BROGGIA, Carlo Antonio
Nato a Napoli nel 1698 da agiata famiglia e rimasto orfano a diciassette anni, si trasferì a Venezia presso uno zio parroco, da cui fu avviato alla pratica commerciale. Non abbandonò mai gli studi, e, dopo la morte dello zio, ritornò a Napoli, forse nel 1720, dove continuò nella sua attività di "aromatarius", ossia di commerciante all'ingrosso di articoli di drogheria. Fisicamente non molto robusto, anzi di statura media, "di corpo esile, il dorso curvo" fu di salute cagionevole, e questa cagionevolezza presenta talvolta certe caratteristiche che sembrano giustificare uno dei suoi biografi che lo vuole morto di "mal cronico". Del resto, egli stesso accenna, in una lettera del 1750 al Muratori, "a lunga infermità catarrale", a "tosse umida e molta"; a "sputo che avea del purolento", a "carni smunte", a "febbre lenta, appetito insolito". Ma la sua salute fu certamente resa ancor più malferma dallo sforzo cui si sottoponeva per utilizzare tutti i ritagli di tempo, che la mercatura gli lasciava, per studiare e tenersi al corrente delle nuove pubblicazioni. In effetti, egli esercitò la sua attività mercantile sempre a malincuore, e solo per dar da vivere alla numerosa famiglia che si era creato. Ma spesso gli studi lo distraevano dal commercio a tal punto, che egli non ricavava da questa sua attività tutto quanto era da attendersi. Da ciò lo sforzo costante di assicurarsi nell'amministrazione dello Stato un posto che gli permettesse di liberarsi delle incombenze commerciali, e di coltivare così i suoi interessi. Ma su questa strada non raccolse che amare delusioni.
Gli anni della sua più intensa formazione intellettuale furono quelli che vanno dal 1720 al 1740. Non si trattò di un tirocinio di studi ordinato. Come mostrano i suoi primi scritti, si può dire che egli, anche se avvertì come particolarmente stimolante l'influenza di Alessandro Rinuccini e di Bartolomeo Intieri (di quest'ultimo cercò a più riprese di diffondere il famoso apparecchio per la conservazione del grano), in questo periodo lesse di tutto: dalle opere di Livio e di Plinio a quelle di Melon, di Vauban, di Botero; e libri di storia, di economia, di finanza, di medicina.
La sua sete di conoscenza cominciò a dare i primi frutti nel 1742, quando aveva da poco superato la quarantina, con una memoria intitolata Ilristoro della Spagna causato dalla libertà concessa alle nazioni amiche del commercio d'America, che non è stata finora ritrovata, ma di cui il B. stesso ha lasciato un breve riassunto nel volume Memoria ad oggetto di varie politiche ed economiche ragioni e temi di utili raccordi,che in causa del monetaggio di Napoli s'espongono e propongono (Napoli 1754).
Il B. vi sostiene il concetto che la decadenza della Spagna debba collegarsi alla sua politica coloniale, e soprattutto al fatto di non avere aperto alla colonizzazione e al commercio delle altre nazioni gli immensi territori assicuratisi nell'America centromeridionale. Questo esclusivismo sarebbe stato, a un tempo, causa di spopolamento demografico e di infiacchimento economico della Spagna e causa di mancato sviluppo dei territori coloniali. Base del suo discorso è, in effetti, che "il commercio vuol libertà, senza di cui languisce e muore", e solo "colla libertà di commercio si puol a dovere popolare, divenendo i Forestieri per causa dell'Utile sudditi [tra i] più fedeli".
Di questa memoria scritta per il duca di Salas il B. non seppe più nulla. Fu solo nel 1753 che il consigliere Fontanesi, segretario di Stato e consigliere aulico dell'elettore palatino, gli scrisse che probabilmente il duca di Salas l'aveva consegnata al cardinale Alberoni, il quale in una sua opera, Le testament politique du Cardinal Alberoni, aveva, d'inciso, e senza fare nomi, accennato all'argomento, disapprovando l'idea di rendere libero il commercio d'America.
Nel 1743 il B. pubblicò a Napoli l'opera sua più importante il Trattato de' tributi,delle monete,e del governo politico della sanità, dedicato al duca di Salas, marchese Giuseppe Gioacchino di Montealegre.
Quando il volume fu pubblicato il Regno di Napoli non attraversava un momento felice. La peste aveva straziato Messina e altre località e.le vicende della politica internazionale stavano precipitando il Regno verso la cosiddetta campagna di Velletri. In questi anni di gravi tensioni era ancor più evidente la complessa e varia esigenza di riforme che il paese avvertiva. Il saggio del B. avrebbe potuto dunque costituire un'utile base per l'attuazione delle riforme e il B. stesso sarebbe potuto essere un collaboratore prezioso per la realizzazione di esse. Ciò non accadde, perché come lo stesso B. scrisse al Muratori, "... le cariche e gli uffizij non vanno, come dovrebbe succedere pe'l bene verace dello Stato, in cerca degli uomini; ma sono gli uomini ambiziosi e adulatori, i quali insultano le cariche e gli uffizij...". A ostacolare in qualche modo il successo e la diffusione dell'opera contribuì certo anche lo stile con cui il Trattato era stato scritto. Il Muratori, che pure lo apprezzava, come attestano le citazioni e gli elogi che gli riservò nel suo Trattato della pubblica felicità oggetto de' buoni Principi (1749), non poté esimersi dall'osservare che, "solamente, potrà parere a taluno lo stile alquanto asiatico, e ripetute molte osservazioni, e che si pote(va) restringere a meno parole l'argomento". Ma, ridondanza dello stile a parte, era evidentemente il paese a non essere maturo per accogliere le analisi e i suggerimenti del Broggia. I maggiori consensi, infatti, gli vennero non dai conterranei, ma dall'estero; e soprattutto dal Milanese, dal Piemonte e dal Palatinato.
L'opera è divisa in tre parti riguardanti: il sistema tributario, quello monetario e l'organizzazione igienico-sanitaria dello Stato; ma di queste, quella che più ha contribuito a rendere giustamente noto il B. è la prima.
Per il B. il sistema tributario sta al centro di ogni sistema politico e ne condiziona la solidità. Quando esso è cattivo, gli Stati, secondo il B., diventano deboli, e quindi particolarmente vulnerabili alla conquista nemica. Ma non è tanto la loro quantità che rende i tributi giusti e accettabili, quanto la loro distribuzione: essi, infatti, divengono intollerabili non solamente quando sono elevati, ma soprattutto quando sono ripartiti senza giustizia. Per il B. un sistema tributario accettabile sarebbe quello che distribuisse il carico fiscale in ragione "geometrica più che aritmetica" su tutti i contribuenti; in altre parole, "a misura delle forze di ciascuno, non già a misura del numero delle persone ricche o povere ch'esse si siano", cioè, come oggi si dice, in rapporto alle singole capacità economiche, o contributive, e su base reale e non personale. Il sistema tributario prospettato dal B. avrebbe dovuto girare intorno a due perni. Il primo rappresentato dalle imposte (o decime) sui capitali dati a mutuo e sui terreni e fabbricati (anche su quelli adibiti a uso e consumo dei proprietari), da determinarsi per mezzo di censimenti, o catasti, per migliorare i quali ultimi il B. avanza suggerimenti, particolarmente preziosi in quegli anni in cui il Regno di Napoli stava procedendo a realizzare il catasto onciario carolino. Il secondo era costituito dai dazi e gabelle, ossia da imposte sul "trasporto e importo delle cose mobili". Solo in casi di emergenza il B. riconosceva l'opportunità di ricorrere a contribuzioni volontarie (donativi), a un aumento delle decime ed anche, in una certa misura, al testatico.
In questo sistema tributario sarebbero dovuti essere esenti da ogni pagamento fiscale i poveri, e con essi i salariati, in quanto nonostante "produchino la roba, nondimeno essi per lo più, ed allorché la legislazione non vi provvede, altro beneficio non ne traggono che un premio assai secco e misero, che appena basta a vivere meschinamente". Discorso che vale soprattutto per i contadini, la classe che il B. considerava "la più soccombente e la più misera", aggiungendo che è "gran male" la miseria che spinge "i contadini ad abbandonare l'agricoltura e a ricorrere per vivere nelle città". La politica che pratica un duro trattamento alla gente povera - sottolinea il B. - procura mali gravissimi, e "sono più da temersi le maledizioni del popolo che le Armi dei Nemici". Particolari cure avrebbero dovuto essere rivolte allo sviluppo dell'industria, intesa nell'accezione più ampia. Riservandosi di approfondire l'argomento in una successiva opera, il B. sottolinea che per promuovere l'industria bisognerebbe adottare "eccitamenti, diversivi, ordini, ed espedienti opportuni". Così, per esempio, egli esclude dall'imposizione, per l'apporto che recano alla produzione e alla ricchezza del paese, gli animali grossi e piccoli e le fabbriche, come cartiere, gualchiere, ferriere, ramiere, ecc., in quanto i prodotti di queste "manifatture" si sarebbero potuti colpire al momento del consumo. Ma dazi e gabelle sul consumo andavano posti in modo da non suscitare contrabbandi, e dovevano colpire tutte le merci. Il B. si dichiarava decisamente contrario all'istituzione e mantenimento dei punti e porti franchi, ch'egli - come i casi di Livorno, Civitavecchia, Messina, Ancona stavano a provare - reputava utili per arricchire non gli Stati che li istituivano, ma soltanto alcuni mercanti, specie stranieri. Inoltre i porti franchi rendevano impossibile l'istituzione di altri dazi. Il B. era anche contrario agli appalti di imposte, dazi, gabelle, dogane, e suggeriva dazi miti, libera esportazione delle derrate, abolizione di ogni forma di monopolio, ed una semplificazione delle pratiche doganali come mezzo per incentivare il commercio e la produzione.
Questa parte del Trattato del B. era molto valida come schema di ordinamento e di politica fiscale organica e meditata, e non meraviglia se Gian Francesco Napione, fin dal 1781, studiando l'opera di Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, gli anteponesse, in materia fiscale, quella del B., da lui considerato "dotto e profondo". Essa accentuava, in effetti, un movimento di idee contrario alle imposte personali, ai tributi arbitrari e sperequati, al disordine e all'abuso di dazi, gabelle e dogane, movimento che in Francia aveva avuto scrittori e uomini di primissimo ordine, quali il Bodin e il Vauban, tanto per citarne solamente alcuni. Inoltre, con l'opera del B. la scienza delle finanze, o come oggi si dice la finanza pubblica, si va meglio delineando come scienza o disciplina autonoma. E senza dubbio il conIributo che egli reca alla teoria pura dell'imposta, collegandosi con quelli già offerti da un Bodin o da un Botero, precede quello che si riconosce ai fisiocrati, da Turgot (1766) a Mercier de la Rivière (1767), ecc.
Riformatore e teorico dell'imposizione fiscale, egli non fu altrettanto felice nella parte dell'opera dedicata alla moneta. Come ha illustrato di recente il Venturi, dello scarso successo che ebbero le sue idee in materia, anche presso il Galiani, che già nella prima edizione (1751) della sua opera sulla Moneta lo trattò piuttosto criticamente, il B. sembra incolpare, tra l'altro, Troiano Spinelli - socialmente di lui più autorevole, e quindi più ascoltato negli ambienti ufficiali -, che, autore anch'egli di un'opera sulla moneta, avrebbe in quest'opera riecheggiato il suo pensiero travisandolo profondamente. Come trattatista della moneta il B. appare, senza dubbio, buon conoscitore delle vicende monetarie del suo tempo, specie di quelle del Regno di Napoli. La sua idea principale era che il valore delle monete metalliche, di oro o argento, fosse determinato, come attestavano le vicende storiche, dal mercato; e che Pintrinseco - cioè la quantità e qualità di fino contenute in una moneta - non dovesse, salvo che in pochissimi casi, essere alterato. Più conveniente era l'alterazione del valore che lo Stato attribuiva alle singole unità monetarie. A seconda dei casi, la moneta poteva essere infatti ridotta od alzata. Ma l'"alzamento", equivalendo a una svalutazione, non doveva tuttavia essere "smisurato". Fuori di questi tecnicismi, il B. sosteneva, in sostanza, che la moneta di conto doveva rimanere immutata, mentre di quella in circolazione si poteva, entro certi limiti, alterare il valore legale, se questa operazione serviva a stimolare il commercio, e quindi la produzione. Meno valida è la sua teoria della moneta immaginaria, che avrebbe voluto di rame, in quanto tale metallo è più abbondante e meno soggetto alle oscillazioni della sua produzione.
Nell'insieme dell'opera, tuttavia, il B. non sembra intendere i complessi e vari problemi economici che la moneta implica e suole imporre. E, pur con qualche intuizione felice che appare qua e là, egli si rivela ancora legato alle vedute dei mercantilisti, e ribadisce che di oro e argento per ripianarne e prevenirne le mancanze, e per causarne la maggior abbondanza si dovrà lo Stato medesimo in tutte le occasioni fornire e ben provvedere. Quindi per quest'oggetto è di [gran] lunga meglio che si dia un poco più di roba, e agevolar il prezzo di essa, e con ciò agevolar la permuta cogli ori ed argenti forastieri" (p. 379). E proprio al fine di produrre più "roba", onde avere più "ori e argenti forastieri", egli sostiene l'opportunità che lo Stato garantisca i depositi dei privati presso i banchi, in modo che questi possano prestare, su pegni e a miti interessi, gran parte dei capitali conservati inoperosi nelle loro casse.
L'argomento della terza parte dell'opera, dedicata al governo della sanità, era scottante, essendo ancora recente il ricordo della tremenda peste che aveva colpito Messina e altre cittadine. Il B. vi tracciava le linee di una rigorosa politica sanitaria, che rafforzava il rigore della quarantena per i lazzaretti, specie nei porti di mare, soprattutto in quelli ai quali solevano giungere più o meno frequentemente navi dal Medio Oriente, criticando con estremo vigore il lassismo di medici e funzionari. Osservazioni, queste, che il Muratori non mancò di considerare tutte "utili e giudiziose".
Il Trattato avrebbe dovuto far parte di un'opera in cui avrebbe trovato posto anche l'illustrazione dei principî di una politica economica volta a stimolare il commercio e la produzione. Ai futuri volumi il B. rimanda spesso nella sua opera e la loro redazione è al centro quanto meno del carteggio che egli ebbe con il Muratori tra il 1745 e il 1746. Si sa anche che egli invio a quest'ultimo, sul finire del 1745, alcuni fogli manoscritti, nei quali il Muratori, oltre "belle ed utili massime", ne rinvenne "altre insieme che erano difficili ad eseguirsi, come il levare le primogeniture, i fidecommessi, ecc., il ridurre i ricchi e potenti alla mediocrità, e simili". Probabilmente, con queste e altre "audacie" che l'opera conteneva il B. anticipava, assai più che con l'altra opera, nuovi tempi, che cominceranno, però, solo nel 1806 con la conquista francese del Regno.
Questa svolta radicale del B., e il fatto non è senza legami, si accompagnò agli sforzi che egli andò compiendo, anche con le raccomandazioni del Muratori e di altri autorevoli personaggi, per ottenere nell'amministrazione statale un posto adatto alle sue capacità. Infatti è probabile che, vistosi respinto e accantonato, anche perché.lo si considerava più un pratico, un "applicato alla mercatura" che un uomo di studi e di riflessioni (e di questa valutazione è traccia nel carteggio col Muratori), il B. sia andato drammatizzando sempre più le sue analisi della situazione. Preoccupato soltanto di dimostrare che egli valeva "assai più di quel che pensavano", irritato per il fatto che, come egli stesso racconta, in più di un caso, avendo dato ad osservare un qualche progetto, questo era stato, a sua insaputa, proposto al governo, facendosene autore colui al quale l'aveva affidato, il quale così ne aveva ricavato tutto l'onore e l'utile, e nulla sperando più in quella direzione, il B. tolse ogni velo e ojzni morbidezza alla sua analisi critica. Il risultato di questo più libero e al tempo stesso più amaro atteggiamento può rilevarsi nel volumetto che pubblicò nel 1754 (Memoria ad oggetto di varie politiche ed economiche ragioni ... ), che esaminava, senza riguardo alcuno verso chicchessia, alcuni dei più scottanti problemi allora sul tappeto.
Dei sette argomenti trattati nel volumetto, tre soprattutto interessarono l'opinione pubblica e misero in allarme le autorità. Il primo riguardava la monetazione cui si voleva porre mano. Alcuni mesi prima che pubblicasse la sua Memoria, ilB. era stato invitato dalle autorità ad esprimere in proposito un parere che non era stato accolto. Indispettito, egli fece nel volumetto un'analisi dei danni che, secondo lui, sarebbero derivati dalla mancata realizzazione delle sue proposte sia al commercio che allo Stato.
Il secondo caso era la questione della ricompra degli "arrendamenti". Prima che si decidesse la causa intentata contro la ricompra dell'arrendamento dei sali di Puglia, egli aveva a più riprese illustrato al governo il concetto che si dovessero ricomprare non alcuni soltanto, ma tutti i settanta e più arrendamenti, corrispondendo non il prezzo al quale erano stati ceduti ma il prezzo corrente sul mercato, che appariva cresciuto solo per una decina di arrendamenti, e cospicuamente ridotto per gli altri. Ricorrendo a questo prezzo il governo avrebbe potuto restituire i cespiti allo Stato realizzando cospicue economie. Ma le autorità avevano deciso in senso del tutto opposto a quello da lui consigliato (L. de Rosa, Studi sugli arrendamenti del Regno di Napoli, Napoli 1958). IlB. riprese nella Memoria questi suggerimenti con maggiore dovizia di dati e di considerazioni, a dimostrazione dell'incompetenza dei ministri, e della ben maggiore responsabilità e competenza con cui invece egli perseguiva l'interesse dei cittadini e dello Stato.
Terzo argomento di critica, il catasto onciario, le cui operazioni erano allora in corso, e che il B., pur elogiando come iniziativa, non considerava idoneo, per il modo con cui era condotto e per le istruzioni che lo regolavano, a raggiungere lo scopo per il quale era stato indetto. Anzi, al contrario, dal catasto in corso di attuazione "la povertà che degnamente si aveva tanto a cuore di sollevare, resta[va] aggravata quasi come prima".
Queste critiche non furono, ovviamente, ben accolte a Napoli e suscitarono alcune osservazioni polemiche, contro cui il B. scrisse le Risposte alle obbiezioni state fatte da varj soggetti intorno al sistema del prezzo corrente (Napoli 1755).
L'allora segretario della Reale Azienda (ministro delle Finanze), Leopoldo De Gregorio - che, salito da modeste origini ai fastigi del potere, era considerato persona piuttosto venale e particolarmente sensibile ai propri interessi -, di fronte alle denunce del B., che si poneva con i suoi scritti al di sopra e contro i ministeri chiamando il re e il popolo a giudicare il governo e lui stesso, non esitò ad usare la maniera forte e, proibita la circolazione dei due volumetti, ordinò l'esilio del Broggia. Così questi fu costretto a trascorrere qualche anno a Pantelleria, ove non rimase inattivo, ma scrisse nell'agosto 1757 un'ampia memoria sulle condizioni dell'isola e sulle misure da adottare per risollevarne le sorti (Ristoro della Pantelleria, rimasta allora inedita, pubblicata dal Dal Pane nel 1958). In seguito il B. si trasferì a Palermo.
Nel 1761, dopo che Carlo di Borbone era stato costretto a furor di popolo a licenziare dal governo il De Gregorio, il B. ritornò a Napoli, ove scrisse una memoria contro il dazio sul minutillo (pubbl. dal Dal Pane in Studi in onore di A. Genovesi, Napoli 1956, pp. 67-81), continuando così la battaglia in favore dell'abolizione dei dazi sull'esportazione onde evitare i danni che ne venivano alle manifatture e al commercio napoletano. Non pare che questa memoria, nonostante fosse stata scritta per incarico del de Goyzueta, nuovo segretario della Reale Azienda, abbia assicurato al B. i riconoscimenti materiali che egli si attendeva. Tuttavia è certo che nel 1764, al tempo della grave carestia ed epidemia che devastarono Napoli, egli era in rapporti con il ministro Tanucci, per conto del quale scrisse una memoria sulla panificazione a Napoli.
Come confermano queste due memorie, ed altre andate forse disperse, il B., nonistante le amarezze provocategli dalla scarsa fortuna pubblica, dall'esilio e dai danai che da questi contraccolpi della sorte risentì la sua attività mercantile, non disarmò. E continuò a studiare i problemi del suo tempo, formulando i rimedi che a lui parevano più idonei. È noto che nel 1764 per essere informati sulla situazione economica del Regno a lui si rivolsero il rappresentante austriaco e quello piemontese a Napoli. E deve supporsi col Venturi che, se potrà rintracciarsi la memoria che in tale occasione egli scrisse, "ci si troverà di fronte ad una importante visione d'assieme del Napoletano in un anno cruciale della sua storia". Questa non fu comunque l'ultima memoria scritta dal B., in quanto nel giugno 1766 lo sappiamo impegnato in uno studio sul debito pubblico, e più che mai interessato ai problemi economici del tempo, pronto a mettere i suoi servizi a disposizione di chi potesse apprezzarli. S'ignora se questa memoria sul debito pubblico sia stata mai terminata. Poco dopo, nel settembre 1767, il B. concludeva a Napoli la sua travagliata esistenza.
Fonti e Bibl.: G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2130; G. F. Galeani Napione, Elogio di G.Botero, in Piemontesi illustri, I, Torino 1781, pp. 340-341; Nuovo Diz. istor., IV, Napoli 1791, pp. 449-452; G. Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, Lugano 1829, pp. 80-88; C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 64; F. Trinchera, C. A. B. economista napoletano, in Atti della R. Acc. di scienze morali e pol., IV (1869), pp. 3-20; T. Fornari, Delle teorie economiche nelle province napoletane, II, Milano 1888, pp. 98 ss., 174 ss.; M. Schipa, Il Muratori e la coltura napoletana del suo tempo, in Arch. stor. delle prov. napoletane, XXVI (1901), pp. 615-649; S. Natoli, C. A.B. e la moneta immaginaria, in Giornale degli economisti e rivista di statistica, marzo 1937, pp. 192-96; G. Tagliacozzo, Econom. napoletani dei secc. XVII e XVIII, Bologna 1937, pp. XXXV-XL;A. Allocati, La panificazione a Napoli durante la carestia del 1764 in una memoria di C. A. B., in Studi in on. di A. Genovesi, Napoli 1956, pp. 45 ss.; L. Dal Pane, Una memoria ined. di C. A. B., ibid., pp. 67-81; Id., Di un'opera sconosciuta di C. A. B. e del suo carteggio con L. Muratori, in Giorn. degli economisti e Annali di statistica, n. s., XVII (1958), pp. 638-661; Id., Una memoria sulla Pantelleria di C. A. B., in Arch. stor. ital., CXVI(1958), n. 3, pp. 381-435; J. A. Schumpeter, Storia dell'analisi economica, I, Torino 1959, p. 249; G. H. Bousquet, Esquisse d'une histoire de la science économiaue en Italie. Des origines à F. Ferrara, Paris 1960, pp. 22-24; G. Ricca Salerno, Storia delle dottrine finanziarie in Italia, Padova 1960, pp. 181-187 e passim; Q. Nuccio, B. C. A., in Scrittori classici italiani di economica politica, Roma 1965, parte antica, IV-V, app., pp. III-LXXXII; F. Venturi, Tre note su C. B., in Riv. stor. ital., LXXX (1968), pp. 830-853; Id., Settecento riformatore, Torino 1969, ad Indicem.