RADAELLI, Carlo Alberto
RADAELLI, Carlo Alberto. – Nacque a Roncade, nel Trevigiano, il 17 giugno 1820 in una «cospicua famiglia» (Giacometti, 1895, p. 3). Sia il padre, Giambattista, sia la madre, Anna Rossetto, possedevano consistenti proprietà immobiliari.
Nell’ottobre del 1831 Carlo Alberto entrò nel costoso Collegio dell’imperial-regia Marina di Venezia, da cui uscì nell’agosto del 1836 cadetto di Marina. Secondo la sua stessa ricostruzione «non vi era in tutta Italia una educazione più brillante e più liberale» (Storia dello assedio di Venezia..., 1865, 1875, p. 2) di quella impartita nel Collegio veneziano. In particolare, Emilio Tipaldo, il professore di storia, geografia, diritto e polizia marittima, «eccitava le nostre giovani anime a calcare le orme gloriose de’ padri nostri [...] additandoci l’Italia dilaniata dallo straniero e schiava a tanti tiranni» (p. 3).
Nel 1839 Radaelli fu inviato in crociera sulla corvetta Lipsia: in quell’occasione «scambiò le prime fucilate nel Montenegro» (Giacometti, 1895, p. 3). L’anno successivo era a bordo della flotta austriaca, che prese parte alla guerra di Siria contro il khedivé d’Egitto Ibrahim Pascià: ne ricavò la sua prima decorazione, una medaglia commemorativa turca. Amico soprattutto del minore dei due fratelli Bandiera (Emilio era stato suo compagno di corso nel collegio di Marina), nel 1840 aderì alla società segreta Esperia da loro fondata, una scelta in linea con la sua formazione e con il carattere del corpo a cui apparteneva: «lo spirito, che nella veneta marina regnava, era esclusivamente italiano» (Storia dello assedio di Venezia, cit., p. 4). Sempre nel 1840 fu promosso alfiere di fregata e due anni più tardi alfiere di vascello. Nel novembre 1844, pochi mesi dopo il fallimento della spedizione dei fratelli Bandiera in Calabria, preferì dare le dimissioni dalla Marina, «conservando il grado e il diritto di portare l’uniforme» (Secrétant, 1910, p. 28).
Quando, nel marzo del 1848, scoppiò l’insurrezione a Venezia, Radaelli collaborò attivamente con Daniele Manin, che aveva conosciuto sette anni prima. Dal 17 marzo si adoperò per guadagnare consensi alla causa rivoluzionaria presso gli ufficiali di Marina e degli altri corpi di stanza a Venezia. Fu tra gli organizzatori della guardia civica e la mattina del 22 capeggiò i patrioti che s’impadronirono della batteria di quattro cannoni posta a protezione del Palazzo ducale. Il 28 Manin gli affidò ufficialmente il compito di completare l’organizzazione della guardia civica. In aprile ricevette i gradi di capitano nella fanteria veneta. Promosso maggiore in luglio, in settembre entrò a far parte dello stato maggiore generale dell’esercito veneziano. In ottobre guidò la spedizione dei cacciatori del Sile contro il Cavallino e preparò il piano della sortita contro Mestre, che fu approvato dal comando generale il 25 di quel mese ed eseguito due giorni più tardi.
Nel gennaio del 1849 fu eletto deputato all’assemblea dei rappresentanti dello Stato di Venezia per il sestiere di Castello. Il 22 aprile 1849 gli fu affidato il comando della divisione navale sinistra. In giugno fu promosso tenente colonnello di stato maggiore. S’impegnò attivamente nella difesa di una Venezia sempre più stretta nella morsa austriaca. Alla testa di 700 uomini riuscì, partendo da Treporti, a «forzare il blocco di Brondolo sorprendendo gli austriaci alla Cava» (Sartor, 2011, p. 409). Caduta la città, prese la via dell’esilio. Fu a Parigi a trovare Manin. Finì per stabilirsi a Torino.
Nel 1859 presentò a Napoleone III, che aveva inviato una flotta nell’Adriatico, un piano di attacco a Venezia imperniato sull’utilizzazione di venti barche cannoniere a elica, che sarebbero dovute penetrare nella laguna da settentrione grazie alla rete di fiumi e canali e avrebbero permesso di occupare le Fondamenta nuove. Il 1° luglio l’imperatore francese, che aveva approvato il piano, lo pose a disposizione dell’ammiraglio Joseph Romain-Desfossés, ma l’armistizio di Villafranca annullò le operazioni navali. In agosto fu inviato dal governo piemontese in Emilia, dove ritrovò il suo grado di tenente colonnello e fu posto al comando prima del II battaglione del 5° reggimento di linea delle truppe modenesi-parmensi, poi del battaglione dei cacciatori parmensi. Incaricato di organizzare il 6° reggimento fanteria (brigata Parma), in ottobre ne divenne il comandante, incarico che conservò anche quando il reggimento si trasformò nel 50° dell’Esercito piemontese.
Nel 1860 prese parte alla campagna contro lo Stato pontificio: a Castelfidardo si guadagnò una medaglia d’argento e, dopo la presa di Ancona, fu promosso colonnello; fu anche decorato con la croce di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Rimasto in disponibilità tra l’aprile del 1861 e quello del 1862, riprese il servizio effettivo nello stato maggiore delle piazze. Fu comandante militare del circondario di Potenza e presidente del tribunale militare territoriale della stessa provincia. Nel 1865 pubblicò a Napoli una Storia dello assedio di Venezia negli anni 1848-1849, in cui sottolineava che «l’alimento a quella grande resistenza era tutto nella popolazione» della città, la quale «diede al mondo un meraviglioso, inimitabile esempio di costanza e di sacrifici» (p. 2), difendeva la politica di Manin, il quale doveva sempre rimanere il suo faro politico, e auspicava la liberazione dell’«infelice regina dell’Adriatico» grazie alle «forze d’Italia» (p. 3) guidate da Vittorio Emanuele II e da Garibaldi.
Nel corso della guerra del 1866 ottenne il comando dell’80° reggimento di fanteria, ma dopo un paio di settimane fu posto a disposizione del ministero della Guerra, che lo inviò in Prussia con il compito di costituire una brigata con gli italiani che erano stati fatti prigionieri a Sadowa. In ottobre divenne comandante militare del circondario di Palermo. In novembre si candidò a deputato nel collegio di Oderzo, ma gli fu preferito Pietro Manfrin. Nel gennaio e nel marzo 1867 andarono a vuoto altri due tentativi di approfittare di elezioni suppletive per occupare un seggio della Camera. In quell’anno gli fu assegnata una medaglia d’argento per il suo impegno nella lotta contro il colera e in dicembre fu promosso maggior generale. Nell’agosto 1870 sposò la lontana parente Agar Radaelli, con la quale non ebbe figli. Alla fine di quel medesimo anno fu collocato, su sua richiesta, in disponibilità e nel 1872 a riposo.
Si ritirò a Venezia in una villetta situata nel sestiere di Castello. Abbandonò tale «romitaggio» (Secrétant, 1910, p. 25) soltanto per trasferirsi presso i parenti, che abitavano a Latisana.
Nel 1875 pubblicò una seconda edizione della Storia dello assedio, nella quale ripropose l’Avvertimento premesso alla prima edizione, ma con un’aggiunta, in cui sintetizzava il suo credo politico liberale: «oggi l’Italia una, libera, indipendente dall’Alpi a Marsala, potrà essere prospera e felice, se concorde respingerà le aspirazioni settarie e clericali» (p. XV). «La publicazione di questa istoria» fu, come scrisse Alessandro Pascolato in una premessa anepigrafa all’opera, «a ricordanza» (p. VI) dell’inaugurazione del monumento veneziano a Manin. Sempre un monumento all’esule-presidente, che questa volta sarebbe stato eretto a Firenze con i fondi raccolti a Venezia, fu all’origine dei Cenni biografici di Daniele Manin apparsi nel 1889. Radaelli li aveva redatti «per sentimento di reverenza e di affetto per l’illustre statista», di cui rivendicava, rivolgendosi Ai lettori, di essere stato un «collaboratore subalterno» (p. 3).
Morì a Latisana il 9 novembre 1909.
Opere. Storia dello assedio di Venezia negli anni 1848-1849, Napoli 1865, II ed. riveduta dall’autore, Venezia 1875; Cenni biografici di Daniele Manin, Firenze 1889.
Fonti e Bibl.: Il nucleo più significativo di carte relative a Radaelli è conservato presso la Biblioteca del Museo civico Correr di Venezia, su cui si rimanda a E. Michel, La biblioteca del Museo civico Correr di Venezia, in Rassegna storica del Risorgimento, XVIII (1931), n. 1, pp. 191 s. (la busta più importante è la n. 19 dei Documenti Manin Pellegrini). Inoltre: G. Giacometti, All’illustre patriota C.A. comm. R., generale dell’Esercito Italiano, nella fausta ricorrenza del XXV anniversario della rivendicazione di Roma. Omaggio, Udine 1895; G. Secrétant, Un soldato di Venezia e d’Italia: C.A. R., Roma 1910; D. Montini, Il generale C.A. R. e l’azione della flotta francese nel 1859, Appendice a Id., La flotta francese nell’Adriatico. Un ufficiale italiano guida la spedizione, in Scene e figure del Risorgimento Veneto (1848-1862), Città di Castello 1912, pp. 111-116.
G. Zimolo, C.A. R., in Dizionario del Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, pp. 2 s.; P. Rigobon, Gli eletti alle assemblee veneziane del 1848-49, Venezia 1950, pp. 186-188; A. Bernardello, Da Bonaparte a Radetzky. Cittadini in armi. La guardia nazionale a Venezia (1797-1849), Venezia 2011, pp. 121, 127; I. Sartor, C.A. R., in Trevigiani illustri tra Settecento e Ottocento, a cura di F. Scattolin, II, Treviso 2011, pp. 398-419.