CARICATURA
. Più specificamente si dice oggi caricatura un ritratto, in cui, senza abolire la rassomiglianza, siano esagerati (caricati) alcuni tratti o elementi in modo ridicolo; più genericamente ogni imitazione volta a suscitare il riso sopra una persona o un insieme di persone fra cui si svolge un fatto. In tali ultime caricature o imitazioni ridicole l'effetto non si raggiunge tanto mediante alterazione dei lineamenti fisionomici, quanto attribuendo alle persone rappresentate atteggiamenti, vesti, ecc. non proprî, e implicanti allusione al fatto preso di mira.
La caricatura non è dunque soltanto forma o alterazione di forma, bensì anche azione, ovvero situazione che presuppone un'azione compiuta o da compiere, oppure subita o da subirsi da parte del soggetto principale. Da ciò nascono due conseguenze: la prima che la caricatura, benché abbia di consueto e per eccellenza espressione grafica, non nasce spontanea nell'esercizio delle arti grafiche - ove perciò apparisce tardi, e in senso stretto solo nell'età moderna - bensì nel pensiero e nell'immaginazione, e poi come realizzazione da parte di attori primitivi e improvvisati. I bambini e le bambine che giocano offrono talora inconsapevolmente le più vivaci caricature della società dei grandi. Altrettanto dovette accadere presso i primitivi, giacché la vita umana ripete nelle fasi dello sviluppo individuale quelle dello sviluppo della specie; e se di queste lontane origini parlate e gestite della caricatura non restano tracce, resta presso gli antichi popoli colti la precedenza e la preminenza, in questo genere, della poesia sulle arti grafiche. La caricatura è gia in Omero: il vile e maledico Tersite è non soltanto brutto e sparuto - concessione al pregiudizio o pio desiderio popolare d'una corrispondenza fra il morale e il fisico - ma sconciamente gobbo, e sulla gobba riceve le busse di Ulisse. A ragione dunque fu detto degli antichi popoli classici, i quali vera caricatura non ebbero, che i loro caricaturisti furono i poeti, come Aristofane e Marziale. La seconda conseguenza è che la caricatura trascende i limiti delle arti grafiche: si può imitare ridevolmente il modo di camminare e di gestire, il che è già difficile per le arti grafiche, limitate nella scelta a un solo momento dell'azione; si può fare la caricatura del modo di suonare uno strumento non solo quanto ai gesti, ma altresì quanto ai tempi e alle espressioni e a tutta l'interpretazione musicale. Si può risibilmente imitare non solo la voce, la pronunzia, ma altresì tutto l'eloquio in quanto tessuto di parole, frasi, pensieri e immagini. E sebbene tali caricature, specialmente le letterarie, musicali e poetiche, prendano più propriamente il nome di parodia, questa tuttavia sta alla caricatura come una specie a un genere.
Benché tanto recente sia lo sviluppo della caricatura propriamente detta, tuttavia remotissime e profonde ne sono le radici nella psiche umana. La prima di tutte ci sembra essere l'istinto dell'imitazione, che si ritrova nell'animale, nell'uomo primitivo e nel bambino. Sopraggiunge la tendenza al gioco, al trastullarsi, pur essa presente in animali, primitivi e bambini, e per virtù della quale in determinati momenti determinate imitazioni, esercitate con maggiore intensità, diventano un gioco, un trastullo particolare. Interviene ancora l'allegrezza, il sentimento euforetico che nasce dall'occupazione piacevole, dalla gioia di riuscire a soddisfare l'istinto imitativo e insieme la tendenza al gioco, e la cui espressione spontanea è nell'uomo il riso. Ultima sopravviene una certa malizia, che incomincia a distinguere riso da riso, il riso sereno della gioia da quello frizzante suscitato dal buffo, che è in fondo una valutazione dispregiativa non troppo irritante né movente a compassione, bensì esilarante, di taluni con trasti o deficienze o sproporzioni che si manifestano nell'esecuzione delle imitazioni. Si esagerano allora appositamente quelle imitazioni e quei modi di eseguirle che riescono particolarmente buffi, si accozzano forme discordanti, si attribuiscono a taluni esseri azioni contrarie alla loro natura, sproporzionate alla loro età e condizione, e la caricatura è nata.
Tuttavia non soltanto non tutto il comico, o il buffo che voglia dirsi, è caricatura, né tanto meno le due cose possono identificarsi, ma non mancano fra esse divergenze e contrasti. Il comico è creazione di tipi e invenzione di situazioni in cui quelli possano manifestare il loro carattere; la caricatura ha di mira l'individuo e situazioni di fatto esistenti nella realtà. Il comico è arte, i suoi prodotti ben riusciti sono duraturi come quelli d'ogni arte, e talora vorremmo dirli immortali; la caricatura, benché si serva di mezzi artistici e talora raggiunga notevole perizia nell'uso di essi, resta sostanzialmente gioco, e i suoi prodotti anche migliori hanno un valore effimero. Perciò la maniera dell'antica commedia attica, che portava sulla scena persone viventi (ad es. Socrate entro un paniere sollevato in aria, nelle Nuvole di Aristofane), è in parte tanto lontana dal nostro modo di sentire e di concepire il comico; e perciò essa, in quella parte, è, come ben fu detto, caricatura piuttosto che commedia.
Qualche barlume intorno al sorgere della caricatura possono forse offrire quelli che, da un certo punto di vista e con prudenza, meriterebbero di esserne considerati i precedenti preistorici: cioè, a parlar propriamente, talune esagerazioni di forme. Ne troviamo esempî particolarmente nel paleolitico superiore e finale di Francia, Italia e Spagna, in opere di glittica e di disegno o pittura; poi anche in talune figure neolitiche e delle civiltà mediterranee derivate dalla neolitica (come è,p. es., la serie di figure muliebri steatopigiche); e poco importa per la storia della caricatura la questione antropologica se sia o no riprodotta in quelle figure una razza speciale, boscimanoide, che in quei tempi taluni supposero presente in Europa e nel Mediterraneo. Ancor più vicini al concetto nostro della caricatura siamo forse col celebre graffito magdaleniano della "donna incinta", dove l'enorme rigonfiamento del ventre non ha giustificazioni, perché non è opera a sé stante, ma, mescolata ad altri segni e figure d'animali, fa parte dei prodotti eseguiti per esercizio manuale e per divertimento dell'artefice, senza scopo, come certo doveva alle volte accadere anche nelle primissime età dell'arte esercitata a scopo magico. Né bisogna poi dimenticare che grandissima parte della cosiddetta caricatura dei popoli antichi d'età storica in genere, dei popoli classici in ispecie, si manifesta ancora e sempre piuttosto come buffonata fallica e oscena, anziché come uso di elementi grotteschi con intenzione ironica.
Nelle antiche arti orientali troviamo dei precedenti di caricatura che ammettono l'ironia, la satira, e che usano le figure di animali in uffici o contrarî o sconvenienti alla loro natura; per la "scelta dì personaggi del mondo animale, con evidente riconoscimento di qualità caratteristiche di ciascuna specie e delle analogie col mondo umano, questo genere di rappresentazioni da un lato si riannoda alla favolistica, di origine anch'essa orientale e certo molto più antica dei documenti letterarî rimasti di essa, dall'altro profonda addirittura le sue radici in quella remotissima intimità maggiore con gli animali, propria dei selvaggi e dei primitivi (da cui le danze imitative, le idee e i culti totemistici, ecc.). Alla fantasia degli antichi dovette apparire come azione di effetto assai burlesco l'invertire, o semplicemente il contraddire la natura degli animali più noti. Ma per un altro verso queste rappresentazioni oltrepassano la vera caricatura e si avvicinano alla commedia in quanto l'animale rappresenta non un individuo ma un tipo.
A due papiri egizî di Torino e di Londra, noti da tempo, venne ad aggiungersi sulla fine del secolo scorso un nuovo papiro, oggi conservato al museo del Cairo, che non è semplicemente disegnato in nero come i precedenti, bensì a colori. Soggetti più notevoli sono: guerra di gatti e oche con sopravvento delle ultime; il re dei topi che espugna una fortezza di gatti (Torino); lupi pastori, gatti guardiani di oche, e un leone che gioca a scacchi con una gazzella (Londra); gatti che servono la regina dei topi, e fanno da balia alla topina, ecc. (Cairo). Sono tutti documenti relativamente tardi (XXXXII dinastia). È, crediamo, del tutto erronea l'interpretazione di queste figurazioni come vere caricature politiche di attualità sul tipo delle moderne, sostenuta dall'Ollivier-Beauregard (La caricature égyptienne, Parigi 1894); si tratta di scherzi in cui, per renderli più piccanti, al protagonista si fa talora assumere il tipo di un faraone (re dei topi espugnante la fortezza gattesca), ma indeterminato e senza allusione storica. Passano per caricature anche oscenità come quelle di un papiro della XX dinastia, che fu dato al morto, perché durante il viaggio d'oltretomba si divertisse con quelle figure; pure nel modo di rappresentare gli asiatici si vuole talora vedere una caricatura; si afferma in ispecie che gli Egizî avrebbero concepito i Siri come esseri semicomici: forse invece l'artista egizio intendeva soltanto caratterizzare drasticamente, sia pure con un certo sentimento di superiorità, gli altri popoli.
Quanto ai popoli classici, si hanno poche notizie letterarie di artisti greci; Pausia, ricordato con biasimo da Aristotele come colui che dipingeva uomini più brutti del vero, è ricordato anche da altri autori; di Bupalo e Atenide si riferisce che esposero a dileggio del poeta Ipponatte, uomo brutto, un ritratto di lui forse ancora più imbruttito. Più significativa è la notizia che Ctesiloco, scolaro di Apelle, fece un Giove in atto di partorire Bacco, con cuffia in testa e urlante per le doglie, mentre le dee attorno facevano opera di levatrice: questa era veramente una caricatura mitologica. Antifilo (v.) passa come autore di ρωπογραϕίαι (quadri di genere, di piccole cose) e inventore di γρύλλοι o caricature, ma anche qui per inventore bisognerà forse intendere applicatore fortunato e sistematico di un metodo già esistente.
In pratica, e a giudicare dalle serie monumentali superstiti, l'arte greca e romana non seguì l'indirizzo che a noi parrebbe riconoscere nell'eccezionale dipinto di Ctesiloco, benché su tale riconoscimento sia necessario fare ampie riserve. Ma, oltre al genere osceno, che era e continua in parte a essere fondamentale elemento del buffo, si sbizzarrì in due direzioni: innanzi tutto nello scherzo mediante forme animali, che risale ai precedenti egizî, o con forme miste di uomo e d'animale, che vanno sino al capriccio fantastico in una serie di pietre incise. Di questi scherzi si può citare una corniola con cani guidatori di cammelli, e una pittura di Ercolano con un grillo che guida un carretto tirato da un pappagallo. Talora mediante figure animali o a testa d'animale (quest'ultimo sembra un genere romano-egizio sorto non solo dai precedenti indigeni, ma altresì dall'impressione grottesca che facevano talune divinità egizie a testa d'animale) si giunge a una specie di caricatura per lo meno d'un fatto mitologico o leggendario, come nella nota pittura parodiante la fuga d'Enea con Anchise e Ascanio. In secondo luogo l'arte antica amò la rappresentazione di pigmei o nani deformi, isolati o in composizione. Bisogna distinguere due fasi nella rappresentazione della leggenda dei Pigmei combattenti con le gru; in principio, nella fase arcaica dell'arte greca, questi Pigmei erano raffigurati come piccoli uomini normalmente formati, e un certo effetto ridicolo si ricavava soltanto dal rappresentarli in combattimento con le gru piu alte di loro, e talvolta su di loro vincitrici. Nella fase posteriore invece prevalse il tipo del nano deforme, ordinariamente con grossa testa e, nelle figure maschili, con fallo esagerato; e con siffatti nani vennero identificati anche i leggendari Pigmei combattenti contro le gru. Di queste figure nane è giustamente celebre la statuetta in bronzo di danzatrice trovata a Mahdia presso Tunisi, alla quale sono da aggiungere alcune figure di pugilatori. Con pigmei deformi, ossia con figure di nanerottoli, si poteva pur giungere, e si giunse, a una specie di caricatura di fatti leggendarî o storici; e tanto meglio se tali fatti concernevano stranieri e genti d'altre razze come gli Ebrei o i Negri (cfr. Grace Beardsley, The Negro, passim), da cui i popoli classici volentieri traevano motivo di riso. Il più notevole esempio di tale maniera è la pittura pompeiana del Giudizio di Salomone; la quale, come caricatura, è imperfettissima, perché l'elemento giocoso consiste tutto nel concepire il fatto avvenuto in un popolo di pigmei a grosse teste e gambette inferme, tipo applicato monotonamente a tutti i personaggi senza distinzione di caratteri. È possibile che tale maniera di pigmeizzare o nanizzare i personaggi si riconnetta ai γρύλλοι di Antifilo; e non si può eliminare il forte sospetto che la pittura di Ctesiloco, la quale, nella succinta descrizione per cui ci è nota, potrebbe sembrare una caricatura nel senso moderno, fosse invece una composizione con figure nane, più vicina alla caricatura nostra solo per l'ufficio di levatrici compiuto dalle dee e per la cuffia di partoriente data a Giove.
Alla stessa categoria dei pigmei deformi appartiene la creduta caricatura di Caracalla, statuetta bronzea del museo di Avignone, rappresentante un venditore di focacce i cui lineamenti somigliano a quelli dell'imperatore. E all'altra categoria dei personaggi a testa d'animale appartiene il famoso graffito anticristiano della Domus Gelotiana sul Palatino, comunemente datato alla prima metà del sec. III dell'era nostra, ove si vede un uomo a testa asinina confitto sopra una croce, un giovinetto che lo venera e l'iscrizione 'Αλεξάμενος σέβετε [=σέβεται] ϑεόν (v. fig. a vol. IV, p. 951).
I vecchi studiosi annoverano, a torto, fra le caricature di età classica, alcune pitture vascolari che oggi è chiarito appartenere tutte alla ceramografia italiota: esse formano una classe speciale e rappresentano scene del mimo popolare, ossia dei fliaci (ϕλύακες; v. fliaciche, scene). Qui si può solo osservare che il costume dei personaggi maschili (per lo più un corto camiciotto di cuoio imbottito, riproducente con esagerazione le forme del corpo nudo e recante un grosso fallo posticcio della stessa materia) mostra quanto l'oscenità fosse ancora il fondamento del buffo o del comico nel teatro popolare. Non v'ha dubbio che molte di queste scene sembrann proprio caricature, e una delle più belle sarebbe di certo la scena di Aiace che fa la parte di Cassandra aggrappandosi allo xoanon, scena dipinta da Assteas (v.). Si nota qui il motivo buffo dell'inversione delle parti, che risale ai papiri satirici egizî e tuttora persiste nella parodia popolare e nella caricatura. Tuttavia quei dipinti non sono caricature, perché non furono inventati come opera indipendente di arte grafica, bensì riproducono scene che realmente venivano rappresentate sul teȧtro popolare. Essi mostrano, tutt'al più, le strette relazioni che corrono fra i due generi d'arte e la continuità della dipendenza della caricatura, dipinta o scolpita, dall'azione parlata e gesticolata; il che avviene sempre, idealmente, in quanto le figure disegnate dal caricaturista sono da lui immaginate in azione e spesso parlanti, completandosi il disegno con scritte appostevi.
Bibl.: Champfleury, Histoire de la caricature antique, Parigi 1865 (cfr.: id., Histoire générale de la caricature, Parigi 1865-1880), voll. 5 e supplem. del 1888); E. Fuchs e H. Krämer, Die Karikatur der europäischen Völker vom Altertum bis zur Neuzeit, Berlino 1901-1904, volumi 3.
La caricatura moderna. - La caricatura moderna, nel suo significato etimologico di caricare ossia di esagerare i caratteri fisionomici di una persona reale o immaginaria, ha la sua origine in Leonardo da Vinci; e da lui è nato il ritratto caricaturale in tutta la sua più comica e viva realtà.
Poche sono le caricature autentiche di Leonardo, e i due saggi più significativi sono i disegni conservati uno nella collezione della biblioteca di Christ Church a Oxford, l'altro nella raccolta della biblioteca di Windsor. Il primo è un ritratto d'uomo in busto voltato di profilo con un marcato prognatismo, che si è voluto identificare col ritratto di Scaramuccia capitano degli zingari che, come disegno di Leonardo, è ricordato dal Vasari. Il secondo comprende diverse teste virili eseguite a penna, fra le quali una di profilo con ghirlanda di quercia. Molte caricature attribuite a Leonardo furono incise da Venceslao Hollar fra il 1645 e il 1648, altre da Iacopo Sandrart nel 1654 e dal conte di Caylus nel 1730.
Bologna nel Seicento fu un centro interessante di caricaturisti sotto l'impulso di Annibale Carracci che nei suoi tocchi a penna conservati nella Biblioteca di belle arti di Parigi creò il tipo della caricatura a diversi personaggi, seguito poi da Giuseppe Maria Mitelli nelle sue stampe ora nella biblioteca dell'Archiginnasio a Bologna, alcune delle quali, come Gli accademici scontornati, che hanno preso a modello di nudo un gobbo, rivelano comicità esilaranti anche nelle espressioni dei diversi artisti seduti davanti al loro cavalletto. Lodovico Mattioli eseguì pure caricature a penna e le tre nella raccolta degli Uffizî con i numeri 4223, 4224 e 4225 rappresentanti: il medico al letto del malato, i pellegrini e il ciarlatano si sono volute piuttosto attribuire a Giuseppe Maria Crespi che illustrò Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Cesare Gennari in un disegno della raccolta degli Uffizî ci ha lasciato una significativa caricatura di un parroco alto e magrissimo.
Iacopo Callot a Firenze nel 1616 fece i disegni per le 21 acqueforti riunite sotto il titolo: Varie figure gobbi e stampate a Nancy nel 1622. Fra esse veramente caricaturale è il sonatore di violino, mentre in altre sue creazioni come I balli di Sfessania, in alcuni dei Capricci e soprattutto nell'elaborato disegno a penna negli Uffizî a Firenze con le Tentazioni di S. Antonio (n. 6127) ove è così evidente la derivazione da Girolamo Bosch, devia nel genere grottesco. Stefanino Della Bella ha lasciato qualche saggio di caricatura nella pubblicazione col titolo: Facétieuses inventions d'amour et de guerre pour le divertissement des beaux esprits. Fra queste invenzioni di lui, incise da Colignon, e che si compongono di 13 pezzi preceduti da un titolo e rappresentanti alcuni nani, è notevole soprattutto il ridicolo amoroso che fa un inchino alla brutta dama, la quale piena di sussiego lo guarda.
Anche il fiorentino Baccio Del Bianco ha messo in caricatura dei nani in una serie di gustosissimi disegni a penna e acquarellati a colori, conservati in una cartella nella raccolta degli Uffizî col titolo: Caricature, costumi e altre cose disegnate da Baccio Del Bianco pittore ed ingeniere fiorentino.
Roma ebbe un grande caricaturista in Gian Lorenzo Bernini, e il figlio Domenico nella vita del padre scriveva: "né devesi passar sotto silenzio l'havere ei singolarmente operato in quella sorte di disegno che comunemente chiamasi col nome di caricatura"; e, secondo il figlio stesso, molte di queste caricature si trovavano al principio del sec. XVIII nella Galleria di S. Pastore, villa della terra di Gallicano, residenza di domenicani.
Caricature del Bernini si trovano oggi nel Gabinetto dei disegni e delle stampe nella Galleria d'arte antica (Corsini) in Roma. Nel tratto un poco incerto della penna esse hanno quasi un'ingenuità infantile, ma affatto viva e personale è l'espressione di ciascuna testa.
A Roma nella prima metà del sec. XVIII era nella sua piena attività un artista che si dedicò con singolare talento alla caricatura, cioè Pier Leone Ghezzi. Fu scritto che lasciò alla sua morte una raccolta di 400 fogli venduta ai maggiori offerenti, nella quale erano caricature argute e somigliantissime di cardinali, principi, principesse e ambasciatori. A Roma, nel Gabinetto dei disegni e stampe della Galleria nazionale, si trovano diversi ritratti in caricatura da lui eseguiti e anche di persone ragguardevoli per cultura, che egli aveva occasione di conoscere sia nei trattenimenti musicali che dava nella propria casa, sia nella sua villeggiatura a Frascati.
Altre caricature del Ghezzi si conservano nella Biblioteca vaticana, nella raccolta Santarelli degli Uffizî a Firenze, nel Louvre, nel British Museum a Londra e nel Gabinetto delle stampe di Dresda.
A Giovanni Battista Tiepolo sono attribuite quattro gustose caricature a penna e seppia esistenti nella raccolta Giovanni Morelli a Bergamo, delle quali la migliore è forse quella che rappresenta un cavaliere baldanzoso seduto, che guarda con aria di sfida; ma il tocco non corrisponde ai disegni autentici del grande maestro veneto, ma piuttosto a qualche suo seguace.
Il caffè Michelangiolo a Firenze fra il 1848 e il 1866 fu il ritrovo preferito degli artisti, e in mezzo alle burle più salaci, ai progetti più arditi, nacque e si sviluppò la caricatura che, per opera specialmente di Angiolo Tricca, ritrasse i più assidui frequentatori col più sottile umorismo. Uno dei più colpiti fu Telemaco Signorini, ma la caricatura più celebre è rimasta quella spietata eseguita nel 1866 da Giovanni Boldini e che lo stesso Signorini definì un "mostro somigliantissimo". Lo scultore Adriano Cecioni, che fece parte del gruppo artistico del caffè Michelangiolo, fu originalissimo autore di caricature in terracotta, fra le quali si possono ricordare quelle del generale Alfonso Lamarmora e di Yorick (Pietro Ferrigni). In Inghilterra e a Firenze egli disegnò all'acquarello altre caricature non meno riuscite, fra cui una fatta al pittore Odoardo Borrani che era nella raccolta Checcucci, e della quale si trova una replica con piccole varianti nella raccolta degli Uffizî, proveniente dalla collezione di Vamba e con la scritta in basso: Cecioni all'amico Borrani.
Nel sec. XIX anche in Italia i giornali umoristici illustrati dettero impulso alla caricatura ma soprattutto alla satira politica e sociale. Il primo posto spetta al torinese Fischietto fondato nel 1847, poi viene il torinese Pasquino del 1859; ebbero entrambi larga diffusione. Un'attività straordinaria ebbe nel Pasquino il suo fondatore e direttore Casimiro Teja autore della maggior parte delle illustrazioni che criticavano la politica del momento, la moda e certe consuetudini; ma solo nei ritratti di uomini parlamentari si avevano esempî della vera caricatura. Prese anche sviluppo un nuovo tipo di caricatura: Il Pupazzetto, che, ideato da Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin), lasciò saggi in giornali quotidiani quali: il Capitan Fracassa, il Don Chisciotte, il Folchetto, e formò per diversi anni la delizia del pubblico che vi trovava sempre una sana e fresca sorgente di buon umore. Seguaci del genere instaurato da Gandoln furono Vamba (Bertelli), che nel 1890 aveva fondato L'O di Giotto, e Carlo Montani, che nel 1900 aveva fondato il Travaso delle idee. I più grandi attori e attrici del teatro italiano furono messi in caricatura da una falange di disegnatori italiani, specialmente in giornali come il Pulcinella di Napoli, Guerin Meschino di Milano, Musica e musicisti che si chiamò Ars et Labor del Ricordi, Travaso della Domenica, Verde e azzurro, Nuova Musica, Teatro illustrato, ecc.
Caricaturisti teatrali furono: Virgilio Camillo, Amerigo Cagnoni, Mata (Matarelli), Enrico Sacchetti, Prosperi, Lodovico Zambelletti, Ugo Valeri, Augusto Maiani (Nasica), Filiberto Scarpelli, Gamba, Umberto Tirelli, Romeo Marchetti, Antonio Negri, Arturo Bruno (Cintius), Filippo Mateldi, Pier Renato Pegoraro (Pe Ko), D. Gaido, ecc. Fra essi hanno senza dubbio un posto d'onore: Amerigo Cagnoni e Enrico Sacchetti, molto diversi nelle loro interpretazioni; il primo ha voluto sorprendere l'attore o l'attrice sulla ribalta e ha rappresentato anche una particolare scena in cui agivano nelle loro pose più caratteristiche Dina Galli, Zago, Novelli, Salvini, la Duse, ecc.; l'altro ha osservato unicamente l'uomo nella sua espressione e nel suo speciale atteggiamento e ci ha dato non soltanto ritratti vivacissimi di Virgilio Talli, Ferruccio Benini, Tommaso Salvini e altri, ma di giornalisti, fra i quali Jarro della Nazione, Carugati della Lombardia e Pozza del Corriere della Sera. Il suo segno sicuro evoca sempre la realtà più palpitante anche se a volte violentata dalla rude semplificazione. Vi furono caricaturisti, come Biadene (Bladinus) e Musini, che si occuparono di scrittori del teatro; Gabriele Galantara (Rata Langa) eseguì qualche gustosa caricatura di Claudio Leigheb in Bononia ridet diretto da Podrecca, ma si dedicò specialmente alla caricatura politica e sociale nel giornale L'Asino. Sempre elegante e comico nelle sue impressioni della vita contemporanea è il livornese Cappiello, uno dei più originali disegnatori di cartelloni, stabilitosi da diversi anni a Parigi. Anche attori coltivarono come dilettanti, la caricatura: Tellini, Mazzocca, Farulli, Galvani, Ruggeri, De Antoni, Giovannini, Ferravilla; la coltivarono anche il celebre tenore Caruso, Leonardo Bistolfi e il poeta Trilussa.
Mostre della caricatura italiana furono organizzate a Varese, Rivoli, Treviso, Firenze e recentemente, nel gennaio 1930, a Bologna per cura del circolo della stampa. Fra i caricaturisti contemporanei meritano di essere ricordati i nomi di A. Gianniotti (Lo Stradiotto), direttore, e di Ferruccio Chiurlotto (Fez) e di Vittorio Gasparotti (Gasparo), collaboratori del Sior Tonin Bonagrazia di Venezia. Altri caricaturisti italiani contemporanei sono: Aldo Mazza, Manca, G. Russo (Girus), Bisi del Guerin Meschino, Apolloni, Bompard, De Seta, Jonni, Onorato, Toddi del Travaso delle Idee; Musacchio, Camerini, De Rosa, Colmo (Golia), Novello, Mussino (Attilio), Rubino.
Se in Inghilterra nel sec. XVIII le caricature italiane raccolte e pubblicate da Arturo Pond nel 1744 e da Mattia Österreich nel 1750 e nel 1766 destarono un certo interesse e invogliarono gli artisti a cimentarsi in quel genere, ivi ebbe poi il sopravvento la satira artistica, politica e sociale i cui massimi interpreti furono: William Hogarth, il quale fece in casi isolati ritratti in caricatura come quello di Wilkes e Churchill, e Thomas Rowlandson, il quale creò un tipo o più tipi eminentemente comici che non erano il risultato di un'osservazione diretta della realtà individuale, ma della imaginazione o fantasia più o meno fervida dell'artista; così il suo famoso dottore Syntax precursore dell'umorismo inglese del periodo romantico che ebbe come esponenti: George Cruikshank e Robert Seymour, il primo dei quali sulle orme di Annibale Carracci rappresentò (The Comic Almanac, 1835-1843) una serie di personaggi, alterandone i lineamenti e le forme delle facce fino all'esagerazione. James Gillray fece della parodia grottesca disegnando Napoleone I come un pigmeo nel palmo della mano di Giorgio III, e dando a Fox la pinguedine di Falstaff e a Sheridan un becco di cicogna.
Intanto il numero dei disegnatori satirici andava sempre crescendo con James Sayer, William Bunbury, George Moutard Woodward e altri per arrivare fino al 1840, anno della fondazione del Punch; mentre diminuiva il numero dei veri caricaturisti.
Fra i disegnatori inglesi moderni, i più significativi ritratti in caricatura sono di H. M. Bateman, Kapp, A. Thompson, David Wilson, Bohum Lynch, Aubrey Hammond, Powys Evans, Tom Titt e George Whitelaw. Molte raccolte di ritratti in caricatura sono nei club di Londra.
La vera caricatura in Francia si affermò quando Carlo Philipon, il padre del giornalismo comico, fondò nel 1831 La caricature, che, soppressa nel 1833, fu sostituita da Le Charivari. Egli ebbe la fortuna di avere fra i primi collaboratori un artista della tempra di HonoréDaumier. Se nelle sue litografie politiche si scagliò con vigore polemico e sarcasmo contro Luigi Filippo e il suo govemo, se rilevò tutto il lato comico della vita parigina nelle strade e campagne, nei teatri e caffé, in treno, in omnibus, sulle spiagge, nelle aule dei tribunali, nelle esposizioni d'arte ecc., se fece delle parodie o allegorie, lasciò anche una ricca serie di ben 194 ritratti di uomini politici, pubblicisti, letterati, magistrati che sono del più alto interesse storico e artistico e rivelano un elevato spirito caricaturale. Rimasero al di sotto di esso artisti popolari pur eminenti come Gavarni, Traviès, H. Monnier e altri.
Un posto eminente di caricaturista spetta a Gustave Doré per i numerosi schizzi a penna e matita da lui eseguiti rapidamente fra l'aprile e il maggio del 1871, quando durante la Comune si rifugiò insieme con la madre a Versailles. Abbiamo qui i rappresentanti dell'assemblea nazionale che discutono dalla tribuna, con le parole da loro pronunziate scritte dall'artista stesso il quale ha voluto aggiungere a questi trionfatori del momento anche i vinti, gl'illusi e i ribelli.
Intanto più ci avviciniamo all'epoca contemporanea e più la satira artistica dei costumi sociali attira nella sua orbita non soltanto Forain, ma Abel Faivre, Hermann Paul, Steinlen, Ibels, Cham, Heidbrinck, Legrand, Caran d'Ache e altri. Qualche lieve accenno caricaturale troviamo in qualche ritratto di litografia di H. Toulouse-Lautrec e precisamente in quello di Yvette Guilbert pubblicato da Le Rire. Léandre fa caricature di regnanti e di uomini politici deturpandone le teste nelle pubblicazioni Musée des Souverains e Nos humoristes. Sem ci ha lasciato alcune gustose macchiette del grande mondo ebraico, e André Rouveyre offre i ritratti caricaturali di attrici e di scrittori nella loro più cruda realtà, raggruppandoli sotto il titolo di Carcasses divines. Edmond Dulac va pure ricordato per i suoi ritratti in caricatura fra i quali uno dei più riusciti è quello di Leone Bakst.
L'umorismo moralista e didattico di Hogarth, conosciuto attraverso le sue stampe sulla Vita del libertino, e la diffusione del libro pubblicato nel 1750 a Dresda in cui Mattia Österreich aveva raccolto e inciso le caricature del Ghezzi, risvegliarono anche in Germania il gusto caricaturale. Nel 1811 Voltz eseguì una caricatura del magro poeta e del grasso uomo di mondo, che ha analogie compositive e stilistiche, ma in tono minore, con lo scrittore ossuto e irascibile che si serve del cornetto acustico per parlare all'indiffente e panciuto editore in un bellissimo disegno di Rowlandson posseduto dal Norman in Firenze. Altri tipi caricaturati si vedono nelle illustrazioni nella Cronica di Eulenhausen, pubblicata a Norimberga nel 1822. Nella numerosa serie dei giornali umoristici, che s'inizia fin dal 1845 coi Fliegende Blätter, la tipica caricatura di un personaggio immaginario o reale diventa una rarità di fronte al genere illustrativo grottesco e satirico.
Si debbono considerare ritrattisti caricaturali Eduard Grützner e Olaf Gulbranson, i quali sono stati collaboratori artistici, l'uno della Bühne und Welt di Berlino, l'altro del Simplicissimus, giornale che nell'umorismo moderno ebbe la palma su tutti gli altri tedeschi.
I giornali austriaci come il Kikeriki, Neue Fliegende, Humoristische Blätter, Wespen, Bombe, Wiener Karikaturen non hanno una spiccata impronta di razza perché sono rimasti attaccati, nello scorcio dell'Ottocento, agli esempi grafici francesi nell'illustrare il mondo popolare e l'equivoco. La società degli artisti viennesi sotto il titolo di Zwenglose Schönheits-Galerie ha riprodotto ritratti caricaturali dei suoi più autorevoli membri.
Eminentemente polemico è il caricaturista politico spagnolo Felix Elias Bracons (Apa), collaboratore del giornale illustrato Iberia di Barcellona ove durante la guerra, fra il 1915-16, svolse la sua opera di disegnatore.
Se i giornali come il Klaud Hans di Copenaghen e il Korsaren di Cristiania avevano dedicato qualche caricatura mediocre alla Duse che potrebbe passare sotto silenzio, in tempi più recenti i giornali americani The New Yorker e The New York World dettero qualche significativo esempio di ritratto caricaturale per opera di Giacomo House il Giovane e di Alfredo Frueh.
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