RIVAROLO, Carlo Amedeo Giovan Battista San Martino d'Aglie marchese di
RIVAROLO, Carlo Amedeo Giovan Battista San Martino d’Agliè marchese di. – Nacque fra il 1673 e il 1674, secondogenito di Giuseppe Giacinto San Martino d’Agliè (1650 ca.-1704), marchese di San Germano, e di Marthe Hérail de la Rue (m. 1717).
I San Martino d’Agliè erano stati la famiglia più potente della nobiltà sabauda nella prima metà del Seicento, in particolare durante il ducato di Cristina di Francia, grazie al ruolo del marchese Ottaviano, bisavo di Rivarolo, e di suo fratello Filippo, conte d’Agliè, favorito di Madama Reale. Dagli anni Sessanta, i San Martino iniziarono progressivamente a spostarsi in Francia: Francesco Giacinto sposò, il 2 agosto 1669, Marthe Hérail de la Rue, ricca erede della sua famiglia e si trasferì al servizio di Luigi XIV, divenendo ufficiale. Nel 1677 madame de la Rue fu creata dama di Maria Giovanna Battista duchessa di Savoia, ma vivendo in Francia non esercitò quasi mai il suo ruolo alla corte sabauda. Nel 1678 Luigi XIV nominò Giuseppe Giacinto comandante del Royal Piemont, un reggimento formalmente pagato dal duca di Savoia, ma al servizio del re di Francia. Nel 1681, questi lo creò gran priore di Linguadoca dell’Ordine di San Lazzaro: un ordine cavalleresco francese in diretta concorrenza con quello sabaudo dei Santi Maurizio e Lazzaro. L’esercizio di tale carica era una vera sfida verso il duca di Savoia. Quando nel 1687, in seguito alla morte del padre, Giuseppe Giacinto divenne il capo dei San Martino, Vittorio Amedeo II avrebbe voluto che tornasse in Piemonte, ma egli decise di restare in Francia. Luigi XIV, per ricompensarlo, lo pose al comando di una compagnia nel reggimento di cavalleria che manteneva in Francia il marchese di Verrua. Quando, nel giugno del 1690, Vittorio Amedeo II dichiarò guerra a Luigi XIV, la rottura dell’alleanza franco-sabauda rappresentò una grave crisi per le famiglie che, come i San Martino, da decenni avevano gestito su di essa una doppia fedeltà, da cui avevano saputo trarre ingenti guadagni. Il marchese di San Germano decise di restare in Francia, combattendo nelle Fiandre per tutta la durata del conflitto.
Dopo la fine della guerra, Giuseppe Giacinto San Martino decise di non far più ritorno negli Stati sabaudi. Dopo poco, però, vi inviò i suoi primi due figli – Carlo Ludovico (1672-1712) e Carlo Amedeo – perché riannodassero i fili del legame di fedeltà che egli aveva spezzato. Con lui rimase il terzo figlio, Luigi Anneo (1680-1753), destinato a ereditare i beni francesi della famiglia.
Rivarolo arrivò a Torino venticinquenne, dopo essersi formato in Francia nei ranghi dell’esercito di Luigi XIV. Durante la guerra della Lega di Augusta era stato capitano nel reggimento dei dragoni del conte di Verrua, impiegato sul fronte delle Fiandre, e il 14 marzo del 1697 Luigi XIV lo aveva nominato maggiore del reggimento. Nel 1699, varcato il confine, era ormai ufficiale dell’esercito sabaudo. Pochi anni dopo, quando nel 1703 Francia e Stato sabaudo tornarono a scontrarsi, Rivarolo indossava la divisa di capitano nel reggimento dei dragoni del Genevese (la nomina è del 4 gennaio 1703) e nella campagna del 1703-04 si mise in mostra con alcune audaci ricognizioni delle linee nemiche (Relazione del viaggio del signor cavaliere di San Martino maggiore nel reggimento dragoni di Genevois, Vercelli, 20 novembre 1703; Relazione del giro fatto nelle frontiere dello Stato di Milano dalli signori cavaliere di San Martino conte di Rivarolo e de Lascheraine usciti da Vercelli li 24, 5 hore di notte con i loro distaccamenti, Vercelli, 25 novembre 1703, Archivio di Stato di Torino, Materie militari, Imprese militari, m. 8, f. 42).
Nel 1712, morì improvvisamente il fratello maggiore Carlo Ludovico. Rivarolo divenne così tutore dell’unico figlio del fratello, Giuseppe Francesco, e capo della casata. La fine della guerra lo vide, quindi, assumere un nuovo e più grave ruolo sulla scena sabauda. A testimonianza di ciò, nel settembre del 1713 Vittorio Amedeo II lo nominò proprio gentiluomo di camera e volle che accompagnasse lui e la moglie nel viaggio in Sicilia per l’incoronazione. Rivarolo vi si fermò sino all’agosto del 1714 e approfittò dell’occasione per compiere un breve viaggio a Roma in primavera. Nel 1715 si recò poi in Francia per regolare le questioni dell’eredità paterna.
Rientrato in Piemonte, nel marzo del 1717 fu nominato «governatore e comandante la squadra delle galere», con grado di colonnello. Tale carica lo poneva alla guida della piccola flotta che lo Stato sabaudo, con l’aiuto dell’Ordine di Malta, aveva approntato per la difesa della Sicilia. Dopo una prima campagna nel 1717, tornò in Sicilia nel maggio del 1718, dove evitò che la flotta sabauda fosse fatta prigioniera da quella spagnola, inviata a invadere l’isola. Dopo essersi stabilito a Siracusa, nel marzo del 1719 fece ritorno a Torino. Dal febbraio 1720 al luglio 1721 fece un nuovo viaggio a Parigi e Versailles, tornando nei luoghi che lo avevano visto nascere e cui restava legato.
Rientrato a Torino, nel 1722 dovette affrontare la difesa dei feudi di famiglia dalle avocazioni al Demanio decise da Vittorio Amedeo II. Nel luglio del 1722, come tutore del nipote Giuseppe Gaetano, spese ben 50.000 lire di Piemonte per evitare la perdita dei feudi di Agliè e San Germano: un vero e proprio salasso, tra i maggiori subiti allora da una famiglia della nobiltà subalpina.
Proprio in quello stesso anno, peraltro, il sovrano lo nominò governatore in seconda di Venaria Reale, attribuendogli insieme le cariche di gran veneur e di gran falconiere (patenti del 2 febbraio 1722, Archivio di Stato di Torino, Patenti controllo finanze, reg. 2, c. 85), fra le principali cariche di corte. Il 1° agosto 1722, poi, il re lo insignì della Gran croce dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro e successivamente lo nominò gran conservatore dello stesso. La nomina a decurione di prima classe del Consiglio di Torino, nel 1727, confermò la piena fiducia di Vittorio Amedeo II verso Rivarolo. Montesquieu, a Torino nell’autunno del 1728, riprendendo opinioni che aveva ascoltato nei salotti torinesi, scrisse che egli era «stimato dal re e generalmente disprezzato da tutti i suoi sudditi» e che molti lo consideravano una vera e propria «spia del re» (Viaggio in Italia, a cura di G. Macchia - M. Colesanti, 1990, p. 85; tali giudizi provenivano, probabilmente, dall’ambasciatore francese a Torino, Louis Dominique de Cambis, che in quegli stessi mesi aveva avuto un duro scontro con Rivarolo).
Nel 1730 il nipote Giuseppe Gaetano divenne maggiorenne, assumendo pienamente la guida della famiglia; Rivarolo perse così il ruolo di capo dei San Martino che aveva svolto negli ultimi anni. L’abdicazione di Vittorio Amedeo II, il 3 settembre 1730, segnò una nuova svolta nella sua vita. Il 27 settembre 1730 si dimise dalla carica di governatore della Venaria e iniziò a recarsi di frequente in Savoia, dove il sovrano abdicatario si era ritirato. Questi suoi viaggi iniziarono a insospettire sia il marchese Vincenzo Ferrero d’Ormea, ormai vero primo ministro dello Stato, sia Carlo Emanuele III. Quando nel settembre del 1731 Vittorio Amedeo II cercò di riprendersi il trono, Rivarolo fu fatto arrestare e rinchiudere nella Cittadella di Torino per ordine diretto del nuovo re. Le ragioni dell’arresto non sono note: solo l’ambasciatore francese Louis Augustin Blondel scrisse che Rivarolo era stato arrestato perché aveva complottato per consegnare la capitale al vecchio sovrano (Blondel, 1871, pp. 584 s.). La prigionia di Rivarolo nella Cittadella durò circa un mese, dopo di che fu inviato al confino nei suoi feudi.
Fu solo nel 1733, quando il vecchio sovrano era ormai morto da un anno, che Carlo Emanuele III richiamò in servizio l’anziano Rivarolo. Dapprima, il 12 giugno, lo privò di tutte le cariche di corte che aveva ricoperto in precedenza, assegnandole a nobili a lui più vicini. Pochi giorni più tardi, il 18 giugno, lo nominò governatore della Contea di Nizza. Era l’inizio per Rivarolo di una nuova fase, che lo avrebbe visto ricoprire cariche di primo livello, ma tutte lontane dalla capitale.
Il governatorato di Nizza durò solo pochi mesi: nell’autunno del 1733, infatti, lo Stato sabaudo entrò nella guerra di successione polacca al fianco della Francia. Presto Rivarolo fu richiamato al servizio militare attivo e nel gennaio 1734 fu nominato governatore di Cremona, occupata dall’armata franco-sabauda (Archivio di Stato di Torino, Patenti controllo finanze, reg. 11, c. 45). Un mese dopo, fu promosso maresciallo di campo della cavalleria (reg. 11, c. 46). Nel 1735 Carlo Emanuele III lo nominò vicerè di Sardegna; nel 1737 lo promosse luogotenente generale di cavalleria (reg. 13, c. 89) e gli conferì il collare dell’Annunziata.
Il rientro in Piemonte coincise con il termine della guerra, nel 1738. Il sovrano lo nominò governatore di Novara e del Novarese, territori allora annessi allo Stato sabaudo, con il compito – non semplice – di guidare l’ingresso nello Stato di questa nuova provincia, profondamente legata alla Lombardia e che guardava più a Milano che a Torino. Lo scoppio della guerra di successione austriaca, nel 1740, e il ritorno dello Stato sabaudo alla tradizionale alleanza con l’Impero, videro Rivarolo ancora sul campo di battaglia. Nel 1744 fu inviato a raccogliere e gestire l’annessione di Vigevano, che Maria Teresa aveva ceduto a Carlo Emanuele III. Fu promosso generale di cavalleria nel 1745 (Patenti controllo finanze, reg. 19, c. 46).
Nel marzo del 1747, quando ormai il conflitto era prossimo a terminare, Carlo Emanuele III affidò a Rivarolo il governo di Alessandria (reg. 20, c. 28). Anche in questo caso si trattava di una missione difficile: durante la guerra la città, occupata dalle truppe spagnole di don Filippo di Borbone, si era schierata con entusiasmo a fianco degli occupanti, e il patriziato urbano aveva invocando il ritorno della città sotto la Spagna. Quando la città tornò, invece, sotto il controllo sabaudo, Carlo Emanuele III inviò Rivarolo per colpire i traditori e ricondurre la città alla dovuta obbedienza.
La morte lo colse ad Alessandria il 15 ottobre 1749, nel pieno dell’azione che stava portando avanti con la sua consueta energia e senso dello Stato.
La carriera di Rivarolo come governatore si svolse, con l’eccezione di Nizza, interamente in province di nuova acquisizione: territori il cui ingresso negli Stati sabaudi era recente e le cui aristocrazie erano segnate da forti spinte centrifughe, soprattutto verso la Spagna. Questo aiuta a comprendere perché sia a Novara e Alessandria sia in Sardegna il suo primo obiettivo fu quello di imporre il rispetto delle leggi sabaude e dei funzionari chiamati a farle osservare. La sua giovanile formazione nella Francia di Luigi XIV da un lato lo poneva al riparo da qualunque simpatia filospagnola e dall’altro lo aveva formato al rispetto delle leggi di uno Stato centralizzato e assoluto, ancor più di quello dei Savoia.
Uomo di cultura raffinata, raccolse un’imponente collezione numismatica, il cui catalogo è conservato presso la Biblioteca nazionale di Torino (N.I.2: Reggistro delle medaglie antiche in rame da Giulio Cesare sino al Magno Costantino contenute nello studio nummario di S.E. il sig. marchese di Rivarolo e Reggistro delle medaglie consolari antiche in argento contenute nello studio dell’ecc.mo sig. marchese di Rivarolo con la dichiaratione de’ loro simboli).
Fonti e Bibl.: G. Manno, Storia di Sardegna, IV, Torino 1827, pp. 133 s., 148; L.A. Blondel, Memorie aneddotiche sulla corte di Sardegna del conte di B. ministro di Francia a Torino sotto i re Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, a cura di V. Promis, in Miscellanea di storia italiana, XIII (1871), pp. 584 s.; C. Botta, Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1789, VIII, Parigi 1882, pp. 368-373; F. Loddo Canepa, La Sardegna dal 1478 al 1793, II, Sassari 1976, pp. 184-195; L. Scaraffia, La Sardegna sabauda, in J. Day - B. Anatra - L. Scaraffia, La Sardegna medievale e moderna, Torino 1984, pp. 681-686; G. Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, Roma-Bari 1984, passim; L. Levi Momigliano, Scipione Maffei, Filippo Juvarra e le collezioni torinesi di antichità, in Filippo Juvarra a Torino. Nuovi progetti per la città, a cura di G. Romano, Torino 1989, pp. 335-337; Montesquieu, Viaggio in Italia, a cura di G. Macchia - M. Colesanti, Roma-Bari 1990, p. 85; A. Merlotti, Le quattro vite del marchese di Rivarolo. Fedeltà e servizio nel Piemonte di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, in Governare un regno. Viceré, apparati burocratici e società nella Sardegna del Settecento, a cura di P. Merlin, Roma 2005, pp. 120-156.