Vedi CARIATIDE dell'anno: 1959 - 1994
CARIATIDE (καρυᾶτις, caryatis)
Figura femminile scolpita, usata in luogo di colonna o pilastro a sostegno di sovrastanti membrature architettoniche. La leggenda, di fonte greca, riportata da Vitruvio (i, 1, 5) e allusiva alle donne prigioniere della vinta Karyai, non spiega né l'origine del tipo né quella del nome; quest'ultimo appare nella forma rimasta poi definitiva, solo nel IV sec. (Athen., Deipnos., vi, 241 d); anteriormente le figure muliebri di sostegno erano dette Kòrai (I.G., i, 222, 1, 86, a proposito delle C. dell'Eretteo). Questa circostanza rende problematica anche la teoria che riconduce le C. a figure di danzatrici connesse con il culto di Artemide: in effetti gli esemplari più antichi d'ambiente greco non sono di figure danzanti, ma stanti, analoghe appunto alle Kòrai (v.) votive. Nell'arcaismo mediterraneo si trovano solo in ambiente etrusco figure muliebri danzanti con funzione di sostegno (candelabro con danzatrice, Parigi, Louvre). Le C., come i Telamoni, appaiono antropomorfizzazioni di membrature architettoniche, riduzioni di tali membrature alla proporzione umana, ma, a differenza dei Telamoni, non esprimono mai lo sforzo, non sensibilizzano la funzione portante del sostegno. Nelle redazioni monumentali che conosciamo esse rivelano quindi, per la loro connessione con le Kòrai, una funzione votiva. Non è pertanto casuale che i più antichi esempi siano utilizzati in Delfi nella decorazione di thesauròi. Alla sfera religiosa appartengono poi gli ascendenti egizi delle C., le figure umane addossate a pilastri e le teste hathoriche, precedenti, con esempi micrasiatici e iranici, dei capitelli figurati ellenistici. Il tipo è, comunque, estraneo alle esperienze preelleniche dell'ambiente egeo: la figura umana o teratomorfa in funzione portante o pseudoportante si ritrova anche nell'Asia Anteriore (basti ricordare gli esempi del palazzo di Tell Ḥalaf, dell'inizio del primo millennio a. C.). E interessante il fatto che le più antiche C. dell'arte greca, i sostegni del Trono di Apollo in Amicle, rientrino nell'orbita dell'arte ionica d'Asia (v. bathykles); l'alta arcaicità della figura muliebre di sostegno nella decorazione è documentata anche da una serie di buccheri etruschi con la divinità a quattro ali, precedente probabile della Lasa. Ancora l'ambiente etrusco ci ha conservato, con i bronzetti della stipe di Brolio (Firenze, Museo Arch.), dei primi anni del VI sec., un esempio di figure realizzate per sostenere, forse, un sedile; fra esse è una figura muliebre.
Le prime redazioni greche in termini monumentali sono le coppie delfiche dei thesauròi cosiddetti degli Cnidi e dei Sifni, oggi integrate in base a ricerche recenti (Bull. Corr. Hell., lxxvii, 1953, p. 345), cui si aggiungono ora le cosiddette piccole C., tutte opere di artisti d'indirizzo ionico-asiatico. La C. è assimilata alla colonna, perché regge col capo un grosso membro di raccordo, su cui insiste l'architrave, e poggia su di una base; entrambi questi membri sono resi necessari per armonizzare le proporzioni umane con quelle della costruzione d'impianto ionico. Il gruppo delle Kòrai delfiche resta isolato nell'arcaismo, come isolato nella classicità resta l'esempio delle Kòrai dell'Eretteo sull'acropoli di Atene. Intermedia, per quanto estranea alla classe in sé della decorazione architettonica, è la figura di Atena nella metopa di Atlante del tempio di Olimpia (vol. i, fig. 1113), giacché, sappiamo (Athen., op. cit.) che esisteva un tipo di C. che utilizzava anche la mano come sostegno; di questo tipo, per cui appunto la fonte usa espressamente il termine di C., resta testimonianza, per la funzione di sostegno architettonico, in un trapezoforo neoattico puteolano, nel Museo Naz. di Napoli. Le Kòrai dell'Eretteo, in cui la rispondenza simmetrica a coppie sottolinea efficacemente il significato architettonico, non sono più figure stanti, ma in movimento, ed in esse, dette espressamente Kòrai dalla fonte epigrafica (I.G., cit.), in realtà la tipologia della Kòre si fonde con quella della Canefora (v.); la figura umana non ha che ridotti elementi di collegamento alla base ed all'epistilio, soluzione che rivela, sul contesto fondamentale ionico, l'influsso della proporzione dorica. L'arte del tardo V sec. produce ancora, nella colonna d'acanto di Delfi, il tipo della danzatrice in chitonisco e kàlathos come elemento di sostegno, ma il carattere di semplice opera decorativa attribuibile alla colonna, consente di escludere le danzatrici di Delfi dalla serie delle opere funzionalmente di sostegno architettonico. Il V sec. presenta pure l'adattamento in funzione architettonica di tipologie diverse da quelle della Kòre e della Canefora: l'esemplare di Luku mostra l'utilizzazione di un tipo amazzonio come C., raccordato col membro portato per mezzo di un capitello.
L'uso della figura muliebre come sostegno architettonico è sporadico nell'età arcaica ed in quella classica, impiegata com'è tale figura, nei casi tipici dei thesauròi delfici e nell'Eretteo, in soluzioni architettoniche lontane dalle formule comuni e tradizionali e specchio quindi, evidentemente, di particolari necessità di simbologia religiosa. L'eccezionalità spiega la mancanza di continuazioni dirette nel sec. IV e nell'ellenismo. Nel sec. IV, è vero, abbiamo la testimonianza dell'impiego di C. per sostenere soffitti (Athen., op. cit.) e la prima menzione del termine, ma ci mancano termini precisi di raffronto monumentale. La figura-sostegno è utilizzata come appoggio di statue, come la Kòre arcaistica con pòlos, appoggio dell'Artemide di Larnaka, che ha paralleli nelle erme barbate con analoga funzione (gruppo perduto di Hermes e Dioniso; Hermes di Madrid; frammento dall'Agorà; Dioniso, tipo Madrid-Pogliaghi). Invece la figura muliebre con funzione di sostegno e carattere decorativo si fa frequente nella produzione neoattica e nelle continuazioni d'ambiente e di tempo romano. La tipologia della C. serve ad individuare ora i due filoni fondamentali del classicismo romano, quello attico e quello asiatico-ionico. Il primo è rivelato dalle diverse repliche delle Kòrai dell'Eretteo, di cui gli esemplari più notevoli decoravano, con una collocazione che svisava completamente il senso originario, l'attico dei portici del Foro di Augusto; si tratta di copie abbastanza fedeli, nella cui utilizzazione era rispettata, pare, la simmetria originaria, ma adoperate a ridosso della parete, a scompartire spazi come un ordine pseudofunzionale; una di esse è firmata da C. Vibius Rufus. Sappiamo che queste copie non erano isolate nell'età augustea. Non si capisce invece cosa fossero le Caryatides di Diogenes di Atene (v.), menzionate da Plinio (Nat. hist., xxxvi, 38) come collocate nel Pantheon di Agrippa in columnis, cioè, come la fonte specifica, nell'attico. Le Kòrai dell'Eretteo sono state copiate poi di nuovo in età adrianea (Canopo di Villa Adriana); il tipo è introdotto anche nell'Oriente (C. tipo Eretteo, da Alicarnasso). Alla serie numerosa delle C. arcaistiche appartengono, con il tipo Tralles-Cherchel (che M. Collignon ritenne, contro il Gaukler, subarcaica, del 480-60), le numerose varianti del tipo Venezia-Mantova-Leningrado; in esse la monumentalità architettonica alquanto forzata si associa ad un panneggio derivato da schemi del sec. IV, ma con desinenze e linearismi tipicamente arcaistici. Le C. del tipo Venezia-Mantova-Leningrado hanno attributi che le caratterizzano come Muse, attuazione di un principio "sincretistico", per cui il significato della C. arcaica e classica è radicalmente alterato. Ultimi esiti del tipo suddetto sono le fredde C. Albani e quelle del monumento di Annia Regilla della via Appia, nonché la C. menade del museo del Teatro Romano di Verona. Carattere decorativo hanno anche le poche figure di sostegno in marmo colorato (Museo Naz. Romano; Amazzone tettonica da Sardi a Stoccolma).
La C è usata spesso in funzione decorativa nella decorazione parietale di età romana, come conseguenza dell'impiego rilevato a proposito delle C. del Foro di Augusto (e, forse, prima, nel santuario di Palestrina): esempî si trovano nella decorazione pompeiana (Villa di Fannio Sinistore, a Boscoreale: parete di II stile con C. su mensolette, reggenti la trabeazione; Casa di Venere e Marte: erme-cariatidi). Notevolissimi, a questo proposito, gli stucchi ora a Copenaghen nella Gliptoteca Ny Carlsberg, con piccole C. di tipo arcaistico.
Monumenti considerati. - Candelabro con danzatrice: G. Q. Giglioli, Arte Etrusca, Milano 1935, tav. ccxi, 2; buccheri etruschi: ibid., tav. xliii, b c (da Cerveteri) tav. xlvii; trapezoforo puteolano: V. Spinazzola, Arti decorative in Pompei, Museo Naz. di Napoli, tav. 33; Artemide di Larnaka: G. E. Rizzo, Prassitele, tav. xv; Hermes di Madrid: ibid., tav. xii, 2; frammenti dall'Agorà: ibid., tav. xiv; Dioniso tipo Madrid-Pogliaghi: ibid., tav. cxv; gruppo perduto di Hermes e Dioniso: Cavalleriis, 45; canopo di Villa Adriana: S. Autigemma, in Bollettino d'Arte, xxxix, 1945, p. 327; tipo Eretteo, da Alicarnasso: Bull. Corr. Hell., 1893, p. 410; figure in marmo colorato del Museo Naz. Romano: G. Lippold, Kopien u. Umbildungen, Lipsia 1922, p. 412; Amazzone di Stoccolma: ibid., p. 133; santuario di Palestrina: Gullini-Fasolo, Il santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, Roma 1953, p. 191, fig. 285; Villa di Fannio Sinistore: V. Spinazzola, op. cit., tav. 93.
Per altri monumenti, v. bibliografia.
Bibl.: Sulle questioni generali: Fiechter, in Pauly-Wissowa, X, 2, 1919, cc. 2247 ss., s. v. Karyatis (con bibl. e discussioni). Kòrai di Delfi: P. De la Coste Messelière-J. Marcadé, Corès delphiques, in Bull. Corr. Hell., LXXVII, 1953, pp. 346 ss. Amazzone di Luku: G. Becatti, Problemi fidiaci, Milano 1953, tav. 89, fig. 280. C. tipo Eretteo: G. Lippold, Kopien und Umbildungen, Lipsia 1922, pp. 115 e 166; G. Q. Giglioli, Le copie romane delle C. dell'Eretteo, in Röm. Mitt., LXII, 1955, pp. 155 ss.; S. Aurigemma, in Boll. d'Arte, XLI, 1956, p. 57 ss. (con bibl. prec.); Ch. Picard, Les c. du Théâtre de Vienne et les c. monumentales des Théâtres occidentaux, in Anthemon, Firenze 1955, pp. 273-280, tav. XXIV. Tipo Tralles: M. Collignon, Monum. Piot, X, 1904, p. 13 ss.; E. Schmidt, Archaistische Kunst, Monaco 1922, p. 65 ss. C. di Venezia-Mantova-Leningrado: C. Anti, Guida del Museo Arch. di Venezia, Roma 1930, p. 29; A. Levi, Le sculture del Pal. ducale di Mantova, Roma 1931, p. 16; O. Waldhauer, Ant. Skulpturen der Ermitage, Berlino 1936, III, p. 260; E. Schmidt, loc. cit. Stucchi Ny Carlsberg: Billedtvaler, II, nn. 818-823.