FABRONI, Carlo Agostino
Nacque a Pistoia il 28 ag. 1651 da Nicola e Lucilla Sozzifanti, due membri della piccola nobiltà cittadina.
Studiò presso gli oratoriani della sua città e, nel 1668, pubblicò quale primo frutto dei suoi studi una raccolta di epigrammi latini: Romani Caesaris Corona ... (Pistoiae 1668), dedicandola a Felice Rospigliosi, nipote di papa Clemente IX. Con i Rospigliosi il F. aveva rapporti di parentela, così come col cardinale Bandino Panciatici. Furono queste relazioni, probabilmente, a incoraggiarlo a recarsi a Roma, dove usufruendo di una delle borse di studio istituite dal cardinale J. De Lugo, il 24 apr. 1668, entrò nel Collegio Romano dei gesuiti. Vi studiò teologia e storia ecclesiastica e nel 1671 poté tenere il discorso di Pentecoste davanti a Clemente X: l'Oratio de D. Spiritus adventu ... (poi pubblicata: Romae 1671). Il F. tuttavia terminò i suoi studi a Pisa, dove si laureò in teologia e diritto canonico il 15 apr. 1675. In quel periodo conobbe il cardinale Enrico Noris ed entrò in corrispondenza col granduca di Toscana Cosimo III, che lo avrebbe voluto trattenere nella sua università. Ma il F. preferì tornare a Roma. Precettore presso il palazzo di Felice Rospigliosi, fu introdotto nei circoli culturali e letterari della città. A quest'epoca risale la sua amicizia, durata tutta la vita, con Giovanni Francesco Albani, un rapporto che si consolidò specialmente quando l'Albani, divenuto segretario ai brevi (1687), poté contare più volte sul suo aiuto. Il F. ebbe modo inoltre di farsi apprezzare prestando la sua opera di giureconsulto a Giacomo Cantelmo, arcivescovo di Napoli, impegnato contro le autorità civili partenopee in dispute intorno all'Inquisizione. Segnalatosi per la sua cultura e la sua efficienza, appoggiato dal Panciatici, ottenne da Innocenzo XII la nomina a segretario dei memoriali, carica di responsabilità e che introduceva alla confidenza col papa.
Iniziò così una brillante carriera. Il 26 sett. 1695 fu nominato segretario di Propaganda Fide, il 29 settembre referendario delle due Segnature e, dopo un mese, entrò nella Penitenzieria apostolica. Nel 1697 divenne abbreviator de Curia, nel 1701 qualificatore al S. Offizio, nel 1702 sigillator litterarum alla Penitenzieria. Il 17 maggio 1706, infine, fu creato cardinale col titolo di S. Agostino. Numerosissime le questioni di cui ebbe a occuparsi. Curò il riassetto amministrativo della Propaganda Fide; si interessò alla politica urbana, facendo tra l'altro chiudere il teatro di Tor di Nona (e attirandosi proteste e pasquinate); partecipò alla controversia sui riti cinesi, schierandosi in difesa dei gesuiti: posizione che avrebbe poi costantemente sostenuto anche in seguito, come quando da cardinale cercò di contrastare la costituzione Ex illa die (1715).
Il F. fu infatti sempre amico e alleato della Compagnia di Gesù, e non ci fu battaglia politica o dottrinale che non lo vide suo prezioso e infaticabile collaboratore. Condivideva innanzitutto le teorie gesuitiche sulla spinosa questione della "grazia", considerando le tesi moliniste come l'unica ortodossia accettabile per la Chiesa. E fu su questo terreno che condusse gli scontri più aspri, in particolar modo contro i giansenisti.
Come segretario di Propaganda Fide fu chiamato a occuparsi di Pietro Codde, il vicario della provincia d'Olanda sospettato di simpatie gianseniste. Nel 1696 il suo catechismo olandese era stato assolto dal S. Offizio, ma nel 1698 il Codde aveva inviato a Roma alcuni memoriali accusando i gesuiti di diffamarlo. Il F., che non si fidava dell'antigiansenismo del S. Offizio, colse l'occasione per riaprire il caso e farvi partecipare la sua congregazione. Ottenne infatti la costituzione di una commissione mista, metà S. Offizio e metà Propaganda Fide, che si insediò il 26 apr. 1698 e di cui egli era segretario. Al suo interno riuscì a creare un equilibrio nettamente antigiansenista, anche se le successive nomine di G. Casanate, T.M. Ferrari e G. Sagripanti, e l'assunzione di C. Sperelli in qualità di cosegretario turbarono un po' i suoi piani. Fu deciso di chiamare il Codde a Roma; e il 25 sett. 1699 il F. gli scrisse una lettera di convocazione formalmente molto gentile. In realtà stava architettando più di una manovra contro dì lui; nello stesso tempo, infatti, aveva scritto anche all'internunzio a Bruxelles, G. B. Bussi, dicendogli di sostituire subito il Codde col suo grande avversario T. De Cock, e, approfittando del ritardo impiegato dal vicario per raggiungere Roma, si affrettò a raccogliere quanto più materiale possibile per accusarlo di eresia. Codde giunse solo nel dicembre 1700.
Morti nel frattempo il Casanate e lo Sperelli, il F. era divenuto membro anche del S. Offizio, e poté così, insieme con l'Albani, dare inizio al suo attacco da posizioni di forza. L'11 marzo 1701 si riunì la commissione. Il F., che aveva intanto inviato nuovamente il catechismo olandese all'esame del S. Offizio, condusse tutti gli interrogatori del Codde, che si protrassero fino al maggio, curando l'istruttoria in modo estremamente energico e ponendo al vaglio un'infinità di questioni teologiche. L'inquisito risentì non poco nel morale dell'andamento battente del processo, tanto che alla fine chiese, e ottenne, di poter rispondere per scritto alle varie domande. Il F. redasse allora un questionario con ventisei quesiti sui principali temi della controversia giansenista e, nel giugno 1701, lo presentò al Codde. Durante tutta l'estate questi fu impegnato a redigere le risposte; ma il 15 ottobre fu deciso improvvisamente di convocare la commissione, senza ascoltare le sue richieste di proroga. Dovette dunque affrettarsi a finire le sue Responsiones (Romae 1701), dando alla luce contemporaneamente una Declaratio (ibid. 1701) in cui riassumeva le risposte date ai precedenti interrogatori. Il F. non aspettava che quei testi per mettersi alacremente a caccia di qualche proposizione ereticale. Il 18 dic. 1701 sostenne in commissione la necessità di vietare il ritorno dei Codde in Olanda e dì esaminare con ogni cura le sue risposte. Quest'ultima proposta fu accettata; fu invece respinta la richiesta di imporre all'olandese la sottoscrizione del formulario antigiansenista. Il F. non riuscì neppure a impedire che il Codde tornasse in patria (febbraio 1703); ma un primo significativo successo lo colse il 7 maggio 1702, quando Clemente XI depose il vicario sancendo in sua vece la nomina del De Cock. Questa decisione sollevò in Olanda una generale protesta del clero, che trovò un valido alleato nel potere civile schieratosi in difesa del Codde.
Da un punto di vista politico, la grave situazione creatasi costituiva una grossa sconfitta per la S. Sede. Il F., forse sentendosene responsabile, preferì allontanarsi da Roma per qualche tempo, ma aveva tutt'altra intenzione che di abbandonare la battaglia: il suo obiettivo rimase la condanna definitiva del Codde per eresia, e per questo sì batté strenuamente nella commissione, esercitando contemporaneamente forti pressioni sul papa e sul segretario di Stato F. Paolucci. Alla fine la spuntò, anche grazie a una manovra scorretta e non del tutto chiara. Elaborò infatti, insieme con il Paolucci, un breve che condannava come eretici gli scritti del Codde e, scavalcando completamente il S. Offizio, lo sottopose infine alla firma del papa (3 apr. 1705).
Un'altra grande battaglia del F. fu quella in favore di Fénelon e del suo libro Explication des maximes des saints (Paris 1697). Era sorta infatti un'accesa disputa tra l'autore e il Bossuet su varie questioni teologiche: Roma era stata chiamata a pronunciarsi in merito e una congregazione cardinalizia era stata insediata a questo fine. Lo scontro coagulò subito più ampi schieramenti intorno alle parti: la maggioranza degli Ordini religiosi, gesuiti, zelanti, antigallicani e antigiansenisti stavano con Fénelon. Il F., incaricato da Innocenzo XII di seguire la vicenda, fu tra i più attivi. All'inizio del 1698 ottenne che fossero integrati nella congregazione i fidati N. Rodolovic e P. L. Ledrou. Quando poi, all'inizio del 1699, caduto in disgrazia Fénelon presso Luigi XIV, la sua condanna apparve imminente, il F. insieme con l'Albani continuò a darsi da fare, opponendosi al progetto di far stilare un decreto di condanna al cardinale Casanate. Il 15 febbraio tentò ancora una mediazione. Chiusosi per ore nella casa professa dei gesuiti, elaborò febbrilmente con i teologi della Compagnia un piano che prevedeva l'approvazione di solo alcuni canoni del libro, dei quali si sarebbe dovuto specificare il senso in cui potevano essere accettati; sul resto ci si sarebbe limitati a tacere, evitando così la condanna e fermandosi a una semplice proibizione. Ma a fine febbraio Innocenzo XII bocciò il disegno. In extremis, ilF. tentò ancora di convincere il papa ad esautorare la commissione giudicante e ad avocare tutto a sé; ma fu inutile, e il 12 marzo il libro fu condannato. Il F. e i suoi amici, però, riuscirono ad evitare che nella sentenza venisse formulata l'accusa di eresia e che venissero usati termini troppo duri ed estremi.
Il F., che era stato in stretto contatto con l'abate Gabriele de Chanterac, emissario di Fénelon, aveva intanto iniziato con questo un'assidua corrispondenza che sarebbe durata ancora molti anni. Nel 1704 Fénelon gli inviò il suo Mandement sur le cas de conscience, e più volte ebbe modo di esporgli il suo punto di vista sull'organizzazione della Chiesa e sulle grandi questioni dottrinali. Il F. dal canto suo non mancò di criticare Fénelon, anche aspramente, ritenendo che nella sua difesa dell'infallibilità della Chiesa concedeva troppo al corpo dei vescovi e troppo poco alla persona del papa. Per il F., tenace assertore dell'infallibilità pontificia, era inammissibile che i vescovi potessero giudicare in materia di fede in modo indipendente e autonomo da Roma. All'inizio del 1710 Fénelon volle anche inviargli uno scritto con sue considerazioni sulla Chiesa e sui mali della Curia (Jovy, Fénelon inédit, App., pp. 372-426), che però il F., forse reputandolo inopportuno, preferì mantenere segreto. I rapporti tra i due, raffreddatisi in seguito alle divergenze dottrinali sull'infallibilità papale e i poteri dei vescovi, tornarono poi a rinsaldarsi di fronte al comune impegno antigiansenista. Ben presto il F. si affermò come uno degli uomini di maggior spicco nella lotta condotta da Roma contro il giansenismo, e Clemente XI si rivolse costantemente a lui, considerandolo il massimo esperto in materia.
Nel 1703, quando P. Quesnel fu arrestato a Bruxelles, il F. fu tra i più attivi perché i documenti di questo, tra cui il carteggio di Arnauld, fossero trasferiti a Roma onde poterli utilizzare per compromettere e colpire i filogiansenisti. Fu lui a esaminare il libretto del Périer sul Cas de conscience e a stilare, nel giro di due giorni, il breve di condanna Cum nuper (12 febbr. 1703); così opera sua furono i brevi di accompagnamento del decreto per Luigi XIV e l'arcivescovo di Parigi, cardinale L. A. de Noailles. In Francia però sorsero vari dubbi sulla natura della sottomissione da esprimere col formulario e il re, in parte per ragioni politiche, in parte perché sottoposto alla continua pressione del confessore M. Le Tellier e della Maintenon, chiese al papa una nuova bolla che facesse chiarezza su quel punto. Ancora il F. fu chiamato ad occuparsene, e fu lui il principale artefice della Vineam Domini (15 luglio 1705).
Sconfitte le posizioni più moderate di L. Casoni, vennero riprese tutte le condanne antigianseniste già espresse dai precedenti pontefici e ribadita una linea di assoluta intransigenza, dichiarando necessaria un'aperta e incondizionata adesione al formulario. Opera del F. furono anche le lettere di accompagnamento della bolla al re e all'assemblea del clero francese. In Francia però il movimento giansenista rimase forte e vitale, e l'assemblea del clero del 1705 ripropose le istanze gallicane e di autonomia da Roma sulle questioni dottrinali. La bolla fu accettata, ma con molte difficoltà e con scarsa efficacia.
Non erano ancora sopite le varie questioni sollevate, quando si profilò un nuovo duro scontro tra il F. e Noailles. Un memoriale dell'arcivescovo sugli atti e le dottrine dell'assemblea del 1705 era stato giudicato lacunoso a Roma e, nel marzo 1708, gli si chiesero nuove delucidazioni sulla sua adesione alla politica papale. Nella risposta, un polemico accenno ai seminatori di zizzania fu interpretato dal F. come un attacco personale. Consigliò pertanto il papa di respingere la lettera e di chiederne una più precisa. Anche il Noailles allora si irrigidì, opponendo un rifiuto. Come conseguenza, il 13 luglio 1705, auspice il F., arrivò la condanna delle Réflexions morales del Quesnel, libro in un primo tempo approvato dal vescovo francese. In Francia la lotta tra le diverse fazioni riprese con grande vigore. Nel 1711, Luigi XIV, deciso a stroncare il giansenismo ma timoroso di una spaccatura nel clero, fece chiedere dal suo rappresentante a Roma, cardinale J. E. de La Trémoille, una nuova bolla che meglio precisasse la condanna delle Réflexions. Di nuovo fu il F. ad assumere l'incarico. Non a caso fu a lui, prima ancora che al tentennante Clemente XI, che si rivolse il Trémoille; e con lui, sollecitandolo e incoraggiandolo, furono costantemente in contatto il Le Tellier e G. Daubenton per tutto il tempo della preparazione della bolla. A tal fine si costituì dapprima una commissione di teologi, che si riunì ventidue volte dal 6 giugno al 22 dic. 1712, sotto la presidenza del F. e di T. M. Ferrari, e poi una commissione cardinalizia che tenne ventitré riunioni dal 9 febbraio all'8 ag. 1713, per esaminare centocinquantacinque proposizioni tratte dal libro del Quesnel. Il F. si batté sempre per le formulazioni più severe e per il massimo allargamento della condanna. Quando questa, alla fine, fu decisa per cento e una proposizioni del libro, fu lui a redigere la bolla, sempre servendosi dei suggerimenti del Le Tellier e del Daubenton. Pronta l'8 settembre, la Unigenitus Dei Filius fupubblicata il 10 sett. 1713. Se furono infondati i sospetti secondo cui il F. avrebbe imposto la costituzione al papa, o lo avrebbe tenuto all'oscuro del suo contenuto, è senza dubbio lecito però considerare la Unigenitus una sua creazione.
La reazione dei giansenisti fu estremamente vivace; e innumerevoli strali polemici si appuntarono contro di lui. Per primo, A. Philopald pubblicò la Lettre d'un évèque de France à Monseigneur le Cardinal Fabroni sur la constitution Unigenitus (s.l. 1714); ma fu solo l'inizio di una lunga serie di scritti e libelli che non gli risparmiarono le più dure critiche (su di essi si veda Ceyssens, Autour de l'Unigenitus, pp. 77 s.).
In Francia sorsero difficoltà e polemiche nell'assemblea del clero (1714), dove Noailles e altri otto vescovi rifiutarono la bolla insistendo per avere ulteriori spiegazioni dal papa, e altri ostacoli si presentarono per la sua accettazione alla Sorbona e nel Parlamento di Parigi. Ma anche di fronte a questa nuova conferma del fallimento della linea rigorista, il F. non abbandonò le sue inflessibili convinzioni, né perse la fiducia di Clemente XI. Fu ancora lui, infatti, a essere scelto per trattare con T. de La Fleche, inviato a Roma nel gennaio 1714 dal cardinale A. G. de Rohan, per far approvare il testo dell'indirizzo pastorale che avrebbe dovuto accompagnare la Unigenitus. Parimenti, un anno dopo, fu chiamato a condurre i negoziati con l'ambasciatore francese M. Amelot. Giunto a Roma il 9 genn. 1715, l'Amelot, su incarico di Luigi XIV, doveva sostenere il progetto di Fénelon per pacificare la Chiesa di Francia, attraverso la convocazione di un concilio nazionale che, punendo il Noailles e gli altri ribelli, avrebbe sancito l'accettazione della Unigenitus. Ma Roma temeva l'idea di un concilio, e avrebbe voluto decisamente evitarlo; il F., per poter colpire il Noailles senza urtare le prerogative gallicane, propose addirittura che il re togliesse all'arcivescovo lo status di francese. Avendo fatto rilevare l'Amelot l'impraticabilità dì tale trovata, ripiegò su un'altra soluzione. Il papa avrebbe spedito due brevi, uno duro e intimidatorio, l'altro più cauto e conciliante. Se il Noailles avesse accettato di sottomettersi al primo gli si sarebbe allora consegnato anche il secondo. La proposta fu accolta; ma Luigi XIV volle che fosse presentato subito e solo quest'ultimo breve; e l'arcivescovo non esitò a opporre un netto rifiuto. La situazione si trovò di nuovo a un punto morto e le trattative tra Amelot e il F. ristagnarono. Nell'estate 1715 Roma divenne più possibilista circa il concilio; ma Clemente XI, che voleva comunque ribadire la propria supremazia sui vescovi francesi, pensava di farlo convocare da un suo nunzio. Versailles rifiutò, e Amelot tornò in Francia.
Negli anni seguenti il F. continuò a mantenersi arroccato sulla linea della più dura intransigenza. L'abate Chevalier, inviato dal reggente Filippo d'Orléans a Roma (1716-1717), incontratosi più volte con lui, constatava amaramente: "ne me parla que de la nécessité de reconnaître l'ìnfallibilité du Pape, rejetant sans exception toute proposition d'accomodement" (Carreyre, I, p. 96). Il F. fu tra gli estensori della Pastoralis Officii (28 ag. 1718), la bolla che scomunicava i vescovi appellanti; e non mancò di criticare le posizioni degli antigiansenisti francesi reputandole, a volte, non del tutto in linea con Roma. Quando, nel 1721, si trattò di esaminare l'ordinanza con cui il Noailles avrebbe infine accettato la Unigenitus, non mancò di sottoporla a critica serratissima, giudicandola inadeguata e troppo gallicana. Si batté anche perché il cardinale francese fosse escluso dal conclave seguito alla morte di Clemente XI (1721). In esso, il F. fu capo degli zelanti. Proprio temendo una sua possibile nomina a segretario di Stato, la Francia si oppose alla candidatura del Paolucci. Il F., dal canto suo, contrastò strenuamente l'elezione dì Michelangelo Conti, che considerava filogiansenista, e col suo gruppo sostenne F. Spada; solo alla fine, e per ultimo, si lasciò convincere ad accettare il futuro Innocenzo XIII.
Tuttavia, morto Clemente XI e attenuatasi la polemica antigiansenista, il F. entrò nell'ombra. Ancora nel 1724, nel conclave che elesse Benedetto XIII fu a capo degli zelanti, e di nuovo le potenze osteggiarono quei candidati che avrebbero potuto crearlo segretario di Stato. Il F. avversò F. Olivieri, la cui nomina era appoggiata dalla Francia, perché temeva che, in cambio, il cardinale si sarebbe impegnato a revocare la Unigenitus; finché fu possibile sostenne invece con fervore A. Albani, finendo poi, anche se non del tutto convinto, per votare P. F. Orsini.
Con Benedetto XIII i suoi rapporti non furono buoni e si guastarono quando, l'11 genn. 1725, si oppose decisamente alla nomina cardinalizia dei disonesto favorito papale Nicola Coscia. Negli ultimi anni preferì spesso vivere ritirato a Pistoia. Morì a Roma il 19 sett. 1727.
Uomo colto, frequentatore della Biblioteca Vaticana, lasciò la sua biblioteca alla città di Pistoia. In essa, tra l'altro, si trova una ricca documentazione di grande importanza per lo studio della querelle giansenista (sulla Biblioteca Fabroniana si veda, oltre a Jovy, Fénelon inédit, A. Zanella, Inventario dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, I, Forlì 1891, pp. 268-277). Il F., nei quattro decenni vissuti nella Curia romana, ebbe a occuparsi di quasi tutti i principali affari che videro impegnata la S. Sede. Da cardinale prese parte a numerose congregazioni: S. Offizio, Vescovi e Regolari, Riti, Esame dei vescovi, Propaganda Fide, Disciplina dei regolari, Indulgenze, Visita apostolica, Residenza dei vescovi; fu prefetto della congregazione dell'Indice, protettore dei canonici lateranensi e dei vallombrosiani. Ma la sua importanza è inevitabilmente connessa col ruolo di principale artefice della politica antigiansenista della Chiesa sotto Clemente XI. Dotato di indubbie doti di rettitudine e capacità organizzativa, i suoi avversari lo considerarono uomo venduto ai gesuiti e anima nera del papa, ma ben altri personaggi - anche molto lontani dal giansenismo - giudicarono negativamente la sua intransigenza, reputandola assai prossima al fanatismo: tali furono T. de La Fleche, P. G. de Tencin, l'Amelot, G. Dubois, il Saint-Simon e, non ultimo, il Fénelon, che così scriveva del F. al duca di Chevreuse: "me paroit plus vif que solide théologien et homme d'affaires" (Correspondance, I, p. 336).
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Borg. lat. 245, f. 24v; 481, f. 148; 483, ff. 435-441; 499, f. 142; 503, f. 72; 730, f. 102; 941, f. 426; Vat. lat. 7500, f. 188; 8375, ff. 50-493; 8430, f. 421; 8875, f. 97; 10738, f. 178. Ricco di indicazioni bibliografiche è L. Ceyssens, Autour de l'Unigenitus. Le cardinal Charles-Augustin F. (1651-1727), in Bull. de l'Institut historique belge de Rome, LII (1982), pp. 31-82. Vedi inoltre: M. Guarnacci, Vitae, et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium a Clemente X usque ad Clementem XII, II, Romae 1751, coll. 121-124; Novelle letterarie, XXVI (1765), col. 172; XXVII (1766), col. 116; XXVIII (1767), coll. 625 s.; G. Moroni, Diz. dierudiz. storico-eccles., XXII, Venezia 1866, pp. 278 s.; V. Capponi, Bibliografia pistoiese, Pistoia 1874, pp. 148 s.; Id., Biografia pistoiese o Notizia della vita e delle opere dei pistoiesi, Pistoia 1878, pp. 159 ss.; G. Beani, Il cardinale C.A.F., pistoiese. Notizie storiche, Prato 1916; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 2-XV, Roma 1962, ad Indicem; B. Neveu, "L'aria di quà delle Alpi" impressions septentrionales de Lorenzo Casoni (1677-1679), in Jansénius et le jansénisme dans les Pays-Bas. Mélanges Lucien Ceyssens, a cura di J. van Bavel - M. Schrama, Leuven 1982, p. 119.
Sull'attività nella Curia romana e in particolare sull'impegno antigiansenista del F.: Journal de M. l'abbé Dorsanne ... contenant toute ce qui s'est passé a Rome & en France dans l'affaire de la Constitution Unigenitus, Rome 1753, passim; P. Tosini, Storia e sentimento dell'abbate Tosini sopra il giansenismo, Roma 1727, I, pp. 247, 357; II, pp. 166 ss., 170 ss., 174, 201, 268 s., 279; P. F. Lafiteau, Istoria della costituzione Unigenitus Dei Filius, I, Roma 1794, pp. 268, 294; II, ibid. 1795, pp. 69, 195, 271; H.-F. d'Aguesseau, Oeuvres..., VIII, Mémoires sur les affaires de l'Église de France, a cura di M. Pardessus, Paris 1819, pp. 291-300; Mémoires du duc de Saint-Simon, a cura di M.M. Chéruel-A. Regner, X-XIV, XVIII-XIX, XXI, Paris 1871-1881, ad Indicem; Correspondance de Pasquier Quesnel, I-II, a cura di A. Le Roy, Paris 1900, ad Indicem; Négociation de M. Amelot, in P. Féret, La faculté de théologie de Paris et ses docteurs les plus célèbres, VI, Paris 1909, pp. 369-403; Recueil des instructions données aux ambassadeurs et ministres de France..., XVII, Rome, a cura di G. Hanotaux, II, Paris 1911, pp. 423 s.; C. Bentivoglio, Istoria della costituzione Unigenitus, a cura di R. Belvederi, Bari 1968, ad Indicem; L. Ceyssensj, A. G. Tans, L'Unigenitus à Rome (1712- 1713). Les jugements théologiques sur les 155 propositions de Quesnel dénoncées au Saint-Office, in Lias, VIII (1987), pp. 1-77; F. Petruccelli Della Gattina, Histoire diplomatique de conclaves, III, Bruxelles 1866, pp. 9, 12, 17, 30, 40, 47; A. Le Roy, La France et Rome de 1700 a 1715. Histoire diplomatique de la Bulle Unigenitus jusqu'à la mort de Louis XIV, Paris 1892, ad Indicem; V. Thuillier, Rome et la France. La seconde phase du jansénisme, a cura di A. M. P. Ingold, Paris-Lyon 1902, pp. 54, 127, 143, 145; A. Arata, Ilprocesso del card. Alberoni, Piacenza 1923, ad Indicem; J. Carreyre, Le jansénisme durant la Régence, I-II, Louvain 1929-1933, ad Indicem; Id., Quesnel et le quesnellisme, in Dict. de théologie catholique, XIII, 2, Paris 1937, coll. 1512, 1522, 1532, 1534; E. Dammig, Ilmovimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, ad Indicem; R. Belvederi, L'abate P. M. Tosini e i suo pensiero storico-politico, in Nuove ricerche storiche sul Giansenismo. Analecta Gregoriana, LXX (1954), pp. 153, 155; L. Ceyssens, Suites romaines de la confiscation des papiers de Quesnel, in Bull. de l'Institut historique belge de Rome, XXIX (1955), p. 11; E. Appolis, Entre jansénistes et zelanti. Le "tiers parti" catholique au XVIIIe, siecle, Paris 1960, ad Indicem; A. Caracciolo, Domenico Passionei tra Roma e la repubblica delle lettere, Roma 1968, ad Indicem; L. Mezzadri, Fra giansenisti e antigiansenisti. Vincent Depaul e la Congregazione della Missione (1624-1737), Firenze 1977, ad Indicem; B. Neveu, La correspondance romaine de L.P. Du Vaucel, in Actes du Colloque sur le jansénisme organisé par l'Academia Belgica, Roma 2-3 nov. 1977, Louvain 1977, pp. 129, 142 s. Sul caso Codde: RomeinseBronnen voor de Kekkelijke toestand der Nederlanden onder de Apostolischevicarissen, 1592-1727, III, a cura di J. D. M. Polman, 's-Gravenhage 1952, ad Indicem; L. Mozzi, Storia delle rivoluzioni della Chiesa di Utrecht, I, Venezia 1787, pp. 319, 337, 346, 348-354, 358, 361 s., 396. Suirapporti col Fénelon, oltre al libro di E. Jovy, Fénelon inédit d'après les documents de Pistoia, Vitry-le-François 1917, si veda: F. Fénelon, Corrispondance, a cura di A. Caron, I-XI, Paris 1827-1829, ad Indicem; J. B. Bossuet, Correspondance, a cura di C. Urbain-E. Levesque, Paris 1914-1920, VIII, pp. 231, 392, 403, 417; IX, pp. 40, 115, 133, 140, 160, 200, 204, 208, 257, 324, 345, 352, 359, 370, 380; X, pp. 50, 214, 383; XI, pp. 28, 62, 78, 183, 190, 198, 203 ss., 209, 214, 228, 236; XIV, pp. 201, 211; A. Griveau, Étude sur la condamnation du livre des Maximes des saints, I, Paris 1878, pp. 478 ss., 482; II, p. 223; J. Orcibal, Fénelon et la cour romaine (1700- 1715), in Mélanges d'archéologie et d'histoire, LVII (1940), pp. 238, 254 ss., 265, 268-271, 273, 275-280, 284, 287, 296, 300, 318, 323; H. Hillenaar, Fénelon et les jesuites, La Haye 1967, ad Indicem; J. Orcibal, Le procès des "Maximes des saints" devant le Saint-Office, in Arch. ital. per la storia della pietà, V (1968), pp. 415 s., 438 s., 442 s., 447, 458, 475, 477, 482.