dello schema in contesto architettonico con l'allusione diretta ad antichi e consolidati modelli, e a tradizionali contenuti. Un legame con l'ambito cultuale eleusino è stato in effetti indicato per la coppia di immagini speculari, in diplax, ricostruibile dalle figure di Tralles-Cherchel e ora Atene (che diremmo copie e non originali). A queste, la diffusione di repliche dalla Mauretania di Giuba II ad Atene alla Caria fornisce certamente un'autorità del tutto particolare; senza escludere la possibilità di un loro influsso diretto (cfr. la testa della c. entro pilastro della c.d. Terrazza di Domiziano a Efeso), solo parzialmente in rapporto con queste ci sembrano però da interpretare tutte quelle numerosissime figure in himàtion obliquo e accentuata ponderazione laterale, legate fra loro dal filo della lunga ed elettiva diffusione in Asia Minore tra l'ultimo ellenismo e l'età imperiale (c. Louvre-Berlino-Smirne; ancora Smirne, da Mileto; teatro di Thyateira; teatro di Afrodisiade; teatro di Perge; forse anche Efeso, edificio di Memmio; Hierapolis, giardino del Museo), nonché da quello della peculiare distribuzione simmetrica del panneggio. Resta da segnalare la frequenza con cui esse appaiono in edifici teatrali, connotate da maschere: se in coppia, e non in serie continua di coppie, si potrà forse vederle come personificazioni di Tragedia e Commedia, piuttosto che come Muse. È invece più diretto il rapporto con il tipo «Tralles» della serie Mantova-Venezia-San Pietroburgo; anche se l'ipotesi di un originario collegamento delle quattro figure sembra per più motivi da scartare, la provenienza da Atene (?) di almeno due e il fatto che coppie speculari della serie - e mai, si noti, del tipo «Tralles» - appaiano con notevole frequenza come elemento angolare dei sarcofagi attici, sembrano indicare l'origine del tipo in ambito classicistico attico, una sua possibile subordinazione al tipo «Tralles» e una elettiva utilizzazione in coppia (per serie di coppie, cfr. anche le figure entro pilastro del foro severiano di Leptis Magna). In area periferica al mondo greco, un uso particolare di c. in questo schema è costituito dalle «soluzioni angolari» - ancora coppie - della menzionata tomba di Sveštari; sempre all'interno di un edificio tombale di Rodi, al di sotto di una volta-baldacchino circolare si dispongono due coppie di figure, redatte sulla scorta di ben individuabili modelli della piena classicità, in un ambiente ricco di suggestioni cultuali (e culturali) molteplici.
In definitiva, per tutta la storia documentata materialmente della c. nel mondo classico, e al di là di ogni possibile variazione, un rapporto positivo e diretto tra significato dell'immagine e contesto d'impiego sembra l'elemento più sicuro e costante; tale rapporto appare - salvo prove contrarie - allentato, se non del tutto dissolto, solo nelle raffigurazioni pittoriche di c. come statue (e non generiche figurette animate portanti) così frequenti nelle decorazioni murali di secondo, terzo e quarto stile, nelle quali, forse correlatamente, non compare mai nessuno dei tipi a noi noti nella grande e piccola plastica.
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