NALLINO, Carlo Alfonso
– Nacque a Torino il 16 febbraio 1872 da Giovanni, professore di chimica, e dalla lombarda Giovanna Montini.
Il periodo della formazione liceale e universitaria coincise con l’espansione coloniale europea e italiana, aspetto che aiuta a comprendere certa precocità nell’interesse, non privo di grandi entusiasmi, e nell’approccio da autodidatta allo studio delle lingue orientali, l’arabo innanzi tutto, che sul finire del XIX secolo indicava un generalizzato accostamento all’orientalistica di pressoché tutti i protagonisti della nascente arabistica italiana, di cui Nallino fu uno dei maggiori esponenti. L’atmosfera culturale della famiglia, aperta all’influenza del positivismo, favorì l’interesse del giovane (adolescente al momento dell’occupazione di Massaua nel 1885) per la storia della scienza araba.
All’Università di Torino fu allievo di Guido Cora, geografo fra i maggiori testimoni della penetrazione coloniale in Africa, che gli permise di applicare le acquisite competenze arabistiche a temi di geografia astronomica. La sua tesi di laurea, Al-Khuwarismi e il suo rifacimento della Geografia di Tolomeo, inaugurò la serie di lavori dedicati alla storia della scienza che impose il giovane studioso all’attenzione dell’orientalistica europea. Nel 1894, il ventiduenne Nallino approdò come incaricato di lingua araba al Reale Istituto orientale di Napoli, istituzione parauniversitaria sotto il controllo del ministero dell’Istruzione; nello stesso anno iniziò la stesura del suo studio più famoso, Al-Battani sive Albatenii opus astronomicum, dedicato alla traduzione e al commento dell’opera del geografo siriano del IX-X secolo. Pubblicata in tre volumi a Milano fra 1899 e 1907, questa enciclopedia del sapere astronomico arabo-islamico medievale diede allo studioso notorietà internazionale. Nel 1903 Nallino vinse la cattedra di professore ordinario di lingua e letteratura araba all’Università di Palermo, dove rimase fino al 1913.
In quegli anni non solo fu promotore di numerose missioni scientifiche in Egitto ma fu chiamato ad insegnare al Cairo, presso la neonata Università; l’istituzione, aperta alle istanze moderniste dell’élite locale, era presieduta dal futuro re Fu’ād, le cui scelte furono spesso caratterizzate da uno spiccato favore, non privo di coloriture politiche, per gli orientalisti italiani. Qui Nallino affiancò all’attività docente funzioni di rappresentante e consulente scientifico del governo italiano, iniziando così il suo impegno diretto nell’impresa coloniale. Nel 1912 l’appena costituito ministero delle Colonie gli affidò il riordino dell’archivio politico ottomano confiscato in Libia, e la direzione dell’Ufficio traduzioni del Governo della Tripolitania, mentre rimase incompiuto il progetto di un Istituto italiano di cultura. Nel 1913 rientrò in Italia, lasciandosi alle spalle un clima carico di tensioni apparentemente dettate da questioni di natura personale, ma dietro le quali probabilmente vi erano le proteste degli studenti egiziani verso i docenti italiani in seguito alle violenze perpetrate in Libia.
All’Università di Roma ebbe la prima cattedra di storia e istituzioni musulmane e si dedicò allo studio del diritto islamico. Nello stesso 1913, a seguito del passaggio del Reale Istituto orientale di Napoli sotto il controllo del ministero delle Colonie, fu affidata a Nallino un’opera di riqualificazione volta a trasformare l’Istituto nel centro di formazione del personale coloniale.
Come commissario straordinario per l’applicazione del nuovo statuto, riprodusse i meccanismi di formazione e di selezione già da lui posti in atto nella Scuola di lingue orientali di Roma. Alla sua fervidissima attività scientifica e accademica si accompagnarono gli incarichi per conto del ministero delle Colonie. Nel 1914, infatti, partecipò ai lavori della commissione per lo studio delle questioni islamiche d’interesse coloniale; nel 1918 fu membro della commissione del dopoguerra incaricata di studiare le politiche idonee per il passaggio dallo stato di pace a quello di guerra delle colonie; in tali attività rientrò il contributo alla cartografia coloniale, consistente nella revisione dei designatori della cartografia e nella stesura delle regole toponomastiche, fondate sul principio di adeguare i toponimi tripolitani e cirenaici a una «rigorosa grafia nazionale» (Norme per la trascrizione italiana e la grafia araba dei nomi propri geografici della Tripolitania e della Cirenaica dettate dal prof. C.A. Nallino e approvate con decreto ministeriale 1° febbraio 1915, collana Monografie e rapporti coloniali, n. 2, Ministero delle Colonie, Roma 1915, p. 28).
Nel 1921 fu tra i fondatori a Roma dell’Istituto per l’Oriente (IPO), dotato di un periodico, Oriente moderno, tuttora fra le riviste orientalistiche italiane più importanti. Queste due creature avrebbero accolto pressoché tutta l’arabistica italiana, in particolare quella proveniente dalla cosiddetta scuola romana, che andava formandosi fra le due guerre; in questi spazi, la generazione di orientalisti che (a eccezione di Leone Caetani e di Giorgio Levi Della Vida) si trovò ad essere testimone dell’avventura coloniale e del suo proseguimento sotto il regime fascista ebbe modo di sperimentare, con forme più o meno intense, entusiastiche o sfumate di consenso e di compromissione, la contraddizione fra l’oggetto della passione intellettuale, rivolta verso la storia, la cultura e la religione del mondo arabo-islamico, e il silenzio di fronte alle violenze dell’aggressione coloniale nei confronti dei soggetti che la subivano.
La tribuna di Oriente moderno, che ospitava puntualmente una rassegna stampa dei principali organi di informazione del mondo arabo – accogliendo anche le voci di protesta da parte araba contro le atrocità commesse dagli italiani in Libia – divenne un’involontaria spina nel fianco, spesso al centro di conflitti tra ministero degli Affari esteri e ministero delle Colonie, che aveva nell’IPO il luogo di formazione di esperti al proprio servizio. Lo stesso Nallino era convinto che l’attività scientifica e d’informazione svolta dalla rivista potesse influenzare, senza mai dissentire, la politica coloniale italiana, educandola a un «corretto» approccio alle questioni islamiche, nei confronti delle quali opinione pubblica e funzionari dimostravano indistintamente una crassa e drammatica ignoranza. Ne è prova il programma originale della rivista, dove si esplicitava la volontà di non entrare nel vivo delle questioni coloniali e nel merito dei conflitti suscitati dallo strabismo della politica fascista nei confronti del mondo arabo e islamico: a detta di Nallino, la rivista intendeva infatti «soltanto fornire, ben vagliati, quegli elementi e quelle notizie sicure che permettano all’uomo politico e all’uomo d’affari di conoscere la verità sull’Oriente e di trarne le deduzioni che gli parranno opportune per regolare la propria condotta. Al tempo stesso, la rivista darà un contributo notevole all’alta cultura […] Rimarranno escluse le questioni coloniali propriamente dette» (Il nostro programma, in Oriente moderno, I (1921), pp. 2 s.). Le tensioni e i conflitti che videro protagonisti Nallino e, sullo sfondo, il suo istituto rimasero sempre legati a questioni di mera natura accademica, senza mai sfociare in una cosciente espressione di impegno civile – peraltro assente in tutta l’orientalistica del tempo – contro i massacri perpetrati dal colonialismo italiano.
Morì a Roma il 25 luglio 1938, al ritorno da un viaggio in Arabia, consegnando alle stampe il primo dei due volumi previsti sul regno arabo da poco costituito.
Il secondo volume è stato inserito nella Raccolta di scritti editi e inediti, monumentale opera curata dall’unica figlia, Maria, e pubblicata dall’IPO fra il 1939 e il 1948, che riunisce in sei volumi i saggi più importanti della sua cospicua bibliografia. Archivio privato e biblioteca personale sono conservati presso l’IPO dal 1982 a lui intitolato.
Fonti e Bibl.: Lo studio principale sulla biografia umana e intellettuale di N. è B. Soravia, Carlo Alfonso Nallino (1872-1938). Lineamenti di una biografia intellettuale", in Carlo Alfonso Nallino (1872-1938). Memoria di un maestro e prospettive degli studi arabo-islamici (giornata di studio, 20 novembre 2008), a cura di A. Cilardo, Studi magrebini, n.s. VIII (2010), pp. 9-24, dove si vedano pure M. Campanini, N., il fascismo e le colonie, pp. 53-62 e P. Carusi, La storia della scienza e i suoi problemi, pp. 69-78. Cfr. inoltre G.E. Carretto, ‘Sapere’ e ‘Potere’. L’Istituto per l’Oriente (1921-1943), in Annali della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari, s. 1, 1983, vol. 9, pp. 211-230; V. Strika, C.A. N. e l’impresa libica, in Quaderni di studi arabi, II (1984), pp. 9-20; M. Giro, L’Istituto per l’Oriente dalla fondazione alla seconda guerra mondiale, in Storia contemporanea, XVII (1986), 6, pp. 1139-1176; A. Del Boca, Gli italiani in Libia. Tripoli bel suol d’amore 1860-1922, Roma-Bari 1986, passim; D.M. Reid, Cairo University and the orientalists, in International journal of Middle East studies, 1987, vol. 19, pp. 51-75; A. Baldinetti, Orientalismo e colonialismo. La ricerca di consenso in Egitto per l’impresa di Libia, Roma 1997, pp. 112-120; E. Galoppini, Il fascismo e l’Islam, Parma 2001, passim; B. Soravia, Ascesa e declino dell’orientalismo scientifico italiano, in Il mondo visto dall’Italia. Atti del Convegno …SISSCo, Milano 2004, pp. 270-286; F. Cresti, Il professore e il generale. La polemica tra C.A. N. e Rodolfo Graziani sulla Senussia e su altre questioni libiche, in Studi storici, LXV (2004), 4, pp. 1113-1150.