Gravina, Carla
Attrice cinematografica e teatrale, nata a Gemona (Udine) il 5 agosto 1941. Aliena da qualunque forma di divismo, ha portato nella sua recitazione la trasparenza e la schiettezza che le sono proprie, mantenendo, anche negli anni della maturità, una sorta di candore adolescenziale. La sua è stata una carriera divisa in due: acerba interprete di commedie sentimentali, dopo una lunga sosta è tornata sugli schermi con ruoli completamente diversi, temprata dalle esperienze di teatro e di vita. Ricevuto al Festival di Cannes il premio come migliore attrice non protagonista per La terrazza (1980) di Ettore Scola, è stata premiata come migliore attrice protagonista al Festival di Montréal per Il lungo silenzio (1993) di Margarethe von Trotta.
A Roma, dove si era trasferita nel 1954 con la famiglia, quando era ancora studentessa di liceo fu scoperta da Alberto Lattuada, che le affidò una piccola parte in Guendalina (1957). Dopo aver frequentato per breve tempo il Centro sperimentale di cinematografia, recitò in ruoli di angelica 'fidanzatina' in una serie di commedie sentimentali, facendo coppia con il coetaneo Geronimo Meynier nel fortunato Amore e chiacchiere ‒ Salviamo il panorama (1957) di Alessandro Blasetti (per il quale fu premiata come migliore attrice protagonista al Festival di Locarno), e nel successivo Primo amore (1959) di Mario Camerini. Confermò questa delicata immagine di purezza sia come valletta della più famosa trasmissione televisiva dell'epoca (Il musichiere), sia in alcuni importanti lungometraggi, quali I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, Policarpo, 'ufficiale di scrittura' (1959) di Mario Soldati ed Esterina (1959) di Carlo Lizzani. Si misurò poi con ruoli più complessi in Jovanka e le altre (noto anche come Five branded women, 1960) di Martin Ritt, Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini e Un giorno da leoni (1961) di Nanni Loy. Nel frattempo era iniziata la sua 'chiacchierata' relazione con Gian Maria Volonté, in seguito alla quale rimase quasi del tutto assente dagli schermi per sette anni. In questo periodo si dedicò soprattutto al teatro, dove meglio si sarebbero manifestate le sue capacità espressive, e interpretò diversi sceneggiati televisivi tratti da opere letterarie.
Fece poi ritorno al cinema alla fine degli anni Sessanta con personaggi ben diversi da quelli del decennio precedente, come la moglie di un fuorilegge in Banditi a Milano (1968) di Lizzani, la borghese annoiata che si allea con i terroristi nel 'sessantottesco' Cuore di mamma (1969) di Salvatore Samperi, l'energica cassiera di Alfredo, Alfredo (1972) di Pietro Germi, che sostiene insieme al protagonista (Dustin Hoffman) l'estenuante battaglia per il divorzio. Figura simbolo del femminismo, è divenuta personaggio significativo del cinema d'impegno con I sette fratelli Cervi (1968) di Gianni Puccini, Sierra Maestra (1970) di Ansano Giannarelli, Maternale (1978) di Giovanna Gagliardo. Nella prima metà degli anni Settanta ha lavorato anche in Francia con registi come Philippe Labro, Claude Lelouch, Yves Robert, José Giovanni; è apparsa inoltre in numerosi sceneggiati televisivi, compreso il famoso Il segno del comando (1971) di D. D'Anza, in cui interpreta un personaggio oscuro, che in qualche misura ha riproposto anche sul grande schermo (l'indemoniata Ippolita di L'Anticristo, 1974, un popolare b-movie di Alberto De Martino). Dopo La terrazza si è dedicata sempre di più al teatro e all'impegno politico, tornando sul set per Il lungo silenzio. A partire dal 1994 ha interrotto ogni attività artistica.
S. Masi, E. Lancia, Carla Gravina, in Stelle d'Italia. Piccole e grandi dive del cinema italiano 1945-1968, Roma 1989, pp. 82-84.